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Autore: milla4    19/06/2019    2 recensioni
Raccolta di simboli, di immagini legate ad un animale e alle parole che esso si porta dietro.
Storia partecipante al "contest del Simbolismo", indetto da Arianna.1992 sul forum di efp
Genere: Angst, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Le storie di Un Mondo'
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Segreti




Era una Tomba, una prigione all’aperto. La bocca si sarebbe aperta in automatico soltanto davanti al cucchiaio pieno di brodaglia vischiosa, la lingua avrebbe impastato il cibo con la saliva per poi finire in gola, ma non avrebbe pronunciato un fonema mai più, le corde vocali non avrebbero più vibrato; sarebbe stata seduta lì, in quel buco tra gli alberi, ad aspettare che una persona venisse a confidarle i propri segreti. Vi erano varie Tombe disperse nella Foresta Infinita, senza alcuna segnalazione per i vari viandanti che cercavano un libero sfogo alla propria coscienza, erano soltanto anonime fessure sotto tra gli alberi; le guardiane soltanto sapevano dove ognuna di loro stesse, avevano una mappa mentale.
Loa, quel giorno, aveva ascoltato la confessione dimessa e pregna di sensi di colpa di una paffuta donna che contrariamente a ciò che aveva detto alla sua famiglia, aveva mangiato interamente la torta destinata al compleanno del fratello da lei stessa preparata, alle parole concitate di un uomo che aveva tradito la sua sposa per l’ennesima volta, questa volta con la loro vicina di casa. Qualcuno veniva dalla stessa Tomba, altri erano degli occasionali. E poi c’era lui, il motivo per cui la mente di Loa stava cedendo molto rapidamente. Aveva detto di chiamarsi Orehon ma poteva anche un nome di fantasia, inventato, un nome che quella mente malata aveva pensato fosse adatta al suo personaggio. Era venuto un giorno d’estate di cinque anni prima, verso sera quando l’aria aveva incominciato a rinfrescare; Loa era stata condannata una settimana prima ed era solo da due giorni incatenata, con le braccia incrociate a guardare il vuoto. Si era presentato, sembrava gentile, la voce profonda le arrivava alle orecchie con un ritmo particolare, una filastrocca per bambini che si era trasformata in un incubo appena il contenuto aveva incominciato a prender senso.
Ne aveva uccisi quarantasette, esseri umani di ogni età, genere e stato sociale; li aveva drogati, spesso erano clienti della sua stessa taverna e quando si erano risvegliati aveva tagliato loro l’orecchio destro, la mano sinistra e la gamba destra: per creare simmetria, le aveva detto. Poi li lasciava morire dissanguati, di quei corpi nessuno seppe più nulla: li aveva chiusi nella propria anima, dei feticci che lui avrebbe potuto vedere e rivedere. Le aveva confidato che lo avrebbe fatto ancora. Orahon sapeva come lei stesse soffrendo, gli occhi forzatamente inespressivi tradivano, se si stava attenti, panico; questo gli piaceva di lei, il suo sfidare le regole naturali, sfidare la magia che permeava il loro mondo lo faceva sentire in contatto con lei. Ogni volta che vedeva quei guizzi, un’eccitazione lo prendeva e l’unico modo di sfogarla era uccidere ancora, ancora e ancora.
Loa avrebbe voluto urlare il nome dell’uomo, avvertire ogni singola persona della città ma non poteva: era una ladra e quella era la sua punizione, almeno per i prossimi dieci anni; Orehon aveva giurato che le sarebbe stato accanto, che non l’avrebbe lasciata sola, perché Loa era la sua musa.










 
Note: 52. Lince
   
 
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