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Autore: heliodor    18/06/2019    1 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Trova il tuo modo
 
"Non ti invidio affatto" disse Caldar calandosi nella trincea scavata nel terreno.
Joyce lo segui muovendosi con cautela al buio. La luna e le stelle erano velate da nuvole pesanti che avevano aleggiato sulla città per tutto il giorno.
Caldar guardò in alto. "Tra poco il sole sorgerà. Chissà se questa sarà la mia ultima alba."
Joyce sospirò. Anche lei temeva di non vedere il sole sorgere di nuovo. Eppure aveva affrontato Rancey, giganti di metallo e i terribili colossi.
Sentiva sempre qualcosa rivoltarle le interiora prima di affrontare una battaglia o un combattimento. Elvana le aveva detto di dominare quella paura, ma non le aveva spiegato come.
"Tutti hanno un modo loro" aveva detto la strega tra una pausa e l'atra delle sessioni di addestramento - e di bastonate - che avevano fatto a Malinor. "Tu devi trovare il tuo."
"E se non lo trovo?"
"Prima o poi succede. A streghe e stregoni viene naturale. Tu non sei diversa."
Invece lo sono, avrebbe voluto risponderle Joyce, ma non poteva. Non riusciva a togliersi dalla mente che tra poco sarebbe stata nel mezzo di una battaglia, anche se gli Urgar potevano ucciderla prima.
Non accadrà, si disse. Sirak sembra una persona ragionevole e Iruk mi ha praticamente adottata. Non permetteranno che mi venga fatto del male. Sanno che sono amica di Halux.
Poi pensò al modo con cui erano andati via, come dei ladri o dei criminali. Impossibile non pensare a una fuga.
Se uno scappa è colpevole, pensò Joyce. Altrimenti perché scapperebbe?
"Tieni giù la testa" le disse Caldar.
Joyce si abbassò, anche se non era abbastanza alta perché svettasse oltre la montagnola di terreno che era stata innalzata ai due lati.
"Questa trincea è sempre stata qui?" chiese per ingannare il tempo.
"No" rispose Caldar.
Joyce valutò se fare un'altra domanda. "L'avete scavata voi per difendervi?"
"Secondo te?"
Joyce sbuffò. "Perché hai detto che non mi invidi?"
"Trattare con quei selvaggi" rispose lo stregone. "Non sarà divertente. È vero quello che dicono?"
"Cosa dicono?"
"Che vestono con le pelli e mangiano carne umana?"
"Sulle pelli è vero" disse Joyce. "Ma usano anche dei vestiti normali." Ne avevano dato uno anche a lei.
"Mangiano carne umana?"
"No" disse Joyce. "Che io sappia."
"Allora è probabile che non ti mangeranno."
Joyce non riuscì a capire se dicesse sul serio o scherzasse. Caldar sembrava serio quando parlava. "Non ci mangeranno, stai tranquillo."
"Io non verrò con te" disse l'uomo.
Joyce si fermò. "Vuoi abbandonarmi qui?"
"Ti porterò fino oltre le trincee. Da sola non saresti capace."
"E come farò a tornare indietro?"
Caldar scrollò le spalle.
"Kallia ti ha ordinato di accompagnarmi" disse Joyce con tono fermo.
"Niente affatto" rispose Caldar. "Ha chiesto a te di andare a parlamentare con quei selvaggi. Io devo solo accompagnarti. Kallia non sarebbe mai così stupida da rischiare uno dei suoi stregoni, uno dei migliori, lo dico senza modestia, per un tentativo così azzardato."
"Ti ha detto questo?"
"Non mi ha detto il contrario."
Joyce fece per aprire bocca ma lui le fece un gesto brusco con la mano.
"Zitta ora. Arriva qualcuno."
"Chi?" domandò, un dardo già pronto nella mano destra.
"Fallo sparire" disse Caldar agitato. "Vuoi che ci uccidano? Gyde non è stupido. Se si sentirà minacciato attaccherà. E loro potrebbero essere in tanti."
Joyce fece sparire il dardo magico. "Loro chi?"
"Una pattuglia dell'orda" rispose Caldar.
Joyce deglutì a vuoto.
Da quella distanza sentiva i passi che si avvicinavano. Era il rumore di stivali che affondavano nel fango della trincea.
"Gyde sei tu?" chiese Caldar.
I passi si arrestarono.
"Se ti dico di scappare, fallo" disse lo stregone a bassa voce.
Joyce annuì. Nel buio, tra i camminamenti di fango, nemmeno riusciva a vedere le mura della città. Sarebbe dovuta uscire di lì e poi tornare a piedi, magari inseguita dai soldati dell'orda e in campo aperto.
"Caldar?" domandò una voce.
Lo stregone sembrò rilassarsi. "Sono io" disse.
I passi ripresero ad avanzare verso di loro. Joyce trattenne il fiato finché dall'oscurità non emersero tre soldati armati di scudi e lance. Dietro di loro, un tizio grassoccio con il ventre a forma di botte avanzava a fatica nel fango, il mantello color grigio sporco ai lembi.
"Due visite in poche ore" disse lo stregone. "Kallia ti ha messo ai lavori forzati?"
Caldar sembrò sforzarsi di sorridere. "È una situazione un po' complicata."
"Lo so amico mio, lo so" disse Gyde. "Sono davvero dei brutti giorni, questi. Ho paura che domani ci sarà uno scontro."
"Lo credo anche io."
Gyde sporse la testa di lato. "Quella lì chi è? Adesso esci in coppia?"
"È un'amica. Deve lasciare la città."
"Perché?" Gyde fece un gesto vago con la mano. "scusa, non volevo farmi gli affari tuoi. Certe domande non si fanno, altre invece sono d'obbligo. Hai portato un regalo per me?"
"Dieci monete" disse Caldar. "Come al solito."
"Al solito, sì" rispose Gyde con tono vago. "Ma questa non è la solita passeggiata notturna. Stavolta siete in due. Credo sia giusto chiederti venti monete, stavolta."
"Venti?" fece Caldar stupito. "Non ho tutto quel denaro con me."
Gyde si strinse nelle spalle. "Allora ho paura che dovrete tornare indietro. E dovrete darmi dieci monete lo stesso, ovviamente."
"Non è giusto" sbottò Joyce.
Gyde sorrise. "Che carina. Parla anche. Dille di stare zitta, Caldar. Lo sai che la voce delle ragazzine mi innervosisce."
"Senti" disse Caldar. "Ti darò venti monete. Trenta, se mi lasci passare."
Gli occhi di Gyde si spalancarono. "Sul serio? Trenta?"
Caldar annuì. "Quando torneremo, ti daremo le venti monete in più. Promesso."
"Dammele ora."
"Non le ho con me."
Gyde si accigliò. "Nel posto in cui stai andando ci sono quelle monete che ti chiedo?"
Caldar annuì.
Gyde sembrò pensarci sopra. "Mi spiace" disse scuotendo la testa. "Ma non credo di potermi fidare."
"Andiamo Gyde" disse Caldar. "Abbiamo fatto buoni affari io e te, ricordi? Sai che di me puoi fidarti."
"Non è una questione di fiducia ma di opportunità, amico mio. Domani o al massimo il giorno dopo conquisteremo la città e tu e gli altri verrete messi a morte. Se aspettassi qualche ora rischierei di perdere quei soldi, capisci? Rauda, che tu certamente conosci, ha messo una taglia di cinquanta monete sulla testa delle spie di Nazdur. Cinquanta monete." Rise con tono sommesso. "Converrai che cinquanta è più di trenta."
"Te ne darò cento" rispose Caldar.
Gyde scosse la testa. "Mi spiace amico mio, siamo ai saluti finali." Lo stregone congiunse le mani come in preghiera. Nello stesso momento il suo corpo venne avvolto dalle fiamme.
"Scappa" gridò Caldar.
Joyce rimase dov'era, affascinata dallo spettacolo dell'uomo in fiamme eppure del tutto tranquillo e sereno, come se si stesse concentrando.
Caldar le diede uno strattone deciso. "Non mi hai sentito? Scappa. Tra poco ci attaccherà."
"E tu?" chiese Joyce destandosi.
"Cercherò di rallentarlo. Trova gli Urgar e convincili a passare dalla nostra parte o sarà stato tutto inutile. Adesso vai. Vai."
Joyce si voltò di scattò e corse via, al buio, senza sapere né dove mettesse i piedi né dove andare.
Dietro di lei udì delle grida, poi un intenso bagliore rischiarò il cielo e le trincee. Si sentì spingere in avanti da un vento impetuoso che soffiava dal punto in cui aveva lasciato Caldar e Gyde. Udì uno schianto, come se qualcosa di enorme fosse esploso e poi il bagliore si affievolì e scomparve, facendola tornare nel buio.
Corse nella trincea senza fermarsi né voltarsi indietro. Non era sicura se la stessero seguendo e in quanti fossero, ma non voleva scoprirlo. Prese delle svolte a caso, tuffandosi ora a destra, ora a sinistra quando aveva davanti un bivio. Solo dopo qualche minuto osò rallentare e voltarsi per scrutare se qualcuno la stesse seguendo.
Mormorò la formula della visione speciale. La trincea scomparve, sostituita dal buio più profondo. In quella oscurità scorgeva poche fiammelle che si muovevano in lontananza poco sopra l'orizzonte.
Le guardie della città, pensò.
Abbassò gli occhi, concentrandosi sulla zona da cui era appena scappata. Non scorse alcun movimento, né bagliori di luce che si avvicinavano o allontanavano.
Nessun mi sta seguendo, si disse.
Annullò la vista speciale e si concentrò sulla trincea. Anche muovendosi a caso si era allontanata dalla città. Era una buona cosa, ma non aveva idea di dove andare. Gli Urgar erano qualche migliaio, ma avevano piazzato il campo lontano dalla città e dalle torri non era visibile. Probabile che non avessero acceso i fuochi per non attirare attenzioni sgradite. Sarebbe stata un'impresa trovarli.
Si immaginò vagare per giorni e giorni nei dintorni della città alla ricerca degli Urgar, mentre la città veniva conquistata dall'orda e Bardhian finiva nelle mani di Joane.
Se almeno quell'idiota mi avesse aiutato, pensò. Con Bardhian poteva cercare di lasciare la città prima che Joane lo trovasse. Era un pensiero meschino nei confronti di Kallia, che si aspettava aiuto da parte del principe, ma la guerra a nord aveva la precedenza. Se davvero Bardhian era così forte e importante, doveva proteggerlo e portarlo in un luogo sicuro.
Doveva farlo per quello e per Vyncent. Gli aveva fatto una promessa e voleva mantenerla.
Ma lui non è venuto nemmeno a cercarmi, si disse. Doveva pensare alla guerra. E a Bardhian. E a mia sorella. Smettila.
Scosse la testa per cancellare quel pensiero e si concentrò sulla strada da percorrere. La trincea si snodava per chissà quante centinaia di metri e lei doveva trovare l'uscita da lì prima che Gyde o qualcun altro venisse a indagare cosa stesse succedendo.
Ogni tanto si fermava per osservare la strada con la vista speciale e solo quando si sentiva sicura proseguiva.
Camminò per quasi un'ora prima di rilassarsi un poco.
Girò un angolo scavato nel fango e si ritrovò una lancia puntata in viso. Dall'altra parte, un uomo vestito con una folta pelliccia maculata la fissava con ostilità.
Altri due sembrarono emergere dalle pareti di fango. Erano coperti di melma tanto da confondersi con lo sfondo.
Ho guardato con la vista speciale, si disse. Come hanno fatto a sfuggirmi?
Sospirò. Almeno aveva risolto il suo problema. Ora non doveva più girare nel buio per trovare gli Urgar. Erano stati loro a trovare lei.
Alzò le mani sopra la testa. "Portatemi pure da Sirak" disse con tono rassegnato.

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