5.
Blood
group
Mi
gettai fuori dalla porta e
camminai speditamente verso la jeep, da dove Jasper mi osservava con un
sopracciglio alzato.
Stava
indossando i miei occhiali
da sole e la mia mente sbattuta come un uovo riuscì a
trovare il tempo di
pensare che, probabilmente, mi dovevano esser caduti quando mi ero
addormentata
nella sua macchina.
Appena
fui abbastanza vicina lui
mi regalò un altro dei suoi magnetici sorrisi; con due dita
afferrò la
stanghetta degli occhiali e li alzò, per mostrare i suoi
occhi altrettanto
caldi e attraenti «ti
eri dimenticata questi»
mi disse, anche se la sua
espressione era tutt’altro che allegra.
Doveva
aver notato la mia
espressione sconvolta –nonostante stessi facendo di tutto per
nascondere quello
che sentivo dentro almeno alla vista– e lanciò una
furtiva occhiata alla porta
d’ingresso di casa mia.
Io
non mi voltai, ma sapevo che c’era
Jacob a guardarmi con i suoi occhioni scuri da cucciolo abbandonato «Sali,
facciamo un giro»
mi disse lui ancora, guardandomi
da capo a piedi.
Dentro
di me esultai e se fossi
stata leggermente meno scossa, gli sarei saltata addosso e lo avrei
baciato.
Lui
ridacchiò tra sé, come se
avesse sentito i miei pensieri, poi diede un affondo di acceleratore
senza
lasciare il freno.
Il
motore rombò, ma la macchina
rimase ferma e salda sulle ruote.
Io
aprii la portiera con uno
scatto e mi cacciai dentro la jeep, chiudendo poi la portiera
così forte che
ebbi paura di romperla.
Le
mani mi tremavano tanto che
non riuscii a prendere la cintura e ad assicurarla davanti al mio petto
come mi
era sempre stato insegnato.
Fu
Jasper a piegarsi verso di me,
allungare un braccio e prendere la cintura dalla propria sede,
passarmela
davanti e agganciandola.
Nel
tragitto, potei quasi pulirmi
i polmoni dal fin troppo forte profumo muschiato di Jacob con la
delicata
fragranza fresca e rassicurante di Jasper.
Ne
avevo abbastanza del calore,
non lo potevo sopportare.
Jake
mi aveva quasi soffocata con
la sua temperatura e se non ci fosse stato il frigorifero a
sorreggermi,
sicuramente sarei caduta a terra svenuta.
Mi
aveva aspirato via l’aria dai
polmoni, sostituendola con la sua.
E
non era nemmeno riuscito a
baciarmi! Se invece avesse toccato le sue labbra con le mie, sarebbe
scoppiato
il finimondo.
Lo
sapevo ed ero sicura di me
stessa.
Jasper
tolse il piede dal pedale
del freno e accelerò, allontanandosi da casa mia.
Lo
vidi guardare nello
specchietto retrovisore, con la faccia seria con cui l’avevo
conosciuto, poi
riportò gli occhi sulla strada.
Mentre
svoltavamo a destra verso
la foresta, potei vedere Jacob guardarci andare via, irato e deluso al
tempo
stesso.
Sapevo
che ci sarebbe rimasto
molto male, ma non me ne importò più di tanto in
quel momento.
Ero
al sicuro, nella confortevole
jeep di Jasper, lontano dal calore inumano di Jacob e dalle sue voglie
represse.
Arrivammo
su una strada sterrata
che conduceva nella foresta che circondava Forks e solo lì
Jasper fermò la
macchina.
Si
tolse la cintura e si voltò
verso di me «che
è successo? »
mi chiese, con il suo accento lievemente più marcato.
Perché
ogni volta che lo sentivo
parlare il suo tono cadenzato mi sembrava sempre più
affascinante?
Abbassai
gli occhi, senza
smettere di tremare.
Era
come esser appena scesi dal
primo giro di montagne russe, quando senti ancora tutte le emozioni che
ti
vorticano dentro a tempo con la giostra.
Avvertii
la solita ed esterna
calma che cercava di avvolgermi, da tranquillizzarmi, ma la respinsi.
Non
seppi perché, non seppi come
riuscii in quel momento a capire che quella tranquillità non
era normale, ma la
allontanai lo stesso.
La
spinsi via dolcemente, ma
senza rimpianti.
Lui
mi guardò, cercando i miei
occhi, poi rifece la sua domanda; non sapeva quanto mi faceva male
ripensare e
spiegare quello che era successo.
Esser
traditi dal proprio
migliore amico, che ti aveva giurato sulla tomba della madre scomparsa
che non
si sarebbe mai comportato come gli altri, che sarebbe stato diverso e
un vero
amico.
Nulla
di più.
Io
sospirai, stringendo un
qualche tessuto tra le mani «sei
carina così»
sentii all’improvviso.
Il
tono di voce del biondo
ragazzo era un pochino divertito e come mi tirai su a guardarlo vidi
che stava
ridacchiando, guardandomi.
Allora
anche io abbassai gli
occhi per guardarmi e notai che ero ancora completamente sporca di
farina e con
il grembiule assicurato in vita.
Spalancai
gli occhi e arrossii
immediatamente.
Lo
guardai, molto imbarazzata «oddio
ti sto infarinando
completamente la macchina! »
esclamai, guardando le manate bianche che dalla mia
parte erano un po’ ovunque.
Lui
rise, una risata dolce e
allegra «non
ti preoccupare»
mi rassicurò «questa
è la macchina di mio fratello Emmett»
e diede un paio di colpetti sul
cruscotto «se
ti sembra pulita è perché io mi rifiuto
categoricamente di guidarla nello stato originale in cui si trova di
solito».
Rise
e io con lui.
Tutto
lo spavento che avevo
provato e la frustrazione stavano svanendo poco a poco.
Jasper
era un po’ come un
bicchiere di acqua fresca, limpida e sempre utile a calmare il panico «non
hai una macchina tua? »
chiesi e lui scosse la testa,
senza cancellare dalle sue labbra il dolce sorriso che aveva in
quell’istante «non
mi importa più di tanto avere
un mezzo di trasporto. La mattina di solito vengo a scuola assieme a
Emmett ed
Edward»
iniziò a spiegarmi «ho
preso la patente solo per piccoli spostamenti come
questi. Per quando mia madre ha bisogno di qualcosa ad esempio e
nessuno ha
voglia di combinare qualcosa».
Rimasi
ammaliata dalla sua voce
che scorreva nell’aria come un ruscello tranquillo.
Sperai
che la farina coprisse il
mio rossore o che almeno lo stemperasse un po’,
perché in realtà io mi sentivo
andare a fuoco.
Mi
grattai distrattamente il
collo, guardando fuori dal finestrino lasciato aperto le fronde degli
alberi
muoversi appena nel vento e una sbuffata d’aria mi prese in
pieno viso.
La
farina rimase dov’era, ma vidi
nello specchietto laterale che Jasper si era voltato, come se
l’aria avesse
portato un odore proibito al suo naso perfetto.
Lo
guardai, inclinando la testa,
e lo osservai meglio.
La
pelle era pallida ma senza un’imperfezione,
liscia e morbida; il contorno della mascella era squadrato ma non
esagerato.
Su
di essa vidi appena, come un
miraggio, una piccola striscia biancastra e curva; una specie di
cicatrice «che
ti sei fatto qui? »
dissi e indicai su me stessa il
luogo dove sostava la piccola cicatrice.
Jasper
prima mi guardò un po’
distratto, poi sembrò allarmato.
Tutto
nel giro di pochi secondi,
prima che ritornasse a suo agio «dove?
»
e piegò lo specchietto retrovisore per osservarsi.
Piegò
il collo di lato per
guardare dove io avevo indicato «non
ho niente, perché? ».
In
effetti avevo perso di vista
la cicatrice.
Magari
era stato tutto un gioco
di luci «nulla,
davvero…senti, non è che posso tornare a casa?
Non credo che…»
ma la voce mi si bloccò in gola.
Avrei
voluto dire che
probabilmente Jacob doveva esser andato via e non c’era
più niente di cui
preoccuparsi, ma io continuavo a preoccuparmi.
Jasper
annuì «va
bene, ma un giorno dovrai
raccontarmelo»
e ridacchiando sommessamente mise in moto la jeep.
La
strana calma esterna non si
era fatta più sentire.
Non
riuscii a dormire fino alle
quattro di mattina.
Mi
giravo e rigiravo nel letto,
cercando di respirare in maniera rilassata, ma non mi riusciva.
Continuavo
a mandare maledizioni
a Jake per aver tradito a quel modo la mia fiducia.
Non
volevo che arrivasse il
giorno per alzarmi, andare a scuola e magari affrontarlo; non ne sarei
stata
capace.
Alle
tre e mezza mi tirai su,
scompigliandomi i capelli in maniera isterica e osservando la pallida
luce che
la luna velata di nuvole faceva entrare nella mia stanza.
Il
mio portatile era posato sulla
mia scrivania e il fazzoletto di Jasper –del quale mi ero
completamente
dimenticata il giorno prima– era sempre sul mio comodino,
macchiato di sangue.
Colta
da un’improvvisa voglia di
fare qualsiasi cosa, mi alzai e mi diressi a piedi scalzi fino al
bagno, con il
quadrato di tessuto piegato in mano.
Il
segno che aveva lasciato il
sangue coagulato mi sapeva di sporco quasi quanto il mio livido ormai
completamente sparito e non potevo sopportare di ridarglielo conciato
così.
Non
dopo che mi aveva salvato due
volte di seguito.
Mi
chiusi in bagno e mi guardai
per un attimo nello specchio sopra il lavabo.
Ero
un disastro completo: i
capelli corti e scalati andavano in tutte le direzioni per
l’attacco di
nervosismo di poco prima, i miei occhi erano cerchiati di un alone
scuro ed
erano stretti e rossi per il sonno mancato.
Sembravo
veramente un mostro.
Mi
chinai e girai la manopola per
l’acqua calda, prendendo intanto la saponetta
nell’incavo del muro accanto al
lavandino.
Iniziai
a sfregarla contro la
macchia ormai diventata marrone del mio sangue coagulato e a lavoro
terminato
sciacquai il fazzoletto e lo alzai per esaminarlo alla luce della luna.
Era
ritornato candido come in
origine e non presentava nessun segno di utilizzo; i miei occhi,
però, mentre
abbassavo il fazzoletto, si focalizzarono sullo specchio.
Dietro
alla mia immagine
scombinata avevo visto una testata di capelli inconfondibilmente bionda.
Jasper
si trovava nel mio bagno
alle tre e mezza del mattino?
Mi
voltai di scatto, sicura di
ritrovarmelo alle spalle, ma vidi solo il mobiletto bianco dove di
solito
sistemavamo i vestiti da lavare e la finestra aperta da cui veniva una
leggera
brezza.
Feci
qualche passo verso la
finestra, sicura che avrei visto il ragazzo biondo comparire sul prato
vicino
casa mia, mentre si dileguava.
Invece
non c’era nessuno, solo i
rami fruscianti degli alberi vicino casa e le nuvole che pian piano
oscuravano
la luce della luna.
Anche
se ero completamente sicura
che nell’aria ci fosse il profumo di girasoli.
Il
mattino dopo svegliarsi fu un
dramma.
Le
poche ore che ebbi a
disposizione per dormire furono così poche che mi
sembrò di non aver nemmeno
chiuso gli occhi.
Ero
ritornata dal bagno e avevo
messo il fazzoletto sul termosifone ad asciugare, poi mi ero messa a
letto.
E
subito dopo dovetti alzarmi per
andare a scuola.
Il
nonno stava ancora dormendo e
la casa, senza la zia Lind, sembrava quasi vuota.
Presi
un misero pacchetto di
cracker e mi diressi fuori per salire sul pick-up; mangiai in fretta,
senza
però avere molta fame, poi accesi il motore e mi preparai a
fare retromarcia.
Mi
misi in marcia verso la scuola
e sospirai.
La
voglia di rivedere Jacob era
veramente, ma veramente poca.
Chissà,
che fosse arrabbiato con
me perché non avevo ceduto alle sue spinte avances? Oppure
sarebbe venuto a
pianger miseria, chiedendo perdono in ginocchio?
Io
speravo soltanto che qualcuno
cancellasse dalla mia e dalla sua memoria quello che era successo.
Ritornare
indietro, solo di
qualche ora, giusto il tempo per aggiustare tutto.
Parcheggiai
il più lontano
possibile dall’entrata della scuola, in modo che tutti gli
studenti entrassero
prima di me e con loro Jake.
Scesi
e presi il mio zaino dal
cassone, mettendomelo in spalla; mi incamminai verso
l’edificio sperando con
tutto il cuore che nessuno notasse il mio viso incupito e che passasse
oltre.
Sentii
un brivido lungo la
schiena quando sentii la voce del mio amico chiamarmi da lontano:
sembrava
desideroso di dirmi qualcosa di molto importante.
Magari
voleva scusarsi per quello
che era successo, magari mi avrebbe salutato come suo solito, come se
nulla
fosse accaduto.
Mi
voltai e lo vidi correre nella
mia direzione, sbracciandosi per salutarmi.
Sorrideva.
Di
riflesso sorrisi come lui,
anche se il tumulto dentro di me era veramente troppo; un braccio mi si
posò
sulle spalle, fresco dentro una giacca di feltro nera e lunga «buongiorno»
sentii la voce di Jasper
arrivarmi alle orecchie come una pomata salvifica.
Lo
guardai e notai che era
veramente troppo alto.
In
confronto a me e Jacob,
oltretutto! Doveva essere alto un metro e ottanta come minimo.
I
suoi occhi erano sempre dorati
e incredibilmente limpidi.
Come
se qualcuno ne avesse
aumentato il contrasto con la parte bianca dell’occhio «dormito
bene? »
mi chiese, osservandomi.
Io
gli sorrisi imbarazzata,
allontanandomi appena dal suo abbraccio; se mai avesse saputo che lo
avevo
creduto in casa mia a quell’ora assurda della notte si
sarebbe messo a ridere.
Anche
se adoravo la sua risata «si,
abbastanza…»
risposi vaga, ritornando ogni
tanto a guardare Jacob, ora scuro in volto.
Non
sembrava digerire la
vicinanza di Jasper a me «ti
ho riportato il fazzoletto»
aggiunsi, tirandolo fuori dalla
tasca e porgendoglielo.
Lui
lo guardò, poi lo prese e se
lo ficcò nella tasca del cardigan «oggi
credo che sarò a lezione di biologia con te, la
mia insegnante si è ammalata e uniranno le due classi, per
il momento»
mi avvertì.
Non
mi parve vero nemmeno per un
istante.
La
mia felicità schizzò alle
stelle e ringraziai il cielo di esser capace di nascondere le mie
emozioni.
Entrai
a scuola a fianco a lui,
quella mattina, e per tutto il giorno dimenticai Jacob.
Dopo
due ore di matematica, una
di lingua straniera e il pranzo –passato con Bella e il nuovo
fidanzato Mike
Newton– finalmente giunse l’ora di biologia.
Come
promesso Jasper fu in
classe, seduto accanto al banco dove di solito sedevo «come
hai fatto a indovinare? »
chiesi e lui scherzando disse
che “avrebbe riconosciuto il mio odore ovunque”.
Mi
annusai un attimo una ciocca
di capelli, poi gli diedi una manata sulla spalla, giocosa «guarda
che io mi faccio la doccia
tutte le sere»
gli dissi, ridendo e prendendo posto.
Mi
sembrò strana la classe così
farcita di studenti, ma mi rallegrava la presenza del biondo accanto a
me.
Il
professore si mise a scrivere
alla lavagna, tracciando alcune lettere «oggi
ragazzi parleremo di gruppo sanguigno e faremo un
esperimento. Preleverò alcune gocce di sangue da qualcuno di
voi e vi dirò qual
è il vostro gruppo sanguigno».
Presi
il libro e il quaderno
degli appunti, guardando Jasper fare lo stesso.
Biologia
era sempre stata la mia
materia preferita, nonostante il momento della vivisezione fosse un
pochino
duro per il mio stomaco.
Nonostante
avessi già fatto quell’esperimento
e sapessi che il mio gruppo era AB+, non mi tirai indietro e mi offrii
volontaria quando il professore chiamò per
l’esperimento.
Lui
prese l’indice e con la punta
di un ago me lo bucò; il dolore fu minimo anche se un
po’ inaspettato e mi
lasciai scappare un piccolo gemito.
Poi
il professore lasciò cadere
alcune gocce del mio sangue sul vetrino e dopo poco mi diede la
conferma che il
mio gruppo era AB+.
Ritornai
al banco, scrivendo
sugli appunti ancora qualche frase, poi mi guardai l’indice
sinistro.
La
ferita si stava già rimarginando
e rimasi un po’ delusa, allora schiacciai il polpastrello e
lasciai uscire una
grossa goccia rossa «che
stai facendo? »
mi chiese Jasper, dal suo banco.
Sembrava
preoccupato.
Io
gli sorrisi, guardando
ammaliata il colore del mio sangue «mi
è sempre piaciuto assaggiare il mio sangue.
Ha
un gusto ferroso che non mi
dispiace poi molto»
gli dissi sottovoce per non farmi sentire dal
professore «lo
faccio sempre quando ho qualche taglietto. Non
perdo mai l’occasione»
e con un gesto veloce leccai via la goccia, che stava
iniziando a colarmi giù dal polpastrello.
Jasper
scrollò la testa, ma
sembrò turbato «ragazzi,
la prossima settimana andremo in gita nelle
foreste qui intorno a Forks»
e ci fu un mormorio generale.
Io
stetti a sentire cosa l’insegnante
volesse aggiungere «so
che non è molto ma il preside non ci concede altro.
Scopriremo
la dinamica della
biochimica nelle piante, quindi premunitevi e portatevi dei guanti,
toccheremo
molte ortiche! »
e qui ci fu una risata generale.
Solo
Jasper rimase serio,
pensoso.