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Autore: LeanhaunSidhe    21/06/2019    7 recensioni
La lama brillava ed era sporca. Imuen girò il taglio della falce verso la luna e ghignò incontrando il proprio riflesso. Si sentiva di nuovo vivo. Non distingueva il rosso dei suoi capelli da quello del sangue dei suoi nemici. La sua voce si alzò fino a divenire un urlo. Rideva, rinato e folle, verso quel morto vivente che era stato a lungo: per quanto era rimasto lo spettro di se stesso? Voleva gridare alla notte.
È una storia con tanto originale, che tratta argomenti non convenzionali, non solo battaglia. È una storia di famiglia, di chi si mette in gioco e trova nuove strade... Non solo vecchi sentieri già tracciati... PS: l'avvertimento OOC e' messo piu' che altro per sicurezza. Credo di aver lasciato IC i personaggi. Solo il fatto di averli messi a contatto con nemici niente affatto tradizionali puo' portarli ad agire, talvolta, fuori dalla loro abitudini, sicuramente lontano dalle loro zone di comfort
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aries Kiki, Aries Mu, Aries Shion, Cancer DeathMask, Nuovo Personaggio
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ballata dei finti immortali'
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Appena aveva visto Aphrodite materializzare la rosa rossa tra le mani e suo figlio mettersi in posizione d’attacco nel suo soggiorno, Deth Mask aveva capito di dover intervenire in fretta. Aveva arpionato l’amico per la spalla e lo spinse, letteralmente, fuori dai suoi appartamenti privati, del tutto incurante delle sue lamentele. Al ragazzo aveva intimato di non azzardarsi ad emettere un fiato e sperò davvero che, Atena, gli concedesse che il suo comando fosse stato eseguito. Non era mai stato un maestro di buone maniere ma quel comportamento risultava strano persino per uno come lui. Gli fu chiesto cosa ci facesse a casa sua un seguace di Imuen e che accidenti avesse questo contro di lui. Avrebbe voluto, davvero, mettere l’amico a parte di quei segreti perché era una magagna grossa da gestire da soli. Se lo avesse fatto, però, avrebbe certo perso in un colpo solo quel poco di fiducia che Mnemosine gli aveva accordato e probabilmente l’unica occasione della vita per intavolare una sorta di rapporto col figlio. Tra la valanga di improperi che l’amico gli rovesciò addosso, l’insinuazione che erano cafoni allo stesso modo e condividessero anche la stessa faccia da schiaffi, ebbe per il cavaliere del cancro il suono non di un campanello d’allarme ma di una sirena. Riuscì a catapultare l’amico fuori dal quarto tempio e chiudersi la porta alle spalle. Inquieto, si avviò in fretta nuovamente verso la cucina. Libero dall’armatura, aveva fatto presente al ragazzo che avrebbe potuto anche avvertire, invece di presentarsi a quell’ora ed in quel modo. Lo ritrovò, almeno, senza fazzoletto davanti alla faccia ma con un’espressione nera come la sua. Gli buttò davanti una pizza mezza scongelata. Non aveva da offrirgli altro come cena.

“Ai miei pasti provvedo da solo.”

Si era buttato, già stanco, dal capo opposto del divano.

“Hai il palato troppo fino?”

Zalaia l’aveva fissato come si guarda un ebete. Poi doveva aver cambiato parere. Per una volta, evidentemente, non lo rimproverava di qualcosa.

“Mangio cibo umano solo quando sono umano. Quella, a me, adesso non basterebbe.”

Si era portato due dita alla base del naso, nervoso come doveva essere il genitore. Iniziava a capire un po’ del disagio che Seleina provava quando si ritrovava in mezzo agli umani. Di tutto aveva voglia, fuorchè di specificare certe cose con quello.

“Noi mangiamo cose appena abbattute. Non saremmo abbastanza in forze per combattere, altrimenti.”

Alla domanda esatta di cose, alzò le spalle. Specificò che poteva essere carne o pesce, indifferentemente. Loro, zanne ed artigli non li avevano per bellezza. Se ne servivano anche per cacciare un pasto.

“Quando l’ho conosciuta io, tua madre non aveva artigli o zanne.”

Fu trapassato da quelle iridi verdi che richiamavano fantasmi, così diverse dalle proprie. Si sentì quasi un fantasma lui stesso, a sentire certi argomenti, del tutto estranei alla sua sensibilità che, pure, di cose strane ne aveva vissute tante.

“Non li aveva perché non le servivano all’epoca. E’ come per olfatto ed udito. Li sviluppi se li usi, se cacci e combatti.”

Avrebbe voluto fargli un sacco di domande ma non era facile.  Era stizzoso come lui e non riusciva a trovare le parole giuste. Per quella sera, riuscì solo a fargli accettare una birra e stabilire l’ora in cui, il giorno dopo, avrebbero iniziato ad allenarsi. Se non altro, non erano finiti a legnate già la prima sera.

Quando, all’alba della mattina seguente, si ritrovò davanti quel ragazzo alto quanto lui, dalla carnagione alabastrina e coi capelli rossi, ma che era del tutto un semplice umano, la sua prima reazione fu quella si guardarsi attorno, chiedendosi dove fosse finito, in realtà, quell’animale di suo figlio. Zalaia, in quella forma, non era poi molto diverso da prima. Solo, l’assenza dei tratti animaleschi, la pelle più scura, lo rendevano in tutto e per tutto simile al genitore e differente da prima. In particolare, Death Mask fu colpito da quegli occhi scuri, penetranti probabilmente come i suoi, che ribollivano ma non solo di rabbia. C’era un disagio profondo a mostrarsi in quella forma, la consapevolezza di essere esposto, vulnerabile. Di solito, quando era così, il ragazzo se ne stava nella città umana vicina, in mezzo al mondo caotico e fresco dell’università. Sfruttava la testa e non le mani. Nascondersi li, non gli pesava, perché era esattamente come tutti gli altri. Avere di fronte però quell’uomo che, in quel momento, era in una chiara condizione di superiorità, lo esponeva al pericolo pesante non tanto di essere pestato e provare dolore, quanto di manifestare la propria debolezza. Non gli piaceva. Sapeva che quelli del branco avrebbero protetto il suo segreto e non avrebbero permesso che Cancer lo conciasse troppo male. Era però qualcosa di più subdolo. Un conto erra farsi vedere da Imuen, in quello stato. Ben diversa faccenda, era avere di fronte Cancer.

“Beh, che ti aspettavi? Mia madre ti aveva avvertito, mi pare.”

Mnemosine, in quel poco tempo che si erano rivisti, gli aveva rivelato molte cose. Un conto era però ascoltare, un altro vedere. Death Mask ebbe la chiara consapevolezza che, se avesse voluto ridargli con gli interessi tutte le botte ricevute, quello era il momento adatto. La certezza, però, che il biondo che aveva accompagnato il ragazzo vigilasse su ogni sua mossa e che suo figlio non si sarebbe mai piegato al dolore, pur di non dargli soddisfazione, gli fecero abbandonare presto quel pensiero. In fin dei conti, non era divertente prendersela con uno del tutto inerme. Non bisognava essere maestri di telepatia per capire quanto costasse a quel moccioso mostrarsi, a lui, in quelle sembianze. Era a disagio almeno quanto lui, ad averlo davanti. Semplicemente, lo condusse al cortile interno del quarto tempio.

“Se sai già come evocare il cosmo, al lavoro. Mostra quel che sai fare.”

Qualche fuoco fatuo che girava, da quelle parti, si trovava sempre. Zalaia, con la stessa naturalezza con cui muoveva l’archetto del violino, aveva accolto una fiamma sbiadita nel palmo della mano. Alle proprie spalle aveva iniziato ad aprire un passaggio verso quel mondo dove, come Dunedain, poteva spedire parecchi, ma non raggiungeva mai. L’apertura era piccola ed informe. Impiegò almeno mezzo minuto per ingrandirsi abbastanza da permettere ad entrambi il passaggio. Erano tempi troppo lunghi per essere efficaci in battaglia ma non si trattava di nulla di insuperabile. Lo seguì e restò affascinato dalla disinvoltura con cui suo figlio si muoveva in quel mondo oscuro e parallelo. Di lui, le anime parevano aver rispetto. Evidentemente, percepivano che, da lui, potevano avere pace. Qualcosa, però, non lo convinceva. Era come se a suo figlio pesasse usare quelle tecniche. Lo tenne d’occhio, attento, fino a che non rientrarono per lo stesso passaggio creato dal giovane, dentro alla quarta casa. Non era la riuscita dell’impresa, che preoccupava Death Mask, ma l’animo con cui Zalaia ci si avvicinava. Non era sereno. Evocava le tecniche di Cancer come se ne avesse fastidio. Di solito, il cosmo era una forza che rinvigoriva ed esaltava chi lo usasse. Suo figlio, invece, se ne serviva con disagio, come se ne provasse vergogna.

“In che circostanze ti sei accorto di avere un cosmo?”

Doveva aver fatto centro. Zalaia gli si era rivolto, all’improvviso, con l’odio con cui l’aveva attaccato, la prima volta.

“Non ti riguarda.”

Death Mask, però, una seconda volta non ci stava.

“Non posso aiutarti, moccioso, se non mi fai capire perché usi il cosmo così. Come fai ora, ti blocchi da solo. E’ palese che sei dotato ma servirsi del cosmo della costellazione di Praesepe come fai tu, significa tagliarsi le gambe da soli, in battaglia. Devi essere saldo, affinchè la tua azione sia efficace.”

Contro ogni aspettativa, gli fu data ragione.

“Il cosmo non è una forza di cui mi servo volentieri. Vedrò di farmela passare.”

Era palese che, senza superare quell’aspetto, era inutile andare avanti.

“Detesti servirtene perché ti ricorda di essere mio figlio?”

Prima o poi avrebbero dovuto affrontare quell’argomento. Ci sperava. Sperava che anche Mnemosine, nella sua preghiera, avesse a cuore che ricucissero un rapporto. Attendere la risposta era come aprirsi con un coltello la pancia da soli. Lo prese come il conto per tutte le nefandezze di cui si era macchiato un tempo. Iniziava a non aver più paura di perdere quel ragazzo: voleva solo provare ad avvicinarcisi. Avrebbe tentato nei soli modi di cui sarebbe stato capace. Poi, le cose sarebbero andate semplicemente nel modo in cui dovevano.

“Non è per te. Non mi piace servirmi del cosmo perché mi ricorda di quando ero debole. Di quando non ero capace di difendere mia madre.”

Ebbe la sensazione che il ragazzo faticasse a reggere il suo sguardo. Dovette impegnarsi parecchio per capire che non mentiva, che era il caso di insistere, perché un altro momento in cui suo figlio gli avrebbe parlato della sua infanzia, difficilmente l’avrebbe trovato.

“Da piccolo non eri un bambino prodigio?”

“Da piccolo facevo schifo.”

Gli fu spiegato che i cuccioli nati da un genitore umano nascevano con caratteristiche fisiche inferiori rispetto a chi aveva padre e madre Dunedain. I mezzosangue dovevano allenarsi parecchio di più per superare la differenza di capacità. Era questione di anni. Solo una volta raggiunto un certo livello potevano considerarsi pari agli altri, come nel suo caso addirittura superiori. Ma erano comunque pochi. Al campo, lui e Seleina erano le sole eccezioni. Anche se Seleina sembrava un discorso a parte, li ci capiva poco. Erano bizzarrie che poteva solo Sire Haldir.

Quando era più calmo e raccontava  più a lungo, suo figlio aveva il vizio di muovere le mani. Aveva la grazia innata del violinista ma in certi momenti si soffermava in delle pose delle dita che ne esaltavano anche la virilità, come quando chiudeva il pugno e si poteva immaginare l’impatto che avrebbe potuto produrre sulla mascella. Erano gli stessi scatti in cui il medico poteva scegliere di visitare leggero il paziente e poi bloccarlo all’improvviso, se avesse dovuto eseguire una terapia dolorosa. Zalaia era cresciuto tra l’infermeria ed il campo di battaglia. La prontezza di decisione, in lui, traspariva anche dai gesti.

“Eppure, se non avessi ereditato il cosmo da te, quella volta, non avrei potuto difendere mia madre.”

La capacità di far scemare la rabbia, di sicuro, faceva parte del patrimonio genetico della madre.

Death Mask, una volta per tutte, gli chiese dell’occasione in cui si era accorto di avere un cosmo. Più o meno ci era arrivato, che qualcuno aveva cercato di mettere le mani addosso a Mnemosine in un modo che non doveva e suo figlio si era arrabbiato come una bestia. Sapere che il bastardo che aveva osato era stato mandato a morire da vivo direttamente nell’averno, fu un sollievo che provò soprattutto la sua parte sadica. Aveva anche significato, però, rendersi conto di quanto fosse stato difficile i primi tempi, senza difese, per il ragazzo e la sua donna.

“Hai sempre affermato che Imuen è stato come un padre per te. Dove era allora?”

Zalaia aveva alzato le spalle. Il loro signore non se ne era accorto prima. Sembrò rendersi conto della situazione solo a fatto compiuto. Aveva preso provvedimenti solo allora. Allontanando madre e figlio dal campo principale, per condurli in un villaggio dei loro più segreto, composto solo da femmine e cuccioli. Li, Mnemosine aveva potuto perfezionare le arti cerusiche, lui allenarsi coi suoi tempi, sviluppando le capacità che gli sarebbero servite poi. Solo dopo erano tornati al capo principale, lui come allievo diretto di Imuen e Mnemosine come guaritrice.

“Ma una femmina senza legami e suo figlio mezzosangue bastardo, restano sempre due da emarginare, anche se sono la guaritrice più dotata ed il guerriero più potente a difendere il clan, dopo i nostri signori.”

Certe ipocrisie, evidentemente, erano uguali sia tra i Dunedain che tra gli esseri umani. Death Mask aveva guardato ancora suo figlio. Gli chiese scusa per non esserci stato, nel momento in cui avrebbero davvero avuto bisogno del suo aiuto. Suo figlio, però, non gli rimproverava l’assenza: lui era un guerriero, avrebbe potuto morire comunque in ogni momento. Di orfani era pieno anche il loro campo. Della sua esistenza, non era mai stato messo al corrente. Ciò che Zalaia non accettava però da lui, era che avesse dimenticato sua madre. Quello, davvero, non riusciva a perdonarglielo.

“I sigilli di Sire Imuen sbiadiscono in fretta, come foglie morte. Non accampare scuse: ammetti semplicemente che mia madre per te è stato un passatempo ed hai esaudito la sua preghiera di allenarmi solo per alleggerirti la coscienza.Succede. Basta essere sinceri.”

Se doveva essere sincero, però, Death Mask non avrebbe mai potuto ammettere una cosa del genere.

“Io non ho mai dimenticato tua madre ed ho anche provato a cercarla. Alla fine, ho capito che Imuen non mi avrebbe mai permesso di trovarla, che senza uno come me sarebbe stata meglio. Io e Mnemosine ci siamo conosciuti quando Imuen doveva uccidermi per una condanna. Il tuo signore, allora, era ancora schiavo. Avevo capito che, allontanandola da me, la proteggeva.

Sono stato manipolato fino a credere che lei fosse stata un mio sogno. Ma mai l’ho dimenticata. Lei non è mai stata un passatempo ragazzo, così come tu non sei un errore. Saresti stato una sorpresa, certo, ma un errore mai. Se avessi solo immaginato che aspettava te, mi sarei dannato l’anima fino a che non vi avessi rivisto. Ma voi dunedain siete impossibili da raggiungere, quando lo volete e Imuen aveva voluto questo. Poi è iniziata la guerra sacra e la mia esistenza è stata votata solo a questo, come era mio dovere. Il resto lo sai.”

Per un secondo, riuscì a credere addirittura di averlo convinto. Le sue speranze si infransero in fretta.

“Tu? Che ammazzavi bambini perché stavano per sbaglio sulla traiettoria dei tuoi colpi? Magari Sire Imuen ha agito come ha agito per impedire che ci finissi anche io, su quella traiettoria.”

Lo schiaffo gli partì diretto, senza che riuscisse a trattenerlo. Perché che era stato un assassino era vero ma anche lui aveva dei limiti. Poteva accettare tutto ma non simili insinuazioni da parte di suo figlio.

“Credi quello che ti pare, bamboccio, ma mettiti al lavoro. Non altro da dire ne altro tempo da perdere con le parole, con te,”

 

   
 
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