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Autore: DezoPenguin    21/06/2019    2 recensioni
Elementary My Dear Natsuki parte quinta. Natsuki si avvicina alla verità sulla morte di sua madre, ma lo sguardo della Corte d'Ossidiana è caduto anche su di lei. Mentre Shizuru accetta di investigare sulla morte di un nobile straniero, ha il suo inizio un gioco di inganni con in palio il destino di entrambe.
Genere: Avventura, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Natsuki Kuga, Reito Kanzaki, Shizuru Fujino
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Elementary My Dear Natsuki'
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 12.

Un kimono pulito e una tazza di tè bastarono per ritemprare lo spirito di Shizuru. Per me fu un po' più difficile, ma il pollo arrosto della signora Hudson fu più che sufficiente per rimettermi in sesto. Perfino Shizuru mangiò, anche se non molto.

"È un peccato," riflettei mentre pranzavamo, "che non abbiate una truppa di ragazzini di strada alle vostre dipendenze. Quei bambini sono praticamente invisibili, e possono andare ovunque in città. Ritroverebbero quella carrozza per voi nel giro di un giorno, anche se non aveste il numero. Anche se, suppongo, visto che avete il numero non vi ci vorrà molto tempo comuque."

"Molto probabilmente no. La vostra è un'idea ispirata, Natsuki. Avete già usato in passato dei ragazzini come informatori?"

"Di tanto in tanto, niente di che. In realtà sono state le storie di Mikoto a farmelo venire in mente."

"Mikoto? La ragazza che lavora da Mai?"

"Sì. Ha vissuto per strada per un paio d’anni prima che Mai l’adottasse. Il genere di cose che faceva mi ha fatto pensare a quanto sarebbero utili questo tipo di persone per un detective, come fare ricerche e roba del genere."

"È molto triste," disse Shizuru, ovviamente riferendosi alla situazione di Mikoto, non alla mia idea. "Sono sorpresa che non abbia avuto una famiglia che potesse prendersi cura di lei."

"Beh, da quanto ho capito suo nonno è venuto a mancare durante il viaggio ed i suoi genitori erano già morti prima che lei partisse."

"Capisco," disse, annuendo. "È il classico problema affrontato dagli immigrati, che cercano una nuova opportunità in un nuovo paese perché nella loro terra natale non è rimasto nulla per loro, e devono tagliare i ponti con il loro passato per avere quella opportunità."

"State pensando alla vostra situazione?" chiesi. Lei mi guardò, sorpresa.

"C-come, Natsuki?"

"Stavo solo pensando che quello che avete appena detto si può applicare anche a voi. Intendo, voi e i vostri fratelli siete sparsi per il mondo, così ho pensato che forse vi steste riferendo alla vostra situazione."

Mi girai, incrociando le braccia sul petto, ferocemente imbarazzata per aver ficcanasato nei suoi affari senza invito. Non aveva torto a essere sorpresa; avevo appena oltrepassato la linea che mantenevamo nella nostra amicizia e nelle nostre faccende personali, e non l'avevo nemmeno fatto perché ero preoccupata per lei, come quando lei mi aveva chiesto della Corte d'Ossidiana. Avevo parlato distrattamente, senza pensarci.

Passò quasi mezzo minuto.

"...a dire il vero pensavo ai miei genitori."

"Eh?"

"Per poter sposare mio padre mia madre ha rinunciato alla propria casa, alla propria famiglia, alla propria cultura, alla religione, a tutto quello che aveva conosciuto fin dll’infanzia. E se le cose fossero andate male non avrebbe potuto tornare indietro. Aveva tradito la famiglia con le proprie azioni e non sarebbe stata la benvenuta se avesse avuto dei ripensamenti sulle scelte che aveva fatto. E mio padre, da parte sua, anche se non aveva abbandonato la propria cultura aveva comunque voltato le spalle ai parenti, al lavoro, alla posizione sociale, a tutto ciò che aveva definito la sua esistenza per sposare una donna straniera, così anche in futuro la sua famiglia sarebbe sempre stata diversa dalle altre, sia che fosse rimasto in Giappone sia che avesse scelto, come ha fatto, di vivere in Italia."

"Ma… sono felici, no? È questo che mi avete detto."

Shizuru annuì.

"Oh, sì. Sono ancora stregati l’uno dall’altra, dopo quasi trent’anni. Il potere di questo sentimento a volte è spaventoso… come il coraggio che ha loro conferito di fronteggiare e sconfiggere tutti i frangenti che si sono messi contro la loro unione. Questa tenacia nel perseguire quell’amore è quasi simile alla pazzia." Giocherellò con la propria tazza. "A volte mi chiedo se è per questo che la maggior parte delle storie d’amore più celebri sono tragiche."

Sbuffai.

"Se volete la mia opinione, è perché ci hanno messo una vita a capire che puoi scrivere storie felici senza scrivere sciocchezze. La buona commedia è molto più difficile da rendere immortale rispetto a una buona tragedia, perché l'umorismo in larga parte dipende dal tempo e dal luogo."

"Questa è l'opinione della scrittrice?"

A quanto pareva il mio scivolone aveva migliorato il suo umore, perché c'era un tono lievemente canzonatorio nella sua voce. Ma era un terreno più sicuro delle confessioni sentimentali e delle sofferenze d'amore, così continuai per quella strada.

"Sì. Voglio dire, cosa sono le classiche rappresentazioni teatrali greche? Tragedia e commedia. E Shakespeare? Tragedia e commedia. Certo, al giorno d'oggi hai un po' di melodramma fra le cose da scegliere, ma questo è strettamente per intrattenere, spesso nel modo più superficiale possibile. 'E vissero felici e contenti' è un concetto che viene dalle fiabe, e può essere tollerato solo se il lavoro che lo contiene non è troppo serio o importante. Troppi artisti torturati scrivono lavori drammatici, per poter trattare l'amore seriamente."

"Avete opinioni molto forti su questo argomento."

"Siete voi quella che è sempre comprensiva verso coloro che agiscono per amore. Forse mi state influenzando."

Sorrise e sorseggiò il proprio tè.

"Forse."

"Anche se io—quello era il campanello?"

Shizuru annuì.

"Sì."

"Suppongo sarebbe troppo sperare che Kanzaki sia strisciato qui per scusarsi," mormorai, e Shizuru ridacchiò.

Infatti, si trattava di un ragazzo con un telegramma per me. Lo aprii e lessi il messaggio, che era semplice.

Da: Yvette Helene

A: Natsuki Kuga

È pronto.

Il mio cuore saltò un battito, e non avrebbe dovuto. "La cosa" era solo uno strumento, dopotutto, quando ci pensavi – e uno strumento che non potevo ancora usare, tra l'altro. Ma per me era di più – un simbolo, forse, di un sentiero che ormai avevo scelto, una strada che dovevo percorrere, quel genere di cosa.

E questo era quello che mi meritavo per aver discusso di amore e tragedie, invece di godermi il pranzo. Mi disorientava!

"C'è risposta, signorina?" chiese il ragazzo.

"Cosa? Oh, sì." Presi il modulo di risposta e scarabocchiai un messaggio: "Verrò oggi senz'altro", poi mandai via il ragazzo dopo avergli dato una mancia.

"È una faccenda importante?" chiese Shizuru.

"Sì, vi lascerò sola nella vostra ricerca del numero di quella carrozza." Mi misi il telegramma in tasca.

"Starete via a lungo?"

Scossi la testa.

"No; il negozio di Mademoiselle Helene è in Bond Street."

"E nonostante questo, e nonostante il nome francese, deduco che non abbiate un appuntamento urgente con la vostra modista."

Alzai gli occhi al cielo a quella battuta.

"No di certo." Venni colta da un pensiero e sorrisi. "A dire il vero, nel caso voleste saperne di più su di lei, dovreste chiedere alla signora Hudson. Sono amiche."

"Sul serio?" per una volta, riuscii a sorprenderla davvero. "La nostra padrona di casa vi ha presentato un contatto utile?"

"La nostra pazientissima padrona di casa ha delle profodità nascoste." Raggiunsi la porta, poi mi fermai, con la mano sulla maniglia.

"Shizuru..."

"Sì?"

"Se sarete ancora via quando avrò fatto ritorno, per via dell'indagine o qualsiasi altro motivo, lascereste un messaggio per me, così che possa raggiungervi?"

Lei battè le palpebre. L'avevo sorpresa di nuovo? Forse sì; avevo sorpreso perfino me stessa.

"Va bene, Natsuki."

Uscii.

~X X X~

Londra non era il West americano, riflettevo mentre aprivo la porta del negozio, facendo tintinnare un gruppetto di campanelle. Le armi da fuoco—le pistole in particolare—semplicemente non facevano parte della cultura inglese. Le armi servivano alla guerra o allo sport; gli agenti di polizia pattugliavano le strade disarmati, manganello a parte e, più spesso che no, perfino i criminali più incalliti evitavano i revolver a favore di bastoni e coltelli. L'avevo visto io stessa, sia a Whitechapel sia con le spie di Limehouse.

Era quasi ironico; l'unico poliziotto armato che avessi incontrato era il Capo Ispettore Kanzaki, che portava un revolver per affrontare una sospetta criminale che notoriamente faceva eccezione alla regola: io!

Gli armaioli quindi, specialmente quelli privati, erano molto rari. Avevano clienti che richiedevano la loro esperienza, naturalmente, ma non si trattava di una clientela molto ampia. Mi consideravo fortunata ad aver trovato Mademoiselle Helene. Non ci sarei mai riuscita, se non fosse stato per la signora Hudson. Cinque mesi prima non avevo fatto altro che lamentarmi perché una delle mie calibro 32 aveva bisogno di manutenzioe e lei mi aveva messa sull'avviso (credo che le sue esatte parole fossero state, "Sentite, Natsuki, se la piantate di deprimervi a quel modo vi darò il nome di una persona che potrà farvi il lavoro! È già abbastanza che io debba avere a che fare con le stranezze di Shizuru senza aggiungere anche i vostri sbalzi d'umore!"). A quanto pareva, quella donna francese era stata una sua compagna di collegio.

Una pistolera e un'armaiola. Era un'alleanza che funzionava.

"Mademoiselle Helene?" chiamai. Un momento più tardi uscì dal laboratorio sul retro, una donna alta con capelli castano scuro e un viso piacevole. Come sempre, aveva accentuato il suo aspetto con il rossetto e, sospettai, altri cosmetici, ma indossava un pratico abito grigio sotto un camice bianco rovinato da macchie di olio e di grasso, segni lasciati dagli attrezzi e perfino bruciature.

"Ah, buon pomeriggio, Miss Kuga. Sono sorpresa, ho mandato quel telegramma a malapena un'ora fa." Tacque, guardandomi con occhi indagatori. "E adesso che ci penso, non sono sicura che le implicazioni mi piacciano."

"Che cosa, il fatto che non vedo l'ora di averlo?"

Aggrottò la fronte.

"Siete venuta subito. Questo significa che ne avete bisogno urgentemente, e se ne avete urgente bisogno, significa che state progettando di usarlo."

Il suo accento era leggero; avevo più problemi con il dialetto di alcuni dei miei compatrioti inglesi che con il suo. La guardai negli occhi.

"Pensavate che volessi un souvenir, quando vi ho chiesto di costruirlo? Non siete una bambina, mademoiselle Helene, e anche se potreste costruire qualcosa per divertimento, e perché farlo è una sfida, di certo non vi pagherei per farlo."

Lei annuì.

"Oui, lo so, lo so." Come Shizuru, a volte scivolava nella propria lingua per amor di enfasi. "E una pistola ha un unico proposito: uccidere."

"La sua funzione è questa, sì, ma si può usare in altri modi, per attaccare o per difendere, per proteggere o minacciare. Una pistola è solo uno strumento."

Non cedette; e dovetti ammirarla per questo.

"Una pistola, generalmente, sì. Ma quello che volevate…no, non aumenta la capacità di proteggere, di usare un'arma per autodifesa. Non." Scosse la testa. Ora sembrava che il suo accento stesse diventando più intenso mentre diventava più agitata. "C'è solo una cosa che questo strumento vi aiuterà a fare meglio, ed è uccidere in segreto, uccidere senza essere scoperta."

Naturalmente aveva ragione. Come avevo detto, non era una bambina.

"Basta discutere. Avete intenzione di vendermi quella dannata cosa o no?"

Sostenne il mio sguardo per un lungo istante, poi infilò una mano sotto il bancone e tirò fuori un pacchetto della lunghezza della mia mano, avvolto in carta marrone.

"Se non foste un'inquilina di Moira Hudson, non ve lo venderei. Ma secondo lei siete una brava persona, nonostante il vostro atteggiamento duro, quindi confido che, qualsiasi cosa dobbiate farci, abbiate delle buone ragioni per usarlo."

Non sapevo come sentirmi al pensiero che la mia padrona di casa e la mia armaiola discutessero della mia bontà d'animo. Era già un problema tenere Shizuru lontana dai miei segreti, grazie mille.

"Grazie," dissi, visto che non era il momento di entrare in quel genere di discussione.

"Ho testato il prototipo," continuò lei. "Posso garantire l'effetto per il primo colpo, e anche il secondo dovrebbe andare. Se siete fortunata, potreste riuscire a spararne un terzo prima che si rompa, anche se l'ultima volta l'effetto sarà ridotto."

"Capisco," riflettei, poi mi strinsi nelle spalle. "Solo due colpi sono più di quanti ne avrei senza di esso. Questo potrebbe fare le differenza."

"Non serve che vi preoccupiate per il montaggio. L'ho costruito perché si adatti allo stesso modello di pistola che usate. Presumo che non abbiate fatto modifiche di cui non sono a conoscenza?"

"Nessuna," dissi. "Lascio che siano i professionisti a fare queste cose per me."

Fece un sorriso scaltro al sentire quella frase. Mi ricordò Shizuru. Forse quel sorriso era una carattistica del Continentali? No, Mademoiselle Helene non aveva la sua stessa aria di mistero.

Tirai fuori un sacchetto in cui avevo già messo la somma richiesta. Il denaro era in oro, non in banconote – che potevano essere rintracciate grazie ai numeri di serie, nel caso la situazione fosse volta al peggio e fossi stata catturata o uccisa, non volevo che Yvette Helen fosse coinvolta e trascinata giù con me.

Le monete tintinnarono mentre posavo la borsa sul bancone, e lei la fece scivolare in una tasca del suo grembiule senza contare il denaro o perfino guardare il contenuto. La ripetizione del gesto di Porlock mi commosse per la sua fiducia; a quanto pareva ero una persona degna di credito per quanto riguardava gli affari. Tesi una mano verso il pacchetto.

"Signorina Kuga." Posò la sua mano sulla mia mentre tentavo di prendere il mio acquisto. Abbassai lo sguardo sulle sue dita, poi la guardai negli occhi.

"Moira e io ci fidiamo di voi."

Capivo cosa intendeva. Non si aspettava che io seguissi la legge. Non mi stava dicendo "Confidiamo che non ucciderete nessuno", ma "Confidiamo che chiunque stiate per uccidere se lo meriti".

Mi ricordò quello che mi aveva detto Porlock durante la nostra cena da Mai, quando aveva pensato che io avessi ucciso Maupertuis. La differenza era che lui si guadagnava da vivere tra le ombre del mondo criminale e i luoghi dalla moralità ambigua. Era lecito aspettarsi che giudicasse le persone secondo il proprio codice di condotta, non secondo la legge. Miss Helene era on'onesta commerciante, ma anche lei era d'accordo con lui.

"Capisco."

Mi lasciò andare, e uscii dal negozio.

Anche se da un certo punto di vista apprezzavo quello che aveva fatto per me, e la sua convinzione che la mia moralità si trovava in un'area grigia invece che totalmente oscura, desiderai che non mi avesse detto nulla. Tutto il suo discorso riguardante la fiducia, e il dilemma se uccidere qualcuno fosse un'azione giustificabile, mi fece ripensare a mia madre. Uccidere Saeko Kuga era stata un'azione giustificabile? Se li avessero guardati alla fredda luce dei fatti, Fred Porlock e Yvette Helene avrebbero scusato gli assassini di mia madre, dicendo che erano meritevoli di fiducia?

Se fosse stato così, in cosa ero diversa da loro? E sua volta, quel pensiero mi riportò a riflettere su Shizuru.

Maledizione, questo non la riguarda!

Ma era davvero così? Prima di incontrarla l'agosto precedente, non mi ero mai chiesta se il mio desiderio di vendetta fosse giustificabile. Non mi sarebbe mai importato di cosa mia madre avesse o non avesse fatto, solo che mi era stata tolta con la violenza. Avevo passato la mia intera vita a lavorare verso questo scopo! E ora, ora che stavo per concludere, stavo dubitando? Esitando?

Era a causa sua.

Per tutti quei mesi l’avevo osservata mentre lavorava, combattendo per la giustizia con tutto il suo smisurato intelletto. Aveva aiutato le vittime dei crimini, aveva protetto coloro che erano stati accusati ingiustamente, aveva consegnato i colpevoli alla giustizia. Sapevo che avrebbe nutrito comprensione per la mia situazione, ma perdonare un omicidio? No, quello no. Aveva simpatizzato con Sergay Trepoff, nel caso Odessa, quando lui si era vendicato per l’assassinio della sua fidanzata. Lei aveva chiesto clemenza per aiutarlo ad evitare la forca ma non aveva mai tentato di suggerire che lui fosse innocente o che dovesse essere lasciato libero. Non potei fare a meno di paragonarlo a Dashiell nel caso della pazzia del colonello Warburton; l’uomo era stato moralmente responsabile della morte del suo nemico ma non aveva certo compiuto l’ultimo passo uccidendolo con le proprie mani. Aveva permesso alla giustizia, piuttosto che alla vendetta, di fare il proprio corso.

Il tempo che avevo passato con Shizuru mi aveva fatto capire che c’era una linea fra queste due cose – no, non era esatto. Non ero stupida, dopotutto. Avevo sempre saputo dove stava la differenza. Ma Shizuru mi aveva insegnato che questa differenza contava.

Mi chiesi se avrei avuto la possibilità di rispondere a queste domande prima che fosse tutto finito, di stare in piedi davanti al Principe di Ossidiana con la piena consapevolezza della verità e decidere che cosa andava fatto. C'erano molti motivi per cui questo era improbabile che accadesse. Forse non avrei mai saputo verità sull'omicidio di mia madre, non necessariamente. O forse sarei stata costretta a uccidere per salvarmi la vita invece di prendere una qualche decisione morale.

O forse mi avrebbero uccisa prima che potessi fare qualcosa.

Fino a quel momento ero stata fortunata a sopravvivere all'imboscata a Whitechapel grazie alla mia naturale tendenza ad arrivare in anticipo, a sospettare che il ristorante di Mai sarebbe stato sorvegliato e a mettere fuori combattimento quegli scagnozzi prima che potessero chiamare aiuto, a notare la carrozza a Mayfair, e grazie a Shizuru a schivare la carrozza a Kensington. Cautela, intelligenza, spirito di osservazione e semplice, stupida fortuna, tutti avevano fatto la loro parte. Presto o tardi, uno di essi avrebbe commesso un errore.

Ero di questo umore cupo quando arrivai in Baker Street. Shizuru era fuori, ma aveva fatto come avevo richiesto e mi aveva lasciato un messaggio dicendo che era uscita per rintracciare il proprietario della carrozza numero 1319, e che prevedeva di tornare per le quattro. Sentii i brivido; quel tipo ci aveva quasi uccise una volta e lei lo stava deliberatamente cercando da sola.

Avresti dovuto dirmi dove potervo raggiungerti! Sbraitai in silenzio.

Visto che non potevo far altro che aspettare, andai nella mia stanza, tirai fuori la pistola dal cassetto del comodino e sedetti sul letto. Aprii il pacchetto di Mademoiselle Helene, rivelando una scatoletta di legno grezzo. La aprii e tolsi il mio acquisto dall'imbottitura di cotone, poi lo innestai sull'arma. Come aveva detto, entrava alla perfezione. Avrei voluto andare al poligono e sparare una dozzina di proiettili per abituarmi al peso, al cambio di bilanciamento della pistola, e agli effetti che quella modifica avrebbe operato sulla sua precisione e sul suo potere di penetrazione, ma sarebbe stato impossibile.

Potevo solo cercare di abituarmi alla sensazione che mi dava stringerla in mano, al peso aggiunto alla fine della canna, esercitarmi a estrarre e prendere la mira. Non era una seconda natura come per le mie calibro 32 – la pistola non era una calibro 32 -  ma non pianificavo di usarla per colpire come un cecchino, da lontano.

Soddisfatta, tolsi la modifica e la rimisi nella scatola, poi la chiusi nel cassetto assieme alla pistola. Almeno era pronta all'uso. Mi chiesi solo se avrei avuto la possibilità di usarla.

  
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