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Autore: T00RU    22/06/2019    5 recensioni
Già da fuori si sentivano un chiasso e un baccano senza precedenti, con Tanaka che urlava e Tsukishima che alimentava le sue grida accese con ulteriori domande.
«E' anche molto carina!» gridò il più grande; quella frase arrivò alle orecchie del ragazzo chiara e limpida e, forse per mancanza di giudizio, per la troppa felicità degli ultimi dieci minuti, o per semplice stupidità, aprì la porta.

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[kagehina centric]
[2.623 words]
Genere: Comico, Fluff, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Shouyou Hinata, Tobio Kageyama, Yachi Hitoka
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Ah» Hinata si appoggiò le mani sulle guance, sospirando. «Come farò, Yachi?».
La ragazza in questione tolse l’involucro di plastica dalla sua cannuccia e punzecchiò l’estremità del cartone del latte, bevendone un sorso; si prese il proprio tempo per rispondere, azzannando il suo panino nel mentre. Lanciò un’occhiata al suo amico, il cui viso era ancora talmente arrossato da fare concorrenza ai suoi capelli, e scrollò le spalle.
«Shou, dovresti dirglielo e basta».
Hinata sbarrò gli occhi, scuotendo la testa con veemenza. «Non se ne parla».
Yachi prese un altro boccone, cercando di fare in fretta; la pausa pranzo non durava un’eternità, nella loro scuola. «Perché no?».
«Perché no».
Hitoka gli sorrise, roteando gli occhi; in momenti come quello, Hinata si accorgeva di essere estremamente fortunato ad avere Yachi Hitoka nella sua vita. Talmente simile a lui, ma allo stesso tempo diversa, in poco tempo era diventata la sua confidente e amica più cara, alla quale sapeva di poter dire tutto: non a caso, Yachi era stata la prima e unica persona a venire a conoscenza della sua enorme cotta per il compagno di squadra nonché migliore amico Kageyama Tobio.
All’inizio era stato uno shock anche per lei, ma col tempo si era abituata a sentire Hinata sussurrare parole quasi dolci nei confronti del moro -quando era sicuro di non essere sentito da Kageyama, o dagli altri giocatori della squadra-.
«Oh dai, Shouyou» Hitoka mandò giù l’ultimo boccone; Hinata, dal canto suo, non aveva ancora toccato cibo: il suo cartone del latte era appoggiato sull’erba, ancora intatto, per non parlare del suo panino. Con un gesto della testa Yachi indicò le pietanze appoggiate sul prato come per spronarlo a mangiare, ma Hinata scrollò le spalle. «Lo mangerà Natsu stasera».
«Quando diventerà più alta di te, non venire sotto casa mia a lamentarti» Hitoka allungò le gambe, muovendo i piedi con fare spensierato; iniziò a canticchiare una canzone che aveva sentito alla radio per puro caso, tirando qualche gomitata ad Hinata come per spronarlo ad unirsi a lei.
Il suddetto Hinata storse la bocca in una smorfia, al che Yachi roteò gli occhi. «Smettila di fare il codardo e digli come ti senti; se non fai qualcosa al più presto, non sarò più disposta a sentirti lagnare per qualsiasi cosa. Intesi?».
Nel sentirsi parlare, anche Hitoka rimase sorpresa; non era abituata a prendere il controllo della situazione. A dirla tutta, era già abbastanza fiera di se stessa per essere riuscita a tirare fuori un discorso convincente, e soprattutto per essere stata capace di portarlo avanti con un tono di voce deciso.
Essere manager la stava cambiando.
Lei adorava Shouyou, per intenderci: era la persona più forte che avesse mai conosciuto -soprattutto mentalmente-, ma cazzo, a volte era davvero un vigliacco.
Hinata sospirò sonoramente. «Non ne ho il coraggio».
«Va’ a ficcare la testa nel cesso, Hinata».
Quest’ultimo si lasciò sfuggire una risatina. «Parlo seriamente. Che faccio se mi dice che gli faccio schifo? No, anzi, già si sa che gli faccio schifo, ma voglio dire, s-».
Yachi davvero non ce la fece più a sopportare le lamentele del migliore amico; si alzò, si passò una mano sulla gonna dell’uniforme per evitare che fili d’erba restassero attaccati al tessuto, prese i rimasugli del suo pranzo e se ne andò, lasciando Hinata da solo a guardare la sua figura allontanarsi, sgomento.
Yachi, la comprensiva Yachi, quella che era stata capace di far riappacificare Hinata e Kageyama così tante volte, non capiva che Shouyou era davvero terrorizzato all’idea di confessare i propri sentimenti; e non perché avesse paura di essere rifiutato -in realtà era la parte minore del problema-, ma perché aveva paura di provocare un meccanismo di difesa da parte di Kageyama: aveva paura di perdere quella connessione speciale che solo loro due avevano, in campo e non.
Aveva paura di perdere l’importanza che pensava di avere.
Sospirò, incrociando le gambe; tenne lo sguardo puntato sui fili d’erba mentre questi ultimi venivano leggermente scossi dal vento.
Per Yachi era così semplice: «Confessagli i tuoi sentimenti, sicuramente ricambierà e vivrete per sempre tutti felici e contenti».
No, proprio non aveva fame.


Kageyama inserì le monete nel distributore, premette il numero del cartone del latte ed aspettò, pregando mentalmente affinché il distributore non si bloccasse con il suo amato cartone di latte all’interno: quando quest’ultimo scese tirò un sospiro di sollievo e con un enorme sorriso -decisamente poco caratteristico del suo personaggio- iniziò a girare per la scuola sorseggiando la sua bevanda.
Passò davanti alla classe di Hinata e ci infilò solamente la testa, tanto per vedere se il ragazzo dai capelli rossi fosse dentro; i suoi compagni scossero la testa, prima di tornare a mangiare e a parlare tra di loro.
Scrollò le spalle, infilando una mano in tasca.
Solo quando arrivò nel cortile li vide: erano seduti sul prato, Yachi aveva le gambe distese e la faccia rivolta verso il cielo, Shouyou il mento appoggiato sul palmo della mano. Stavano mandando avanti una conversazione apparentemente accesa ma entrambi stavano sorridendo, Yachi sembrava decisamente più allegra di Shouyou.
Strinse il cartone del latte tanto da farlo scoppiare, si girò di spalle e tornò nell’edificio.


Per tutto il resto della giornata, Tobio non aveva fatto altro che pensare alla scenetta che gli era stata presentata davanti agli occhi solo qualche ora prima: perché era sempre Yachi quella con cui passava il tempo? «Ci incontriamo per provare qualche nuova combinazione, oggi?», «Non posso, esco con Yachi».
Yachi qua, Yachi là: ogni pomeriggio era con lei, ogni mattina prima dell’allenamento, ormai ogni singolo giorno durante l’ora di pranzo.
Stupido Hinata. Non sarebbe rimasto sorpreso se un giorno fossero arrivati, mano nella mano, ad annunciare la loro zuccherosa storia d’amore.
Gli veniva da vomitare.
Non gli aveva dato fastidio, all’inizio. Era stato felice di vedere che quel nano fosse in grado di farsi nuove amicizie con facilità -non che ne dubitasse-, era stato ancora più felice perché Yachi sarebbe stata la nuova manager, perché era stata disposta ad aiutarli a scuola.
Non l’aveva vista come una minaccia, perché ancora non aveva ammesso a se stesso i propri sentimenti.
Ora che era più o meno arrivato ad un punto d’equilibrio con l’idea del “Mi piace Hinata Shouyou e vorrei essere il suo ragazzo” -stupido, stupido Hinata-, Yachi aveva preso monopolio di ogni momento libero del ragazzo dagli accesi capelli rossi.
Con il fiato pesante dalla rabbia repressa in un piccolo angolo della sua mente, a passo spedito si avviò verso la stanza del club per prepararsi all’allenamento del pomeriggio. Cercò di non pensare al bruciore allo stomaco, probabilmente causato dall’agitazione.
Quando aprì la porta Tanaka, che era già dentro, sussultò; «Ah, Kageyama» gli sorrise subito dopo. «Già pronto?».
Tobio annuì, aprendo la borsa con il cambio.


Non ci volle molto che si sentì di nuovo la porta aprirsi; era Yachi, da sola.
Trotterellava e canticchiava, si sedette su una delle panche nella camera ed aspettò, mettendo entrambe le mani sotto alle cosce per supporto, dondolando le gambe avanti e indietro; iniziò anche ad oscillare la testa da destra a sinistra e, per quanto le volesse davvero bene, Kageyama non riuscì a fermare l’ondata di odio che si impossessò di lui per qualche secondo: non voleva fosse Yachi la sua scelta. Voleva essere lui.
Yachi era una ragazza d’oro, non c’era dubbio; era intelligente e carina, forse un po’ troppo ansiosa alle volte, ma sicuramente una persona da tenersi accanto. Kageyama lo sapeva, sapeva che la ragazza era piena di qualità, così come sapeva che di queste qualità lui non ne possedeva nemmeno la metà: era scontroso, raramente sorrideva o mostrava emozioni diverse dalla rabbia.
Shouyou si sarebbe meritato il meglio, si sarebbe meritato qualcuno alla sua portata, ma Kageyama -assolutamente al corrente dei propri numerosi difetti– avrebbe voluto essere abbastanza. Non troppo, solo abbastanza, per il ragazzino con i capelli dal colore rosso sgargiante che inconsciamente gli illuminava le giornate.
Mentre si stava sfilando la maglietta dell’uniforme, entrarono nella stanza anche Tsukishima e Yamaguchi.
«Re» lo salutò il biondo, con un cenno del capo a rappresentare un mezzo inchino.
Tobio si limitò a roteare gli occhi, infastidito. «Kei».
Pronunciò male il suo nome di proposito, solo per bearsi dell’espressione chiaramente scocciata sul volto di Tsukishima.
Yamaguchi dal canto suo salutò tutti con un sorriso smagliante e un cenno della mano, poi si andò a cambiare.
«Ah!» Tanaka alzò la testa improvvisamente, sorridendo. «Vi ricordate della ragazza per cui mi sono preso una sbandata?» portò una mano alla nuca, accarezzandola lentamente.
«Shimizu-senpai» Tsukishima non si degnò di alzare lo sguardo.
«No!» Tanaka cominciò a parlare velocemente. «Intendo la ragazza alta con i capelli mori, corti».
«Quindi, Shimizu-senpai».
«Tsukishima!».
Tobio avrebbe anche fermato quella scena, ma era dannatamente divertente vedere Tanaka così agitato; in più, lo aiutava a non pensare ad Hinata.
No, ci stava pensando di nuovo. Stupido, stupido, stupido Hinata.
Tsukishima ovviamente sapeva che il ragazzo stava parlando di Kanoka, era palese, lo avrebbero capito anche i muri ma -come da personaggio- si prese gioco di lui.
Yachi si coprì la bocca con il dorso della mano in modo da nascondere le risatine, roteò gli occhi alla finta ignoranza di Kei. «Conosciamo Kanoka-senpai, Tanaka».
Il ragazzo in questione le sorrise, grato di essere finalmente preso sul serio e mentre si stava infilando la maglietta si lasciò scappare un sorriso sornione. «Siamo usciti insieme».
Nishinoya gli diede un paio di pacche sulla spalla, congratulandosi per la nuova conquista e dando a sottintendere la sua gioia ancora più grande nel sapere di avere il via libera con la senpai tanto contesa e desiderata.
«E’ ancora troppo presto per gioire» Kei alzò finalmente la testa dalla propria borsa con il cambio. «Non ha accennato al fatto che sia andata bene» osservò.
Tanaka arrossì all’istante; iniziò a balbettare, gesticolando e cercando di convincerlo dell’effettivo successo del proprio appuntamento.
Kageyama stava osservando la scena con un velo di divertimento nel vedere i due bisticciare; si chiese dove fosse finito Hinata, sicuramente l’intera situazione l’avrebbe fatto ridere di gusto.
Già lo vedeva, a farsi in quattro per cercare di sollevare l’umore del suo senpai e mettere a tacere le insinuazioni di Tsukishima.
Nel frattempo, Ryuunosuke ancora parlava a vanvera, riempiendo lo spogliatoio di urla che senza dubbio si sentivano anche dall’esterno. «E’ anche molto carina!» concluse, incrociando le braccia al petto.
In quel momento, la porta della stanza del club si aprì.


Ancora pensando alla conversazione avuta all’ora di pranzo con Yachi, Hinata stava camminando per i corridoi della scuola, tanto per perdere tempo prima dell’inizio dell’allenamento.
«Ah, Shouyou!» qualcuno chiamò il suo nome a gran voce; si girò incuriosito, e la curiosità crebbe ancora di più nel vedere che era stata Miru a chiamarlo, una compagna di classe con la quale avrà scambiato due o tre parole in tutto dall’inizio dell’anno.
La ragazza gli corse incontro. «Mi ha mandata a chiamarti Watanabe-sensei, credo sia per i risultati dell’ultima prova» spiegò, portandosi una ciocca di capelli dietro all’orecchio, lanciandogli un sorriso. Hinata ignorò l’azione ed aggrottò le sopracciglia, pensieroso; se la professoressa d’inglese voleva parlare con lui, poteva esserci un motivo soltanto: la prova era andata talmente male, avrebbe avuto bisogno del resto del pomeriggio per fargli la solita predica sull’impegno e la costanza necessari per passare la sua materia.
«Grazie, Miru-chan» arricciò il naso in una smorfia di sconforto e le diede le spalle, pronto a dirigersi verso l’ufficio della professoressa.
«Comunque» Miru attirò la sua attenzione nuovamente. «Kageyama ti stava cercando. Sai, è la quarta volta questa settimana» e fu lei ad allontanarsi, lasciando Hinata in uno stato di preoccupazione ancora più grande: chissà cosa voleva. Sicuramente tirargli un po’ i capelli, infastidito, per poi andarsene a sorseggiare il suo prezioso latte.
Mentre si stava dirigendo verso l’ufficio della signora Watanabe, Hinata continuò a pensare a Kageyama, al consiglio che gli aveva dato Yachi, al suo modo quasi tenero di aggrottare le sopracciglia e urlare ogni qualvolta gli eventi non andassero a suo piacimento; e sotto sotto si trovò a sperare che -anche se altamente improbabile- Tobio fosse andato a cercarlo perché anche lui ricambiava i suoi sentimenti e voleva semplicemente vederlo, tanto quanto voleva vederlo lui.
Sì, certo.
L’unico motivo per cui passava le pause pranzo con Yachi era il suo bisogno di sfogarsi e parlare con qualcuno dei suoi sentimenti, sempre più grandi ed importanti; un giorno senza parlarne, e sarebbe sicuramente scoppiato.
Senza nemmeno accorgersene -troppo preso com’era dal suo continuo pensare a Kageyama -, aveva passato l’ufficio della professoressa ben cinquanta metri prima; tornò sui suoi passi e bussò alla porta.
«Avanti» e Shouyou entrò, pronto a trovarsi davanti l’ennesima prova insufficiente.
Nel vedere il ragazzo mettere piede nel proprio ufficio, la signora Watanabe si illuminò in un sorriso raggiante, accogliendo il ragazzo con una stretta di mano. «Ah, Hinata, volevo proprio vederti».
«Perché è così contenta, Watanabe-sensei? La diverte dover dare notizia di una prova insufficiente?».
La donna rise. «Tutt’altro! Ti ho mandato a chiamare per farti i complimenti; dall’inizio dell’anno non hai fatto altro che migliorare, almeno nella mia materia. Credo che passare tanto tempo con Yachi ti abbia fatto più che bene».
Hinata uscì dall’ufficio saltellando, dopo aver passato cinque minuti ad essere lodato e congratulato; certo che gli piaceva parecchio, essere apprezzato.
Lanciò un’occhiata all’orologio del corridoio e nemmeno il notare di essere quasi in ritardo per allenamento riuscì a farlo scendere dalla nuvola su cui stava fluttuando; saltellò per tutta la scuola, fino ad arrivare alla stanza del club.
Già da fuori si sentivano un chiasso e un baccano senza precedenti, con Tanaka che urlava e Tsukishima che alimentava le sue grida accese con ulteriori domande.
«E’ anche molto carina!» gridò il più grande; quella frase arrivò alle orecchie del ragazzo chiara e limpida e, forse per mancanza di giudizio, per la troppa felicità degli ultimi dieci minuti, o per semplice stupidità, aprì la porta.


«Non sarà mai carina quanto Kageyama!» gridò Hinata a gran voce, annunciando la sua rumorosa presenza aprendo la porta e portando con sé un silenzio tombale: Kageyama lo stava fissando con gli occhi spalancati, Yachi sembrava stesse per morire all’istante e Tanaka e Nishinoya si guardarono, a disagio.
Tsukishima scoppiò a ridere.
Hinata rimase fermo immobile, come una statua, a tenere stretta la maniglia della porta quasi a staccarla mentre si stava avverando il suo incubo peggiore; quando Kageyama si alzò in piedi si lasciò sfuggire un gemito di imbarazzo, desiderando con tutto se stesso di sparire dalla faccia della terra.
Non poteva credere di essere stato talmente idiota.
Nel sentire quelle sei parole, il cuore di Kageyama si era fermato di scatto e poi aveva ripreso a battere al doppio -facciamo triplo– della velocità; gli girava la testa, non credeva alle sue orecchie e quasi pensava fosse uno scherzo dal modo in cui Kei rideva, ma si alzò in piedi, più per istinto che per altro.
Sempre senza il pieno controllo delle proprie azioni, quando si trovò davanti il viso paonazzo di Shouyou non poté fare a meno di baciarlo, tra i fischi e le urla dei loro compagni di squadra; l’aveva afferrato per entrambe le spalle e aveva connesso le loro labbra con forza, perché in altro modo non avrebbe saputo come fare. E a Hinata andava più che bene il fare violento, aggressivo e corrucciato del ragazzo che lo stava baciando; non avrebbe potuto amarlo di più nemmeno se avesse voluto, anche con la forza e la rigidità con cui aveva premuto le sue labbra contro alle proprie.
Quando Kageyama si allontanò, ignorò i propri compagni di squadra, fastidiosi e sempre troppo rumorosi. «Pensavo tu e Yachi steste insieme».
«Per l’amor del cielo, Tobio, sono lesbica».
Stupore generale.
Sipario.
 


 


Well, well, well.
Qualcuno è tornato a piangere su haikyuu 24/7 e quel qualcuno sono proprio io.
Ho iniziato uno dei numerosi rewatch, scoprendo per l'ennesima volta quanto io possa voler bene a tutti i miei piccolini :(
Ho iniziato a scrivere questa os nel 2016, ma l'ho finita solo a dicembre del 2018, che dire; meglio tardi che mai, no?
Non lo so, mi divertiva parecchio l'idea di un'ipotetica confessione di Hinata in maniera plateale e assolutamente casuale, quasi tragi-comica; sempre con la testa fra le nuvole se l'argomento in questione non è la pallavolo. 
Spero vivamente che il mio ritorno in questa parte di EFP sia benvenuto, così come spero che questa ff -un po' uno sfizio, come tutte quelle che scrivo, d'altronde- vi sia piaciuta.
Se vi va lasciate qualche recensione, anche le critiche fanno sempre piacere.
Ah, e scusate per eventuali errori!
A presto (si spera).
mar. 

   
 
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