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Autore: tixit    22/06/2019    9 recensioni
Breve storia triste con molte licenze cronologiche e un po' di vago soft porn.
Fersen è tornato, è ospite di Oscar ed ha portato con sé il caos.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Axel von Fersen, Hans Axel von Fersen, Oscar François de Jarjayes
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Cala Novembre e le inquietanti nebbie gravi coprono gli orti

Mai svegliare il can che dorme

Pioveva una pioggia fitta, fatta di aghi - André cercò d'istinto la luna, gli occhi che gli bruciavano, la preoccupazione nel cuore. Di sottecchi guardò Fersen, che cavalcava accanto a lui, avvolto nel suo mantello ed in un silenzio sdegnoso e ripensò a quello che gli aveva confidato solo mezz'ora prima: era quello l'uomo per Oscar? quello giusto? Proprio lui?

E perché?

Perché la poteva sposare.

Ma questo non aveva niente a che fare con la bambina prepotente che aveva conosciuto tanti anni prima, e non c'entrava nemmeno con la donna scontrosa che di solito accompagnava per i corridoi di Versailles. Fersen non aveva mai conosciuto la prima e della seconda aveva visto giusto la superficie - poi se ne era andato in America.
Tutto sommato non aveva un legame nemmeno con quella sirena incurante dalla pelle di seta che ultimamente girava per casa facendo un macello.

Aveva a che fare solo con le regole di una società che aveva il potere di determinare se eri una persona di valore o se stavi annegando nel ridicolo. O, peggio, se non contavi nulla di nulla. 
Una società talmente potente e crudele che riusciva pure a fartelo credere, che il senso di quello che eri o non eri te lo piantava dritto nel cuore affondando per bene gli artigli.

Pensò al Generale, che non era riuscito a godersi Madame Marguerite, e nemmeno l'affetto delle figlie, tutte così belle, tutte così desiderose di un briciolo di attenzione. Non riusciva a godere nemmeno di quel buon vino che aveva in cantina.
Non aveva saputo trarre piacere da tutto quello che aveva, cose per cui un altro avrebbe pagato, o, non avendo soldi, fatto un patto col Diavolo - o, quanto meno, avrebbe preso in considerazione un accordo, per poi rifiutare con rammarico.
Cosa aveva fatto il Generale? Aveva creato un vuoto nel Palazzo e, caparbio, ci si era seduto giusto al centro. 
E perché poi? Perché lui doveva avere a tutti i costi un figlio maschio, perché questo era quanto ci si aspettava da lui. Quell'obbligo gli era stato piantato in profondità nel cuore e glielo aveva divorato, diventando prima desiderio e poi ultimo scopo.
Di Madame Marguerite erano rimaste solo le rose bianche. 
Il Generale le voleva sempre, lì, nel suo studio, dal giardino o dalle serre - non permetteva nemmeno che ne spazzassero i petali dal tavolino scuro - ma il volto del Generale, quando alla sera fissava le fiamme del cammino e sfogliava distratto la sua rosa, sembrava sempre più il volto di un gargoyle, appollaiato sui doccioni di Notre Dame.

Pensò a Madame de Jarjayes, che non sarebbe tornata.

Pensò a Girodelle che, seduto in cucina, gli diceva di farsi una vita, perché non ce l'aveva e gli si strinse il cuore - tutto questo non aveva a che fare con Oscar.  
E non aveva a che fare con quel pazzo di Fersen, perché solo un pazzo se ne sarebbe andato a caccia di femmine come un signorotto fa con le lepri, solo per poi stendere una incomprensibile lista. E solo uno completamente pazzo avrebbe fatto l'amore con tutte le donne che non gli piacevano solo per sfinirsi ed essere troppo stanco per farlo con quella che gli piaceva davvero.

Non aveva a che fare con lui.

Aveva a che fare con le esigenze di una società, con l'ordine costituito che voleva mantenere se stesso e di cui ognuno di loro era solo un misero ingranaggio... aveva a che fare, pensò timidamente, con una cosa semplice come la libertà.

Chiuse gli occhi. Libertà faceva rima con responsabilità - era ora di darci un taglio.

Spronò il cavallo - la strada la conosceva - e cercò di non pensare a lei che si sfilava la camicia. Per Fersen. Che forse qualcosa a che fare con lei, tutto sommato, ce l'aveva.



Oscar, in piedi davanti ad un tavolo con due bottiglie vuote che sapevano di rancido, stava discutendo animatamente con un uomo dai capelli scuri, lunghi fino alle spalle.

André si guardò intorno e intercettò lo sguardo di Girodelle, cupo, seduto su un tavolo, con le sue pistole pronte, in mano, già spianate e di certo altre cariche nelle tasche: le stava guardando le spalle, in modo plateale - nessuno la avrebbe attaccata a tradimento, quindi. 
La questione era solo tra quei due, Oscar e il pivello moro, ma, accidenti, bisognava assolutamente fermarla: la Corona non apprezzava che i suoi ufficiali finissero coinvolti in risse da bettola, e la Regina non sarebbe stata tanto contenta di certi baci sulla nuca nell'ombra delle scale dei Jarjayes.
Quanto a Oscar, ammise a malincuore con se stesso, non era nel giusto stato per un confronto non dico con il suo diretto superiore, ma nemmeno con chiunque fosse un militare.

"Non sono un cretino, sono un giornalista!"

"Ebbene?"

"Uso il cervello, io. Non obbedisco agli ordini come fate Voi! So ben'io cosa è il bene della Francia."

"Giornalista? Ma che dite? Chatelet, voi scrivete solo porcherie," lo sfottè lei, "giù al mercato del pesce, quel foglio che voi chiamate giornale lo chiamano Pezza da Culo, perché non è buono nemmeno per avvolgerci il baccalà. Giusto per altri sacri e fondamentali scopi di cui taccio."
  
"Cane della Regina!" esplose Bernard Chatelet, puntandole il dito contro.

"E allora?" ribatté lei, deridendolo "i cani sono bellissime bestie fedeli, i migliori amici... ma voi non ne avete mai avuto uno. Perché non siete un uomo." gli si avvicinò minacciosa, per poi sibilargli contro "Mi chiedo chi sia il migliore amico della vipera. O dell'avvoltoio."

L'uomo si slanciò per colpirla al volto, ma Oscar schivò il pugno, flettendosi leggermente, poi fu il suo turno, il palmo della mano diretto contro le narici di lui, di piatto.
Si senti uno scricchiolio, poi un urlo.

"Soprattutto vi sfugge che i cani sono addestrati per attaccare." precisò divertita Oscar. "Non siamo belle statuine da parata con le medagliette appuntate al petto. Siamo cani." Lo colpì al mento, costringendolo ad arretrare "Le portiamo al collare." Poi lo colpì allo stomaco, "perché siamo cani, noi, noi obbediamo soltanto e rispondiamo a comando!"

L'uomo, furibondo, mentre il sangue e le lacrime gli colavano sul viso, con una specie di ringhio la afferrò e, barcollando, cercò di piegarla contro il tavolo, ma lei fu più rapida: prese una delle bottiglie e la spaccò contro il bordo senza esitazioni. Poi lo colpì ad un fianco, dal basso verso l'alto.
André distolse lo sguardo disgustato - non era uno dei loro duelli, in cui lei sembrava danzare e loro non si facevano mai male. Quello era tutta un'altra cosa. Quello non era lei.

Girodelle fece cenno all'amico di Chatelet, un uomo dai capelli chiari, di portare via il suo amico, un mentecatto borghese dalle velleità intellettuali che voleva attaccare briga con una Guardia Reale - e quando poi? quando aveva fatto il pieno di vino scadente.
Un topo che voleva per forza fare la lotta con un gatto. Si capiva che il giudizio di Girodelle non era lusinghiero.

Oscar, incurante di tutti, voltò le spalle a Chatelet e zoppicò verso il bancone della taverna - André, come se ne rese conto, si diresse verso di lei per fermarla - Basta bere, per carità, aveva voglia di urlarglielo. Basta perché non serve a niente. Se vuoi Fersen avrai Fersen, te lo giuro, pensò disgustato.

"Siete un vigliacco, Bernard è un civile", mugugnò ansando l'uomo dai capelli chiari. Poi aggiunse con voce querula "Non sa combattere. Ne avete approfittato!"

André e Girodelle alzarono simultaneamente gli occhi al cielo, osservandosi poi, perplessi e sospettosi, per via di quel gesto comune. Poi Girodelle sorrise, ma un sorriso triste, di quelli che ti scappano che si ride per non piangere perché non c'è niente, ma proprio niente da ridere. André pensò con gratitudine che era una fortuna che quel damerino avesse scovato Oscar lì alle Dodici Lune, ma che doveva essere stato un incubo starle accanto e cercare di convincerla a tornare a casa - tutta colpa di Fersen, decise.

Oscar si voltò e urlò furibonda "Non è giusto? Non è giusto, dite? E da quando? Attaccare è attaccare. Voi siete degli ipocriti, prima scrivete delle schifezze su quei vostri fogli da strapazzo e la chiamate giustizia, quando è solo odio. E invidia. E nessun rispetto per una donna di cui non sapete proprio nulla! e poi pretendete che chi viene attaccato scelga la vostra stessa arma. Come se a qualcuno interessassero delle calunnie sulle vostre presunte attività in camera da letto... ma chi volete che sprechi tempo con il vostro onore? Parlate di violenza, di versare sangue e poi non avete mai assaggiato il vostro e pretendereste pure il rispetto. E invece no!" batté con foga il pugno su un tavolo. "Io sono stufa di stare alle regole! Io faccio con quello che ho!"

Con violenza spinse Bernard Chatelet contro il suo amico."Portatevelo via. O lo ammazzo come il cane che sono."

"Vigliacco! Siete un soldato!"

"E cosa fa un soldato, secondo voi?" la voce di Oscar si era fatta cattiva, "Cosa fa un soldato? Quale è il suo scopo? Marciare in bell'ordine sotto il sole? No! Lo scopo finale è uccidere! Me l'ha insegnato mio padre fin dalla culla. Siamo due assassini e viviamo in un cimitero. Siamo bestie feroci con un talento raro per la distruzione. Che vi credevate?"

Fu a quel punto che si accorse di André. Si interruppe per fissarlo sbigottita, le guance che diventavano scarlatte.
Con gesti bruschi, si slacciò la giacca e strappò la camicia, lasciando intravedere le fasce di lino "Quando si ripiglia ditegli pure che è un ipocrita e che chi gli ha rotto il naso era una donna. Una fragile femmina. Una come quella che lui insulta in quel suo foglio ogni volta che gli gira. Io non mi vergogno."

Poi rivolta verso André si batté ripetutamente il pugno contro il petto, sfidandolo con lo sguardo "Perdonatemi Mio Signore, perché ho peccato e offeso Voi, infinitamente buono e degno di essere amato sopra ogni cosa."

"Oscar, per piacere, andiamo a casa" le sussurrò, distogliendo lo sguardo dal suo seno, pieno di vergogna: le fasce potevano avvolgere le forme di lei, ma non celarle completamente e lui sapeva, lui aveva visto, lui non riusciva a togliersi dalla testa l'immagine di qualche sera prima, lei nello specchio, il percorso lento della spugna, quelle punte rosee da sirena, e i desideri di madame de Tourvel. E non era quello il momento e nemmeno il luogo con quella puzza di piscio e di vomito rappreso.

Vide con sconcerto che gli occhi della donna si stavano riempiendo di lacrime "Confesso di aver peccato, con pensieri, parole, opere e omissioni. Soprattutto omissioni. Ah quante omissioni!"

A quel punto Fersen la prese per il polso e la trascinò fuori dalla taverna, mentre Oscar si divincolava furiosa. André e Girodelle uscirono dietro di loro, arretrando e coprendogli le spalle.
   
 
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