Storie originali > Soprannaturale
Segui la storia  |       
Autore: Nana_13    20/06/2019    0 recensioni
"...Fa male. Un dolore lancinante mi attraversa tutto il corpo e mi sento quasi morire. Però devo resistere. Non posso permettere che lui mi scopra. Non ancora almeno. Devo dare il tempo agli altri di fuggire o il mio sacrificio non sarà servito a niente…"
Come promesso ecco il secondo capitolo della saga Bloody Castle. Claire, Juliet e Rachel hanno dovuto affrontare di tutto per salvarsi la vita. Una vita che ormai, è evidente, non è più quella di tre semplici liceali. Riusciranno a cavarsela anche questa volta? Non dovete fare altro che leggere per scoprirlo ;)
Genere: Angst, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
img10

Capitolo 7 - Sei tu Mark?


Ecco. Alla fine mi sono decisa a prendere in mano la penna e iniziare a scrivere.
Ci ho messo un bel po’, in effetti, perché non trovavo il coraggio di riaprire il tuo diario dall’ultima volta che io e Claire lo abbiamo letto. Adesso però voglio farmi forza e iniziare una nuova pagina, lasciandomi alle spalle le precedenti, così che tu possa leggerla quando tornerai.
Devo confessarlo, quello che hai scritto mi ha turbata, e anche parecchio. Ma mi è stato d’aiuto per riflettere su me stessa e sul mio comportamento.
Non avevo idea che stessi soffrendo così tanto in quel periodo, che fossi arrivata addirittura a odiarmi. Te lo giuro, non lo avrei mai immaginato. Ora non faccio che chiedermi per quale assurdo motivo non ne abbiamo parlato, perché in quell’occasione non ci siamo confidate come facevamo sempre.
Mi capita spesso di ripensare a quella sera, quando abbiamo litigato e tu sei fuggita. È da lì che è iniziato tutto. Non so neanch’io perché mi fossi ostinata a tenervi nascosta la storia con Mark e a rifletterci adesso mi prenderei a schiaffi. Avrei dovuto dargli retta e raccontarvi subito la verità, invece di aspettare chissà cosa. Se fossi stata più chiara, se mi fossi spiegata…
Ma è inutile ragionare con i se, ormai è andata così. È sul presente che devo concentrarmi, anche perché non è per niente roseo.
Sono settimane che viviamo nell’incertezza e ora che finalmente avremmo potuto ricevere qualche notizia dei ragazzi, tutto tace. L’ansia e la paura mi stanno logorando il fegato e penso che se non uscirà fuori qualcosa al più presto esploderò. Quel che è peggio è che non riesco a fare a meno di sentirmi in colpa per averli abbandonati. So che non potevamo fare niente e che attraversare quel portale era l’unico modo di salvarsi, ma è più forte di me.
Ora siamo bloccate qui, in un posto non nostro, in una vita che non ci appartiene. Mi sento inutile, Juls, come mai prima.
Cerco di distrarmi con gli allenamenti e in effetti devo ammettere che da quando abbiamo iniziato va un po’ meglio. Io e Claire siamo migliorate parecchio, sai? Lei è brava nel corpo a corpo, mentre io preferisco usare le armi. Ho scoperto di essere tagliata per il tiro con l’arco e a sentire Qiang ho un talento naturale. Secondo me esagera…
Tornando a Claire, ho l’impressione che si stia adattando molto più di me a vivere qui. Sta facendo amicizia con Kira e gli altri guerrieri. Ormai fanno gruppo fisso e più di una volta siamo andati insieme alla taverna a bere qualcosa, dopo gli allenamenti. Io però non mi sento molto in vena di festeggiare, vista la situazione in cui ci troviamo. Claire invece non ha fatto che ridere e scherzare con loro per tutto il tempo, tanto che comincio a dubitare che le importi del fatto che Mark e Cedric siano ancora prigionieri in quel castello infernale. Oltretutto, in questi giorni non ho potuto non notare un certo feeling tra lei e Jamaal, ma non vorrei cadere nel tuo stesso errore e ingigantire le cose più del dovuto. La conosciamo entrambe e sappiamo quanto sia brava a nascondere bene le sue emozioni, quindi spero che il suo sia solo un modo di non farsi sopraffare dall’ansia.
Beata lei, che almeno ci riesce.
Una cosa però è certa, a Jamaal lei piace e il suo tentativo di baciarla lo conferma. Tra l’altro, se così non fosse, non verrebbe ogni giorno agli allenamenti a girarle intorno come un’ape sul fiore. Potrà anche fingere di interessarsi ai nostri problemi, e magari non è solo finzione, ma non mi incanta. Si vede lontano un chilometro che ha interessarlo è una cosa sola.
In tutto questo, la situazione Cordelia resta la stessa da quando siamo arrivate. Laurenne si sta facendo in quattro per capirci qualcosa, davvero. Trascorre ogni ritaglio di tempo libero a studiare le pergamene che si è portata dietro dal viaggio, ma per ora nulla di fatto. Anche se ormai sono passate settimane da quando siamo qui, a volte faccio ancora fatica a ricordare che dietro l’aspetto della mia migliore amica c’è un’altra persona, qualcuno che nemmeno conosco. Ha qualcosa di simile a te nel carattere, è vero. È sensibile, ma non così emotiva. Anzi, certe volte è alquanto snob e non fa che riprendere Claire sul suo linguaggio spesso sbeccato. Si vede che viene da un’altra epoca...
Stento a credere a quello che dico. Venire da un’altra epoca. Tutta questa storia è una follia. Ancora non riesco a capacitarmene, mi sembra di vivere nel mondo dell’assurdo. In una realtà parallela in cui le persone si trasformano in altre vissute secoli fa e dove compiere strani riti con dei sassi incisi sia la normalità.
Beh, penso di averti annoiata abbastanza. Scrivere queste pagine mi ha fatto bene, perché è stato come parlare di nuovo con te. Ultimamente mi sento sempre più sola, anche se ho Claire. Ma…Lo sai, con te parlare è sempre stato più facile. 
È tutto uno schifo, Juls. Ho come la sensazione che la mia vita sia divisa in pezzi, sparsi un po’ qua e un po’ là. E non so da quale di questi mi faccia più male stare lontana. Mark mi manca da morire. Mi manca la sua voce, la capacità che aveva di tranquillizzarmi. Ma non vedo l’ora di riabbracciare anche te. Per non parlare di mio padre. Non voglio neanche pensare a cosa possa essergli successo…
Direi che per oggi può bastare, altrimenti quando leggerai ti farò entrare in depressione. Spero di riaverti con noi prima possibile. Nel frattempo, continuerò ad aggiornarti su quello che ci succede.
A presto.
 

“Ray.” Claire sbucò dall’uscio della porta della loro camera, gli occhi truccati in maniera vistosa di verde e blu, e le guance messe in risalto dall’ocra rossa. “Vieni di sotto. Tra poco si va alla festa.”

Giusto. Rachel se n’era quasi dimenticata. Laurenne aveva chiesto loro di accompagnarla alla rituale festa in onore di Shamash, il dio Sole, che la tribù organizzava ogni estate. Solo dopo un po’ fece caso alla sua faccia.

“Ma come ti sei conciata?” le chiese, mentre richiudeva il diario e lo lasciava sul suo letto.

Claire sospirò rassegnata. “Laurenne ha detto che tutte le donne del villaggio si truccano così in queste occasioni. Ovviamente Delia non se l’è fatto ripetere e ha pensato di sfogare la sua vena artistica su entrambe.”

“Quindi farà la stessa cosa anche a me.” constatò, alzandosi.

Claire annuì. “Probabile.”

Stavano per scendere di sotto, ma d’un tratto Rachel avvertì l’indomabile istinto di restare dov’era. “No, senti…” esitò. “Andate voi. Io non sono dell’umore.”

“Cioè mi lasci sola con sua grazia la duchessa?” ribatté Claire incredula, incrociando le braccia.

Rachel si abbandonò seduta sul letto con un sospiro stanco. “Scusa, ma per me ultimamente non è proprio aria di festa. Preferisco rimanere qui.”

L’amica storse il naso, per nulla contenta della decisione, ma poi annuì rassegnata. Capiva bene a cosa si riferisse e anche lei non aveva tutta questa voglia di andare. Più che altro sperava che un po’ di bagordi la distraessero da tutti i pensieri che aveva per la testa. “Okay. Come vuoi.”

“Divertitevi.” le augurò Rachel, abbozzando un sorriso.

Claire uscì di casa poco dopo, in compagnia di Laurenne, abbigliata come una sacerdotessa, e Cordelia, già eccitata ancor prima di mettere piede fuori. Il suo entusiasmo aumentò nel vedere le vie del villaggio addobbate a festa, le persone truccate e vestite in maniera eccentrica e colorata. Con il calare del giorno, l’aria afosa del deserto andava rinfrescandosi ed era pervasa dal suono ritmato delle percussioni e quello armonioso dei flauti, che proveniva dalla piazza centrale. C’era già qualcuno che ballava e cantava.

“Che meraviglia, adoro le danze orientali!” esclamò Cordelia battendo le mani, se possibile ancora più fomentata. “Al castello venivano organizzati spesso dei balli a tema. Erano i miei preferiti.”

Claire faceva davvero fatica a immaginarsela vestita di veli che ballava la danza del ventre, ma non replicò.
Una volta arrivate in piazza, Laurenne si diresse subito verso Jamaal, che le riservò il saluto tradizionale che i membri della tribù si scambiavano in quel tipo di occasioni. La mano destra toccava in successione il torace e le labbra, poi ci si stringeva il braccio reciprocamente.

Ti offro il mio cuore, la mia anima e la mia spada.” disse in arabo. Dopodiché, spostò lo sguardo verso
Claire e le sorrise, facendole l’occhiolino.

Dal canto suo, lei si sforzò di mantenersi distaccata e ricambiò con un sorriso accennato. Le fece strano vederlo vestito con una lunga tunica colorata, anziché con il solito abbigliamento da guerriero. Aveva il volto dipinto a spirali di vernice bianca, ma questo non le impedì di provare una strana sensazione allo stomaco.
In risposta, la sciamana chinò il capo, appesantito da un vistoso copricapo che le avvolgeva la testa a mo’ di turbante, e allargò le braccia, segno che aveva accettato il suo saluto. La tunica che indossava era lunga, ma al contrario delle altre donne presenti era di un candido lino bianco.
Dopo i saluti di rito, Laurenne prese posto al centro, mentre Jamaal andava a posizionarsi in mezzo alla gente, come fosse un membro qualunque della comunità. Poco distanti da lui, Claire vide Najat insieme a Kira, Qiang ed Evan, che però non erano vestiti alla maniera tipica della tribù.
Poco dopo, la sua attenzione venne richiamata dalla voce chiara e tonante di Laurenne, il cui canto risuonò tutto intorno, amplificato dal silenzio assoluto dei presenti. Sembrava una sorta di preghiera, impossibile da comprendere se non si conosceva la lingua del posto, ma che Kira aveva spiegato a Claire fosse composta dalle stesse parole per tutte le tribù Jurhaysh, solo in lingue diverse.
La sciamana chiuse gli occhi e rivolse il viso verso il cielo, per poi riaprirli una volta a contatto con la luce rossastra del sole. Claire intuì dovesse trattarsi di un segnale, perché a quel punto anche gli altri iniziarono a cantare. La preghiera finì nel momento esatto in cui il disco luminoso scomparve all’orizzonte, poi tutto ricadde nel silenzio. Un ragazzo vestito con la stessa tunica bianca, si avvicinò a Laurenne, porgendole una coppa di terracotta da cui la sciamana bevve un breve sorso, per poi riconsegnarla nelle mani del discepolo. Dopodiché, la coppa passò di mano in mano tra ogni membro della tribù.
Quando arrivò a lei, Claire la prese un po’ titubante. Non era sicura che fosse il caso di bere, visto che non faceva parte della comunità e non ne condivideva le usanze. Comunque, nessuno glielo impedì, così portò il contenitore alla bocca e mandò giù una sorsata di quello che era uno strano vino dal sapore speziato. Decisamente troppo per i suoi gusti. Cercando di contenere un rigurgito, lo passò a Cordelia.

Ormai era sera inoltrata quando iniziarono i festeggiamenti e fu sollevata del fatto che Rachel non fosse venuta. Almeno sarebbe riuscita a goderseli senza preoccuparsi di dover incontrare la sua espressione di disappunto ogni volta che si girava. C’erano persone che suonavano e tutto intorno la gente ballava e si divertiva come in tante altre feste a cui le era capitato di partecipare. Se non avesse saputo di trovarsi in un altro continente, sarebbe stato quasi impossibile accorgersi della differenza.
Cordelia non aveva perso tempo e si era unita alla mischia, lasciandola in disparte. Le sarebbe piaciuto raggiungerla, ma stranamente si sentiva a disagio, come se una vocina nella sua testa continuasse a ripeterle che non faceva parte di quel mondo, che il suo posto era altrove.

Immersa nei suoi pensieri, si accorse della presenza di Jamaal solo quando le fu di fronte. “A quanto pare avevo ragione.” disse sorridente, porgendole un bicchiere.

Claire sollevò il viso e lo guardò. Nonostante la faccia pitturata, quella sera le sembrava ancora più attraente del solito. “A proposito di cosa?” gli chiese poi, riscuotendosi.

“Ti ho vista da lontano e ho avuto l’impressione che avessi bisogno di compagnia.” si spiegò. “Poi mi sono avvicinato e la tua faccia me ne ha dato la conferma.”

A Claire sfuggì un sorriso, mentre beveva un sorso di liquore e un piacevole retrogusto di dattero le riempiva il palato. Decisamente meglio del vino rituale.

Quando Jamaal le porse la mano, invitandola a ballare, ebbe un attimo di esitazione, ma bastò poco per mandarsi al diavolo e seguirlo.  –Un ballo non fa male a nessuno- si disse. Anche se l’ultima volta che aveva pensato una cosa del genere era finita tra le braccia di Nickolaij e aveva dato inizio a tutta la vicenda.

Riemersero dalla baldoria solo perché la testa le girava come una centrifuga, in parte a causa del liquore, più forte di quanto le fosse sembrato all’inizio. Un capogiro la fece barcollare e Jamaal le circondò la vita con un braccio per sorreggerla. “Ti senti bene?” si assicurò.

Lei annuì, non troppo convinta. “Forse ho bisogno di cambiare aria.”

“Vieni.”

La guidò non molto distante, nei pressi della riserva d’acqua che garantiva la sopravvivenza del villaggio. Prima di sederle accanto, Jamaal si sciacquò il viso dalla pittura e per un po’ rimasero in silenzio a godersi quella piccola oasi di paradiso, illuminata solo dalla luce della luna che si rifletteva nel lago.

Claire respirò a pieni polmoni e chiuse gli occhi, mentre cercava di riprendersi, e la cosa suscitò le risate di
Jamaal. “Che c’è?” gli chiese allora, fingendosi risentita.

“Niente. È che non pensavo di crearti tutti questi problemi con un solo bicchiere.” scherzò.

Anche lei ridacchiò. “No. Sono solo un po’ accaldata. Forse sarebbe stato meglio ballare e poi bere.” Poggiò il peso del corpo su entrambe le braccia, stese all’indietro. “Ma sai che ti dico?”

“Cosa?”

“Non me ne importa un accidente…” In un impeto di spensieratezza, piegò la testa in alto, per poi voltarsi verso di lui. Tutto si sarebbe aspettata, però, tranne che fosse così vicino. Talmente tanto da intercettare le sue labbra e metterla a tacere con un bacio.

Un vortice di emozioni le prese lo stomaco, impedendole di razionalizzare e tirarsi indietro, come buon senso avrebbe voluto. Che stava succedendo? Perché lo stava lasciando fare?

La domanda rimase senza risposta e, quando si separarono, Claire aveva perso completamente la percezione della realtà. A malapena le giunse alle orecchie la voce di Jamaal che, dopo averla contemplata rapito, le sussurrò: “La luce della luna piena ti rende ancora più bella.”

La parola che le arrivò forte e chiaro fu una sola. “Piena?” ripeté, voltandosi di scatto a guardare il cielo. Di colpo i fatti le apparvero davanti in tutta la loro evidenza e il panico la assalì. Come aveva potuto non accorgersene per tutto quel tempo? “Devo andare.” Si limitò a dire, alzandosi di scatto e correndo via spedita verso casa di Laurenne.

Lungo il tragitto sentiva l’angoscia aumentare ogni secondo che passava. Quando finalmente arrivò, vide che il piano terra era deserto, ma sapeva dove andare. Salì a due a due i pochi gradini che portavano di sopra, finché non comparve sulla soglia della stanza che divideva con Rachel, trovandola ancora seduta sulla sua branda a scrivere il diario di Juliet.

Non aspettandosi di vederla, la fissò spaesata, ma prima che potesse dire qualcosa Claire la precedette. “È plenilunio.”

 
-o-

 
Rosemary percorreva a passo svelto il corridoio principale, lasciandosi alle spalle una cella vuota dopo l’altra. Non aveva mai amato i sotterranei del castello, forse perché le ricordavano i vicoli bui e sporchi dove era stata costretta a rintanarsi per anni, prima che Nickolaij la trovasse. Infatti, dopo aver ereditato il gene da vampiro dalla sua adorabile mammina, non era più potuta restare nella casa natia e aveva dovuto arrangiarsi per strada. All’epoca la vita sarebbe stata dura per qualunque adolescente, pieno com’era in giro di porci schifosi senza nessun altra ambizione se non quella di approfittarsi di un bel bocconcino tenero, ma per fortuna lei non era come le altre. O forse non era affatto una fortuna.
Questo non significava che per lei fosse stato più facile, anzi, aveva passato dei momenti in cui morire si sarebbe rivelata la soluzione migliore e probabilmente era stato proprio quello il motivo per cui le era venuto così facile avvicinarsi a Dean. Quando lo aveva incontrato la prima volta era un quindicenne solo e spaventato, proprio come lei alla sua età. Si trovava a Londra in missione e, sentendo diverse notizie riguardo misteriose sparizioni e ritrovamenti di cadaveri nei luoghi più disparati, aveva capito potesse trattarsi di un giovane vampiro allo sbaraglio. L’epoca era diversa, ma il mondo era rimasto la stessa pattumiera piena di esseri spregevoli, così si era messa sulle sue tracce, temendo che qualcuno lo trovasse prima di lei, facendogli fare una brutta fine. Proprio come Nickolaij aveva fatto nei suoi riguardi, lo aveva salvato, protetto, gli aveva insegnato tutto ciò che c’era da sapere sulla loro natura, su come combattere i nemici e gestire la fame; poi, suo malgrado, se n’era innamorata. Se non fosse successo, magari a quest’ora se ne sarebbe rimasta in camera sua, invece di rischiare la vita. Ormai, però, era troppo tardi per tornare indietro.
Da giorni circolavano voci nel castello, da sempre un colabrodo per le chiacchiere di chiunque. Tutti erano a conoscenza delle torture a cui Nickolaij stava sottoponendo Dean per farlo parlare. Del resto, la cosa non l’aveva affatto stupita e, nonostante la facesse soffrire, non avrebbe potuto fare niente per impedirlo, ma ciò che le era capitato di sentire in seguito l’aveva costretta a cambiare posizione. Non ricordava più da quale fonte provenisse la voce, o forse l’aveva rimosso. L’unico pensiero fisso era che Nickolaij aveva condannato Dean a morire di fame. Erano passati diversi giorni dal plenilunio e nessuno era andato a dargli del sangue, né mai più lo avrebbe fatto, senza contare che le percosse subite dovevano averlo indebolito ulteriormente. Per quanto fosse abile nel resistere alla fame, forse il più abile, neanche lui sarebbe riuscito a sopravvivere a lungo in quelle condizioni.

Presa dal panico, il primo impulso era stato quello di scendere quella sera stessa nelle prigioni a portargli del sangue, ma poi la razionalità aveva avuto la meglio. Doveva aspettare almeno qualche giorno, quando molti avrebbero seguito Nickolaij in una delle sue missioni di conquista. Con il castello svuotato, avrebbe avuto maggiori probabilità di passare inosservata. Nel frattempo, sperava con tutte le sue forze che Dean sarebbe riuscito a resistere.
Continuava a sperarlo anche in quel momento, ormai vicina all’ultima cella del corridoio. Quella sera, una volta certa che Nickolaij fosse partito, non aveva perso tempo. Raggiunto il laboratorio, si era procurata un’ampolla di sangue, per poi precipitarsi nei sotterranei. Per fortuna, le sue previsioni erano esatte e non trovò nessuno lungo la strada. Nonostante sapesse che Nickolaij avrebbe posto fine alla sua vita se mai ne fosse venuto a conoscenza, l’unica cosa importante era impedirgli di toglierla a Dean. Per quanto riguardava se stessa, ci avrebbe pensato a tempo debito. Ora doveva assolutamente mantenere i nervi saldi.

Arrivata davanti alla grata che chiudeva la cella, prese il mazzo di chiavi dalla tasca del mantello e iniziò a trafficare con la serratura. Non era stato difficile stordire la guardia con uno dei suoi sonniferi per poi sfilarglielo dalla cintura. Quando finalmente riuscì ad aprire, entrò trafelata, e appoggiata la torcia su uno dei sostegni della parete, guardò dritto davanti a sé.
La luce illuminò il fondo della cella, mettendo in evidenza la sagoma di Dean, appeso per i polsi nella stessa posizione di quando era stata lì l’ultima volta. Solo che adesso versava in condizioni tali da non riuscire nemmeno a sollevare la testa e guardare chi era entrato.

Mary si avvicinò lentamente, studiando ogni singolo livido del suo corpo. Non ce n’erano di recenti, anzi, la maggior parte era già di colore giallastro, segno che non veniva picchiato da tempo, ma le sue braccia e soprattutto il torace ne rimanevano pieni. A causa della mancanza di nutrimento, le ferite non riuscivano a rimarginarsi con la consueta velocità.

Dean non si muoveva, così, temendo il peggio, Mary si accostò di più a lui, tirando un sospiro di sollievo nel constatare che respirava ancora, anche se a fatica.
Allora non perse altro tempo. Con delicatezza gli sollevò il viso, mentre con l’altra mano prendeva l’ampolla con il sangue e gliela portava alla bocca.
Lui doveva averne percepito l’odore, perché di colpo sembrò riprendere vita e bevve con avidità tutto il contenuto, finché in pochi secondi non ebbe svuotato la boccetta. Per fortuna, era stata previdente e ne aveva portata una con capacità più abbondante del solito.

In pochi istanti il sangue iniziò a fare effetto su Dean, il cui respiro si fece per un momento più affaticato, per poi tornare regolare man mano che il liquido benefico si distribuiva nelle vene. Mary sapeva di non avere tanto tempo a disposizione prima che qualcuno venisse a controllare, quindi si adoperò subito per liberarlo dalle catene.

“Che stai facendo?” le chiese allora con voce roca, mentre lei cercava la chiave per aprire i ceppi tra quelle del mazzo.

Indaffarata com’era, non lo guardò nemmeno; poi, finalmente trovò la chiave giusta. “Ti salvo il culo, come al solito.” ribatté spiccia.

All’inizio aveva pensato di portargli semplicemente del sangue, ma poi si era resa conto che non sarebbe servito a nulla, se non a prolungare la sua agonia. Prima o poi Nickolaij lo avrebbe ucciso comunque, perciò doveva aiutarlo a fuggire. “Ecco. Ora non resta che l’alt…”

Non fece in tempo a finire la frase, però, che il braccio appena liberato dalle catene scattò in avanti e l’afferrò per il collo, facendole cadere in terra il mazzo di chiavi.

“D-Dean…” Mary cercò di parlare, ma il suono le uscì strozzato e fioco a causa dell’aria che non riusciva a passare per la trachea. Con le mani cercò di liberarsi, ma invano. Il sangue gli aveva dato una forza superiore al normale. “Ti…prego…Voglio aiutarti…”

“Dammi una sola buona ragione per cui non dovrei ucciderti adesso.” le disse ansante per la rabbia, inchiodandola con uno sguardo di puro odio. Gli occhi rosso vermiglio e i canini sporgenti in quel momento lo rendevano più simile a una bestia che all’uomo che amava.

Qualsiasi cosa avesse detto, lui non l’avrebbe ascoltata, anzi, la sua presa sembrava intensificarsi ogni secondo di più e Mary sapeva di essere ancora viva solo grazie alla sua natura. Ma iniziava già a sentire le forze abbandonarla.

“Se fossi in te, la lascerei andare.” esordì una voce alle sue spalle. “Non complicare ulteriormente la tua situazione.”

Aveva il cervello annebbiato, perciò non riuscì a capire a chi appartenesse, ma si interpose tra lei e la morte nel momento più opportuno. Dean, infatti, allentò gradualmente la presa, finché non riuscì a sottrarsene del tutto.

Piegata in due, tossì forte, sentendo l’aria riempirle di nuovo i polmoni. Mentre si massaggiava il collo dolorante, si diede della stupida per essere stata così incauta da non prevedere che con ogni probabilità Dean avrebbe cercato di ucciderla, visto ciò che aveva fatto a quella ragazzina.
Dopo essersi ripresa, riuscì a sollevare la testa verso l’entrata della cella e mettere a fuoco l’identità del suo salvatore.
Byron era sulla soglia, scrutandoli entrambi con volto impassibile e ignorando l’espressione incredula di Mary una volta che lo ebbe riconosciuto. Quando allungò la mano per aiutarla ad alzarsi, lo scansò in malo modo, pensandoci da sola. “Che diavolo ci fai qui?” gli chiese, tentando di ritrovare il contegno.

Lui la lasciò sulle spine ancora un istante, prima di rispondere con il consueto tono di superiorità. Stavolta, però, sembrava anche sinceramente impensierito. “Vi impedisco di commettere una sciocchezza.”

Non ci fu bisogno di aggiungere altro. A quel punto, Mary non poteva più sperare di salvare Dean, ammesso che glielo avesse lasciato fare. L’unica possibilità rimastale era almeno salvare se stessa. Per quanto riguardava la sua dignità, ormai era perduta, così incatenò di nuovo il braccio di Dean alla parete senza troppe cerimonie.

“Non credere che sia finita.” la minacciò, quando si ritrovarono faccia a faccia.

Lei però non ebbe alcuna reazione. Si limitò a raccogliere il mazzo di chiavi, senza degnarlo di uno sguardo, per poi dirigersi all’uscita.
Byron si fece da parte per farla passare, richiudendosi subito dopo la grata alle spalle. In seguito, trascorse una serie infinita di secondi, in cui Mary avrebbe voluto semplicemente scappare. Tutto si sarebbe aspettata fuorché quel triste epilogo e il pensiero che ora Byron disponesse di un’arma con cui ricattarla la faceva uscire di testa.

Buttando al vento il briciolo di amor proprio che le rimaneva, si voltò verso di lui e disse in tono piatto: “Ti sarei davvero riconoscente se quello che hai visto stanotte restasse tra noi.”

Sul volto apparentemente inespressivo di Byron vide disegnarsi un ghigno appena intuibile. “Naturalmente.”

Mary però non si lasciò abbindolare. Niente l’avrebbe convinta della sua sincerità e del fatto che, al momento opportuno, non avrebbe approfittato di quello che sapeva per screditarla, se non peggio. Per ora, comunque, non c’era nulla che potesse dire per ribaltare la situazione. E la cosa che le faceva più rabbia era l’aver commesso un simile errore proprio con Byron. Andarsene in quel momento le sembrò la soluzione migliore, così girò i tacchi e, senza abbassare lo sguardo per mantenere un certo contegno, se lo lasciò alle spalle. Dietro di sé riusciva ancora a captare l’espressione di velata vittoria stampata su quel volto da viscido, ma si impose di restare calma. Non poteva dargli anche la soddisfazione di vederla umiliata.

Byron rimase a osservarla mentre si allontanava, poi rivolse un’ultima occhiata alla cella e per un istante il suo sguardo incrociò quello di Dean, prima di andarsene per la sua strada.

Rimasto solo e di nuovo incatenato, Dean sentiva l’adrenalina calare progressivamente, ma non la frustrazione per non essere riuscito a ottenere vendetta. Se Byron non si fosse messo in mezzo, a quest’ora Mary avrebbe fatto la fine che meritava. Non provava gratitudine nei suoi confronti per aver cercato di liberarlo, solo disprezzo.
Lo pervadeva una rabbia cieca, ma sapeva che in parte quello stato d’animo era dovuto al sangue bevuto e che lasciarlo agire avrebbe significato sottomettersi ad esso. Anni prima aveva giurato che non lo avrebbe più permesso, così chiuse gli occhi e lasciò che il respiro tornasse regolare, finché non si addormentò.

Dopo quelli che gli sembrarono pochi minuti, fu svegliato ancora una volta dal trambusto della serratura, che qualcuno stava cercando di scassinare. Quando finalmente lo sconosciuto riuscì a entrare, Dean si accorse dall’abbigliamento che non poteva trattarsi di un membro della Congrega. Portava un mantello di lana spessa, avvolto attorno al torace e sulla testa, coprendola a mo’ di cappuccio, e al fianco aveva una spada dalla forma insolita, ricurva.

-Una scimitarra- pensò, facendo subito il collegamento.

A quel punto, lo sconosciuto fugò ogni dubbio togliendosi il cappuccio, a mostrare così la pelle scura e la testa rasata.

“Sei tu Mark?” gli chiese in un inglese dal forte accento arabo.

Dean non aveva idea di come avesse fatto un cacciatore a entrare a Bran, ma fu come se l’istinto gli dicesse qualcosa e non esitò a rispondere. “No, ma so dove potrebbe trovarsi.”

 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale / Vai alla pagina dell'autore: Nana_13