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Autore: Ardesis    24/06/2019    7 recensioni
E se una piccola deviazione di percorso avesse compromesso l’intera vicenda?
Genere: Erotico, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Una flotta di nuvoloni cupi invase il cielo, portando con sé la minaccia di un violento temporale. Oscar, con sollievo, riuscì a raggiungere la caserma appena prima che si scatenasse il pandemonio.

Si installò nel proprio ufficio in attesa che smettesse di piovere e decise di sfruttare quel ritaglio di tempo libero per parlare con il Colonnello D’Agoult. Era necessario cominciare al più presto a progettare degli interventi per rimettere in sesto quella Caserma.

-Voi ricoprite questo ruolo da molto tempo, perciò il vostro parere è fondamentale.-

Gli spiegò quando il vice le fece notare che lei, in quanto Comandante, aveva il diritto di prendere le decisioni senza doversi confrontare con nessuno.

Discussero a lungo dei turni, delle scuderie, dei soldati, delle munizioni, dei ranci e delle paghe. Oscar apprezzò molto la franchezza e il tatto che quell’uomo dimostrò di avere. D’Agoult parlò molto, ma senza sprecare le parole, e le fece capire che le rogne erano all’ordine del giorno. Conservò sempre la sua aria indolente e si astenne dal fare accuse. Lasciò, però, intendere che le difficoltà elencate derivavano principalmente da un dato di fatto: buona parte delle risorse, di qualsiasi genere, era da sempre destinata ai corpi militari più vicini alla nobiltà. Oscar riconobbe, con una contrazione di stomaco, di averlo sempre saputo, ma di non aver mai dubitato che fosse giusto così.

Promise -più a se stessa che a D’Agoult- che si sarebbe prodigata per attirare la considerazione delle autorità, poi aggiunse con voce cupa che sarebbe stato necessario chiedere ai soldati uno sforzo per dimostrarsi in grado di competere con l’ordine e la disciplina della Guardia reale. 

-Colonnello D’Agoult, pretendo che mi vengano assegnati gli stessi turni dei soldati. Inoltre, desidero che mi sia servito lo stesso cibo che consumano i miei uomini. D’ora in avanti in questa caserma mi sarà negato qualsiasi trattamento di favore. L’unico privilegio che intendo conservare è quello di dormire nella stanza destinata agli ufficiali.-

D’Agoult la lasciò parlare. 

-Informate i soldati che non ci saranno punizioni corporali, ma solo castighi utili per il bene della caserma. In ultimo, desidero che ogni soldato si occupi del cavallo che gli verrà assegnato, come io farò personalmente con il mio. In questo modo risparmieremo tempo e denaro.-

-Agli ordini, riferirò tutto immediatamente.-

-Comunicate solo le disposizioni che riguardano il reggimento e la caserma. Non è necessario che i soldati conoscano le decisioni che hanno a che fare con la mia persona.-

 

 

 

Il cielo cominciò a rasserenarsi solo nel primo pomeriggio. Qualche raggio di sole sfondò la barriera compatta di nubi e la pioggia si ridusse fino ad esaurirsi. Le nuvole, da grosse e grigie, si fecero bianche e sottili come veli sciolti nel vento.

Oscar si rasserenò insieme al cielo e si preparò per assistere alla parata che avrebbe consacrato il suo ruolo. Ma proprio mentre stava per lasciare l’ufficio, il Colonnello D’Agoult si presentò alla porta, nervoso e trafelato, e la informò che i soldati si rifiutavano di lasciare le camerate e di schierarsi in piazza d’armi. L’unica reazione di Oscar fu un brusco cambio di tono del suo incarnato, che si fece pallidissimo. Non disse nulla. Si prese qualche secondo per riflettere, poi aggrottò le sopracciglia e senza pronunciare nemmeno una parola si lasciò alle spalle D’Agoult e si diresse a passo svelto verso le camerate.

-Ritenete che non sia degna del mio ruolo senza nemmeno conoscermi?-

Ruggì spalancando la porta.

-Osate giudicare il mio valore senza criterio, mancandomi di rispetto. Almeno lasciate che ve lo dimostri. Se qualcuno tra voi desidera di sfidarmi in duello, sarò felice di battermi. Pistola o spada, per me è indifferente.-

I soldati si accesero e presero ad incitarsi l’un l’altro ad accettare la sfida. Un omone lungo e largo emerse dal gruppo sbuffando dal naso e avanzò verso Oscar con lo sguardo duro e la bocca tesa in una smorfia di superbia.

-Spada.-

Disse feroce, fermandosi a meno di un passo da lei con il chiaro intento di intimorirla. Oscar sostenne lo sguardo del soldato e parlò con voce fiera:

-Se vinci tu, lascerò il comando. Se vinco io, tutti quanti sfilerete nella parata.-

Gli uomini risposero in coro che accettavano le condizioni e qualcuno cominciò a proporre scommesse sull’esito del duello. Tutti puntarono senza esitazioni sulla vittoria del proprio commilitone, ridendo come iene al pensiero che una donna esile e leggera potesse sperare di sconfiggere un uomo massiccio come un toro in uno scontro corpo a corpo. Soltanto Alain, che aveva assistito alla scena in disparte e in silenzio, si fece avanti e, fingendo di scherzare, disse che scommetteva metà della propria paga a favore del Comandante. 

Raccolte le puntate, tutti si riversarono in gregge nel cortile, dove i due sfidanti si erano già preparati ad affrontarsi.

-Al primo sangue.-

Decretò Oscar estraendo la spada dal fodero con un gesto aggraziato. L’avversario la imitò, ma senza sforzarsi di eguagliare la sua eleganza. 

Il duello cominciò con un attacco quasi simultaneo di entrambi gli sfidanti. Le spade di incrociarono, si sfregarono e si evitarono più volte in una successione di fendenti e stoccate, mentre il metallo delle lame, continuamente sollecitato e colpito, emetteva una melodia ipnotica di suoni vibranti. 

La sfida fu breve, come gli uomini avevano previsto, ma l’esito deluse le loro aspettative. Nessuno riuscì a dissimulare il proprio stupore nel vedere il soldato cadere in ginocchio sul selciato umido di pioggia, con un taglio sottile ma visibilissimo appena sotto la clavicola e con la spada del Comandante a due dita dalla gola.

-Bene, soldati, mi aspetto che rispettiate gli accordi!-

Esclamò lei con voce pulita, senza traccia di affanno né di alterigia, mentre allontanava la spada dal collo dello sconfitto, che, come instupidito, seguitò a stare in ginocchio sui ciottoli con lo sguardo basso.

I volti dei soldati cangiarono espressione tutti al medesimo tempo. Le facce stupefatte si gonfiarono di rabbia e divennero rosse come maschere di ferro rese incandescenti da una fiamma. Oscar rispose lanciando loro sguardi di ghiaccio. Ma lo scontro di occhiate tra lei e i suoi uomini durò meno del duello con le spade. 

Alain si staccò dal gruppo di soldati con le braccia incrociate sul petto e un sorriso largo stampato sul volto. Avanzò fino a trovarsi ad un passo da Oscar e, mentre la fissava in silenzio, diede un calcio al fianco del proprio compagno, che si alzò subito e si ritirò a spalle curve. 

Alain si prese il tempo di analizzare da vicino il viso accaldato del Comandante come se lei non potesse accorgersi di essere osservata. Le sorrise con sarcasmo e pensò amaro “Che intollerabile spreco di bellezza.”

-Avete vinto, Colonnello. E avete dimostrato il vostro valore. Ma non cambia il fatto che noi non vi vogliamo come Comandante. Sfileremo nella parata, perché un patto è un patto, ma non aspettatevi che diventiamo un gregge docile e ubbidiente. Non accetteremo mai ordini da una donna aristocratica, mettetevelo in testa.-

Poi, rivolgendosi ai propri compagni, forzò di proposito il piglio da Ufficiale ed esclamò con voce grossa:

-Avanti, adesso schieratevi.-

 

 

 

 

 

Per qualche giorno si instaurò nella caserma un clima teso, ma tranquillo. I soldati erano in apparenza mansueti e si limitarono ad avanzare qualche timida protesta per l’ispessimento dei turni e la moltiplicazione delle mansioni che toglievano tempo ai momenti di gozzoviglia. 

D’Agoult confidò ad Oscar di essere convinto che, dopo il duello, si fossero ormai rabboniti. Oscar non si pronunciò a riguardo. Aveva la sensazione che i soldati non avessero affatto sepolto l’ascia di guerra ma l’avessero solo conservata. E poi, non le bastava rabbonirli. Oscar voleva conquistarli, farsi accettare e ricevere fiducia. 

Quando venne sabato, decise di tornare a casa per farsi un lungo bagno profumato, spogliarsi delle preoccupazioni e riordinare le idee.

Lasciò la caserma prima di mezzogiorno e cavalcò tra le strade di Parigi sotto un bel sole brillante, ma non appena oltrepassò il confine urbano per addentrarsi tra i boschetti della periferia, si ritrovò investita da un vento gelido e spietato che la colpì in faccia facendole lacrimare gli occhi. 

Il sollievo che avvertì quando varcò i confini della propria residenza ebbe vita breve. Non appena mise piede nelle scuderie, vide e riconobbe subito lo stallone grigio di Girodelle circondato dagli stallieri di Palazzo Jarjayes che lo ammiravano e lo accudivano quasi con ossequio. Lasciò anche Cesar nelle loro mani e con lo stomaco chiuso, più per la sorpresa che per l’ansia, si incamminò a passo di marcia verso casa, affrontando le raffiche sferzanti di vento che, come un monito, insistevano a spingerla lontana dall’ingresso.

 

 

 

 

Il Generale Jarjayes, in una lettera di squisita cortesia, aveva comunicato a Victor de Girodelle di aver chiacchierato con la figlia e l’aveva, infine, invitato a presentarsi di persona a Palazzo Jarjayes per dichiarare ad Oscar i suoi sentimenti guardandola negli occhi. Victor aveva seguito il suggerimento e per tre mattine di seguito aveva fatto visita a Palazzo, invano. Oscar non si decideva a lasciare la caserma e a tornare a casa.

In quei tre giorni di tentativi vani, si era alzato all’alba per abbigliarsi, aveva disertato i propri doveri di Ufficiale e si era presentato a Palazzo Jarjayes a testa alta, convinto di avere un aspetto impeccabile. Per l’occasione, si era fatto confezionare un abito speciale. Un capolavoro di broccato color pesca. Eppure, nonostante tutto, ogni volta che metteva piede in quel Palazzo gli piombava addosso, puntualissima, la sensazione di essere inadatto. Un elemento di stonatura in un contesto di armonia.

La sua sicurezza si sgretolava e lui finiva per trascorrere tutto il tempo dell’attesa a tentare di convincersi che lo specchio del salotto di Palazzo Jarjayes non fosse affidabile.

Nella tarda mattinata di quel terzo giorno di visita, un sabato chiaro e ventoso, Victor vagava con le mani dietro la schiena nella raffinata sala da pranzo di Palazzo Jarjayes, lieto che la servitù l’avesse lasciato da solo con la propria agitazione. Quando non guardava lo specchio per assicurarsi -e convincersi- di essere attraente, lanciava occhiate nervose fuori dalla finestra sperando di vedere il cavallo di Oscar attraversare il cortile.

Proprio quando cominciava a rassegnarsi a riprovare il giorno seguente, Oscar si concretizzò sulla soglia della porta senza farsi annunciare da nessuno.

-Madamigella Oscar, buongiorno, ben tornata a casa.-

La salutò con voce roca, tirando le labbra in un sorriso esagerato. La ammirò da capo a piedi e si sentì svuotato di se stesso, perdutamente sedotto.

-Buongiorno, Girodelle. Vi trovo bene. Siete un ospite molto gradito. Mi è stato riferito che mi aspettate da qualche ora, perciò spero che accettiate di restare a pranzo.-

Victor accettò, ma l’emozione gli impedì di udire il suono della sua stessa voce. Si accomodò a tavola con movimenti rigidi, precisi, terrorizzato dal poco controllo che aveva sui propri nervi.

Oscar prese posto di fronte a lui e solo allora Victor riuscì a vederla davvero. Ebbe l’impressione che lei avesse un fascino più virile di lui, ma non se ne risentì, perché la trovava coerente con se stessa e squisitamente provocante. Indossava ancora l’uniforme, aveva il viso e gli occhi arrossati dal sole e dal freddo, l’espressione stanca e i capelli biondi impregnati di vento. La ascoltò scusarsi per il proprio aspetto disordinato e scomposto e le rispose con un sorriso assente, pensando a malincuore che anche così lei facesse una figura migliore di lui, che invece aveva passato ore a prepararsi.

Conversarono a lungo, mentre Marron e un paio di domestiche entravano e uscivano dalla sala in silenzio e con occhi bassi per servire le portate.

La disinvoltura del comportamento di Oscar convinse Victor di essere caduto in un tranello del Generale. Forse Oscar non sapeva nulla della proposta di matrimonio. Lì per lì, tra una chiacchiera e una battuta leggera, Victor non riuscì a valutare se potesse essere un bene o un male.

Il pranzo procedette sereno e terminò con un sobrio dolce alle more inzuppato di rum. Victor fissò la pietanza ben disposta sul piattino e capì che era giunto il momento di dichiararsi. Sollevò gli occhi e notò, con una sorta di perversa gelosia, che Oscar si era incantata ad osservare la pasta tenera e scura del dolce che cedeva sotto l’assalto della sua forchetta. Così, prima che quella leccornia gli rubasse del tutto la scena, le disse d’un fiato:

-Oscar, io sono qui per un motivo molto serio.-

Lei si impietrì nel sentir pronunciare il proprio nome di battesimo, orfano del rispettoso titolo di Madamigella. Riappoggiò la forchetta con il boccone di dolce ancora intatto e guardò Victor sbattendo più volte le palpebre, incredula.

-La vostra assenza da Versailles ha lasciato un vuoto doloroso e profondo nelle mie giornate. Quando sono lontano da voi, il mio cuore sembra non trovare la forza di spingere il sangue nelle vene. Ma dovreste sentire con quanto vigore mi pulsa nel petto ora che mi siete di fronte!-

Si era lanciato in quella dichiarazione come un cavallo al galoppo e non aveva minimamente considerato il disagio delle cameriere che si erano immobilizzate attorno al tavolo, come spaventate, indecise se fingere di non sentire o se lasciare subito la stanza.

-Il sentimento che nutro per voi mi consuma, Oscar. Mi sono accorto di non aver mai posato gli occhi su un’altra donna senza paragonarla inconsciamente a voi.-

Oscar continuò guardarlo in silenzio come se fosse stata parte di un pubblico di teatro che ascolta con distacco un attore che lancia provocazioni alla platea.

-Vi amo, Oscar, con passione, rispetto ed infinita tenerezza.-

Concluse lui cercando nel suo sguardo una qualsiasi reazione e si sentì avvampare quando la vide schiudere le labbra. Dovette, però, ridimensionare la propria emozione perché lei non si rivolse a lui, bensì alle due cameriere per congedarle. Soltanto quando si trovarono da soli, Oscar finalmente gli rispose.

-Dovete dimenticarmi, Girodelle.-

Mormorò fievole ma decisa. Il volto del Visconte si fece pietra.

-Mi dispiace.- Aggiunse lei chinando la testa. -Ammiro l’audacia e l’onestà che mi avete dimostrato venendo ad offrirmi di persona i vostri sentimenti, nonostante io abbia già rifiutato la vostra proposta.-

Victor udì chiaramente lo schiocco del proprio cuore che si spezzava. “Dunque vengo respinto per due volte?”

-Non sono adatta a voi.-

Concluse lei con voce stanca, sollevando lo sguardo quasi a fatica.

D’improvviso, una nuvola di passaggio offuscò la luce intensa del sole che aveva invaso la stanza fino a quel momento. Il volto di Oscar si incupì, perse colore, svelò nell’ombra una spossatezza e una malinconia che Victor trovò quasi poetiche. 

Si convinse che lei avesse parlato per umiltà e provò l’impulso di assicurarle che nemmeno lui si sentiva adattoa lei. Ma appena prima di aprire bocca, comprese che le sue parole avevano un significato molto più complesso. Oscar gli aveva velatamente fatto intendere che le loro due vite non sarebbero mai combaciate.

“Guardatevi e guardatemi, Girodelle. Ciò che siamo -come ciò che indossiamo in questo momento- ci fa sentire inadeguati l’uno all’altra. Non ci sentiamo a nostro agio con noi stessi quando siamo insieme, ecco perché il nostro matrimonio sarebbe un tremendo errore” gli disse lei col pensiero.

Rimasero in silenzio, lui con la sua delusione e lei con la sua misteriosa malinconia, finché la servitù non invase la sala per sgomberare la tavola. Allora si alzarono di scatto, quasi contemporaneamente.

Girodelle guardò per qualche istante fuori dalla finestra per darsi il tempo di ricacciare indietro le lacrime che gli avevano riempito gli occhi, poi si lasciò accompagnare da Oscar nell’atrio del Palazzo, mentre una domestica li seguiva per porgergli il mantello e il bastone. 

Nessuno osò rompere quel fragile silenzio. Victor si limitò a rivolgere ad Oscar un sorriso triste e complice con il quale la assicurò di non provare alcun rancore, poi le diede le spalle e uscì nel cortile assolato per lasciare la magione.

Oscar rimase sulla porta a guardarlo entrare nelle scuderie, poi si voltò verso la domestica che aveva gli portato il mantello e le disse con voce gentile:

-Non ti ho mai vista. Devi essere una nuova arrivata.-

Quella si irrigidì e abbassò gli occhi.

-Sono qui da due giorni.-

-Per chi lavoravi prima?-

-Non ho mai lavorato per nessuno prima d’ora.-

-Capisco. Sei stata brava a servire il pranzo per non averlo mai fatto.-

-Imparo in fretta.-

Oscar sorrise indulgente e sospirò.

-Bene, ora, per favore, vai da Marron e chiedile di prepararmi un bagno con acqua bollente. Ah, e dille anche di conservare quel dolce alle more. Può essere che mi venga voglia di mangiarlo più tardi.-

 

 

 

 

 

Da quando André aveva cominciato a lavorare per l’avvocato Moreau, le sue mani erano sempre sporche di inchiostro e il suo occhio sempre più affaticato. Per questo motivo un giorno Bernard aveva deciso, con commovente premura, di fargli un regalo. Un paio di occhiali. 

André si era ostinato a non indossarli per qualche giorno poi però aveva gradualmente ceduto, fino ad arrivare ad ammettere che quello strumento non gli fosse soltanto utile ma addirittura indispensabile.

Moreau stesso si era preoccupato di disporre nello studio lo scrittoio di André vicino alla finestra in modo che fosse benedetto dalla luce del sole per tutto il corso della giornata.

Tra un impegno e l’altro, si fece sabato e André si attardò nello studio di Moreau fino al tardo pomeriggio. Poco prima del tramonto, l’avvocato alzò gli occhi dalle scartoffie e guardò André assottigliando gli occhi già piccolissimi.

-Stai lavorando bene, ragazzo.-

Gli disse serio.

-Puoi andare a casa, ma ti devo chiedere un’ultima cortesia. Dovresti portare una lettera al Marchese di Nardien, la sua residenza non è distante. Il garzone ti indicherà la strada. Mi raccomando, insisti affinché ti sia concesso di consegnare la lettera al Marchese in persona, non lasciarla alla servitù.-

André accettò la commissione ed eseguì fedelmente le indicazioni che gli aveva dato Moreau.

-Sono molto indaffarato. Domani tornerò nelle mie campagne per gestire alcuni affari.-

Gli spiegò il Marchese senza nemmeno guardarlo in faccia, quando lo ricevette nel proprio salotto. Prese la lettera che André gli aveva portato e la divorò subito con occhi attenti, poi chiese al ragazzo di attendere che scrivesse la risposta. Buttò giù solo poche righe, in fretta e furia e con mano nervosa, come se avesse una pistola puntata alla tempia, appose il suo sigillo e consegnò la risposta ad André, che si affrettò a portarla subito a Moreau. Poi finalmente fu libero.

Mentre camminava verso casa con le mani affondate nelle tasche, si ricordò che la mattina seguente si sarebbe celebrato il matrimonio di Rosalie e Bernard e si sorprese che i giorni fossero passati tanto in fretta.

Dall’ultima volta che aveva visto Oscar, pensare a lei lo faceva puntualmente sprofondare in una malinconia dolorosa, ma in quel momento, all’idea di rivederla presto, provò soltanto una piacevole impazienza. Decise che non le avrebbe chiesto nulla di Girodelle, per non rovinare la giornata né a lei né a se stesso. Dopotutto, non sarebbe nemmeno stato necessario.

Annette, la prostituta che abitava nella sua stessa casa, due giorni prima era stata assunta come domestica a Palazzo Jarjayes e, grazie a lei, André contava di sapere tutto ciò che riguardava la vita di Oscar, senza che lei ne fosse al corrente e senza darle l’impressione di essere controllata. Lo riteneva un buon compromesso tra ciò che voleva lui e ciò che voleva lei. Sentiva di aver trovato in Annette un metodo efficace per sentirsi accantoad Oscar, come aveva sempre fatto, ma restando fisicamente a distanza.

   
 
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