NEARER MY GOD TO THEE
PROLOGO
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Agosto 1985,
Londra
Londra
Lo aveva sempre guardato con curiosità, ma lui non lo aveva mai invitato ad entrare. Si fissavano a lungo fino a quando il bambino si stufava e decideva di tornare nel suo reparto. Non si erano mai parlati, ma tutti i giorni il piccolo andava a trovarlo e lo osservava, era diventato un rito a cui nessuno dei due poteva fare a meno.
Come tutti i giorni William attraversò il lungo corridoio che separava il reparto infantile da quello geriatrico con un misto di ansia e speranza perché desiderava che quel vecchio gli rivolgesse la parola. La porta della stanza era stranamente chiusa. Bussò lievemente, ma non ottenne risposta. Girò la maniglia e sbirciò all’interno.
Una dottoressa stava valutando i parametri del suo paziente, quando alzò il capo, gli sorrise e sussurrò: “Non oggi, Will.”
Il bambino abbassò il capo un po’ deluso e stava già per andarsene quando una voce roca lo interruppe.
“Non andartene, vieni qui.”
Non aveva mai sentito la sua voce, ma era stato lui a richiamarlo. Si girò speranzoso, avvicinandosi al letto d’ospedale. Guardò il vecchio: ciocche argentee gli incorniciavano il viso e le rughe solcavano la fronte. Aveva gli occhi chiusi, ma sembrava triste. Sollevò un dito della mano e lo posò un paio di volte sul lenzuolo: voleva che Will si sedesse accanto a lui.
“Dovrebbe riposarsi.” Cercò di intromettersi la dottoressa, ma il suo paziente scosse la testa. La donna si rivolse quindi al bambino e disse: “Mi raccomando, non farlo stancare.” Gli accarezzò la testa pelata e uscì chiudendosi la porta alle spalle.
Ci fu qualche istante di titubanza in cui il bambino si chiese se fosse stata davvero una buona idea rimanere, ma poi il momentaneo imbarazzò svanì.
“Io sono William, sono venuto tutti i giorni a trovarti.”
“Lo so.” Rispose l’uomo e a quel punto aprì gli occhi. “Ti ho visto.”
“Perché non mi hai mai invitato ad entrare?”
L’uomo respirò profondamente, cercando di sistemarsi meglio sui cuscini.
“Sei molto solo, William, non hai amici, vero?”
Il piccolo dagli occhi di ghiaccio abbassò la testa, leggermente imbarazzato, poi sussurrò: “Come fai a saperlo?”
“Ti ho osservato a lungo.”
“Vuoi essere mio amico?” Chiese speranzoso il più giovane.
Scosse la testa e tutti i suoi ricci si mossero sul candido cuscino.
William rimase deluso e stava già per andarsene, quando l’altro gli disse: “Io sto per morire, non dovresti voler diventare mio amico.”
“Non mi vuoi perché sono malato, vero? Perché pensi che morirò presto!” Strinse i piccoli pugni, come sempre quando era arrabbiato.
“Cosa ne dici se ti racconto una storia, William?”
Il bambino sgranò i grandi occhi e sorrise, felice. Si accomodò meglio sul letto, facendo attenzione a non schiacciare i fili che collegavano l’uomo alle macchine ticchettanti.
“Immagina un mondo diverso, dove viaggiare era una rarità e solo i ricchi potevano permettersi delle vacanze. Immagina un porto affollato, dove le persone si affrettano, piene di bagagli, sogni e speranze. In quel luogo ci sono ricchi e poveri, giovani disperati e incalliti sognatori. La senti quella brezza leggera che ti sferza il viso? C’è odore di salsedine e profumi costosi, ma anche la puzza del pesce e di corpi sudati. Riesci a vedere le carrozze? Senti il rumore degli zoccoli dei cavalli affaticati? Bene, la nostra storia inizia qui.”
L’uomo chiuse gli occhi, cercando di portare alla mente quelle immagini. Sorrise appena e William capì che un tempo rideva molto perché aveva delle piccole rughe d’espressione intorno agli occhi.
Cominciò così la storia che avrebbe trasportato il bambino nell’Inghilterra del passato, tra segreti mai raccontati e affetti ormai perduti.
Torno nel fandom dopo ere geologiche con questa storia che non ricordavo nemmeno di aver iniziato. Il banner è di Erzsi e ovviamente il titolo è quello della canzone che, secondo molti è stata suonata durante l'affondamento del Titanic. Spero vi sia piaciuta :)