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Autore: Carmaux_95    21/06/2019    8 recensioni
[Maylor + accenni Freddie/Jim]
-Ti ricordi l'anno scorso quando abbiamo suonato per quella festa hawaiana? Abbiamo indossato degli assurdi gonnellini di paglia e dei finti orecchini!- e mentre parlava Freddie mimò una sorta di balletto ondeggiando i fianchi e le braccia. -Basterebbero due belle parrucche e un paio di quei seni finti che si gonfiano!-
Roger lo osservò senza dire una parola, le braccia incrociate sul petto e lo sguardo indecifrabile, fino a quando fu John Reid, che non aveva ascoltato una parola ma aveva visto il pianista esibirsi in quella sottospecie di danza, a rompere il silenzio:
-Cos'ha il suo amico? Si sente male?-
-Lo spero.- rispose il biondo senza staccare gli occhi dal coinquilino.
-Ma Rog, sono tre settimane in Florida!-
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian May, Freddie Mercury, Jim Hutton, John Deacon, Roger Taylor
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO QUATTORDICI

-Mi hai davvero fatto preoccupare ieri sera!-

-Smettila.- sussurrò Roger, osservando il proprio riflesso nello specchio dell'ascensore, senza capire cosa non andasse, sorvolando l'ovvio, nel suo look. Fred lo aiutò, raddrizzandogli la parrucca di modo che i capelli avessero la stessa lunghezza ad entrambi i lati del suo collo.

-Non ti sto prendendo in giro.- dichiarò il pianista, rimangiandosi subito l'affermazione: -Un pochino sì, in realtà; ma ti capisco.-

-Ah si?- disinteressato e in imbarazzo, Roger si pettinò la frangia con una mano.

-Sì... dover continuare a mentire in qualunque situazione, anche con Brian... dev'essere estenuante. E mi dispiace.- vedendo che continuava, imperterrito, a pettinarsi per non incrociare il suo sguardo, gli strinse una spalla. -Non c'è niente di male ad avere un momento di debolezza.-

-Momento di debolezza?!- esclamò il biondo, irritato. -A momenti diventavo la Signora Mallett!-

-Questi sono dettagli...-

-Dettagli dici?-

-Guarda il lato positivo! Adesso abbiamo una comoda via di fuga: a volte per salvare la pelle bisogna sacrificare qualcosa.-

-Sì, però quello che si sacrifica sono sempre io!-

-Oh, avanti: per così poco! Gli dici che vuoi andare via con lui e poi lo scarichiamo al primo porto sicuro.-

Roger levò gli occhi al cielo, scuotendo la testa.

Siamo a cavallo, come avrebbe detto Fred.

Lo sguardo gli cadde sul polso, illuminato dal braccialetto che Dave aveva regalato a Clare come dono di fidanzamento.
Sbuffò: -Mi sento proprio una puttana ad accettare con l'inganno dei gioielli da un uomo!-

-Come se fosse una sensazione nuova: sappiamo entrambi come ti sei pagato il college.- la presa in giro ebbe il sperato effetto di farlo ridere.

La campanella dell'ascensore tintinnò al secondo piano, al posto di continuare la sua discesa fino al piano terra, e quando le porte si aprirono il sorriso dei due musicisti si spense di colpo, lasciando spazio ad un brivido che li fece impallidire mentre si appiattivano contro una delle pareti.

A testa bassa, cercarono di non dare nell'occhio, regolarizzando il loro respiro, di modo da non attirare l'attenzione di nessuno di quelli che avevano immediatamente riconosciuto come i gangster ai quali erano scappati a Chicago.


 


 

Brian identificò immediatamente l'amico appoggiato al bancone del ristorante che dava sul salone e gli si avvicinò, battendogli una mano sulle spalle.

John sussultò visibilmente a quel saluto inaspettato e gli cadde il foglio che aveva in mano.

-Scusa, non volevo spaventarti.- sorrise. -Anche se un po', forse, te lo meriti.-

-Perché me lo merito?- domandò, ma il suo sguardo era da tutt'altra parte, alla ricerca di un cameriere che lo ascoltasse. Sembrava irrequieto e teso.

-Facciamo colazione?- Brian strinse la presa sulla sua spalla, per attirare la sua attenzione, ma quello scosse la testa.

-Non ho fame...-

-Hai già un impegno?- indagò il riccio, ricevendo in risposta uno sguardo sorpreso che si risolse quando indicò il foglio che lui stesso aveva raccolto da terra e sul quale gli era inevitabilmente caduto un occhio prima di riconsegnarlo a John. Non che avesse ficcanasato, ma c'era scritta appena una riga e anche volendo sarebbe stato difficile non leggere quelle poche parole nel momento in cui lo aveva raccattato da terra.

-Più o meno... scusami: non ti ho avvertito...- come se fosse a corto di tempo, tornò a guardare davanti a sé, tormentando quel povero pezzo di carta che sicuramente aveva vissuto momenti migliori.

-John, va tutto bene?-

Corrugò la fronte: -Sto ordinando la colazione per Prenter, il mio... capo. Mi ha detto di fargliela recapitare in camera, e che vuole che ci sia anche io: dice che vuole parlarmi...-

-È una cosa positiva?-

Scosse la testa; gli occhi bassi: -No...-

-John?-

-Questo... questo non sarà il mio ultimo lavoro: non vuole lasciarmi andare.-

John avrebbe giurato di sentire le rotelle girare nel cervello del suo migliore amico mentre cercava di comprendere una situazione che non poteva ancora capire: -Non può decidere lui: hai la libertà di licenziarti quando vuoi.-

-Non posso...-

-Perché?-

Chiuse gli occhi. Tutta quella situazione cominciava a farsi insostenibile. Non riusciva a sopportare l'idea di avere addosso lo sguardo preoccupato di Brian... non fintanto che non aveva idea di cosa davvero non andasse nella sua vita. Consapevole delle bugie che gli aveva detto pur di non rivelargli la triste verità, si sentiva in colpa ad essere il destinatario di tanto affetto.

-Non so come tirarmene fuori, Brian...- sussurrò, stanco.

-Di cosa stai parlando?-

Prese un respiro profondo e sospirò.


 


 

Fred e Roger non avevano il coraggio di sollevare la testa.

Da quanto tempo erano arrivati a Miami? Forse li avevano già scoperti ma avevano aspettato il momento migliore per disfarsi di loro... in fin dei conti quello sarebbe davvero stato il posto più indicato: un ascensore; nessuna via di fuga, nessun testimone.... sarebbero bastati un paio di colpi di pistola e poi sarebbero potuti tranquillamente scendere al primo piano, dileguandosi facendo finta di nulla.

-Quei nastrini sono davvero deliziosi.- commentò uno degli uomini, sfiorando i lunghi capelli di Roger, indicando i fiocchi bianchi e neri che li tenevano legati. Il ragazzo cercò di far affluire un po' di sangue alle guance con un sorriso e, di nuovo, abbassò la testa: nel migliore dei casi avrebbero pensato che era una fanciulla particolarmente timida.

-Non vorrei essere sfacciato,- aggiunse un secondo uomo, togliendosi il cappello in segno di buona educazione. -Ma ci conosciamo già, bamboline?-

-Ci scambierà con altre bamboline...- sussurrò Fred, mantenendo lo stesso comportamento del coinquilino.

-Siete mai state a Chicago?-

-Noi? Non ci andremmo neanche morte a Chicago!- rispose Roger con una risatina nervosa.

La campanella trillò nuovamente, raggiungendo finalmente il piano terra. I cinque uomini uscirono uno alla volta, fino a quando non ne rimase uno solo che si fermò a metà strada, impedendo che le porte si richiudessero.

-In che camera alloggiate?-

-Non credo siano affari vostri.- dichiarò Freddie, ignaro del fatto che il portachiavi attaccato alla chiave della loro camera penzolava dalla tasca del proprio vestito. Dettaglio che all'uomo non sfuggì: allungò una mano, girò il portachiavi e lesse il numero inciso.

-Ci terremo in contatto.- ammiccò l'uomo prima di uscire dall'ascensore.

Le porte si richiusero con un rumore secco.

Fu in quell'istante che il cuore dei due ragazzi riprese a battere. Si accasciarono contro la parete.

Roger si concesse un sospiro spezzato: siamo appena caduti da cavallo!, come avrebbe detto Fred.

Ancora vittime del panico che avevano dovuto mascherare fino a qualche istante prima, nessuno dei due riuscì ad alzare nemmeno un braccio per premere il pulsante del quarto piano.

Come se gli avesse percepito i suoi pensieri, alla fine il pianista emise un sibilo: -Siamo appena caduti da cavallo...-


 


 

Brian aveva ascoltato il racconto di John in silenzio; la sua espressione era cambiata innumerevoli volte nel corso di quella storia delirante: dall'apprensione all'incredulità; dalla preoccupazione alla rabbia. Si morse le labbra per trattenersi fino a quando John non ebbe finito di parlare, poi, di colpo, esplose:

-Perché non mi hai chiamato?! Avrei pagato la tua cauzione! Non avresti dovuto vivere tutto questo!-

-No... Brian, no! Tu sei il mio migliore amico! Già una volta mi hai aiutato... e ti ricordi com'è stato... e poi... io...-

Se lo ricordava bene.
Ricordava il giorno della sua laurea e come non avesse festeggiato il suo diploma con il massimo dei voti.
Ricordava il giorno, qualche tempo dopo, in cui John lo aveva invitato a cena a casa sua e gli aveva consegnato in mano una busta chiusa contenente la somma della tassa di laurea, dal primo all'ultimo centesimo.

-Non ce n'è bisogno, John, te lo avevo detto: consideralo un regalo di laurea.-

-Non se ne parla.- aveva dichiarato il bassista allungando nuovamente la busta verso l'amico, che scosse la testa sorridendo. A quel punto il più giovane gli aveva preso la mano e gli aveva lasciato la busta sul palmo.

-John, dai... non...-

-No, Brian! Sei il mio migliore amico! Posso essere in debito con il mondo intero, ma non con te.-

-Non sei in debito.- gli aveva appoggiato le mani sulle spalle, di modo che lo guardasse in faccia mentre glielo diceva: voleva che fosse chiaro che non aveva nulla per cui sentirsi in obbligo nei suoi confronti.

-Sì, invece! Bri...- aveva esalato un sospiro esasperato. -Questo è esattamente il motivo per cui non volevo che mi pagassi tu la tassa di laurea! Ma tu non mi ascolti! Non mi piace che i soldi influiscano sulla nostra amicizia. Non voglio!-

Aveva parlato più chiaramente di molte altre volte, senza peli sulla lingua. Che fosse stato riluttante ad accettare quel denaro non era mai stato un mistero, né aveva mai cercato di nasconderlo, ma non glielo aveva mai detto così, senza mezzi termini. Aveva scosso la testa, detto che non poteva accettare, e più di una volta aveva casualmente e accidentalmente dimenticato la busta piena di contanti e a lui intestata sulla scrivania di Brian.

Il professore sapeva che l'argomento “denaro” fra loro era tabù, ma non pensava fino a questo punto. E quella volta Brian aveva sbuffato, spazientito da quel suo comportamento refrattario.

-Perché devi vedere tutto così negativamente? Prendilo per quello che è: un gesto d'amicizia. Io non considero i soldi un problema.-

-Questo perché tu ci navighi!-

Brian era rimasto colpito, e affondato, da quelle poche parole. Sapeva che John non voleva offenderlo – e infatti, quando tentò di scusarsi, glielo impedì – ma si sorprendeva sempre di quanto sapeva essere schietto, quando voleva.

E in fin dei conti aveva ragione: per lui era sempre stato diverso. Non che, essendo ricco di famiglia, vivesse nella mollezza della pigrizia e non si guadagnasse da vivere, ma non avrebbe mai potuto capire per davvero il peso di un debito come quello.

Alla fine aveva accettato quella remissione del debito e non ne avevano più parlato: il loro rapporto era tornato quello di sempre e John non si era sentito più a disagio in sua compagnia.

Ma ora non si trattava semplicemente di una stupida tassa universitaria: tutti gli ultimi anni di John avevano risentito della sua decisione di tenere segreto il suo arresto.

Era una cosa diversa! Dannatamente diversa!

E Brian non riusciva a credere che John lo avesse tenuto all'oscuro di tutta quella faccenda... che avesse passato... quanto tempo? Mesi interi!, a raccontargli bugie e mezze verità.

Allo stesso tempo aveva sentito montare una preoccupazione e un senso di protezione nei suoi confronti paragonabile solo a quello di un fratello maggiore nei confronti del minore.

Afferrò l'amico per le spalle, interrompendolo: -John! Qui si tratta della tua vita, dannazione!-

-Non volevo esserti di peso ancora una volta... e poi io... mi vergognavo... a raccontarti tutto...- quell'ammissione, e il suo sguardo colpevole, lo ammutolirono per un momento. Perché mai avrebbe dovuto vergognarsi? Con lui?

-John... tu sei come un fratello per me! Lo sai! Non potrei mai biasimarti...-

-Un fratello galeotto...-

Gli voleva bene come se fosse sangue del suo sangue. Che il suo curriculum avesse una piccola nota di demerito per aver suonato in un locale clandestino non poteva interessargli di meno.
Eppure John lo conosceva: avrebbe dovuto saperlo che a lui non importavano certe cose, che aveva a cuore solo il suo bene.

-Potevi dirmelo. Ti sarei stato vicino. Potevi dirmelo; ma hai scelto di non farlo...-

John scosse la testa, puntando gli occhi in terra, sentendosi in colpa: -Temevo di perdere la tua fiducia. Ho fatto cose di cui non vado fiero...- avrebbe potuto dirgli che era la sua battaglia, la sua guerra e non quella di Brian; avrebbe potuto dirgli che nemmeno l'ultimo dei suoi pensieri era stato mirato allo scopo di deluderlo; avrebbe potuto dirgli che la loro amicizia era l'unica cosa che gli aveva permesso di superare quegli ultimi tempi. Ma non sarebbe cambiato niente.

Avrebbe dovuto parlarne con lui, fin dall'inizio. Rifiutare qualsiasi tipo di aiuto pecuniario, sicuramente, per combattere fisicamente da solo... ma con il sostegno morale della propria famiglia. Di chi meritava la sua fiducia e la sua onestà.

E invece aveva messo in piedi un processo alle intenzioni, speculando su quelli che sarebbero stati la sua reazione e il suo comportamento.

Abbandonò la testa sulle mani: non aveva il coraggio di guardarlo in faccia... d'altronde riusciva perfettamente ad immaginare la sua espressione risentita, la delusione trapelare dai suoi occhi...

E non poteva certo rimproverarlo.

-Ho sbagliato... scusami...-

Il silenzio che seguì fu il più lungo che John avesse mai vissuto, il più pesante e il più doloroso. Sentiva Brian fare a pugni con le proprie emozioni, fra la delusione e l'affetto, fra l'amicizia e il rancore.

Per un momento si domandò quale delle due fazioni avrebbe vinto quello scontro... e sentì il cuore sprofondargli sempre più nel petto... nonostante le sue parole e i suoi gesti, sempre affettuosi, non poteva dimenticare il suo sguardo ferito...
In quel lungo momento temette che quelli sarebbero stati gli ultimi gesti affettuosi che avrebbe ricevuto da parte sua.

Non riuscì ad impedirsi di pensare al peggio... di nuovo!

-Non posso pensare di perderti...-

Come sempre, a Brian bastarono appena poche parole per tranquillizzarlo: -Tu sei la mia famiglia.- e nel dirlo gli strinse delicatamente la nuca con una carezza affettuosa, ma a John, di nuovo, non sfuggì l'espressione amareggiata con cui il maggiore accompagnò quel gesto: gli voleva bene, su questo non c'erano dubbi, ma avergli nascosto quel segreto lo aveva indubbiamente ferito. Per forza.

Ma la consapevolezza di non aver perso quello spilungone dai capelli ricci che fin dal primo momento in cui si erano conosciuti si era preso cura di lui lo aveva rincuorato in modo indescrivibile. Sapeva che avrebbe avuto bisogno di tempo per dimenticare quella faccenda, ma ora aveva la certezza che la avrebbe davvero dimenticata.

-Non pagherò la tua cauzione, se non vuoi. Ma almeno... promettimi che farai qualcosa. Fai qualcosa!-

-Credi che non ci abbia mai pensato?- emise una risatina nervosa. -Mi conosci... rifletto, penso per ore, giorni; studio un piano... e alla fine mi ritrovo al punto di partenza, seduto e fermo; senza fare niente.-

-Non sto ridendo, John. Dico sul serio: non permettergli di metterti i piedi in testa quando vuole.-

-Non ho molte alternative: fino a quando il debito non sarà saldato dovrò fare quello che mi viene detto.-

Brian scosse la testa e si spiegò meglio: -Non permettergli di farti credere che non vali niente.-

E per la prima volta da quando avevano cominciato quella discussione, leggendo dubbio – e forse paura? – nel suo sguardo, il chitarrista piegò le labbra in un sorriso rassicurante: se avrai bisogno di me, io ci sarò. Non sei più da solo.

Fu con la gratitudine negli occhi che, quando un cameriere si degnò finalmente di prestargli attenzione, consegnò il foglio con l'ordine e specificò il numero della camera dove la colazione doveva essere recapitata.

Dopo un cenno a Brian, si diresse verso l'ascensore, con un po' di agitazione dovuta alla conversazione che sapeva di dover affrontare con Prenter fra qualche minuto.

-Non mi avevi detto che hai conosciuto Roger.- gli disse Brian prima che si allontanasse troppo.

John si voltò su sé stesso, corrugando la fronte: -Non lo conosco: non lo ho mai nemmeno incontrato.- con un'ultima occhiata si scusò e raggiunse l'ascensore.


 


 

Le valigie spalancate sul letto, i due ragazzi stavano svuotando l'armadio con la violenza e il caos di un tornado. I vestiti volarono al loro interno, spiegazzandosi e rovinandosi, ma non era importante.

-Cercano noi, Fred!- dichiarò Roger prendendo in mano le maracas che aveva rubato la sera prima: non voleva buttarle. -Ci metteranno contro un muro e… TATATATATATATA!- agitando le mani mimando una scarica di pallottole di un mitragliatore, le maracas risuonarono, dando un che di realistico a quella rappresentazione visiva del possibile futuro che li attendeva. -Troveranno due donne morte, ci porteranno all’obitorio femminile e quando ci spoglieranno io morirò dalla vergogna!-

Fred gli diede uno scappellotto e subito dopo riversò nella propria valigia due paia di scarpe: -Non perdere tempo! Muoviti! Fai i bagagli!-

Roger annuì e schiaffò le maracas nella valigia per poi chiuderla: -Io lo sapevo... me lo sentivo: quando le cose vanno bene... questo è il modo che usa Dio per dirti di pararti il culo perché sta per prendertelo a calci!- aveva appena finito di pronunciare quella frase quando si bloccò, riflettendo: -È una cosa che ho già detto? È con te che ne ho già parlato?-

-Sbrigati!- e di nuovo gli disordinò la parrucca con un nuovo schiaffo sulla nuca.

-Ho l'impressione di aver già fatto questo discorso...-

-Non mi importa se hai impressioni strane o lacune di quanto successo ieri sera: quei gangster ci uccideranno se non scappiamo da qui subito!-

-Hai ragione, hai ragione...- si guardò intorno, scandagliando la camera per controllare di aver preso tutto: -Dimenticato qualcosa?-

-Non qualcosa...- Freddie si era improvvisamente immobilizzato, l'ultimo vestito da infilare in valigia ancora in mano. -Qualcuno.-

 


 


 


 

Angolino autrice:

 

I mean, one thing that is hopefully good about us is that after the arguments we have, we can actually still face each other the next day or the day after and talk about something else and sort of get over it” (John Deacon)

I'll probably make loads of plans, and then just sit around on my bottom all day long and do nothing.” (John Deacon)

 

Lo so: avevo detto che avrei aggiornato tre giorni fa e non l'ho fatto...

So che ormai sono tipo quattro capitoli che dico sempre la stessa cosa, (E VI CHIEDO SCUSA!) ma ho continuato a scrivere e cancellare per poi riscrivere diverse sezioni di questo capitolo, mai convinta fino in fondo. In particolare tutta la parte dedicata a Brian e John. Ragazzi, mi avete tirato scema! 'XD

Non volevo creare un litigio banale, con uno dei due che si infuria e se ne va, lasciando l'altro a crogiolarsi nell'autocommiserazione. Allo stesso tempo non volevo che si risolvesse in poche parole e che tornasse tutto normale in quattro e quattr'otto. Per cui ho voluto descrivere un Brian che accusa la botta, ci rimane male, ma che non abbandona l'amico o lo ferisce facendogli pesare l'errore. Come funziona in una famiglia. ^^
Almeno... spero di esserci riuscita...

E insomma... il capitolo è un po' più corto del solito perché è un capitolo “di passaggio”, ma il prossimo dovrebbe essere ben più corposo e spero proprio vi piacerà! ^^

Ormai mancano solo pochi capitoli alla fine della storia...

Dedico questo capitoletto a Soul Dolmayan, che ha deciso di ritagliare un pochino di tempo, nonostante sia alle prese con gli esami di maturità, per dedicarlo alle mie storie! <3 GRAZIE!

Come sempre, ringrazio tutti quanti per il supporto e le belle parole che mi lasciate sempre! <3 E ovviamente ringrazio sempre anche tutti i lettori silenziosi! <3

Un bacione!

A presto!

Carmaux

  
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