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Autore: Cardiopath    22/06/2019    3 recensioni
[pĕrĕdo], pĕrĕdis, peredi, peresum, pĕrĕdĕre
➖ verbo transitivo III coniugazione
1 divorare ;
2 consumare, corrodere .
❝ Tu mi hai chiamato a te ed io ho risposto. Ti ho tirata fuori dalle tenebre, trascinandoti sino alle sponde dell'Acheronte quando ancora non riuscivi a camminare. Grazie a me hai potuto assaporare il pungente tepore della luce solare ancora una volta, bagnartivi come se ad essa appartenessi. Hai potuto sperare in un altro giorno. Tu sapevi, lo sapevi bene che non sarebbe stato un atto di carità da parte mia. Hai afferrato la mia mano, hai deciso di continuare lì dove il destino ti aveva imposto di fermarti. Ora sei qui ed io pure. Questa volta sarò io a chiamarti a me e che tu lo voglia o meno, anche tu risponderai. ❞
➖ Se siete venuti alla ricerca di un romanzo rosa vi intimo con tutto il cuore di cercare altrove. Questa è una dark!fic composta da capitoli brevi incentrati principalmente su Sebastian e il mio personaggio femminile (che può tuttavia essere interpretato come la lettrice stessa) che conterrà tematiche macabre e a sfondo sessuale.
[Fanfiction pubblicata anche su Wattpad]
Genere: Dark, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sebastian Michaelis
Note: AU, Lemon, Lime | Avvertimenti: Bondage, Non-con, Tematiche delicate
Capitoli:
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<< I've dug two graves for us, my dear

Can't pretend that I was perfect, leaving you in fear

Oh man, what a world, the things I hear

If I could act on my revenge, then, oh, would I? >>

 。☆✼★━━━━━━━━━━━━★✼☆。  

 

<< Sei un incompetente. >> raspai affannosamente, convogliando tutto il disprezzo che sentivo ribollermi nello stomaco in una stringa di parole tumultuose ed affrettate. Confinata a letto e priva di forze, l'odio che nutrivo per il demone fomentava il mio animo affaticato: a tenermi cosciente era esclusivamente la perversa necessità di provocare e schernire quella ripugnante creatura, sperando che le mie accorate maledizioni potessero raggiungerlo e consumarlo.

<< Hai lasciato che mi ammalassi, come un idiota qualunque... Tu sei un demone– o a quanto pare una patetica imitazione di un demone. Ci si aspetterebbe che fossi perlomeno in grado di tenermi in salute, e invece? Nonostante non abbia contatti con il mondo esterno ormai da mesi, sono malata e confinata a letto. >>

Non appena l'ultima sillaba sfuggì alle mie labbra, un violento attacco di tosse mi costrinse ad un imbarazzante silenzio, disturbato unicamente dai patetici rantoli e affanni dovuti alla malattia. Le lacrime minacciavano di scivolare lungo il viso, eppure mi sforzai di trattenere il pianto: non mi sarei mai perdonata un'ulteriore dimostrazione di debolezza, preferendo ad ogni modo affogare sulle mie stesse lacrime pur di negare a quel sadico mostro l'ennesimo motivo di autocompiacimento.

Come mille altre volte prima di allora, dovetti ricordare a me stessa che l'unica possibilità rimastami fosse combattere, resitergli, tentare di provocare tanto più danno quanto fosse umanamente possibile mentre quella bestia rivoltante mi trascinava con sé sempre più in basso. Quell'infimo essere aveva fatto in modo che nemmeno il candido abbraccio della morte avrebbe potuto arrecarmi conforto, né la minima ombra di sollievo seppur fugace.

Dopotutto, non vi è pace per i dannati.

Sebastian, piantato al fianco del mio letto, esibiva un sorriso stretto a dir poco nauseabondo, da cui trapelava il depravato piacere che infiammava il suo smisurato ego: ancora una volta, era riuscito a dimostrarsi superiore a me, a dimostrarmi quanto patetica fossi nella mia misera e fragile umanità.

A dimostrarmi che nonostante continuassi a respingerlo, avessi bisogno di lui.

Il pensiero non faceva altro che inasprire l'odio che serbavo per lui, quel febbricitante desiderio di cancellargli il sadico sorrisetto dal volto.

Le mie pungenti parole non riuscirono a scalfirlo, tanto era il suo appagamento, ma non me ne stupii.

<< Padroncina, sono terribilmente dispiaciuto per il disagio che vi ho negligentemente causato, devo aver sottovalutato quanto fragile siano effettivamente gli esseri umani ed il loro organismo. Per certe vostre carenze non vi è né prevenzione né rimedi, purtroppo... >> sospirò, alludendo a falso rammarico.

Quelle sue affermazioni così crudelmente invettive, seppur sapientemente ingentilite da un tono garbato ed una compostezza sovrumana, non fecero che guastare ancor più il mio già pessimo umore: non solo ero costretta a patire gli effetti del malanno, ma avrei dovuto anche sottopormi passivamente agli scherni e alle derisioni di quel dannato mostro?

Giammai.

Il rancido sapore di bile prendeva ad invadere la mia bocca. Avrei voluto sputargli addosso tutta la sofferenza, lo sconforto, l'indignazione e lo strazio a cui mi assoggettava quotidianamente, giorno dopo maledettissimo giorno, in un ciclo che non avrebbe mai conosciuto una fine: una nuova alba, una nuova tortura.

Eppure non lo feci; non gli urlai contro quanto avrei goduto nel vederlo torcersi dal dolore, lentamente, tra straziati gemiti ed imploranti preghiere - sanguinante, ai miei piedi. Restai invece a fissarlo dai confini del mio letto, fantasticando acché il mio gelido sguardo potesse bastare a vaporizzare l'intera sua diabolica esistenza all'istante.

In quel preciso momento, notai con cinico sarcasmo che sognare ad occhi aperti era un vizio che mi portavo dietro sin da bambina.

Oh, immaginare gli innumerevoli modi con cui avrei potuto porre fine alla sua patetica esistenza era diventato uno dei miei passatempi preferiti. E lui lo sapeva, sapeva benissimo che nella mia mente era morto più volte di quante se ne potessero contare, ed ero sicura che ne ridesse alle mie spalle: entrambi sapevamo fin troppo bene che i miei cruenti pensieri sarebbero rimasti sempre e solo ciò che erano, vagheggiamenti irrealizzabili.

Silenzio.

Distolsi lo sguardo da quel volto così ingannevolmente umano, fissai il muro e poi la finestra, ma seppur mi sforzassi di scrutarvi attraverso, non riuscivo a vedere nulla; nulla, se non la proiezione vaga e sfocata del tumulto che sconvolgeva il mio stomaco - il miraggio distorto di un avvenire irrealizzabile - tanto da renderlo non molto dissimile da uno straccio consunto e bagnato, irreparabilmente attorcigliato su se stesso, ma inesorabilmente resistente all'usura.

Fu solo quando, pochi attimi dopo, una mano mi costrinse bruscamente a rivolgere altrove la mia attenzione che ignorare il mio caro maggiordomo si rivelò esser stata un'ottima e soddisfacente scelta. Il demone mi aveva afferrato per il mento, così da congiungere i nostri sguardi: nei suoi torbidi occhi riconobbi lo stesso terribile odio che sguazzava nei miei, forse per effetto della vicinanza e del riflesso.

Rimanemmo immobili per qualche secondo, ognuno dei due sfidando l'altro a rompere il silenzio e muovere il pedone successivo. Il mio sforzo per trattenere il crescente attacco di tosse che minacciava di irrompere nella quiete fu immane, ma non mi sarei permessa di perdere in modo tanto umiliante.

Quando Sebastian si rese conto che non avrei ceduto, strinse le labbra in un sorriso forzato, quasi sofferto.

<< Oh no, no, padroncina, questo vostro comportamento è estremamente sleale. Siete stata voi a voler inaugurare le danze, ed ora è troppo tardi per tirarsi indietro. Vedete, io odio le vittorie per abbandono.>>

Così disse, e fu in quel momento che realizzai qualcosa di terrificante e affascinante al tempo stesso, come se un velo si fosse sollevato da una realtà che continuamente vedevo ma che non riuscivo veramente a guardare: quel demone, quella bestia infernale, aveva più a cuore il suo diletto che il suo impulso a saziare la fame. La mia anima, ostaggio di un limbo perenne, ma ormai inevitabilmente destinata per mia firma ad essere divorata da quel mostro, era tuttavia ancora intatta – consunta, provata, ma ancora esistente.

Sebastian Michaelis – o qualsiasi altro stupido nome gli avessero affibbiato in passato – aveva riso in faccia ai propri istinti naturali così da poter perseguire il proprio divertimento: aveva iniziato a danzare con me ormai da tanto tempo, senza mai stancarsi, senza mai accusare alcun segno di affaticamento.

Quel pensiero mi fece raggelare il sangue, ed un improvviso moto di nausea minacciò di rovinare le coperte sulle quali giacevo inerme – mi sovvenne - alla mercé di un musicista che orchestrava con maestria le note sulle quali tentavo disperatamente di imparare a ballare.

Colta da un atroce senso di déjà-vu, mi accorsi che i suoi occhi non avevano mai lasciato i miei, non lo avevano mai fatto: da quando mi ero volontariamente offerta a lui, non aveva mai smesso di osservarmi, di istigarmi, di misurare e registrare le mie reazioni, traendone un malato intrattenimento.

Era sempre stato al mio fianco.

Che triste e crudele verità: l'unico essere disposto a rimanere al mio fianco mi avrebbe, prima o poi, distrutta completamente.

Sorrisi, rassegnata.

Un altro giorno, un'altra sconfitta, eh?

<< Non sai cosa darei per vederti bruciare.>>

Ero stanca di cadere incessantemente per poi rialzarmi.

<< Ma padroncina, non l'avete ancora capito? -

- Non vi rimane nulla da dare. >>

 

   
 
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