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Autore: annie01    23/06/2019    0 recensioni
La breve storia di una ragazza con una famiglia perfetta e un ragazzo che la ama.
La breve storia di una ragazza che si è andata a divertire una sera.
La breve storia di una ragazza che, rimasta vittima della crudeltà del mondo, continua a chiedersi perché sia andata così.
Genere: Angst, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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18 febbraio 2016
Il letto dell’ospedale è gelido così come le urla di mia madre che riecheggiano nel corridoio. “E’ solo colpa tua”. Le parole si incastrano nella mia mente insieme al ticchettio della macchina che ho vicino.
 
23 Marzo 2016
“Se non ti bastano i soldi che abbiamo allora faresti meglio a chiedere il divorzio” urla il mio povero padre, mentre mia madre si versa indifferente un bicchiere di vino. Divorzio. Otto lettere messe in ordine che causano un brivido nel mio debole corpo. Sfrego con insistenza le maniche della maglietta di lino, nella speranza che le ferite si riaprano. Che mi facciano soffrire. Che non mi facciano pensare. “Vuoi distruggere ulteriormente la vita di tua figlia?”. Tua. So che mia madre non mi ha mai voluta, ma sentire queste parole macchiate di disprezzo uscire dalle sue labbra rosse fa male. Sono solo un oggetto, un pezzo per completare il puzzle della famiglia perfetta che mia madre ha sempre sognato. Ma io da quella notte sono colpevole di aver distrutto il suo fragile sogno. Quella notte, quando spararono contro le stelle, quando morì un innocente. “Sai, Angela, ti credevo migliore di così” sussurra mio padre. La voce leggera incrinata. Si alza con cautela dal tavolo, quasi avesse paura di disturbare i mostri che ci girano attorno. Impugnano coltelli, leccano il grasso dalle piastrelle della cucina, ma solo io sembro vederli. Una goccia di vino si infrange sulla camicia bianca di mia madre. Sembrerebbe sangue e vorrei che lo fosse. Vorrei che il suo cuore, avvelenato dall’indifferenza, sanguinasse come sta facendo il mio. Abbasso gli occhi e mi spezzo nella visione del mio piatto pieno. Potrei vomitare. Mia madre non mi guarda, la disgusto. Io e la pasta, ormai fredda, ancora nel piatto; io e il mio stomaco affamato ma sempre vuoto; io e i miei vestiti neri sempre troppo lunghi alle feste; io e i miei piatti vuoti alle cerimonie. “Siamo stati veramente stupidi io e papà a pensare che le cose potessero cambiare” dico, evitando di guardare i suoi occhi troppo chiari e violenti. “Sei stata tu a distruggere la nostra felicità” ribatte con espressione gelida e sbattendo il bicchiere di vino, che rovescia gocce di sangue sul tavolo. Tutto trasmette un senso di desolazione, non lontano dal mio stato d’animo. Mi alzo impassibile e vuota, il ritratto della disperazione e mi avvio verso la mia camera con il peso di un cadavere. Quello della mia famiglia. Vorrei urlarle che mi dispiace, ma alla fine per cosa? Per essere stata una vittima? Debole, venduta, puttana. Faccio scorrere lo sguardo sull’arredamento appariscente della mia camera, scelto dalla mia ricca madre, ma tutto ciò che traspare è una ricchezza che sa di solitudine. Puttana. Vorrei non pensarci ma non posso farne a meno. Perché sono debole, schifosamente debole e non cambierò mai. Non ho la forza.
17 febbraio 2016
Lacrime mi rigano il viso ma non potrei essere più felice. Sento male in ogni parte del corpo ma è il giusto prezzo per essermi venduta, per essermi tradita. Penso ai miei genitori e al loro matrimonio appeso a un filo, che io sto per tagliare definitivamente. Penso ai miei amici e alle serate passate insieme in piazza a fare nulla ma vivendo tutto. Penso ad Andrea, ai suoi occhi scuri e il suo viso innamorato. Premo la lama del coltello sulla superficie della mia pelle di luna. Tremo. Lo ritiro appena, spaventata dal gesto estremo che sto per compiere. Ce la posso fare, è soltanto un taglio. Sei soltanto una puttana. Piango. Affondo il coltello nella carne ma non sento nulla. È quasi piacevole in confronto a ciò che ho subito. In confronto al dolore che alberga nel mio cuore. Un’ombra mi accarezza, ha le iridi color del cielo e una bocca vorace. Nella stanza c’è odore di alcol. Non voglio. Le pareti vorticano, si stringono fino a crollare su loro stesse. Sembra di stare in un vicolo. Puttana.
14 febbraio 2016
La pioggia mi bagna i capelli, che si appiccicano al viso e si incastrano tra le mie ciglia fulve. Tutto sembra senza vita, dagli alberi cadono foglie secche e il vento si infrange sulle mura delle villette a schiera. I tacchi vertiginosamente alti producono un rumore assordante sull’asfalto bagnato. Non piove abbastanza da costringermi ad aprire l’ombrello e poi voglio sbrigarmi a tornare a casa. Non ho bevuto, eppure lo spazio chiuso ed asfissiante della discoteca e del taxi con cui io e Camilla siamo tornate in zona ha contribuito a rendermi la testa pesante, i pensieri si intrecciano tra di loro indistinti e soffocanti. Mi guardo attorno impaurita dall’aria cupa della strada inghiottita da un mare di nebbia. Mancano pochi metri a casa mia. Il resto del taxi tintinna nella borsa dettando il ritmo dei miei passi scomposti. Il telefono vibra e un sorriso si distende sul mio volto stanco; è un messaggio di Andrea, il mio amore, rimasto sveglio per assicurarsi che io arrivi a casa. Rimango inebriata dalla luce del telefono, ferma. Sono rinchiusa in una prigione di buio e silenzio senza chiave. Sento dei passi ma non mi muovo. Vittima o carnefice? Il terrore arde in me come fuoco consumando ogni nervo e divorando ogni muscolo. Sono indifesa e tremante. Accade tutto troppo in fretta. Indietreggio, le braccia esili sollevate nella debole speranza di difendermi. Ma è una speranza vana, effimera. La pioggia segue il percorso delle mie lacrime, piccole perle che mi ornano le ciglia. Mi raggiunge la morte, strazia il mio corpo, fa a brandelli i miei fragili sogni e mi intrappola tra cielo e terra. Guardo le stelle, tremolanti fuochi che mi scaldano il viso. Posso toccarle. Il silenzio si squarcia ma nessuno sente. “Non mi toccare” sussurro. Vorrei urlare ma il nodo alla gola me lo impedisce. Lui avanza di un passo con l’esaltazione di un eretico che sta per profanare l’ennesima chiesa. “Ti prego”. Non farmi del male. La paura divampa dentro di me al ritmo del mio pianto sommesso. Lui avanza, ha gli occhi blu come un cielo senza luna e scivolano sulla mia pelle nuda e bagnata. Tremo, in modo incontrollato, seviziata nel profondo dal suo sguardo sbagliato. Lui ride, una risata piena che lascia il deserto dietro di sé. Grido, fino a sputare sangue, fino a quando le corde vocali si spezzano, ma nessuno sente, nessuno vuole farlo. Lui mi guarda, come se volesse strapparmi il cuore, avvelenare la mia anima, uccidermi. Resto ferma, vittima e carnefice; lacrime e pioggia si spargono sul mio viso mentre guardo le stelle, tristi spettatrici di un omicidio. Nessuno può salvarmi, non stavolta. 
Ti giuro che ti piacerà
No
“Sta ferma, puttana”
“Smettila, ti prego”
Sei bella come le farfalle che torturavo da bambino
Forse è questo che si prova quando si muore.
4 Aprile 2016
La ragazza nello specchio mi guarda afflitta, rami di cicatrici ricoprono il suo fragile corpo. La ragazza nello specchio è bella anche se i suoi occhi azzurri sono spenti e gli zigomi troppo affilati. La ragazza nello specchio ha il sorriso spezzato e un filo di anima. La ragazza nello specchio mi ha chiesto di salvarla ma io non ci sono riuscita.
 
1 Luglio 2016
Il fumo della sigaretta mi brucia la gola, mi intossica, ma inspiro un’altra volta. Solo un altro modo per ferirmi. Andrea si aggira silenzioso nella casa di cui mia madre ha gentilmente pagato l’affitto. So che ha acconsentito a farmi partire con lui solo per allontanarmi da casa. È rimasta imprigionata nell’ombra della sua vecchia figlia. Quella col fisico da modella, la media del nove, con gli occhi splendenti e il rossetto sulle labbra. Quella ragazza è scivolata via e mia madre non è ancora pronta ad accettarlo così ha spedito me e il mio ragazzo in giro per il mondo convinta che un viaggio possa farmi bene. Attualmente siamo a Londra, il cielo è grigio ferro e spira una brezza leggera appena percettibile. Un brivido mi attraversa la schiena e scavo con le unghie la coscia scoperta. Soffri puttana. Mi sembra di soffocare e un’ondata di sofferenza mi attraversa. So di essermelo meritato. Andrea raccoglie con lo sguardo le lacrime che mi incorniciano il volto e odio che mi fissi a questo modo, come se gli facessi pena, come se volesse sottolineare che sono solo una stupida vittima. Non voglio prendermela con lui, che nonostante tutto è stato l’unico ad avere il coraggio d restarmi al fianco, ma mi distrugge essere considerata sempre una bambola di vetro sul punto di andare in frantumi. A volte vorrei solo tagliare il mio corpo e uscire da quest’incantevole prigione che chiamano vita. In ospedale con i dottori che parlavano tra di loro e i miei genitori che si insultavano, Andrea fu l’unico che sembrava vedermi, l’unico che mi chiese come stessi. Talvolta gli consento persino di abbracciarmi mentre mi odio e mi dispero. Non è molto ma d’altro canto non capisco la sua necessità di toccarmi. Lo amo ma non lo tollero. Resto a guardarlo da lontano, mentre si veste per andare a comprare qualcosa da mangiare e non saprà mai quante lacrime silenziose ho versato o quante volte ho sperato che le cicatrici sul mio polso si riaprissero e mi facessero soffrire. Perché io, alla fine, non merito altro che questo.
26 agosto 2016
Il rientro a casa è stato traumatico dopo i due mesi passati con Andrea a vedere il mondo. Osservo mio padre cucinare mentre mia madre mette in ordine delle carte. Stanno lavorando sullo stesso tavolo senza lanciarsi parole affilate l’uno contro l’altro. Hanno rimesso insieme i pezzi. Nei miei mesi di assenza hanno ritrovato la loro complicità e io sono tornata a sorridere. Ci sono ancora notti in cui mi sveglio urlando o giorni in cui gli occhi scuri di Andrea si tingono di azzurro, come le iridi del mio assassino; eppure la vita sta andando avanti, cosa che fino a qualche mese fa non credevo possibile. Rimango immobile nel guardare questo delizioso quadretto, lo scorcio di una famiglia che non sembra mia. “Non ho mai voluto tutto questo” sussurro mentre mi sciolgo in lacrime e la mia anima frana. I miei genitori mi guardano a lungo come l’alba timida al mattino e forse, dopo tanto tempo, hanno il coraggio di vedermi realmente per ciò che sono senza l’ombra ingombrante del mio passato. Lasciano immediatamente ciò che stavano facendo e mi stringono forte a loro. Piangiamo e ci promettiamo silenziosamente di non perderci mai più. Non ci sono più ombre in questa cucina e la felicità che Lui aveva seviziato e io allontanato si riaffaccia impacciata nella mia vita. È difficile tornare a vivere dopo questi mesi sbattuta in un circolo autodistruttivo. È difficile accettare il male che mi sono fatta. È stato difficile, ma sono riuscita a perdonarmi. Ora fuori c’è il sole.  
   
 
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