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Autore: Flaminia_Kennedy    25/07/2009    3 recensioni
Per la sesta volta in un giorno mi chiesi perché mi ero voluta trasferire a Forks, la zona più piovosa di tutto il continente americano.
Certo, non adoravo il sole di casa mia in Texas, ma nemmeno il perenne strato di nubi che nascondeva il cielo.
[...]
Ridacchiai, perché il volto di quel ragazzo dai capelli bruni e corti mi ispirava simpatia, un po’ come gli orsacchiotti che avevo nella mia vecchia camera a Dallas.
Quando l’auto, guidata da un ragazzo dai capelli ramati e sparati in aria, arrivò a pochi metri da me il ragazzone si infilò dentro la vettura, parlando concitatamente con il ragazzo vicino a lui.
Era un tipo dai capelli color miele e in quel momento il volto meraviglioso e pallido era contratto da una smorfia addolorata.
Genere: Azione, Avventura, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jasper Hale, Nuovo personaggio, Sorpresa
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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5.

Blood group

 

Mi gettai fuori dalla porta e camminai speditamente verso la jeep, da dove Jasper mi osservava con un sopracciglio alzato.

Stava indossando i miei occhiali da sole e la mia mente sbattuta come un uovo riuscì a trovare il tempo di pensare che, probabilmente, mi dovevano esser caduti quando mi ero addormentata nella sua macchina.

Appena fui abbastanza vicina lui mi regalò un altro dei suoi magnetici sorrisi; con due dita afferrò la stanghetta degli occhiali e li alzò, per mostrare i suoi occhi altrettanto caldi e attraenti «ti eri dimenticata questi» mi disse, anche se la sua espressione era tutt’altro che allegra.

Doveva aver notato la mia espressione sconvolta –nonostante stessi facendo di tutto per nascondere quello che sentivo dentro almeno alla vista– e lanciò una furtiva occhiata alla porta d’ingresso di casa mia.

Io non mi voltai, ma sapevo che c’era Jacob a guardarmi con i suoi occhioni scuri da cucciolo abbandonato «Sali, facciamo un giro» mi disse lui ancora, guardandomi da capo a piedi.

Dentro di me esultai e se fossi stata leggermente meno scossa, gli sarei saltata addosso e lo avrei baciato.

Lui ridacchiò tra sé, come se avesse sentito i miei pensieri, poi diede un affondo di acceleratore senza lasciare il freno.

Il motore rombò, ma la macchina rimase ferma e salda sulle ruote.

Io aprii la portiera con uno scatto e mi cacciai dentro la jeep, chiudendo poi la portiera così forte che ebbi paura di romperla.

Le mani mi tremavano tanto che non riuscii a prendere la cintura e ad assicurarla davanti al mio petto come mi era sempre stato insegnato.

Fu Jasper a piegarsi verso di me, allungare un braccio e prendere la cintura dalla propria sede, passarmela davanti e agganciandola.

Nel tragitto, potei quasi pulirmi i polmoni dal fin troppo forte profumo muschiato di Jacob con la delicata fragranza fresca e rassicurante di Jasper.

Ne avevo abbastanza del calore, non lo potevo sopportare.

Jake mi aveva quasi soffocata con la sua temperatura e se non ci fosse stato il frigorifero a sorreggermi, sicuramente sarei caduta a terra svenuta.

Mi aveva aspirato via l’aria dai polmoni, sostituendola con la sua.

E non era nemmeno riuscito a baciarmi! Se invece avesse toccato le sue labbra con le mie, sarebbe scoppiato il finimondo.

Lo sapevo ed ero sicura di me stessa.

Jasper tolse il piede dal pedale del freno e accelerò, allontanandosi da casa mia.

Lo vidi guardare nello specchietto retrovisore, con la faccia seria con cui l’avevo conosciuto, poi riportò gli occhi sulla strada.

Mentre svoltavamo a destra verso la foresta, potei vedere Jacob guardarci andare via, irato e deluso al tempo stesso.

Sapevo che ci sarebbe rimasto molto male, ma non me ne importò più di tanto in quel momento.

Ero al sicuro, nella confortevole jeep di Jasper, lontano dal calore inumano di Jacob e dalle sue voglie represse.

 

Arrivammo su una strada sterrata che conduceva nella foresta che circondava Forks e solo lì Jasper fermò la macchina.

Si tolse la cintura e si voltò verso di me «che è successo? » mi chiese, con il suo accento lievemente più marcato.

Perché ogni volta che lo sentivo parlare il suo tono cadenzato mi sembrava sempre più affascinante?

Abbassai gli occhi, senza smettere di tremare.

Era come esser appena scesi dal primo giro di montagne russe, quando senti ancora tutte le emozioni che ti vorticano dentro a tempo con la giostra.

Avvertii la solita ed esterna calma che cercava di avvolgermi, da tranquillizzarmi, ma la respinsi.

Non seppi perché, non seppi come riuscii in quel momento a capire che quella tranquillità non era normale, ma la allontanai lo stesso.

La spinsi via dolcemente, ma senza rimpianti.

Lui mi guardò, cercando i miei occhi, poi rifece la sua domanda; non sapeva quanto mi faceva male ripensare e spiegare quello che era successo.

Esser traditi dal proprio migliore amico, che ti aveva giurato sulla tomba della madre scomparsa che non si sarebbe mai comportato come gli altri, che sarebbe stato diverso e un vero amico.

Nulla di più.

Io sospirai, stringendo un qualche tessuto tra le mani «sei carina così» sentii all’improvviso.

Il tono di voce del biondo ragazzo era un pochino divertito e come mi tirai su a guardarlo vidi che stava ridacchiando, guardandomi.

Allora anche io abbassai gli occhi per guardarmi e notai che ero ancora completamente sporca di farina e con il grembiule assicurato in vita.

Spalancai gli occhi e arrossii immediatamente.

Lo guardai, molto imbarazzata «oddio ti sto infarinando completamente la macchina! » esclamai, guardando le manate bianche che dalla mia parte erano un po’ ovunque.

Lui rise, una risata dolce e allegra «non ti preoccupare» mi rassicurò «questa è la macchina di mio fratello Emmett» e diede un paio di colpetti sul cruscotto «se ti sembra pulita è perché io mi rifiuto categoricamente di guidarla nello stato originale in cui si trova di solito».

Rise e io con lui.

Tutto lo spavento che avevo provato e la frustrazione stavano svanendo poco a poco.

Jasper era un po’ come un bicchiere di acqua fresca, limpida e sempre utile a calmare il panico «non hai una macchina tua? » chiesi e lui scosse la testa, senza cancellare dalle sue labbra il dolce sorriso che aveva in quell’istante «non mi importa più di tanto avere un mezzo di trasporto. La mattina di solito vengo a scuola assieme a Emmett ed Edward» iniziò a spiegarmi «ho preso la patente solo per piccoli spostamenti come questi. Per quando mia madre ha bisogno di qualcosa ad esempio e nessuno ha voglia di combinare qualcosa».

Rimasi ammaliata dalla sua voce che scorreva nell’aria come un ruscello tranquillo.

Sperai che la farina coprisse il mio rossore o che almeno lo stemperasse un po’, perché in realtà io mi sentivo andare a fuoco.

Mi grattai distrattamente il collo, guardando fuori dal finestrino lasciato aperto le fronde degli alberi muoversi appena nel vento e una sbuffata d’aria mi prese in pieno viso.

La farina rimase dov’era, ma vidi nello specchietto laterale che Jasper si era voltato, come se l’aria avesse portato un odore proibito al suo naso perfetto.

Lo guardai, inclinando la testa, e lo osservai meglio.

La pelle era pallida ma senza un’imperfezione, liscia e morbida; il contorno della mascella era squadrato ma non esagerato.

Su di essa vidi appena, come un miraggio, una piccola striscia biancastra e curva; una specie di cicatrice «che ti sei fatto qui? » dissi e indicai su me stessa il luogo dove sostava la piccola cicatrice.

Jasper prima mi guardò un po’ distratto, poi sembrò allarmato.

Tutto nel giro di pochi secondi, prima che ritornasse a suo agio «dove? » e piegò lo specchietto retrovisore per osservarsi.

Piegò il collo di lato per guardare dove io avevo indicato «non ho niente, perché? ».

In effetti avevo perso di vista la cicatrice.

Magari era stato tutto un gioco di luci «nulla, davvero…senti, non è che posso tornare a casa? Non credo che…» ma la voce mi si bloccò in gola.

Avrei voluto dire che probabilmente Jacob doveva esser andato via e non c’era più niente di cui preoccuparsi, ma io continuavo a preoccuparmi.

Jasper annuì «va bene, ma un giorno dovrai raccontarmelo» e ridacchiando sommessamente mise in moto la jeep.

La strana calma esterna non si era fatta più sentire.

 

Non riuscii a dormire fino alle quattro di mattina.

Mi giravo e rigiravo nel letto, cercando di respirare in maniera rilassata, ma non mi riusciva.

Continuavo a mandare maledizioni a Jake per aver tradito a quel modo la mia fiducia.

Non volevo che arrivasse il giorno per alzarmi, andare a scuola e magari affrontarlo; non ne sarei stata capace.

Alle tre e mezza mi tirai su, scompigliandomi i capelli in maniera isterica e osservando la pallida luce che la luna velata di nuvole faceva entrare nella mia stanza.

Il mio portatile era posato sulla mia scrivania e il fazzoletto di Jasper –del quale mi ero completamente dimenticata il giorno prima– era sempre sul mio comodino, macchiato di sangue.

Colta da un’improvvisa voglia di fare qualsiasi cosa, mi alzai e mi diressi a piedi scalzi fino al bagno, con il quadrato di tessuto piegato in mano.

Il segno che aveva lasciato il sangue coagulato mi sapeva di sporco quasi quanto il mio livido ormai completamente sparito e non potevo sopportare di ridarglielo conciato così.

Non dopo che mi aveva salvato due volte di seguito.

Mi chiusi in bagno e mi guardai per un attimo nello specchio sopra il lavabo.

Ero un disastro completo: i capelli corti e scalati andavano in tutte le direzioni per l’attacco di nervosismo di poco prima, i miei occhi erano cerchiati di un alone scuro ed erano stretti e rossi per il sonno mancato.

Sembravo veramente un mostro.

Mi chinai e girai la manopola per l’acqua calda, prendendo intanto la saponetta nell’incavo del muro accanto al lavandino.

Iniziai a sfregarla contro la macchia ormai diventata marrone del mio sangue coagulato e a lavoro terminato sciacquai il fazzoletto e lo alzai per esaminarlo alla luce della luna.

Era ritornato candido come in origine e non presentava nessun segno di utilizzo; i miei occhi, però, mentre abbassavo il fazzoletto, si focalizzarono sullo specchio.

Dietro alla mia immagine scombinata avevo visto una testata di capelli inconfondibilmente bionda.

Jasper si trovava nel mio bagno alle tre e mezza del mattino?

Mi voltai di scatto, sicura di ritrovarmelo alle spalle, ma vidi solo il mobiletto bianco dove di solito sistemavamo i vestiti da lavare e la finestra aperta da cui veniva una leggera brezza.

Feci qualche passo verso la finestra, sicura che avrei visto il ragazzo biondo comparire sul prato vicino casa mia, mentre si dileguava.

Invece non c’era nessuno, solo i rami fruscianti degli alberi vicino casa e le nuvole che pian piano oscuravano la luce della luna.

Anche se ero completamente sicura che nell’aria ci fosse il profumo di girasoli.

 

Il mattino dopo svegliarsi fu un dramma.

Le poche ore che ebbi a disposizione per dormire furono così poche che mi sembrò di non aver nemmeno chiuso gli occhi.

Ero ritornata dal bagno e avevo messo il fazzoletto sul termosifone ad asciugare, poi mi ero messa a letto.

E subito dopo dovetti alzarmi per andare a scuola.

Il nonno stava ancora dormendo e la casa, senza la zia Lind, sembrava quasi vuota.

Presi un misero pacchetto di cracker e mi diressi fuori per salire sul pick-up; mangiai in fretta, senza però avere molta fame, poi accesi il motore e mi preparai a fare retromarcia.

Mi misi in marcia verso la scuola e sospirai.

La voglia di rivedere Jacob era veramente, ma veramente poca.

Chissà, che fosse arrabbiato con me perché non avevo ceduto alle sue spinte avances? Oppure sarebbe venuto a pianger miseria, chiedendo perdono in ginocchio?

Io speravo soltanto che qualcuno cancellasse dalla mia e dalla sua memoria quello che era successo.

Ritornare indietro, solo di qualche ora, giusto il tempo per aggiustare tutto.

Parcheggiai il più lontano possibile dall’entrata della scuola, in modo che tutti gli studenti entrassero prima di me e con loro Jake.

Scesi e presi il mio zaino dal cassone, mettendomelo in spalla; mi incamminai verso l’edificio sperando con tutto il cuore che nessuno notasse il mio viso incupito e che passasse oltre.

Sentii un brivido lungo la schiena quando sentii la voce del mio amico chiamarmi da lontano: sembrava desideroso di dirmi qualcosa di molto importante.

Magari voleva scusarsi per quello che era successo, magari mi avrebbe salutato come suo solito, come se nulla fosse accaduto.

Mi voltai e lo vidi correre nella mia direzione, sbracciandosi per salutarmi.

Sorrideva.

Di riflesso sorrisi come lui, anche se il tumulto dentro di me era veramente troppo; un braccio mi si posò sulle spalle, fresco dentro una giacca di feltro nera e lunga «buongiorno» sentii la voce di Jasper arrivarmi alle orecchie come una pomata salvifica.

Lo guardai e notai che era veramente troppo alto.

In confronto a me e Jacob, oltretutto! Doveva essere alto un metro e ottanta come minimo.

I suoi occhi erano sempre dorati e incredibilmente limpidi.

Come se qualcuno ne avesse aumentato il contrasto con la parte bianca dell’occhio «dormito bene? » mi chiese, osservandomi.

Io gli sorrisi imbarazzata, allontanandomi appena dal suo abbraccio; se mai avesse saputo che lo avevo creduto in casa mia a quell’ora assurda della notte si sarebbe messo a ridere.

Anche se adoravo la sua risata «si, abbastanza…» risposi vaga, ritornando ogni tanto a guardare Jacob, ora scuro in volto.

Non sembrava digerire la vicinanza di Jasper a me «ti ho riportato il fazzoletto» aggiunsi, tirandolo fuori dalla tasca e porgendoglielo.

Lui lo guardò, poi lo prese e se lo ficcò nella tasca del cardigan «oggi credo che sarò a lezione di biologia con te, la mia insegnante si è ammalata e uniranno le due classi, per il momento» mi avvertì.

Non mi parve vero nemmeno per un istante.

La mia felicità schizzò alle stelle e ringraziai il cielo di esser capace di nascondere le mie emozioni.

Entrai a scuola a fianco a lui, quella mattina, e per tutto il giorno dimenticai Jacob.

 

Dopo due ore di matematica, una di lingua straniera e il pranzo –passato con Bella e il nuovo fidanzato Mike Newton– finalmente giunse l’ora di biologia.

Come promesso Jasper fu in classe, seduto accanto al banco dove di solito sedevo «come hai fatto a indovinare? » chiesi e lui scherzando disse che “avrebbe riconosciuto il mio odore ovunque”.

Mi annusai un attimo una ciocca di capelli, poi gli diedi una manata sulla spalla, giocosa «guarda che io mi faccio la doccia tutte le sere» gli dissi, ridendo e prendendo posto.

Mi sembrò strana la classe così farcita di studenti, ma mi rallegrava la presenza del biondo accanto a me.

Il professore si mise a scrivere alla lavagna, tracciando alcune lettere «oggi ragazzi parleremo di gruppo sanguigno e faremo un esperimento. Preleverò alcune gocce di sangue da qualcuno di voi e vi dirò qual è il vostro gruppo sanguigno».

Presi il libro e il quaderno degli appunti, guardando Jasper fare lo stesso.

Biologia era sempre stata la mia materia preferita, nonostante il momento della vivisezione fosse un pochino duro per il mio stomaco.

Nonostante avessi già fatto quell’esperimento e sapessi che il mio gruppo era AB+, non mi tirai indietro e mi offrii volontaria quando il professore chiamò per l’esperimento.

Lui prese l’indice e con la punta di un ago me lo bucò; il dolore fu minimo anche se un po’ inaspettato e mi lasciai scappare un piccolo gemito.

Poi il professore lasciò cadere alcune gocce del mio sangue sul vetrino e dopo poco mi diede la conferma che il mio gruppo era AB+.

Ritornai al banco, scrivendo sugli appunti ancora qualche frase, poi mi guardai l’indice sinistro.

La ferita si stava già rimarginando e rimasi un po’ delusa, allora schiacciai il polpastrello e lasciai uscire una grossa goccia rossa «che stai facendo? » mi chiese Jasper, dal suo banco.

Sembrava preoccupato.

Io gli sorrisi, guardando ammaliata il colore del mio sangue «mi è sempre piaciuto assaggiare il mio sangue.

Ha un gusto ferroso che non mi dispiace poi molto» gli dissi sottovoce per non farmi sentire dal professore «lo faccio sempre quando ho qualche taglietto. Non perdo mai l’occasione» e con un gesto veloce leccai via la goccia, che stava iniziando a colarmi giù dal polpastrello.

Jasper scrollò la testa, ma sembrò turbato «ragazzi, la prossima settimana andremo in gita nelle foreste qui intorno a Forks» e ci fu un mormorio generale.

Io stetti a sentire cosa l’insegnante volesse aggiungere «so che non è molto ma il preside non ci concede altro.

Scopriremo la dinamica della biochimica nelle piante, quindi premunitevi e portatevi dei guanti, toccheremo molte ortiche! » e qui ci fu una risata generale.

Solo Jasper rimase serio, pensoso.

E così anche io, per capire se lo avevo urtato con il mio comportamento strano oppure se era solo colpa della gita.
   
 
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