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Autore: Iky    20/06/2019    2 recensioni
"Mi risvegliai, incerto nel cuore se gettarmi giù dalla nave e morire nel mare o sopportare in silenzio e restare ancora fra i vivi. Sopportai e rimasi: avvolto nel mantello, giacqui sulla mia nave." [Ulisse]
*
Il viaggio non è semplice, specie se la meta è la scoperta di se stessi, l'accettazione, la rivalsa.
"Nessuno" lo sa bene.... eppure non può far altro che continuare a navigare, anche se il mare è in tempesta.
[Questa storia partecipa alla challenge Somewhere over the Rainbow indetta dal gruppo SasuNaru Fanfiction Italia]
Genere: Angst, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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lunedi rosso pride 1
NO *ONE


(1)
LUNEDÌ – ROSSO – BORN THIS WAY





«Nessuno, Nessuno, tu sei Nessuno, tu non sei Niente».


Se lo era sentito ripetere per tutta la vita. Il che era deprimente, dal momento che era sulla Terra da “soli” 23 anni.
Eppure era stato abbastanza. Abbastanza per sopportare, soprattutto per crederci.
Si sentiva vecchio, pesante. Nessuno: forse lo era davvero.
Un outsider, qualcuno di anonimo di cui nemmeno ti accorgi se non per le sottili divergenze, enormi piccoli particolari, sufficienti a definirlo. Ad annullare tutto ciò che era. Ad essere un Nessuno che non contava Niente. Zero. Un valore Assoluto con cui era dovuto scendere a patti.
In realtà, se doveva pensarci (e Dio, quanto ci pensava – sempre), non sapeva bene quando era cominciata. Rievocava vagamente frammenti opachi di memorie più recondite che, come vetri rotti, facevano male al sol raccoglierli.
La sua era stata un'infanzia pressoché scontata: famiglia banale, madre casalinga, padre grigio impiegato, una sorella più piccola di due anni, Daisy.
La amava follemente: quando era venuta al mondo, ricordava di non aver mai smesso di osservarla nella culla e carezzarle la testa.
Era rimasto folgorato dalla sua microscopica bellezza: così piccola e scintillante in tutto quel rosa. La sua cameretta gli piaceva, ci stava intere giornate. Non capiva perché invece lui avesse tutto quel blu addosso: nelle pareti, nei vestiti, persino nelle lenzuola che la mamma gli cambiava. Non che lo disturbasse, ma lo trovava triste e banale. Bastava alzare gli occhi e il cielo era blu, il rosa invece lo dovevi cercare.
E a lui piaceva, ne era incuriosito.
Era un bambino pieno di domande e si annoiava facilmente, anche dei propri giochi: le macchinine, la palla, le armi giocattolo.
Così rimaneva nella cameretta scintillante e studiava ogni novità: le bambole, i trucchi finti, i peluche, il set della mini cucina.
Non sapeva perché, ma un giorno qualunque li aveva messi da parte. Si era annoiato di nuovo. O forse la mamma gli aveva detto di lasciare stare Daisy e i suoi giochi. Erano da femmine.
Come lo era la danza. A sei anni Daisy continuava a scintillava nel suo tutù (rosa). Se ci ripensava adesso (e Dio, non smetteva mai di farlo) si rendeva conto di quanto tutto fosse banalmente prestabilito: binari tracciati su un percorso solido.
Gli veniva lo sdegno, si sentiva quasi soffocare, ma nell'infanzia ne era rimasto solo affascinato.
Mentre continuava a giocare con il pallone, Daisy esplorava nuovi livelli a lui sconosciuti. Nessuno gli aveva mai vietato nulla però qualcosa, al tempo, gli aveva suggerito che la danza classica era qualcosa di inaccessibile, come le bambole e il rosa. Erano cose da femmine.
Un confine invalicabile, un autolimitazione silenziosa che gli ronzava nella testa, insinuandosi senza troppe pretese: ancora e ancora.
Aveva dunque iniziato a mettere da parte anche quello, senza farsi più domande.
Si era spento qualcosa, sebbene la sua naturale inclinazione in verità era solo rimasta sopita e dormiente: una scintilla fiammeggiante, rossa, in fondo allo stomaco.
Normale, Normale, Normale.
Andare a scuola con una divisa dalla giacca blu.
Continuare a giocare a calcio.
Uniformarsi.
Presto ogni cosa aveva assunto i toni grigi di suo padre, che rincasava sempre tardi: niente più colori, niente più rosa. Persino il cielo era diventato scuro.

Non si ricordava bene quando era cominciato.
La solita partita del club, una colluttazione, un fallo; una rissa a cui, come un attore da quattro soldi, partecipava perché era Normale.
Poi all'improvviso una sensazione diversa, insieme alle botte e al gusto del sangue sul labbro spaccato.
Un brivido lungo la schiena, il respiro smorzato, le mani anonime di un avversario sulle spalle, il suo fiato sul collo, i corpi sudati, una ginocchiata sulle palle che gli aveva fatto vedere le stelle.
Poi il cartellino rosso - di nuovo colore – e l'espulsione.
Sotto la doccia fredda dello spogliatoio erano riaffiorate domande.
Che succede? Che succede? Che mi succede?
La prima erezione: dolorosa, piena di dubbi, fottutamente spaventosa.
Meglio lasciar stare.
Lascia stare.
È fisiologico, è normale: è roba da maschi.

Ma non era normale.
Lo sapeva: il corpo non tradisce gli istinti, anche se fai finta di niente.
Ogni volta che cercava di annichilirsi, la scintilla bruciava più forte.
Così pian piano aveva iniziato a chiudersi, a rifugiarsi nella sua safe zone, a rimanere statico e anonimo mentre Daisy (oh quanto era bella, Daisy) continuava a danzare scintillante.
Eppure aveva perso interesse per il ballo, il rosa, i vestiti e tutte quelle cose strane.
Aveva perso interesse per tutto.
Una sola cosa gli contorceva le budella, spaccandogli il costato: Rendy Maxwell.
Cristo, se lo ricordava bene Rendy. Era il capitano della sua squadra.
Scontato, banale, così dannatamente prevedibile come in un romanzo da quattro soldi. Invece no, era solo la dura e grigia realtà.
E nascondere qualcosa che non capisci è impossibile.
Sì, era stato banale, scontato, dannatamente prevedibile.
Come la prima masturbazione dopo un allenamento al campo in un qualsiasi giorno estivo.
Come il pudore e la vergogna.
Come il disgusto degli altri che avevano iniziato a capire prima di lui.

«Nessuno, Nessuno, tu sei Nessuno, tu non sei Niente».

Per l’ennesima volta era tornato a casa pieno di sangue e lividi.

Dopo le offese, la rabbia, l'umiliazione, gli occhi di Rendy schifati prima di colpirlo sul costato con un calcio non bastava più isolarlo durante le partite, causargli falli, lasciarlo in panchina. Si erano spinti oltre.
Quel giorno, uguale a tanti altri anonimi, non aveva pianto né si era difeso: basta che finisca presto, basta che finisca tutto.
Era tornato a casa, sempre vuota e silenziosa, ed era corso in bagno: aveva la faccia tumefatta.
Rosso, graffi, sangue.
Ammutolito e spento, non si riconosceva neanche.
Poi gli occhi sul rossetto di Daisy, poggiato sulla mensola insieme ai suoi trucchi.
Lo aveva preso tra le dita tremanti; si era accorto di avere le nocche sbucciate, forse aveva risposto, forse si era difeso... nemmeno lo ricordava, non gli importava.
E così, senza pensarci, aveva tolto il tappo e fatto roteare il rossetto sulle labbra.
Rosso su Rosso: almeno era un colore. Non più grigio.
Eppure qualcosa non andava. Non era normale.
Non era lui, nemmeno con quel rossetto. Era di Daisy, non suo.
Chi sei?
Furente aveva spaccato il vetro dello specchio.
Non lo sapeva.
Aveva solo capito che, in fin dei conti, anche se era da maschi, il calcio gli piaceva: proprio ora che non poteva giocare più.
Allo stesso modo in cui gli piaceva Rendy. Anche se era da femmine.

«Nessuno, Nessuno, tu sei Nessuno, tu non sei Niente».

Forse era davvero quella la risposta: era nato così e non sapeva nemmeno perché.


Note Autrice
Per la prima volta mi cimento in un original.
Ci tenevo a partecipare alla challenge sul Pride Month con un piccolo pezzo di scrittura e spero di essere riuscita nell'intento.
Ringrazio infinitamente Jinko che ha betato in modo delicato e perfetto questa storia.


  
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