Libri > I Miserabili
Ricorda la storia  |      
Autore: LionConway    23/06/2019    4 recensioni
E' il 1969 e Enjolras ha ventun anni quando si ritrova senza un soldo per le strade di New York, costretto a vendere il proprio corpo dall'aspetto etereo a qualunque tipo di uomo disposto a pagare.
Una sera, tuttavia, si ritrova ad entrare allo Stonewall Inn, uno squallido locale del Village, unico possibile luogo d'incontro per la comunità omosessuale del quartiere. E' lì che incontra Grantaire, un artista senzatetto che campa lustrando scarpe e derubando in giro. Ed è da lì che nasce una forte amicizia tra i due, che non ci mette poi molto a evolversi in qualcosa di più.
Ed è sempre lì che Enjolras coronerà una delle sue più grande ambizioni: prendere parte a una lotta per i diritti civili, schierarsi spalla a spalla dalla parte dei più deboli, in una protesta che segnerà la nascita del moderno movimento LGBT.
AU scritta per il contest Stonewall indetto su Wattpad.
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Enjolras, Grantaire
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Somewhere beyond the barricade'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
[ Questa storia è stata scritta per il concorso Stonewall indetto da Fanfiction IT e AfterRomance IT sul sito Wattpad. ]
 
Prima che vi apprestiate a leggere, ci terrei davvero molto se poteste prendervi cinque minuti per leggere queste premesse.
1 - non scrivevo in questa sezione –e su questa ship in particolare- da almeno quattro anni, quindi, un bentornato a me stessa me lo dico volentieri. Soprattutto perché Les Mis è stato per molto tempo il mio fandom principale e mi ha aiutato tantissimo nella scrittura.
2 – vorrei dire di essere soddisfatta di questa one shot al 100%. Purtroppo, in realtà, sono scettica sull’ultima parte, che trovo davvero molto frettolosa nonostante sia lì che si sviluppa il tema centrale su cui si basa il concorso. Avrei voluto approfondire meglio la rivolta di Stonewall, specialmente  attraverso gli occhi di un personaggio come Enjolras. Ho avuto però un problema: il limite di parole da utilizzare imposto dal bando erano 4000 parole e io, ovviamente, logorroica come sono, stavo già rischiando di sforare. Quindi, purtroppo, ho dovuto tagliuzzare.
3 – ho il terrore di aver mandato Enjolras giusto un po’ OOC (anche se, sinceramente, negli ultimi anni non ho mai condiviso la visione del fandom di lui sempre e costantemente incazzoso, piuttosto introverso). Ho però cercato di renderlo il più calzante possibile nel contesto richiesto. Inoltre, questa storia era nata come fan fiction su un film che amo moltissimo (Midnight Cowboy) e in cui rivedo molto spesso le dinamiche degli Enjoltaire. Ecco perché, all’inizio della storia, Enjolras è praticamente costretto a prostituirsi, come il protagonista di questo film. Canonicamente, so che non lo farebbe mai (oltre ad avere i soldi, Enjolras è, per me, completamente asessuale), tuttavia, conoscendo appunto l’ambientazione, il contesto storico e le cause di forza maggiori… beh, mi sono presa questo rischio, quindi spero davvero che non stoni particolarmente.
4 – sempre riguardo a Midnight Cowboy, il film mi ha aiutato parecchio a pensare come inserire due personaggi dai nomi francesi nella New York degli anni Sessanta. Come ho detto prima, in questo film vedo spesso qualche dinamica degli e/R, specialmente da parte del personaggio di Ratso, in cui ci vedo molto Grantaire (un buon 90%, a dirla tutta). Ho pensato, quindi, di “unire” in qualche modo i due personaggi, dando a Grantaire il cognome di Ratso (Rizzo) che beh, insomma, inizia per “R” quindi, se siete nel fandom, fate pure i vostri conti. Il nome proprio che ho dato ad Enjolras, invece, Joseph, è un omaggio al nome dell’altro protagonista del film, che si chiama Joe.
 
Spero di non avervi ucciso la voglia di leggere con queste lunghissime note d’autore, come al solito, però, ho sempre bisogno di mettere un po’ le cose in chiaro prima che qualcuno si metta a leggere e trovarsi poi confuso. Già in questo fandom è sempre stato molto difficile andare oltre tutti gli headcanon che si sono creati sugli Amis, tanto che, quando la visione personale dei personaggi si distanzia da quella collettiva, ci si sente sempre un po’ spaesati.
E ora la pianto qui, mi auguro che questa sia una buona lettura e vogliate farmi sapere cosa ne pensate. 

 
Image and video hosting by TinyPic 

 
Enjolras non era mica un omosessuale. 
Lo ribadiva a ogni cliente che raccattava davanti o dentro ai cinema a luci rosse sulla Quarantaduesima Strada, perlopiù giovani ragazzi bianchi, annoiati e alla ricerca dell'illegalità. 
Lo ripeteva assiduamente a sé stesso quando, seduto rigido sulla tazza di un gabinetto pubblico, lasciava che le loro labbra umide si aprissero sulla sua virilità. 
E ci credeva, quando poi le mani di quelli si allungavano nelle tasche dei costosi pantaloni che indossavano, rovinati dal lerciume del pavimento su cui si erano inginocchiati. Gli allungavano dieci dollari e finiva lì, uno sporco ma utile Hamilton con cui poi Enjolras si comprava un panino e un caffè al suo diner di fiducia. 
Non sei un omosessuale, si ripeteva, gli occhi fissi sulla superficie scura del caffè brodoso ma la mente altrove, verso i ricordi di una vita vissuta in una minuscola cittadina della Louisiana. Ed era vero, non lo era: non si era mai davvero sentito attratto dagli uomini, nessuno aveva mai suscitato in lui un particolare interesse, fisico o sentimentale che fosse. Tuttavia, non sembravano mai essergli piaciute nemmeno le donne. E, in quel caso, non erano mai mancate le occasioni di potersi intrattenere con loro: Enjolras era perfettamente consapevole del fascino che esercitava non solo sulle ragazze giovani, ma anche su donne più avanti con l'età, complici i suoi riccioli d'oro, i suoi occhi penetranti, la sua pelle color del marmo così insolita tra i discendenti creoli nel sud degli Stati Uniti e che si arrossava nei meriggi d'estate trascorsi all'aperto. Con le guance tinte di rosa, Enjolras somigliava a una bambola di porcellana levigata, perfetta. Eppure, non si era mai azzardato a frequentare nessuna. 
La vita di provincia, soprattutto nel sud, gli andava stretta. 
Enjolras si era laureato in Scienze Politiche ad Atlanta. Lì si era unito a un gruppo di attivisti che protestavano contro la guerra in Vietnam e, contemporaneamente, aveva perfino cominciato ad interessarsi alle lotte per i diritti civili delle persone di colore. Eppure, in qualche modo, si sentiva inutile perché partecipare al volantinaggio in ambienti segregati ai neri significava rischiare di essere cacciato dall'università e, senza una laurea, sapeva che non sarebbe riuscito ad aiutare nessuno. E non era giusto, soprattutto perché sentiva che le due cause erano, in qualche modo, collegate tra loro: quanti neri, e non solo, erano costretti a morire in Vietnam, giorno dopo giorno, a causa del basso ceto sociale, per il solo motivo di non potersi permettere un'istruzione? 
Così, una volta maggiorenne e concluso il college, aveva deciso di abbandonare il proprio lavoro da lavapiatti ed era partito alla volta di New York, certo di trovare un posto tra gli attivisti in quella che molti dipingevano come la città dei sogni, la città dov'era possibile il cambiamento. 
E allora perché Enjolras era finito a prostituirsi con gli uomini sui marciapiedi di Times Square, tra eroinomani e altre puttane? 
Perché New York non era la città dei sogni. Era una città dura, pericolosa, culla di poveri illusi messi di fronte alla dura realtà del degrado urbano che imperversava nelle sue strade sporche. Enjolras era stato letteralmente derubato di tutti i suoi averi praticamente due giorni dopo essere arrivato, mentre girava per la città alla ricerca di un appartamento. Invece, si era ritrovato senza il becco di un quattrino e cacciato dall'hotel in cui soggiornava. Per un paio di settimane, aveva nuovamente lavorato come lavapiatti in un ristorante francese. Era poi stato licenziato quando il suo capo era venuto a conoscenza del fatto che non avesse una casa. E comunque non era un lavoro abbastanza redditizio per pagarsi un affitto. Enjolras aveva l'acqua alla gola. 
Non era un omosessuale. Aveva solo bisogno di soldi, come tutti i poveri bastardi lasciati a marcire in quel buco di città che era New York, l'Inferno in Terra.
Fu proprio la possibilità di arrotondare qualcosina che lo costrinse, una calda sera di fine Maggio, a entrare allo Stonewall Inn, una topaia di pochi metri quadri adibita a bar per checche e gestito da dei mafiosi italiani. 
Il pomeriggio antecedente, Enjolras aveva origliato la conversazione di due queen che battevano sul suo stesso marciapiede. Uno di loro diceva all'altro, con voce concitata e brandendo una borsetta rossa, che al Village le prostitute guadagnavano di più perché la clientela era formata spesso da uomini di ceto sociale medio-alto disposti a pagare meglio, che fosse per una sveltina o per tutta la notte. A volte cercavano solo compagnia, niente sesso. Con la consapevolezza di non aver nulla da perdere, Enjolras raccattò qualche soldino per pagarsi un autobus e scese a Christopher Street, giù ai moli sull'Hudson, in mezzo a giovani prostitute e spacciatori. Alla fine, non era così diverso da Times Square, c'erano solo meno insegne oscene al neon e, quando prendeva clienti, era costretto a rimanere sulle loro auto o appartarsi in qualche angolo scuro.  
Una sera, invece, i suoi piedi lo portarono nella direzione opposta ai moli, verso il cuore di Christopher Street, dove i pali della luce rischiaravano i marciapiedi gremiti e le persone urlavano, sovrastando il suono della musica che proveniva dai pochi locali lì attorno. Enjolras pensò che, forse, avrebbe potuto trovare qualche nuovo cliente in uno di quelli. Così si unì a una fila di checche e travestiti che provavano a entrare in un bar gay. Enjolras alzò gli occhi sull'insegna e vi lesse Stonewall Inn. 
Quando si ritrovò davanti al portone d'ingresso, fu accolto dalla risatina di un buttafuori che lo studiava attraverso uno spioncino. 
"Entra pure, angioletto" lo invitò, aprendogli la porta. "Sono tre dollari." 
Enjolras gli sganciò la somma richiesta e lui gli diede in cambio due tagliandi che potevano essere scambiati con due bevande gratuite. 
Il ragazzo si mosse all'interno del piccolo locale, con una leggera sensazione di claustrofobia nel ritrovarsi in un ambiente così striminzito in mezzo a tante persone. Gli interni erano dipinti di nero, rendendo l'ambiente ancora più scuro, e le due piste da ballo, circondate da tavoli, venivano illuminate con luci a gel e lampade di Wood. Enjolras deglutì e i suoi occhi presero a guardarsi intorno. C'era di tutto: uomini muscolosi, ragazzini che dimostravano a malapena la maggiore età (probabilmente non l'avevano), ometti insignificanti che non venivano presi in considerazione per un ballo, giovanotti aitanti, lesbiche mascoline, drag queen dai colori sgargianti, bianchi, neri, ispanici. Un bordello variopinto dove la gente ballava, beveva, si toccava negli angoli bui. Quasi gli venne da pensare che non fosse così male. 
Enjolras scosse la testa, risvegliandosi dai propri pensieri, e si avvicinò al bancone del bar, tra due ragazzi che parlottavano tra loro e un giovane uomo basso con un completo bianco che fumava tranquillamente con lo sguardo perso nel vuoto. 
Enjolras prese posto sullo sgabello, mentre il barista all'altro capo del banco lo approcciava con un sorriso: "Cosa ti faccio, riccioli d'oro?" 
Il giovane creolo deglutì per un attimo, prima di ritrovare la propria spavalderia e schiarirsi la gola: "Avete del succo d'arancia?" 
L'uomo che fumava accanto a lui, a cui Enjolras non aveva dato particolare attenzione, scoppiò a ridere, guadagnandosi un'occhiataccia del barista e il suo sguardo perplesso. 
"Non ti conviene, amico" rise "A meno che non vuoi beccarti la malaria. Non hanno l'acqua corrente, qui." 
"Ah, fanculo, Grantaire." sbottò il barista. 
L'uomo in bianco, la cui testa arrivava più o meno alle spalle di Enjolras, lo indicò con un gesto del capo: "Dagli una birra in bottiglia, va'. Mettila pure sul mio conto." 
Gli occhi del barista si spostarono su Enjolras in cerca della sua approvazione. Lui annuì e l'altro si accovacciò per afferrare una bottiglia che stappò davanti a lui. Poi tornò a conversare con l'uomo chiamato Grantaire: "Offri da bere, eh? Questo significa che hai guadagnato parecchio oggi, leccando gli stivali di qualche gentiluomo." 
Grantaire gli lanciò un'occhiataccia: "Io lustro scarpe. Non ho bisogno di leccare o succhiare da nessuno." 
"Come no. Stai attento a questo provolone" aggiunse il barista, rivolto ad Enjolras. "Gli piace fregare i soldi alla gente. " 
"Ehi, perché non lo lasci in pace?" fece Enjolras, ma si spostò comunque sullo sgabello, verso il lato dei giovanotti che ancora chiacchieravano. 
La bocca del barista si contorse in una smorfia e si allontanò per servire altri clienti. 
Le dita affusolate di Enjolras si serrarono sulla propria bottiglia ghiacciata  e il suo sguardo si posò sull'uomo al suo fianco, che se la ghignava alla grande, una mano dentro la giacca bianca. 
Dal momento che quello gli aveva evitato qualche atroce malattia, pensò che sarebbe stato perlomeno cortese iniziare una conversazione: "Davvero non hanno l'acqua corrente?" 
"Verissimo. I proprietari sono due fratelli mafiosi senza nemmeno la licenza per la vendita di alcolici. Ci vorranno tutti morti, penso." 
Aveva una voce roca, resa ancora più buffa dal forte accento di Brooklyn. Dalla tasca interna della giacca, tirò fuori una sigaretta che offrì a Enjolras. Quest'ultimo, che non fumava nemmeno, la prese comunque e gli porse la mano per presentarsi: "Mi chiamo Joseph Enjolras. Ma solo il cognome va bene, mi ci chiamano tutti." 
"Rizzo!" fece lui, sovrastando il rumore della musica. "Ma puoi chiamarmi Grantaire!" 
Il soprannome incuriosì non poco Enjolras, che gli domandò se anche lui avesse qualche discendenza creola. 
"Sono italiano. Ma mia madre era franco-canadese" sorrise l'altro, bevendo un lungo sorso della sua birra. "Mi firmo con una R maiuscola sui miei quadri e mi faccio chiamare in francese in suo onore. Era una grande donna, veramente una grande donna. Che Dio l'abbia in gloria." 
Ridendo, si fece il segno della croce e continuò a bere. Enjolras aveva come la sensazione che quella non fosse decisamente la sua prima birra della serata. Aveva il volto arrossato e sudava copiosamente sulla fronte. Gli venne da pensare che somigliava un po' a un ratto, per via dei capelli che avevano lo stesso colore di quei sudici animaletti. Attorno alle labbra e sul mento aveva un accenno di barba, segno che non si rasava da un po'. Non odorava particolarmente, né di strada né di alcol, eppure Enjolras non si sarebbe stupito se fosse uscito fuori che si trattava di un ubriacone senzatetto. Quel pensiero, gli fece tornare in mente il motivo per cui si trovava lì quella sera. 
Ma, prima che potesse alzarsi dallo sgabello per cercare qualcuno che avesse l'aspetto di uno disposto a pagare, Grantaire si voltò verso di lui, sporgendosi lievemente in avanti e allungando una mano sul suo braccio. Quel tocco improvviso fece irrigidire Enjolras: non era un grande amante del contatto fisico, specialmente con sconosciuti. Era già abbastanza odioso dovervisi sottoporre per soldi. 
"Non sei di New York, vero?" biascicò Grantaire, convincendolo completamente di essere piuttosto brillo. 
Enjolras sospirò. Mise la sigaretta nella tasca della camicia e prese un sorso di birra: "Sono della Louisiana." 
"Lo sapevo. L'accento del sud è veramente sexy. New Orleans?" 
"No. Vicino a Baton Rouge." 
Grantaire sbatté le palpebre un paio di volte , prima di sciogliersi in una risata: "Non so un'acca di geografia. Sei molto bello, sai?" 
Il pollice della sua mano aveva iniziato a descrivere piccole circonferenze sull'avambraccio scoperto di Enjolras. Quest'ultimo deglutì, lievemente a disagio, eppure non così tanto da spingerlo via. Più che altro, provava un certo imbarazzo nei suoi confronti. Lo ringraziò, non sapendo bene cos'altro dire. 
Grantaire si morse il labbro inferiore, come se stesse esitando per un attimo, prima di domandargli a bruciapelo: "Vuoi ballare?" 
A quel punto, Enjolras si scostò dalla sua presa, cercando di non risultare troppo brusco o maleducato -quel tipo era un po' invadente, ma non gli aveva comunque fatto nulla-, e si voltò verso il bancone al quale si appoggiò con i gomiti. 
"Hai dei soldi?" fu la sua unica risposta, bevendo un altro sorso di birra e guardando Grantaire di sbieco. 
Lui sbatté nuovamente le palpebre, questa volta come per ridestarsi da un sogno. Poi abbassò lo sguardo e scosse la testa: "No, io non pensavo... Scusami." 
Enjolras si passò la lingua sul labbro superiore. 
"Mi dispiace" disse "Io non sono -insomma, faccio solo a pagamento." 
Sentì Grantaire ridacchiare accanto a lui. Quella reazione lo irritò ma, al tempo stesso, lo fece arrossire: gli dava tremendamente fastidio dover dire a tutti di essere una puttana. Gli faceva schifo, si faceva schifo da solo e si domandava perché diavolo non si mettesse da parti un po' di soldi per tornare a casa. 
"Non puoi trovare clienti qui dentro" sogghignò Grantaire. Posò la bottiglia di birra sulla superficie del bancone, poi fece un gesto con la mano, come a indicare l'intero ambiente intorno a loro. "Non vedi chi frequenta questo posto? Disperati che hanno bisogno di un posto dove strusciarsi in pace. Oh sì, la maggior parte di loro si prostituisce. Ma non qui: questo è l'unico svago che hanno per non doversi infilare in vicoli bui dove chiunque potrebbe arrivare a sgozzarti dandoti del frocio pervertito." 
Enjolras grugnì. Lo aveva intuito. 
"Sto solo perdendo tempo, allora" bofonchiò, alzandosi dal proprio sgabello. "Devo andare. Grazie per la birra." 
Grantaire, che teneva gli occhi arrossati alzati su di lui, non fece in tempo a replicare che la musica nel locale si spense, le luci si accesero e tutti i presenti cominciarono a lamentarsi a gran voce, mentre una schiera di poliziotti in divisa, muniti di manganello, faceva il suo ingresso all'interno della sala da ballo, accolti da fischi e insulti osceni gridati ad alta voce. 
"Silenzio!" sbraitò un grosso omone brizzolato in prima linea che sembrava guidare quella fastidiosa incursione. La sua potente voce sovrastò tutte le altre. "Schiena contro il muro e documenti alle mani, avanti! Se collaborate, finirà tutto al più presto!" 
"Io non ho documenti" bisbigliò Enjolras, mentre Grantaire lo trascinava lungo la stanza fino ad appoggiarsi alla parete. "Mi hanno rubato il portafogli, ho solo la denuncia!" 
Mentre tirava fuori la propria tessera dell'autobus, Grantaire lo fissò, sollevando un sopracciglio, poi scosse la testa: "Beh, prega che se la prendano con qualcuno di più effeminato di te." 
Mostrare la denuncia gli servì. Non bastò, tuttavia, a evitare i commenti di scherno sul suo aspetto. 
"Questo è un maschio o una femmina?" risero i due poliziotti che stavano schedando lui e Grantaire. Enjolras sentì il sangue ribollirgli nelle vene, ma si costrinse a non rivoltare le loro facce con un pugno. Accanto a lui, Grantaire sembrò accorgersi della sua ira, perché sentì la sua mano cercare il proprio polso. Si guardarono e Grantaire deglutì: "Tutto a posto?" 
"Come mai ci hanno lasciato perdere?" 
"Siamo vestiti consoni. Almeno tre capi maschili. Le donne, invece, non ne possono indossare neanche uno." 
Aveva ragione. Gli occhi di Enjolras si mossero su quello spettacolo assurdo, in cui gente giovane e indifesa veniva schernita e trascinata in malo modo fuori dal locale, solamente per aver espresso sé stessi tramite il vestiario. Una ragazza venne tirata per i capelli tagliati corti, con uno dei due poliziotti attorno a lei che mimava il gesto di mettersi qualcosa in bocca. Quando l'ispezione terminò e il locale venne sgomberato, Enjolras uscì con una sgradevole sensazione alla bocca dello stomaco e Grantaire alle calcagna. 
"Beh, io credo me ne andrò a casa" annunciò, sgranchendosi le dita. "Meglio festeggiare la mancata prigionia con del brandy. Tu vuoi venire?" 
Enjolras si voltò verso di lui con un'occhiataccia: "Ma perché non mi lasci in pace?" 
"Che permaloso, Apollo! Fa' pure finta che non ti abbia detto niente, tornatene a dormire sulle panchine di Washington Square in mezzo ai drogati. E ringrazia che non sia inverno." 
"Come mi hai chiamato?" 
"Apollo." 
Grantaire sorrise sornione. "Il dio greco del sole, me lo immagino come te. Una bella idea per un quadro, no? Adieu, mon ami." 
"Aspetta!" 
Enjolras avrebbe voluto mordersi la lingua, domandandosi perché diavolo avrebbe mai dovuto accettare l'invito di Grantaire. Probabilmente, la prospettiva di dormire almeno per una notte sotto un tetto, al riparo. 
Alla fine, la casa si rivelò essere uno scalcinato appartamento, senza gas né acqua corrente, che Grantaire occupava abusivamente in un palazzo destinato alla demolizione. Lui, tuttavia, si dimostrò estremamente ospitale: gli cedette la sua branda, offrendosi di dormire su un vecchio materasso. 
Con le dita intrecciate dietro la nuca, Enjolras fissò il soffitto buio, rimuginando su ciò che era accaduto quella sera allo Stonewall Inn. Il pensiero che avrebbe potuto essere una di quelle persone umiliate e sbattute al fresco lo faceva star male. 
"Saranno in prigione?" Si accorse a malapena di aver esternato il proprio pensiero ad alta voce. 
Grantaire bofonchiò: "Ti importa davvero?" 
"A te no? D'altronde, è la tua comunità." 
L'altro ridacchiò: "Metà di quella gente non mi sopporta e l'altra metà non mi conosce nemmeno. No, direi che non mi interessa fino a quando non vengo arrestato io." 
"E' davvero molto egoista da dire." 
"Certo. Buonanotte, Apollo." 
Enjolras storse la bocca per quello sciocco soprannome. Tuttavia, mentre si voltava su un fianco, si rese conto che non gli dispiaceva. 
 
Presto e inaspettatamente, lui e Grantaire divennero amici. Quest'ultimo era un artista di talento e si guadagnava da vivere lustrando scarpe e cercando di vendere quadri. In giorni di magra, battevano la Quinta Avenue e Grantaire si occupava di ripulire le tasche al primo borghese malcapitato. Enjolras scoprì perfino che alcune banche del sangue pagavano i donatori in piccole somme di denaro. Tirando avanti così, riuscivano a comprarsi cibo, acqua e i gettoni per la lavanderia. A volte, riuscivano perfino ad andare a festeggiare allo Stonewall, dove Enjolras sfidava a mento alto le autorità sfoggiando la sua nuova tessera dell'autobus. 
Dopo quasi un mese da quando si erano conosciuti, coincidente con il giorno dei funerali di Judy Garland, Grantaire riuscì addirittura a trascinare Enjolras in pista per un boogie. Peccato che c'era un motivo se il creolo non ballava mai. 
"Sei un disastro!" lo prese in giro Grantaire, mentre la bocca di Enjolras si contraeva in una smorfia. 
"Te l'avevo detto che sono incapace" sbottò. Fece per allontanarsi dalla pista, ma la mano di Grantaire lo bloccò, afferrando la sua e costringendolo a voltarsi. 
"Devi solo essere più rilassato." 
Grantaire sorrise e Enjolras si lasciò trascinare verso di lui, mentre il jukebox in un angolo faceva partire un imbarazzante lento dei Platters. Si sentì arrossire, soprattutto quando il suo amico posò le mani sui suoi fianchi. Enjolras lo afferrò per le spalle, senza stringere troppo, e deglutì: non erano mai stati così vicini e, perfino nella fioca luce del locale scuro, si rese conto che, quando era pulito e sistemato, quando riusciva a lavarsi vestiti e capelli, Grantaire non era così brutto. Certo, a vederli dall'esterno, erano decisamente sproporzionati in quanto a bellezza: un dio greco e un topolino di città. Eppure, fu in quel momento che Enjolras si rese conto che gli piaceva Grantaire. Non sapeva esattamente in quale modo, perché era un sentimento strano, nuovo, improvviso. Sapeva solo che quel giovanotto stropicciato era entrato nella sua vita senza preavviso e adesso non avrebbe saputo cosa fare se ne fosse mai uscito. 
Poté giurare di vedere un'ombra di insicurezza attraversargli il volto prima che gli chiedesse: "Ti dà fastidio?" 
Enjolras scosse la testa. "No. Mi piace." 
Si sorrisero a vicenda e continuarono a sorridersi per tutta la durata della canzone. 
Erano quasi le due del mattino quando la polizia fece irruzione, molto più tardi del solito. Era una notte strana quella: la tensione tra gli avventori e gli ufficiali, quasi tutti in borghese, era estremamente papabile. Come al solito, Enjolras e Grantaire furono tra i fortunati che riuscirono a svignarsela in poco tempo. 
"Aspetta." 
Fuori dal locale, in mezzo alla gente che veniva rilasciata, Enjolras bloccò Grantaire per un braccio. "Voglio vedere che succede." 
"Che vuoi che succeda? Faranno un po' di casino e le teste di cuoio li sbatteranno al fresco, come al solito." 
Non fu così. Lo scontento generale era così alto che, finalmente, qualcuno si azzardò a reagire. Come Sylvia, una transessuale ispanica che ogni tanto scherzava con Enjolras, che in quel momento veniva pungolata con un manganello da un agente. Lui la spinse, facendola cadere per terra. Lei si voltò, guardandolo in cagnesco e, ringhiando, si tolse una scarpa col tacco e gliela lanciò addosso, colpendolo in pieno viso. 
"Cazzo!" urlò Grantaire, coprendosi la bocca a quella scena, mentre veniva sovrastato da un coro concitato di voci. 
"Lasciatemi!" 
Un'altra ragazza che Enjolras conosceva, Stormé, veniva trascinata in malo modo verso un'auto di pattuglia. Oppose resistenza. Più volte la spinsero all'interno della vettura, più volte lei scappò. A quel punto, la folla era impazzita, sempre più riscaldata. Volavano urla, insulti, perfino bottiglie. Con un grido selvaggio, Enjolras si unì a tutti gli altri nello scagliarsi contro la polizia. Godé quando vide l'espressione completamente spaesata degli agenti, prima che si rifugiassero all'interno del bar. 
Accanto a lui, in quel marasma, Grantaire rideva incontrollato: "Scena da incorniciare! Poliziotti linciati da un branco di froci incazzati! Potere gay! POTERE GAY!" 
"Venite!" 
Enjolras corse in direzione di un parchimetro e cominciò a prenderlo a calci per sradicarlo dal terreno. Altre cinque o sei persone vennero in suo aiuto, compreso Grantaire, e tutti insieme si fecero spazio per usarlo come ariete e sfondare la porta dello Stonewall, cercando di costringere gli agenti a uscire. Qualcuno appiccò incendi alle finestre e, in poco tempo, quello sporco angolo di Christopher Street venne illuminato dalle fiamme di una  vera e propria rivolta.  
In lontanza, udivano le sirene dei rinforzi, le grida, i calci, i colpi di manganello, i canti osceni delle drag queen che prendevano in giro i poliziotti. 
Enjolras si fece sostituire all'ariete e corse in aiuto di un ragazzo ispanico che, nonostante se la stesse vedendo brutta con un grosso poliziotto irlandese, se la rideva alla grande, schernendolo. Messo alle strette da due persone, alla fine, quello arretrò. 
"Stai bene?" domandò Enjolras al giovane e lui scoppiò a ridere: "Mai stato meglio!" 
Il creolo lo guardò correre via, prima di venire raggiunto da Grantaire: "Tutto ok, Apollo?" 
"Vai a casa, Grantaire." Enjolras si guardò intorno. "Qui è un delirio. Non preoccuparti per me. Io... devo fare qualcosa per aiutarli, capisci?" 
Ma Grantaire scosse la testa, il suo inseparabile ghigno che non accennava a smorzarsi: "Sei matto? Sai quanto ho aspettato per vedere dei poliziotti prendersele da parte nostra? Ci hanno trattato di merda per anni, Apollo: ci hanno fatto sentire sporchi, sbagliati, ci hanno ucciso, torturato, umiliato! Penso che dopo stanotte ci penseranno due volte a romperci le palle!" 
Le labbra di Enjolras si schiusero in un sorriso: "Pensavo non te ne importasse niente. Pensavo non credessi in niente. " 
"Credo in te." Grantaire gli si avvicinò, posandogli le mani sulle spalle. "Credo in tutto quello che farai per aiutare questa comunità. Sei uno di noi, ormai, no?" 
Enjolras annuì. 
"Già" ribadì, prima di chinarsi su di lui per rubargli un bacio. Un atto d'amore in mezzo al caos. Un gesto fugace che passò inosservato in una notte che fece la storia. 
 
  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > I Miserabili / Vai alla pagina dell'autore: LionConway