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Autore: bUdson281    23/06/2019    2 recensioni
Storia 3^ classificata al contest “Ero lì quando…” indetto da Ghostmaker sul forum di EFP
Gallieno, imperatore dal 253 al 268 d.C., resse le sorti di Roma negli anni più turbolenti della sua storia, quelli dell'anarchia militare. Gli studiosi moderni hanno rivalutato la sua figura, trascinata quasi ai margini della memoria dal caos che lui fu chiamato affrontare. Vittima di cattiva pubblicità e di una Fortuna capricciosa, fu un grande imperatore, che, per sventura del suo nome ma - ne sono certo - per la felicità di Roma, governò soltanto e da solo nel momento sbagliato.
Almeno così mi piace pensare. Io sono il suo fidato amico Gneo Cecina Sicano.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
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A Licinio

 
Mio amato figlio, invano ho atteso una tua risposta alle lettere che ti ho inviato in questi mesi.
Ben comprendo quanto impegno possa richiederti l'onore della Prefettura d'Egitto, che hai guadagnato grazie solo al tuo impegno e alla tua probità che tanto beneficio, ne sono sicuro, arrecano alle genti che vivono in quella felice terra di nuovo romana e alla Res Pubblica intera.
So che il tuo unico desiderio è assolvere al dovere di quel compito che ti sei assunto per amore della dignità familiare e in ossequio all'ordine delle cose umane e divine che tanto hai a cuore.  E capisco che tu non abbia il tempo necessario per rispondermi con animo sereno, perché ho vissuto anch'io così, e chi meglio di te potrebbe ricordarlo?
E, tuttavia, nel tuo prolungato silenzio scorgo una macchia che offusca lo splendore della pietà filiale che il tuo cuore possiede in abbondanza.
Lascia, perciò, provare questo vecchio, come ultima missione, a liberarti da risentimenti o dubbi che mal si addicono alla tua persona. Permettimi di essere padre amorevole prima che spenda gli oboli per il traghettatore.
Ho appreso con gioia la notizia, ancora non ufficiale, della proposta di promuoverti tra le fila della nobilitas senatoria. Di sicuro un degno premio per la nostra famiglia, che non ha mai conosciuto disonore né rovina al servizio di Roma e ne ha attraversato la storia portando fieramente l'anello degli equites.
So quanto per te sia importante, non certo per brama di potere o di altri benefici, ma per il buon nome della famiglia Sicano e della gens Cecina, da sempre rispettata e riconosciuta nel novero degli "honestiores"[1].
Ti spiegherò, pertanto, la ragione che a suo tempo mi spinse a implorare l'Augusto Gallieno[2] affinché non mi concedesse tale onore. Sappi sin d'ora che non fu per viltà che rifiutai, né perché ritenessi me o i miei antenati indegni di tale riconoscimento, ma per amor di verità e per amicizia.
 
Come sai io, Gneo Cecina Sicano, ho avuto il privilegio di nascere nella stessa terra, in quel di Falerii, e nello stesso anno di un grande romano, uomo e amico, Publio Licinio Egnatio Gallieno.
Splendido, intelligente e forte sopra ogni altro, in lui si avvertiva l'amorevole protezione di quei Magni che hanno reso forte e prospera la Res Pubblica, quando Fortuna è stata amica, e l'hanno protetta ad ogni costo quando, per capriccio o piegandosi al Fato, essa le ha voltato le spalle.
In virtù di antica amicizia, che legava la nostra famiglia a quei nobili lignaggi sin da quando, all'epoca dei Gracchi, ci trasferimmo dalla Sicilia in Etruria, mi fu concesso di condividere con lui, nella giovinezza, maestri, giochi e bravate.
 
Quando Valeriano suo padre - uomo dai modi ben più aspri di quelli che, ne sono certo, imputi a me - lo nominò Augusto, affinché insieme a lui avesse cura del benessere della nostra eterna Roma, io compresi il mio dovere e la sua perfetta collocazione nell'ordinata Perfezione del Cosmo: avrei protetto quell'uomo che, dismessi in privato i panni di Augusto, mi chiamava "amico" e "fratello".
Lavorai duramente e con diligenza, anche brigando e ricattando e minacciando all'occorrenza, per ottenere l'ufficio che mi avrebbe permesso di adempiere al mio destino, rifiutando ben altri onori.
Disdegnando il rango di tribuno militare e il conseguente avanzamento nella gerarchia della guardia pretoriana, divenni in poco tempo trecenarius[3], costantemente al seguito dell'Augusto Gallieno in qualità di capo degli speculatores e degli exploratores.
Ciò al fine di proteggerlo sul campo di battaglia, poiché è lì che ho trascorso quegli intensi quindici anni della mia vita, di studiare i movimenti delle orde di barbari che minacciavano la pace e la giustizia dei nostri territori e di sventare le trame  di generali infidi. Tutto ciò era mio dovere compiere.
E se quel maledetto giorno io non fossi stato lontano per ordine proprio del mio buon amico, che mi impose personalmente il suo volere al solo fine di salvarmi la vita, forse tu, figlio mio, potresti vivere ancora nella felicità e nella bellezza della sua paterna cura.
Ma i tempi, ahimè, erano malevoli, Fortuna aveva abbandonato Roma, la cupidigia ne aveva fiaccato la forza e il degrado dei costumi aveva reso i nemici all'interno ben più temibili degli Sciti, dei Marcomanni, dei Franchi o dei Parti che bramavano come lupi affamati le terre al di qua del limes.
Se adesso tu puoi pensare di ricevere la tua giusta promozione lo devi all'Augusto Gallieno che ha protetto Roma da se stessa e dagli invasori.
 
Quando Valeriano cadde a oriente, nei pressi di Edessa, nel vile tranello di Sapore, re dei Parti, che approfittò della debolezza del suo ben più capace rivale per la nota pestilenza che afflisse il nostro esercito, non potei raggiungere subito il mio amico. Me lo imponeva il mio ufficio.
Come ben sai, in quel frangente mi trovavo in Dacia a capo degli exploratores per seguire le tracce e scoprire i piani degli Sciti che da mesi devastavano la provincia. Solo alla fine dell'anno, quando ormai il nemico era in rotta, potei incontrarlo di persona  nel suo accampamento.
<< Hai fatto un buon lavoro, Cecina >> mi disse non appena posi piede nella sua tenda. La dignità del suo contegno ben superava la stanchezza del corpo e una certa afflizione, seppur ben nascosta ad occhi ingenui, dello spirito; era appoggiato al lungo tavolo di legno pieno di mappe e dispacci, con le mani intente a giocare, distratte, con quelle carte. Fece segno ai presenti di uscire.
<< Cesare ... >> azzardai quando rimanemmo soli.
<< Pochi convenevoli, per questo ho mandato via gli altri. Come stai amico mio? >>
<< Sono stati mesi difficili >> risposi, << ma una minaccia è stata debellata  >>.
<< E altre si approssimano >> disse sconfortato. << Senza contare che ad oriente il nostro ostinato Sapore imperversa sulle terre romane come fossero sue >>.
<< Vuoi che mi rechi sul posto per acquisire maggiori informazioni? >>
<< No, amico mio. Mi servi qui, ora più che mai >>.
<< Cosa posso fare? >>
<< Scegli tu >> rispose trattenendo a stento una risata che tradiva frustrazione. << I marcomanni si sono stanziati in Pannonia e, a quanto pare, in procinto di entrare anche in Italia, i Franchi hanno raggiunto indisturbati l'Hispania. Sempre in Pannonia Ingenuo e in Mesia Regaliano si sono fatti nominare Augusti dalle loro truppe e mi dicono che anche Postumo, il generale che avevo scelto per scacciare dalla Gallia i Franchi e alleggerire la pressione di Quadi e Marcomanni, stia lavorando nell'ombra per prendere il mio posto >>.
<< Beh >> risposi come avrei fatto tanti anni prima quando eravamo il terrore di taverne e lupanari, incoraggiato dalla libertà che mi aveva concesso, << se tu la smettessi di dedicarti alle feste e accettassi di bere un'unica qualità di vino alla volta, forse potresti occuparti più degnamente dello Stato >>.
<< Maledetto dediticio[4], è così che parli al tuo Cesare? >> disse sorridendo mentre si accomodava su uno degli sgabelli che circondavano il tavolo. << Come vedi, però, non rinuncio a bere in coppe d'oro. Cerca pure, ho solo questa >> concluse sprofondato nella sua armatura . Dopo qualche istante di silenzio riprese a parlarmi: << E' questo che dicono di me a Roma, vero? >>
<< Così ho saputo >>
<< E cos'altro dicono di me i clarissimi e moralissimi senatori? >>
<< Che sei diventato un seguace di Anassagora. Se lo sapesse quel sant'uomo di Plotino[5] >>.
<< "Sapevo che mi aveva generato un uomo mortale". Così avrei esclamato in tono solenne per commentare la fine di mio padre. Quindi, oltre che sfaticato adesso sarei alieno alla pietà filiale >>.
<< Se è per questo dicono che sei un bambino che gioca a fare il re >>
<< Che importa! Quegli stupidi non hanno capito che Roma è cambiata. Ormai la nobilitas ha perso la sua linfa, gioca a creare padri della patria o dannati da dimenticare, come se ciò potesse realmente influire sulle sorti della Res Publica. So quanto tu ami la nostra storia e che credi nel valore della tradizione, ma i nostri padri sono defunti, come i padri dei nostri padri. Oggi non serve più a niente aggrapparsi ai ricordi >>.
<< Eppure, quella tradizione ha reso grande Roma >>.
<< Ma è morta! >> sbottò rizzandosi in piedi << Non c'è più acqua nei letti di quei fiumi, non scorre più sangue vivo in quelle vene. Guarda cos'è accaduto in tutti questi anni, guarda cosa accade ora. Dovrei cacciare oltre i confini i popoli che depredano le nostre città e le fattorie, che spopolano le campagne, che accampano pretese su terre sulle quali non hanno alcun diritto. Ed io, invece, devo preoccuparmi anche dei miei generali e della debolezza del Senato, che ratificherebbe anche la nomina di un asino perché incapace di scontentare l'esercito e provvido di elogi quando si tratta di conservare il diritto all'otium. E quelle cariatidi accusano me di giocare a fare il re, mentre cerco di difendere questo colabrodo, solo perché per salvare la nostra amata Roma non posso preoccuparmi di solleticare la loro vanità? Dovrebbero ringraziarmi solo perché non li ho ancora proscritti tutti quanti. Cecina, è all'oggi che devi guardare. Se perdiamo è finita ... per tutti. Come fanno a non accorgersene, come fanno quei generali a pensare al titolo di Augusto quando il rischio è di governare sul niente, come fanno a farsi corrompere tutti come se Roma non potesse mai cadere? Cartagine, amico mio, non ci ha insegnato niente? >>
Lasciai che si sfogasse. La mia vita sempre ai confini, fossero dello Stato, della visibilità, là dove si annidavano le serpi che volevano avvelenare Roma, e della legge se necessario, mi consentiva di comprendere quanto vere fossero quelle parole.  Le aveva dentro da parecchio, con me poté condividere la sua preoccupazione.
<< Io ricordo Cartagine >> dissi.
<< Allora, impediamo che venga distrutta! >>
 
Gli anni seguenti, durante i quali Gallieno fu costretto a reggere da solo le sorti della Res Publica, anche a causa della morte di suo figlio, Cornelio Salonino, per mano proprio di Postumo, furono degni dei supplizi che subiscono i condannati al tartaro. In più di un'occasione temetti che Roma sarebbe infine caduta, ma così non fu perché il mio buon amico leggeva i nuovi tempi meglio di me.
Dopo aver liquidato Ingenuo e Regaliano, i due Macriano nell'Illirico e Mussio Emiliano in Egitto, continuò ad affrontare la pressione e gli sconfinamenti delle tribù barbare, soprattutto Sciti, Alemmani e Marcomanni. Poiché di nemici da combattere ve n'erano già troppi promosse la libertà di culto entro i limiti di Roma ponendo fine alle proscrizioni che il padre, Valeriano, aveva inflitto ai cristiani.
<< I cugini di Mitra ti sono simpatici >> scherzai durante uno dei rari momenti in cui potevamo concederci una breve pausa dai nostri impegni ormai sempre più gravosi. << Allora è vero che sei contro gli dei >>.
<< Oh no, affatto >> rispose. << Sono a favore di tutti, nessuno escluso. In fondo è da Antonino che siamo tutti cives romani. Perché dovrei fomentare divisioni inutili tra cittadini quando nell'esercito e tra i più onesti c'è così tanta invidia?  Poiché i vecchi metodi non funzionano più, dobbiamo pur trovare il modo di proteggere Roma dal male che la sta disgregando. Unità ecco cosa serve: unità come unica è Roma >>.
<< Per questo hai tolto ai senatori la possibilità di guidare l'esercito!? >>
<< Era solo questione di tempo. I senatori guardano all'Urbe e alle maschere degli antenati, ma il centro di questo mondo si è spostato >>.
<< Hai anche aumentato il numero dei cavalieri per legione. Ti fidi così tanto di rapinatori come noi, avidi al punto da costringere lo stesso Cesare Ottaviano a toglierci gli appalti? >>  domandai con finto sarcasmo.
<< Per niente! Rimarrete sempre avidi rapinatori >> rispose accettando gioco, << ma i vostri cavalli vi rendono più veloci e con tutte queste guerre mi serve che siate mobili non incorruttibili >>.
<< Non credi >> chiesi di nuovo serio << che in questo modo non ci sarà più un legame tra l'esercito e l'Italia? >>
<< Da quanto non c'è più? Quanti cives sanno realmente parlare la nostra lingua o conoscono i nostri costumi, quanti tra i militari di carriera per esempio sono italici? Poiché l'essere romani non riguarda più soltanto l'Urbe o le terre di antica pacificazione, allora che ogni luogo del mondo in cui fioriscono il diritto, la lingua e gli uffici, che abbiamo ereditato dai nostri padri, sia Roma e tutti coloro che accettano la romanità siano romani. Dall'Italia non viene più niente. Te l'ho detto, di quei fiumi è rimasto solo il letto riarso. Quanti italici ci sono nella guardia di cui fai parte?[6] Forse ci sei solo tu >>.
<< Sarà come dici, ma rimpiango ancora i tempi dei nostri antenati >>.
<< Sono andati, Cecina. Pensiamo al presente. Unità amico mio, purché sia per Roma >> disse avvicinandosi a me, emozionato come se stesse per rivelarmi una verità appresa direttamente dalla bocca di Apollo o cercasse di arringare le milizie per caricarle prima della battaglia.
<< Cesare >> provai a rispondere non senza timore di offenderlo, << il problema è che l'unità è persa. Postumo ha creato un regno che comprende la Gallia, la Britannia e parte dell'Hispania e a oriente Odenato di Palmira[7] ottiene così tanti successi che a Roma è più amato di te. Cosa gli impedirà un giorno ... >>
<< Politica >>  rispose di nuovo lucido come chi si è appena risvegliato da un sogno. << Non si può >> tornato fiaccamente alle pergamene latori di cattive notizie, che solo qualche anno prima avrebbero dato voce a Orazio, Catullo e Apuleio, << combattere solo con le armi. Postumo in questo momento è utile nonostante tutto, visto che non ha preteso di essere chiamato Augusto e protegge quei luoghi dai nostri stessi nemici. Un giorno lo desteremo dalla sua vana illusione. Quanto a Odenato, so che il nostro buon cliente aveva offerto la sua amicizia a Sapore, ma, poiché è stato rifiutato come si confà a una meretrice che pretende di essere trattata da matrona, ora è il nostro più valido alleato. E lo è perché non ha altra scelta che esserci fedeli. Anzi, affinché si senta ancora più legato a Roma ho intenzione di associarlo a me e di affidargli la gestione delle province orientali. In altro modo non potrei salvare niente. Lascia che lui venga amato e io odiato. Non ho tempo per coltivare amicizie, ne ho solo una e mi basta. Devo obbedire al mio dovere >>.
<< Adesso sei pure seguace di Zenone?[8] >> commentai forzandomi di riportare leggerezza nel discorso, non potendo tollerare la sola idea dell'animo affranto del fratello che cercavo di proteggere e che mi sembrava ormai più vecchio di me.
<< Non mi è permesso pensare diversamente >> rispose. Poi scosse il capo quasi a volersi liberare da quella prostrazione o forse perché aveva ricordato i giorni delle nostre baldorie di gioventù passate a dileggiare la noiosa erudizione dei saggi e rugosi maestri. << Ma, mio buon Cecina, a differenza di te, non solo mi aggiro per la Stoa di giorno, ma attraverso il Peripato di notte. Io son figlio di Anassagora per amor di vilipendio personale, sebbene non colga ragione di tanto astio nei confronti di un uomo così saggio. E quando nessuno mi ascolta o mi vede, cioè mai, sono epicureo e sputo in faccia alla morte poiché la mia anima è composta di atomi che si disperderanno in conseguenza della mia dipartita. O mio buon amico >> continuò imitando i gesti e le pose grottesche dei servi furbi che popolano le commedie di Aristofane, << eppur che mai ad alcun venga in mente di dire che dispregio gli antichi culti. Sol Invictus è il mio comes, figlio son io di Mitra che tanto amano i nostri soldati soprattutto ad oriente, di Giove e di Marte. Venere è il mio più grande Amore e, per non disdegnare né greci né latini mi sacrifico contemporaneamente a Dioniso e a Bacco nelle mie libagioni. E, questo tienilo per te, dopo aver declamato in onore di Apollo strofino la faccia sulle ricche mammelle di Demetra ai cui misteri sono stato iniziato ... Io sono Roma, fratello mio >> disse ricomponendosi. << Io sono Roma, un solo corpo, un solo dovere, una sola anima e tanti tanti volti. Come dice sempre quel sant'uomo di Plotino non restringere la divinità ad un unico essere, farla vedere così molteplice come essa si manifesta, ecco ciò che significa conoscere la potenza della divinità, capace, pur restando quella che è, di creare una molteplicità di dei che si connettono con essa, esistono per essa e... >> Un sospiro, proveniente dalle profondità di quell'anima, formata di atomi, che lottava per non frantumarsi, gli impedì di concludere. Batté un pugno contro il tavolaccio, facendo saltare la coppa d'oro che vi era posata in prossimità dell'angolo.
<< ... vengono da essa >> lo aiutai a concludere la frase, pronunciandola a bassa voce, come fosse una preghiera.
Mi guardò di nuovo sereno, commosso come lo ero io quando guardavo te, figlio mio. << Alle volte >> mi disse << l'ordine razionale delle cose che tu hai sempre invocato è più difficile da accettare che da capire >>.
 
Lo rividi per l'ultima volta pochi mesi prima che una mano romana, guidata dal comandante della cavalleria dalmata, il maledetto Cecropio, e dal prefetto del pretorio Eracliano ponesse fine alla sua vita e a quella di suo fratello, Publio Licinio Valeriano.
I frutti del lavoro che con tanta fatica avevamo condotto in quegli anni di lutti e di sangue marcirono in un attimo alla vista delle orde di sciti ed eruli che fecero scempio della Macedonia, della Tessaglia, dell'Acaia, dell'Attica.
Quella marea di uomini era calata come una piaga di cavallette sulle nostre terre, proprio quando le insegne romane stavano per prevalere sulle finte aquile di Postumo e del suo socio, tale Vittorino, che inutilmente aveva tramato per allearsi con i Franchi.
Dalla Gallia, passando per Mediolanum, raggiunsi Gallieno poco dopo la strepitosa vittoria da lui ottenuta nei pressi della foce del fiume Nestos contro il grosso delle forze dei Goti. Da tempo ormai, alla guida solo dei miei exploratores mi occupavo di acquisire informazioni sui nostri nemici, prevalentemente barbari. Non avevo altro modo per servire lo Stato e Augusto.
Avrei di gran lunga preferito tenere sotto controllo gli intrighi provenienti dall'interno che proprio in quegli anni, lungi dal cessare, dilagarono come la peste che sterminò i legionari di Valeriano; avrei preferito attendere personalmente alla sicurezza del mio amico. Ma il fatto stesso di vergare questa lettera che ti mando dimostra che i miei desideri non furono esauditi.
 
<< Cesare, ho pessime notizie da darvi >> gridai stremato quasi incapace di rimanere in piedi dopo esser smontato da cavallo. Ancora mi vergogno dell'inadeguatezza delle parole e della postura con cui mi accostai ad Augusto, ma in quel momento a tutto pensai fuorché all'etichetta.
<< Vieni con me! >> ordinò bruscamente.
<< Siediti! >> mi disse, appena entrati nella sua tenda indicando lo scranno in cuoio su cui era solito sedere. Non v'erano triclini, non un'ancella, non il suono di un flauto. Guardando interdetto la sua faccia precocemente appassita per la fatica e il dolore capii che anche la mia giovinezza era fuggita via.
<< Non posso >> rantolai ancora alle prese con la sedizione delle mie gambe che credevano di dover stringere i fianchi del cavallo.
<< Ma su, non ci vede nessuno. Siediti! >>
Versò del vino nel suo calice d'oro e me l'offrì. << Bevi, amico mio, hai l'aria stanca. Non hai più l'età per simili gesta >>.
<< Ma è la vostra ... >>
<< Eh si, è proprio la mia. Bevi! Ma non ti abituare troppo >> continuò riempiendo fino all'orlo un bicchiere di vetro usato da chissà quale anonimo attendente << o diventerai mio nemico... Sai >> dopo aver trangugiato il nettare << non avevo mai bevuto da un bicchiere di vetro. Non capisco perché questo materiale mi fosse così ostile. Trattiene il vino esattamente come fa l'oro, se addomesticato dall'uomo per questo scopo >>.
<< Ho terribili notizie, Cesare ... da Mediolanum ... stanno programmando ... >> mi fermai ad un suo gesto che mi invitava a tenere il silenzio.
<< Prima di qualunque ferale notizia >> prese uno sgabello di legno a tre piedi e lo avvicinò a quella enorme sedia di cuoio su cui riposavo, << e di ferali notizie ne ricevo in continuazione in questi mesi >> si sedette davanti a me, << ho io una cosa importante da dirti >>.
Trovavo intollerabile che proprio lui cercasse di parlarmi da una posizione di inferiorità, resa più accentuata dalla sua schiena protesa in avanti, i gomiti puntellati sulle ginocchia. Sembrava volesse confidarmi un gran segreto. Provai ad incontrarlo a metà strada piegandomi fino a sentire dolore per poterlo guardare almeno negli occhi. Avvicinai l'orecchio convinto che volesse ordinarmi qualche missione della massima segretezza.
<< Sei diventato vecchio, amico mio >> scandì ad alta voce sorridendo come un fanciullo. << Dovrò farti visitare dal mio medico, forse riuscirà a curare la tua sordità >>.
Lo guardai stranito, quasi temetti che quegli anni persi a tappare i buchi del limes e a dar la caccia agli usurpatori avessero in qualche modo indebolito il suo senno.
<< Per questo >> riprese << e per l'encomiabile onore con cui hai difeso la Res Publica ... e la mia persona,  ho deciso di accelerare le pratiche del tuo congedo. Mi pare, infatti, che tu abbia quasi terminato gli anni di servizio che ti erano richiesti per legge, o sbaglio? No perché capirai che tra tante cose a cui devo pensare questo dettaglio potrebbe essermi sfuggito >>.
<< Non è importante, Cesare >> risposi con un'asprezza che il mio ruolo non consentiva di esternare. << Non ho alcuna intenzione di andare in congedo. Non ora che si sta preparando una congiura ai vostri danni >>.
Sospirò ancora il mio amico Gallieno prima di ricomporsi nell'atteggiamento del nobile e del sapiente che non teme la morte.
<< Ho già ricevuto parecchie informazioni al riguardo e sto provvedendo a rafforzare le misure per la mia sicurezza >>.
<< Ma questa volta >> ringhiai contro afferrandolo per un braccio come facevo da ragazzo quando lo esortavo a scappare dopo l'esito infausto di una rissa - infausto per qualcun altro, intendo << è la tua guardia che sta organizzando il complotto, probabilmente per favorire l'usurpatore Aureolo o dietro mandato di qualcuno dei tuoi generali. Si parla anche del tuo magister militum, quel  Marco Aurelio Claudio che proprio insieme ad Aureolo ti ha servito nella tua campagna contro Postumo; quel Marco Aurelio Claudio che  era in buoni rapporti guarda caso con Regaliano poco prima della sua rivolta. Questa volta la minaccia è seria. Tutte le mie fonti me lo confermano >>.
<< Ho deciso di promuoverti al rango di senatore >> mi rivelò come se le mie parole non l'avessero raggiunto, ricambiando la stretta al braccio con fare più gentile del mio. << La tua famiglia ha onorato Roma con la sua opera per tante generazioni e tu non sei stato da meno. Anzi, per quanto mi riguarda,  ti sei dimostrato il più onesto tra gli onesti. La nobilitas è  il degno premio per la tua dedizione >>.
<< Amico mio >> dissi serrando le mascelle per non perdere il contegno davanti a lui, avendo già perso il riserbo delle parole, << perché mi fai questo? Se sono stato utile come dici,  se la mia dedizione merita un premio, allora non permettere che io mi congedi proprio ora. Non farmi andar via >>.
<< Ma se è quello che hai sempre sognato >> rispose assestandomi una sonora pacca sulla spalla, << quello che la tua famiglia ha sempre sognato. Non ti sto cacciando, ti sto promuovendo. Te ne rendi conto, mio stolto amico? >>
<< Non avevi detto che l'ordine senatorio rappresenta  un passato ormai morto, che "non c'è più acqua nei letti di quei fiumi, non scorre più sangue vivo in quelle vene"? Non sei stato proprio tu a dirmi  che oggi non serve più a niente aggrapparsi ai ricordi? Mi consigliasti di farmi guidare dalle verità dell'oggi e non dal rimpianto per un passato defunto >>.
<< Ah ti ho detto questo? Non lo ricordo >> disse alzandosi lentamente. << Comunque, è una decisione che ho già preso >>.
<< E che io ti chiedo di riconsiderare >> replicai scattando sull'attenti, fiero e spavaldo come si conviene ad ogni romano. << Poiché indietro non si torna e visto che, a causa anche delle tue riforme, l'appartenenza all'ordo equestris è più utile alla carriera militare e civile nella Res Publica; per tutto questo, allora, non per me, ma per i miei figli rinuncia a promuovermi e, se proprio vuoi che io mi congedi, lascia allora che prima addestri il mio primogenito Licinio, affinché serva degnamente lo Stato e protegga la tua persona al mio posto >>.
<< Quanto credi che vivrò? >> chiese accostandosi al rettangolo di legno che copriva un intero lato della tenda.
<< A lungo se mi permetterai di occuparmi della tua sicurezza, ovviamente a modo mio. Spero tu possa fidarti della mia lealtà >>.
<< Posso mettere in dubbio gli dei, non la tua amicizia. Sei stato davvero stupido, Cecina. Tipico di chi fatica a leggere i mutamenti nelle cose umane come in quelle divine. Se avessi intrapreso la carriera militare e non ti fossi intestardito con la guardia pretoriana, adesso saresti un mio generale non una mia spia >>.
<< Ero più adatto a questo ruolo >> risposi.
<< Avrei voluto essere più adatto al mio. Ho fatto quello che ho potuto, ho lottato contro i nemici esterni ed interni, anche contro le mie debolezze. Quasi invidio i miei predecessori per essere stati uccisi così presto. Questi quindici anni sono volati, amico mio, eppure mi sembra di aver vissuto solo quelli. Se ripenso a come eravamo, ho quasi il timore di scoprire che sto guardando la vita di un altro. Dovere è il mio compagno. Ormai ... >> continuò sforzando inutilmente un sorriso incerto << è la mia unica virtù. Zenone sarebbe fiero di me. Unità è il mio sogno. Il buon Plotino ha un bel parlare di volgersi all'interno, ma il mio interno è Roma; egli ha sicuramente ragione quando dice che compito del sapiente è unirsi all'Uno. Lui in alcuni momenti ci è riuscito. Per me l'Uno è Roma, dalla Britannia alla Mauritania, dalla Retia alla Pannonia, dalla Grecia all'Egitto e alla Siria. L'ho inseguito con tutte le mie forze, ho cercato di offrirmi come quella coppa che stringi tra le mani, affinché tutti i vini di Roma potessero trovarvi la giusta casa. E invece, Zenobia, vedova di Odenato ha fondato un regno con tutti i territori che il marito ha riconquistato grazie alle truppe e al sangue romani; Postumo cerca l'aiuto dei Franchi, gli Alemanni stanno attaccando l'Italia. Aureolo, il mio magister equitum, colui che doveva aiutarmi a sconfiggere Postumo e il suo socio e proteggere l'Urbe da altre orde di barbari di cui non riesco più neanche a ricordare tutti i nomi; proprio lui si fa acclamare dal mio esercito e manda lettere d'amore proprio a Postumo. E tutto questo mentre non sono ancora riuscito a debellare l'invasione dei Goti, perché di invasione si è trattato, come mai Roma ne ha conosciute. Avevo tante idee e così poco tempo per realizzarle. I miei figli sono morti... E no! no! no! NOOOO! >> gridò infuriato agitando i pugni.  << Non mi tirerò indietro, non lascerò le cose a metà. Fin quando sarò vivo darò la caccia ad ogni tribù straniera che tenterà di entrare in casa nostra senza permesso, spazzerò via ogni forma di secessione e ucciderò gli usurpatori >>.
<< Allora, permettimi di aiutarti ancora >> approfittai di un attimo di silenzio. << Perché ti giuro, amico mio, che lo farò anche da civile se non mi offrirai altra scelta... E poi lo sai che anch'io odio le cose lasciate a metà >>.
<< Come vorresti aiutarmi? >> domandò quasi senza voce.
<< Per prima cosa >> non aspettavo altro, << permettimi di tornare a Mediolanum e a Roma per acquisire le prove della congiura e i nomi di tutti i partecipanti. Non preoccuparti, passerò sotto il naso di Aureolo senza che se ne accorga, sai bene che so essere invisibile. In secondo luogo, concedimi di valutare l'affidabilità della tua scorta e di rimpiazzarla con uomini di assoluto valore e degni di fiducia. Ma soprattutto, non partire per Mediolanum. Manda qualcun altro, puoi contare su ottimi generali. Resta quì a schiacciare i Goti e gli Eruli che hai già decimato, affinché non si riprendano più dalla sconfitta e, anzi, tramandino a figli e nipoti il terrore per l'aquila  >>.
Era ancora appoggiato sulle braccia contro il tavolo, sembrava assorto. Pregai gli dei che le stesse valutando con favore le mie richieste.
<< Quindi, non vuoi diventare senatore, Cecina. Ho capito bene? >>
<< Assolutamente sì, Cesare! >>
Lo vidi rovistare tra le carte ammassate e prendere, infine, una pergamena arrotolata, chiusa dal sigillo della sua nobile casa. Poi si diresse verso l'uscita fermandosi davanti ad una delle torce già accese all'interno della tenda. Traendola dall'anello in ferro che cingeva un palo di sostegno, << questa >> disse << è la disposizione che avevo intenzione di mandare ai miei funzionari a Roma affinché registrassero la tua promozione al rango di senatore. Se adesso la brucio, in futuro potrei non essere in condizione di scriverne un'altra >>.
<< Non credo che lo chiederò >> risposi.
Austero e dignitoso da par suo lasciò che quelle fiamme divorassero lentamente il sogno dei miei antenati sin da quando si trasferirono in Etruria. Eppure non provai rimorso. Pur sapendo che la mia scelta costituiva un tradimento ai danni di tutto ciò in cui avevo creduto e della stessa magia della mia famiglia, non mi sentii un traditore, né un figlio indegno.
<< Ti rendi conto che su di te esistono pochi documenti ufficiali? >> il tono leggero della sua voce strideva con la solennità del momento. << Quasi nessuno, tranne me e pochi altri, e di certo non Aureolo, sanno della tua esistenza. Se volessi, potrei punire la tua presunzione cancellandoti dalla storia. Se io morissi, nessun altro si preoccuperebbe di sapere se sei ancora vivo o morto, dove e per quanto tempo hai servito come trecenarius >>.
<< Allora, mi auguro che Fortuna sia dalla vostra parte >> commentai.
<< Lascia perdere quella dea volubile. Non ci ho mai fatto troppo affidamento. Un giorno dovrò insegnarti il modo corretto di parlare con me, o almeno scegline uno e segui solo quello >>.
<< Allora, inten....di assecondare le mie richieste? >>
<< Ci penserò, ma per l'ultima ti dico che la risposta è "no"! Lo so, lo so, è rischioso, ma, come ti ho detto, sto già prendendo tutte le precauzioni necessarie. E poi non credere di essere solo tu l'unica persona di cui possa fidarmi. La modestia, del resto, non è mai stata il nostro forte ... Non voglio, Cecina, non devo rimanere qui. In Italia non c'è solo un usurpatore che tocca a me sconfiggere, ci sono anche le tribù alemanne che scorrazzano indisturbate poiché mio ex magister equitum, invece di proteggere i luoghi che pretende di governare senza diritto, si è asserragliato a Mediolanum in attesa del mio arrivo. Mediolanum, Cecina, è Roma. Chi possiede Mediolanum possiede le chiavi che aprono le porte dell'Urbe. La mia sola presenza fiaccherà, vedrai, il già debole coraggio dei nostri traditori >>.
<< Non sono d'accordo. Io penso ... >>
<< Basta! >> gridò. << Non ho chiesto il tuo parere. Valuterò quanto mi hai detto dopo che avrò ucciso un altro nemico della patria e delle sue legittime istituzioni. Piuttosto, ascolta i miei ordini: ho bisogno che tu segua a distanza i Goti in fuga. Devi scoprire se tentano di ricongiungersi con gli altri gruppi ancora presenti nell'Ellade e riferirai a Claudio. Esatto, non lo porterò con me, lascerò che sbrighi lui questa pratica. Se davvero manovra alle mie spalle, allora preferisco tenerlo lontano, sapendo che terrai d'occhio anche lui. All'esito dell'assedio di Aureolo ti farò chiamare... Vai adesso, devo parlare con i miei generali! >>
Ti confesso, figlio mio, che la punta di una daga spinta contro il mio ventre mi avrebbe procurato meno dolore di quelle parole. Ma come soldato era giusto che obbedissi.
Già conosci il resto della storia e la tragica fine che il nostro Augusto Gallieno incontrò insieme al fratello, ancora più tragica se consideri che alla notizia della sua morte la viltà che alberga nel cuore degli uomini piccoli e invidiosi poté mascherarsi da ira, abbattendosi contro familiari, amici e clienti di un uomo che ben più di altri, tra coloro che lo precedettero, meritò la corona radiante di Sol Invictus .
 
 
Io fui risparmiato poiché nessuno, nel clamore di quei quindici anni di tempesta che si abbatterono sulla nostra felice patria, sapeva chi fossi in realtà. Per questo bruciò quella lettera, per salvare il suo amico e tuo padre.
Claudio, poi asceso agli stessi onori di Gallieno, rimase impressionato dalla mia efficienza e mi propose di prolungare la leva, offrendomi niente meno che la Prefettura del Pretorio. Non avevo e non ho le prove di un suo coinvolgimento in quella sciagurata vicenda, ma, anche se fosse stato innocente, io non avevo più motivo per continuare. Ero ormai vecchio e disilluso e il mio compito era terminato con la morte di un amico.
 
Perciò, figlio mio, sentiti libero di chiedere tutto l'aiuto che può venirti affinché quella fausta proposta trovi il favore di quel Diocle, l'illirico, che ha preso ora il posto che fu di Gallieno. Tuttavia, ti prego di meditare su quanto ho appreso e ti ho scritto. Scegli secondo ciò che è bene e così come consigliano i tuoi tempi, che non sono più i miei, sebbene il tuo tempo sia figlio del mio ed abbia nei confronti di esso un debito di riconoscenza.
Tieni a mente che è facile, mio amato Licinio, elogiare la casa del tuo ospite che altri hanno restaurato; è facile acclamare il generale che guida il trionfo per vittorie ottenute da altri e più abili ufficiali; è facile complimentarsi con il padrone di casa per la ricchezza della tavola che altri, prima di lui, hanno imbandito.
Cedendo, tuttavia, al vizio dell'orgoglio, posso dirti che il mio buon amico Publius Licinius Egnatius Gallienus non aveva del tutto ragione quando cercava di convincermi a diffidare dell'amore per il passato. In quelle antiche vene scorreva ancora sangue vivo e acqua fresca fluiva nei letti conosciuti di quei fiumi.
Quel sangue e quell'acqua Gallieno aveva in abbondanza e ne ha donato fino all'ultima goccia durante la sua intensa e travagliata vita.
Se questa mia lettera riuscirà nell'intento di lavare quella macchia che offusca la nitidezza del tuo cuore, allora, ti prego, quando apprenderai la notizia della mia fine spendi, durante l'elogio, giuste parole anche nei confronti del mio buon amico, il cui ricordo già sbiadisce nella memoria di Roma.
Di' a chiunque voglia ascoltarti che nell'ora più buia un uomo mortale ha combattuto contro la disgregazione che minacciava l'unità dall'interno e dall'esterno!
Di' loro che un uomo mortale ha piegato al dovere, che il Fato gli aveva imposto sin dalla nascita, le sue debolezze, le sue virtù, il suo amore di figlio, di marito e di padre!
Di' loro di non dimenticare quell'uomo mortale che ha protetto le case dove ora giocano i vostri figli combattendo contro i capricci di Fortuna e l'ostilità degli dei!
Di' loro di non dimenticare quell'uomo che da solo ha sfidato a piè fermo la tempesta che voleva affondare la nostra meravigliosa nave!
Di' loro che contro tali nemici, così terribili che avrebbero fatto tremare le ginocchia persino agli Scipioni, egli ha vinto!
Di' loro non dimenticare Gallieno!
Addio, figlio mio.
 
Post scriptum: Dimenticavo. Sarei un pessimo padre si ti lasciassi senza un consiglio e un pessimo vecchio se non fossi certo che potrebbe un giorno esserti utile.
Ascolta, caro Licinio, bevi sempre dalla stessa coppa, ma mai ... MAI ... la stessa qualità di vino. Io l'ho fatto e ho scoperto delizie che, altrimenti, non sarei riuscito neanche a sognare. Addio.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Nota dell'Autore
Non so spiegarmi perché proprio Gallieno. Scartabellando tra i miei libri ho riletto volentieri di Clistene e Periche, di Scipione l'Africano, Tiberio e Caio Gracco, Giulio Cesare e Augusto; ho rinfrescato la mia passione per Marco Aurelio, per Giustiniano, per Carlo Magno e Saladino. Ma Publio Licinio Egnatio Gallieno voleva essere ascoltato, nonostante fosse faticoso comprendere il linguaggio di un imperatore romano vissuto in anni confusi, ancora oscuri per la storiografia moderna e per quella antica. Prudentemente, perciò, metto le mani avanti per attenuare l'impatto con le giuste obiezioni che lettori più esperti potranno muovere sulle lacune presenti in questo breve scritto. Mi consolo con la pochezza della fonti e con i dibattiti tra gli storici contemporanei che solo adesso stanno rivalutando la figura di un uomo dimenticato, quando non vilipeso, dai suoi immediati successori.
Ho cercato di immaginare cosa pensassero, come parlassero i miei due protagonisti, alle prese con la decadenza del III secolo d.c. Uno è imperatore, rampollo di antiche famiglie (la Licinia e la Egnatia) patrizie che avevano attraversato con ruoli di primo piano  la storia sin dall'età repubblicana; l'altro (inventato) è il discendente di un altrettanto antica famiglia appartenente al ceto equestre, legata a quella di Gallieno, probabilmente da consolidati rapporti di clientela.
Mi sono sforzato di essere Gneo Cecina Sicano, un equites e una spia del III° secolo che parlava con il primus inter pares del III°, nel periodo della cosiddetta "anarchia militare" tra il 235 e il 285 d.C.
CONSIGLIO, pertanto, di non leggere ciò che i personaggi pensano, dicono e vivono alle luce di suggestioni contemporanee o, peggio, di un infelice passato ancora recente ... e questo dico quali che siano i gusti e le opinioni. Lasciamo che ogni tempo parli la sua propria lingua. Se ho fallito nel tradurla è solo per mio difetto e di ciò mi scuso ... con il mio buon amico Gallieno.
Concludo accennando alle mie fonti.
Per quanto riguarda lo scheletro dei fatti nudi e crudi che si svolsero negli anni tra il 253 e il 268 d.c. mi sono rifatto a https://www.romanoimpero.com/2009/07/gallieno-260-268.html , al buon wikipedia e ad un mio testo del liceo.
Per ricostruire sia pur per cenni (ci ho provato) la società romana di quegli anni ho attinto informazioni da un testo di istituzioni di diritto romano (di cui materialmente, al momento, non dispongo) e da "Roma e il suo Impero" di F. Jacq e J. Scheid, Ed Laterza.
Per quanto concerne il modo di pensare di quegli uomini, dichiaro il mio debito di riconoscenza nei confronti di  Plotino (Enneadi), Marco Aurelio  (La proairesi a se stessa) e Cicerone (Epistulae). Mi auguro solo che non mi maledicano troppo.
Per non perdere molto tempo e, soprattutto, il lavoro ho furbescamente tradito, quando erano distratti, i miei maestri attingendo al cibo precotto e predigerito di Nicola Abbagnano  in "Storia della Filosofia" volume I, Ed TEA.

 


[1] Nella piramide sociale, così come si delineò dal consolidamento del Principato in poi gli "honestiores" erano al vertice. Ne facevano parte i cittadini della "nobilitas" senatoria e dell'ordo equestris.

[2] Publius Licinius Egnatius Gallienus 218-268 d.C. fu imperatore romano insieme al padre, Publius Licinius Valerianus dal 253 al 260, e da solo fino alla sua morte avvenuta a Milano nel 268 d.C. a quanto pare a causa di una congiura ordita dalla guardia pretoriana.

[3] Il trecenarius era uno dei centurioni che guidava una coorte della Guardia Pretoriana. Ancora oggetto di discussione la ragione dell'appellativo, guidava 300 speculatores che, a quanto pare con compiti di intelligence. Quando il trecenario era chiamato a controllare le attività nemiche, si diceva guidasse gli exploratores. Non ho elementi per affermarlo, ma ho pensato che la differenza tra speculatores e exploratores fosse legata non agli uomini, ma al tipo di attività che erano chiamati a svolgere di volta in volta.

[4] Dediticium è una categoria di persone residenti all'interno dell'impero, ancora non esattamente definita dagli storici moderni. I dediticii erano comunque coloro che non possedevano la cittadinanza romana, nonostante l'estensione della stessa a tutti gli abitanti al di qua del limes disposta con la Constitutio Antoniana nel 212 d.C. da Marco Aurelio Antonino Augusto, noto come Caracalla.

[5] Plotino (203-270 d.C.) fu il massimo esponente della scuola Neoplatonica. Non è chiaro se Gallieno fu suo allievo, ma di certo lo conosce e ne fu, probabilmente, protettore.

[6] Settimio Severo imperatore dal 193 al 211 d.C. riformò la Guardia Pretoriana inibendone l'accesso agli italici. Dopo la Constitutio Antoniana non fu più necessaria la distinzione. L'ingresso fu consentito a tutti... quelli che ne avevano diritto

[7] Re di Palmira e cliente di Roma morì nel 267 d.C.. Nel 265 gli fu conferito il titolo di Dux romanorum e corretctor totius orientis a seguito dell'opera di riconquista, su mandato di Gallieno, delle province orientali cadute nelle mani dei Parti. Alla sua morte la vedova, Zenobia, succedutagli, pensò bene di rivendicare come proprie quelle terre conquistate e gestite in appalto

[8] Zenone di Cizio (336 - 264 a.C.) fondatore in Atene della Scuola Stoica

   
 
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