Capitolo 58
Mi
sveglio di soprassalto, stringendo con forza il lenzuolo al petto.
Respiro e lo faccio male, quindi porto una mano al cuore, cercando di
regolarizzare i miei battiti, mentre tento di rassicurarmi dopo quello
che è stato un brutto incubo. Luca è qui con me, non mi
ha lasciata. Ho solo fatto un brutto sogno.
Mi volto allora dalla parte sinistra del letto, accarezzando la stoffa
del lenzuolo e trattenendola tra le mie dita: di lui però non
c'è traccia. La sua parte è fredda, ormai, come se si
fosse alzato da tempo.
Mi assale subito il panico, nonostante non sia mai successo che andasse
via prima che mi svegliassi e io continuo a ripercorrere nella mia
mente le immagini che mi hanno fatto accapponare la pelle.
Scalcio il copriletto, velocemente, con il solo scopo di saperlo ancora qui con me.
Per la fretta, dimentico di indossare le ciabatte e rabbrividisco a
contatto con il pavimento freddo, ma non me ne curo particolarmente.
La mia smania si riconosce da ogni mio piccolo gesto: dal modo in cui
le mie mani districano i miei capelli o quello in cui mi torturo il
labbro con i denti.
Poi, finalmente, nel frattempo che percorro il corridoio che conduce al
salotto e alla cucina ad esso collegata, ogni paura e preoccupazione
scema al solo avvertire Luca fischiettare.
Un calore si irradia nel petto, mentre mi porto una mano alle labbra
per nascondere un sorriso. È stato solo un sogno, solo un sogno.
La mia mente mi ha giocato davvero un brutto scherzo...
Luca è qui, nella mia cucina, dove si muove facendo suoi questi
spazi. Mi dà le spalle canticchiando serenamente, mentre
armeggia ai fornelli.
Mi appoggio allo stipite della porta, cercando di darmi una sistemata
affinché non scorga tracce delle mie paranoie e scruto ammirata
ogni suo piccolo movimento. Vorrei che questa diventasse parte della
nostra quotidianità.
Mi avvicino, poi, in punta di piedi, attenta a non produrre il minimo
rumore e lo colgo di sorpresa, coprendogli gli occhi con le mani.
"Indovina chi sono?" gli chiedo, in un sussurro, accanto al suo orecchio.
Avverto il suo corpo vibrare scosso da una risata.
"Che domande..." mi scimmiotta, appoggiando le sue mani sulle mie e
voltandosi verso di me, facendo in modo che aderisca contro il bancone
della cucina.
"Buongiorno" proferisce, accarezzandomi le guance con dolcezza.
Faccio lo stesso, carezzando il suo viso con una certa urgenza, come a
capacitarmi che lui sia davvero vicino a me. Quando in un slancio mi
sporgo per baciarlo, sospirando sulle sue labbra, Luca non si rende
davvero conto da cosa dipenda la mia smania, ma sbuffa un sorriso, stringendomi
più forte a sé e circondandomi i fianchi con le braccia.
Mentre lascio che le nostre bocche si sfiorino impazienti e
insaziabili, mi accorgo che ormai il sentimento che mi lega a lui sia
così forte da rendermi totalmente assefuata dalla sua presenza.
Luca insinua una mano tra i miei capelli, giocando con alcune ciocche e adagiando la sua fronte contro la mia.
"Dobbiamo parlare" mi fa presente, riportando entrambi con i piedi per
terra. Non mi è difficile capire a cosa si riferisca: dopo
l'interruzione di ieri, non siamo più tornati sull'argomento.
Cerco di trattenere uno sbuffo, nonostante la curiosità di
sapere cosa abbia da dirmi mi stia mangiando via e fingo una sicurezza
di cui adesso non dispongo.
"Va bene..." proferisco, arresa.
Luca annuisce, tenendomi ancora stretta a sé e ben presto mi
accorgo che la sua vicinanza non mi faccia concentrare come vorrei.
Avverto da ogni suo gesto, da come mi stringa accanto a sé, a
come il suo pollice non smetta di disegnare cerchi immaginari sulla mia
guancia che sia teso e non sappia come rivelarmi questa cosa, ma allo
stesso tempo pare che mi stia preparando a una eventuale notizia.
"Si tratta di Lucia" ammette, a bassa voce, mantenendo il suo sguardo fisso su di me, come a voler scrutare una mia reazione.
Alle sue parole ogni fibra del mio corpo scatta in allerta.
"Cosa c'entra Lucia?!" gli chiedo, sbarrando gli occhi e mostrandogli la mia confusione.
Lui abbassa gli occhi, sospirando affranto.
"Luca?!" lo richiamo, allarmata, appoggiando una mano sul suo braccio.
"Lei come sta? Sta bene, vero?!" domando in tono supplichevole.
Luca lascia che le sue mani scendano verso le mie spalle, accarezzando
le mie braccia con fare premuroso, mentre tenta di accennare un sorriso.
"Lei sta bene, non le è accaduto niente di quello che pensi" ammette, facendomi sospirare di sollievo.
Alzo gli occhi al cielo, tentando di nascondere l'emozione che mi abbia
assalito ma non riesco a controllare i battiti accelerati del mio
cuore. Tumtumtum, tumtutum, tumtutum...
"Cosa devi dirmi, allora?" lo incalzo.
"Ieri sera, dopo che ho finito di parlare con te, mi ha contattato la casa famiglia di Lucia..." mi rivela.
"La casa famiglia di Lucia?" chiedo, aggrottando la fronte, confusa. "Ma lei è con i Cattaneo!"
Luca scuote il capo, puntando il suo sguardo altrove. "Lucia non
è più con loro, Anita. È tornata in casa famiglia"
proferisce, abbassando gli occhi, dispiaciuto.
Spalanco le labbra, sopraffatta dalla sorpresa davanti a questa rivelazione. Ma
non è possibile, lei stava bene con loro, i signori Cattaneo
erano tanto buoni gentili e le volevano davvero bene. Io li ho visti,
lei...
Nonostante non riesca a far trapelare i miei dubbi a parole, Luca
sembra captare ogni mio piccolo pensiero perché si preoccupa di
stringermi a sé, avvertendomi sconvolta da tale affermazione.
"So che sei esterrefatta, ma vogliono vederci Anita. Lucia, lei vuole
vederci" mormora piano, sfiorando la mia schiena con le sue dita.
Socchiudo gli occhi, nel tentativo di ricacciare indietro le lacrime
che premono per uscire. Non può essere vero. Non mi sento pronta
a rivederla, non quando mi ero detta sicura a lasciarla andare,
sapendola con una famiglia che poteva renderla felice.
Così dopo poco rialzo lo sguardo, facendolo incrociare con
quello di Luca che mi osserva come se fossi piccola e delicata tra le
sue braccia e potessi crollare da un momento all'altro.
"Quando?" gli domando, ingoiando un boccone terribilmente amaro.
"Oggi pomeriggio" mi rivela, esitante.
"Oggi pomeriggio..."sussurro, come a volermene capacitare. Luca fa per
stringermi ancora a sé, ma io gli sono già scivolata via
dalle mani. Oggi rivedrò Lucia...
Io
e Luca camminiamo fianco a fianco, avvolti nel nostro silenzio, mentre
ci facciamo strada verso il luogo prestabilito. La casa famiglia, un
edificio adibito in una struttura di datata costruzione, si staglia
davanti a noi e io avverto il mio corpo essere scosso da un brivido.
Così, quando sembra che io non riesca a fare altro che rimanere
impalata davanti al cancello, Luca mi prende per mano, stringendo la
sua con la mia e facendo combaciare le nostre dita saldamente. So che
il suo gesto sia lì per darmi conforto e rassicurarmi, ma non
credo che adesso ci sia qualcosa in grado di calmarmi.
Mi volto allora verso il mio fidanzato, dedicandogli la mia attenzione
e annuisco, mentre lui dopo il mio consenso suona al citofono.
Dopo esserci richiusi il portone alle spalle, percorriamo il vialetto
di ghiaia, ed è il solo scricchiolio dei sassolini sotto le
scarpe a interrompere il nostro mutismo.
Rilascio un sospiro, racchiusa nei miei pensieri e avverto lo sguardo
di Luca permanere a lungo su di me, come ad accertarsi che io stia
bene. Non so che realtà aspettarmi e sono spaventata alla sola
idea.
Ad aprirci è una giovane ragazza, cordiale e sorridente, che deduco sia un'educatrice.
"Buongiorno"enuncia, dedicandoci un'espressione confusa.
È Luca a prendere parola per primo. "Sono stato contattato dalla
dottoressa Parracciani. Abbiamo un appuntamento con lei" pronuncia
composto e serio.
A quel punto la ragazza annuisce vigorosamente. "Sì, certo,
entrate pure" si sposta di lato, permettendoci di farci spazio
nell'appartamento. "Io sono Elena, piacere di conoscervi" aggiunge,
porgendo una mano nella nostra direzione, affinché la
stringiamo.
Io e Luca ci premuriamo di ricambiare affabilmente.
"Venite pure" ci fa notare, prendendo a farci strada per il corridoio.
Lascio che il mio sguardo si posi in modo famelico su ogni particolare
che mi circonda, rendendomi conto che se dall'esterno l'edificio
presentasse un aspetto un po' trascurato, è evidente che
l'interno sia stato ristrutturato da poco, con l'arredo semplice e a
misura di bambino, le pareti dai colori sgargianti. Tutto sommato ha un
aspetto che potrei definire quasi accogliente.
Man mano che ci avviciniamo, comincio ad avvertire il chiacchiericcio
dei bambini che giocano. Mi chiedo se Lucia sia tra loro e se
sì, come starà?
Raggiungiamo presto la sala comune dove i bambini sono divisi per gruppi: alcuni stanno formando
delle collanine di pasta, aiutati dalle educatrici presenti, altri, in un tavolo poco distante, disegnano.
Non appena mi faccio spazio nella stanza, mi muovo alla ricerca di Lucia, ma i miei occhi non la trovano. Lei non è qui.
Abbasso allora lo sguardo ai piccoli ospiti, attirati dal nostro
arrivo, e mi
sento invadere il cuore dalla tristezza al pensiero delle storie che
ognuno di loro si porta dietro. Se fosse possibile, vorrei poter dare
una famiglia a ciascuno di loro, affinché siano circondati
dall'amore di cui ogni bambino necessita. Non mi ero mai trovata in un
luogo del genere, ma quando si dice che fin quando non ci metti piede,
non fai davvero conti con la realtà che ti circonda, è
vero. Spesso tendiamo a essere ciechi davanti al problema, ma è
un po' difficile ignorare un bambino con un passato tanto difficile
alle spalle.
Elena sorride, accarezzando il capo di una bellissima bambina con delle
adorabili treccine, che alza lo sguardo, arricciando le labbra in una
smorfia felice.
"Su, bambini, salutate Anita e Luca" li incalza, mentre loro alzano una mano nella nostra direzione.
"Ciao" annunciano in coro, poi, facendoci sciogliere in un sorriso, prima che ognuno ritorni alle proprie attività.
La giovane educatrice torna a rivolgersi a noi, facendoci segno di starle dietro.
"Lo studio della psicologa è da questa parte. Venite" ci fa presente, inoltrandosi in direzione di un altro corridoio.
Ma mi rendo conto di non starla ascoltando davvero. La mia attenzione
è completamente catalizzata su quei bambini e anche le colleghe
di Elena che incrociano il mio sguardo, captando i miei pensieri,
sembrano scrutarmi comprensive.
Poi, improvvisamente, mi sento tirare per l'orlo dei pantaloni, e abbasso gli occhi ai miei piedi.
Una bambina minuta e dolcissima, dagli occhioni scuri ed espressivi, mi
osserva, succhiando con forza il ciuccio che mantiene con una mano.
Mi sciolgo in un brodo di giuggiole, abbassandomi alla sua altezza per
carezzarle il capo. Deve avere poco più di 2 anni, ma è
così tenera che non riesco a resisterle; il mio sguardo è completamente attratto dal suo, così magnetico.
"Ciao..."proferisco, sciogliendomi in un sorriso dolce.
Lei sembra attratta dai braccialetti che tintinnano ai miei polsi e
prende a giocarci distrattamente con le dita, accennando a
un'espressione estasiata. Poi passa a scrutare le mie mani, voltandole
prima da un lato e poi dall'altro. Sembra che qualsiasi cosa sia per
lei una novità.
"Ti piacciono, tesoro?" le domando, mentre una delle ragazze presenti, ci raggiunge, fermandosi accanto a noi.
"È strano che Anna si sia avvicinata o addirittura si sia fatta
avvicinare. Ha una brutta storia di violenza alle spalle e anche con
noi all'inizio è stato difficile" proferisce l'educatrice, con
un'espressione puramente sorpresa.
Rialzo lo sguardo, puntandolo su di lei, e ricambiando il suo riso esterrefatto.
"Posso darti del tu?" mi chiede, abbassando lo sguardo, a disagio.
Osservandola mi rendo conto che sia davvero una delle più
giovani, forse addirittura una tirocinante.
"Ma certo!" le replico, per rassicurarla, spronandola a parlare.
"Avrà capito che sei una persona buona. I bambini sanno riconoscerlo" ammette.
Annuisco, lievemente in imbarazzo, prima che Luca, resosi conto che non li avessi seguiti, torna a richiamarmi.
"Ehi, Anita" enuncia, tendendomi la sua mano. "Vieni, andiamo".
Mi
rialzo, barcollando lievemente. "Sì, sì" gli rispondo,
distrattamente. "Mi ero trattenuta". Poi, volgendo un ultimo sguardo
alla piccola Anna che, vedendomi andare via, scoppia in un pianto
disperato, mi allontano, seguendolo per il corridoio ancora frastornata.
"Va tutto bene, Anita?" mi domanda Luca, notando il mio stato d'animo contrito.
Riporto l'attenzione su di lui, acconsentendo con il capo, lievemente.
"Sì..."ammetto in un sussurro, mentre giungiamo nello studio della psicologa.
La dottoressa Parracciani è una giovane donna dai fluenti
capelli rossi e gli occhi verdi, più verdi che abbia mai visto,
nascosti dietro una montatura sottile di occhiali. Dal suo volto
costellato di efilidi traspare tutta la sua dolcezza.
Ci accoglie entrambi con un sorriso, lasciando vagare la sua espressione sorpresa su di noi.
"Non sapevo foste una coppia!" pronuncia, corrucciando la fronte, esterrefatta. "Irene non mi ha detto nulla".
Arriccio la fronte in confusione, non comprendendo quale motivo si
nasconda davvero dietro la sua domanda. Siamo qui per vedere Lucia,
no?"Stiamo insieme da poco" ci tengo a precisare, rinsaldando la presa
sulla mano di Luca.
Lei annuisce, chetamente, incrociando le mani davanti a sé e
facendoci segno di sederci. Elena, nel frattempo, salutandoci, si
congeda, lasciandoci soli con la psicologa.
"Ma veniamo a noi" ammette lei, assicurandosi di avere la nostra
attenzione. "Sono Amelia Parracciani e sono la psicologa infantile che,
al momento, segue Lucia" si presenta, cordiale.
Ascolto attentamente ogni sua parola, rendendomi conto di quanto la sua
voce risuoni gentile. Sono felice di sapere che sia lei ad occuparsi di
Lucia.
"Vi chiederete perché siete qui?" ci domanda, scrutandoci da sotto gli occhiali.
Luca sospira, annuendo. Riesco a scorgere la tensione impossessarsi anche dei suoi tratti.
"Sì, è stata molto vaga a riguardo. Cosa è successo, di proposito?" le chiede, incalzandola a parlare.
Lei rilascia un respiro profondo, appoggiando le mani giunte sotto al mento.
"Sapevate che Lucia avesse intrapreso un periodo di preaffido presso una famiglia?"
"Sì, certo, i Cattaneo" le ribadisco.
Lei annuisce, continuando a esprimersi. "La piccola non ha mai
accettato sul serio l'allontanamento dall'ospedale e Irene mi ha
spiegato che si fosse molto affezionata a voi due, in particolar modo a
lei, Anita. Le prime settimane di ritorno qui si era chiusa in una
forma di mutismo; era per noi solo impossibile avvicinarla e poterle
parlare. Lucia non riusciva a comunicare più se non piangendo
istericamente e urlando. I signori Cattaneo sono stati davvero
pazienti, cercando di metterla a suo agio, ma Lucia ha fatto fatica ad
accettare così tanti cambiamenti in modo radicale. Eppure,
nonostante la sua iniziale reticenza, si è aperto uno squarcio
positivo e piano, piano, nel nostro periodo di osservazione, abbiamo
iniziato a notare che stesse uscendo dal guscio in cui si era racchiusa
per schermarsi. Usciva con loro ben volentieri, ne parlava spesso e
sembrava di nuovo felice. Prima che però un episodio non la
sconvolgesse ancora. Sono al corrente di quello che ha escogitato pur
di farsi ricoverare e sarete concordi con me che questo sia stato un
segnale di allarme".
La dottoressa si interrompe, scorgendoci contritamente.
"Voleva vederci..." le rivelo in un sussurro.
"Esatto, Anita" concorda lei con me. "E Lucia era disposta a tutto pur
di passare anche solo un secondo con voi. Quell'incontro l'ha fatta
precipitare. È diventata aggressiva e dispettosa. Faceva
continuamente capricci, ribellandosi alla figura della sua famiglia
affidataria. Massimo e Clelia erano allibiti davanti a un suo repentino
cambiamento, non riuscivano a capacitarsi di come una bambina tanto
buona fosse all'improvviso diventata così irascibile. Abbiamo
cercato di monitorare la situazione, eseguendo dei colloqui con lei e
con la famiglia. Il giudice stesso ha fatto presente di soprassedere,
per capirne l'andamento, fin quando una settimana fa, Lucia non
è scappata di casa" ci rivela, affranta.
"Cosa significa che Lucia è scappata di casa?!" la mia voce si
unisce a quella di Luca, entrambi sconvolti dalla notizia.
"Sì..."lei annuisce, passandosi una mano sulla fronte e
lasciando trapelare la rassegnazione dal suo sguardo. "Ha approfittato
di un loro momento di distrazione per evadere. La nostra fortuna
è stata che se ne siano resi conto in breve tempo, ritrovandola
poco lontano. Ma, a quel punto, non abbiamo potuto far altro che
constatare il malessere che stesse vivendo e riportarla in casa
famiglia ci è sembrata la scelta migliore. I signori Cattaneo
sono delle brave persone, indubbiamente, e l'hanno lasciata andare
davvero a malincuore. Arebbero potuto sul serio darle tutto l'amore
possibile, ma non è loro che Lucia vuole..."
"Dov'è, adesso?" le domando, avvertendo la mia voce uscire fioca
e distorta. Ingoio un boccone amaro, sentendomi improvvisamente a corto
di salivazione. Questo colloquio mi ha scombussolata, logorandomi al
pensiero che la mia piccola Lucia abbia sofferto così tanto.
Luca, a quel punto, appoggia la sua mano sulle mie, giunte sopra la
pancia e gli restituisco l'immagine del mio volto contratto in una
smorfia addolorata.
"È nella sua stanza, vi aspetta. Non fa che chiedere di voi.
Speriamo che questo incontro possa sortire l'effetto sperato".
La psicologa si alza dalla sua postazione, facendo il giro della scrivania per accompagnarci.
"Venite. Raggiungiamola" aggiunge in tono risoluto, mentre in religioso silenzio, io e Luca la seguiamo.
Percorriamo un lungo corridoio che conduce alle stanze dei bambini.
Ogni porta ha affisso delle targhette colorate con i nomi dei piccoli
ospiti.
Arrivati davanti alla sua, Amelia fa capolino nella stanza, nascondendoci alla vista di Lucia.
"Luci" la richiama, dolcemente. "Guarda un po' chi c'è per te" la esorta a voltarsi.
Mi sporgo oltre la sua spalla, scrutando Lucia distesa sul suo letto a
castello in posizione fetale, mentre dà la schiena alla porta.
"Va via!" strepita, ringhiosa.
Sussulto alle sue parole.
Amelia rilascia un sospiro, comprensiva, volgendosi nella nostra direzione.
"Prego, entrate" sussurra. "Sono sicura che al solo vedervi, sarà contenta".
Annuisco, facendo un passo in avanti, mentre Luca rimane dietro di me, accompagnandomi verso di lei.
Mi avvicino in punta di piedi, attenta a non fare il minimo rumore, con il petto ansante e gli occhi lucidi.
"Lucia..." proferisco, con la voce rotta dall'emozione.
Lei scatta in allerta, voltandosi repentinamente e sbarrando gli occhi davanti alla nostra vista.
"Anita! Luca!" trilla, lasciando che la gioia invada i suoi occhi.
Incrocio il suo sguardo e osservo il suo volto stanco e segnato da
delle profonde occhiaie, come se avesse pianto a lungo e il suo sonno
non sia più ristoratore. Lucia non è serena e mi piange
il cuore.
Prima che me ne possa solo rendere conto, la accolgo tra le mie braccia, trattenendo a stento le lacrime che premono per uscire.
"Anita!" esclama, in modo concitato, stringendomi a sé
spasmodicamente. Le sue mani artigliano la mia maglia stretta, senza
volermi lasciare andare. Presto il suo corpo è scosso dai
singhiozzi, mentre lei riversa il suo pianto silenzioso sulla mia
spalla. Luca, nel frattempo, si abbassa alla nostra altezza,
congiungendosi al nostro abbraccio. Nel modo in cui le sue braccia
avvolgono i nostri corpi mi rendo conto di quanta protezione sia
intriso il suo gesto.
"Portami via, Anita, portami con te" esala in un sussurro, disperato. "Portami via, portami via!"
A quel punto mi è impossibile trattenere le lacrime e continuo a
tenerla tra le mie braccia, godendo di ogni suo tratto e sfumatura da
vicino.
Lucia punta i suoi occhi nei miei, arricciando la bocca in un labbruccio.
Cerco di nasconderle le mie lacrime, esibendo un sorriso, nel momento
in cui lei incrocia il mio sguardo, ma mi risulta difficile.
Oh, mia piccola Lucia...
"Mi siete mancati, tanto" pronuncia, accocolandosi di nuovo a entrambi.
E nel momento in cui lo fa, mi rendo conto di quanto sarà
doloroso doverla lasciare andare.
Mi guardo indietro, incrociando gli occhi di Amelia, rimasta sulla
soglia della porta e sembra che anche lei sia colpita da questo
momento, perché accenna un sorriso soddisfatto, annuendo con il
capo.
"Non voglio che ve ne andate" ci confessa la piccola, rivelandosi la
sua preoccupazione nel frattempo in cui Luca le accarezza con dolcezza
il capo.
"Io vi voglio così bene!"
"Anche noi te ne vogliamo, tesoro" pronuncia il mio ragazzo, baciandola
tra i capelli e facendole socchiudere gli occhi sotto il suo tocco.
Lei rialza lo sguardo, posando le sue manine sulle nostre guance,
accarezzando i nostri visi ripetutamente come a capacitarsi che siamo
davvero lì, e fa in modo che il nostro sguardo sia per lei, per
lei soltanto.
"E allora portatemi con voi" ci supplica. "Voglio stare con te e
Anita!" aggiunge, macchiando la sua voce di estrema convinzione.
Abbasso gli occhi, portando lo sguardo lontano da lei e puntandolo
altrove, mentre lascio che sia Luca a prendersi cura di lei.
"Anita!" mi richiama proprio lui, vedendomi allontanare. Devo andarmene, adesso. Non resisto un minuto in più.
Sorpasso Amelia, ma lei non osa fermarmi, comprendendo che adesso abbia bisogno di metabolizzare tutto questo.
Così, una volta sulla soglia della porta, mi volto in direzione
della mia piccola, scoprendola piangente tra le braccia di Luca, mentre
sporge le sue braccia verso di me. Il suo corpo trema, scosso dagli
spasmi, e io avverto il mio cuore stringersi alla sua vista.
Poi, scappo via, letteralmente.
Mi
porto una mano al petto, stringendo la maglia che indosso tra le dita,
mentre mi lascio andare in un pianto liberatorio. Piango forte e
disperata, singhiozzando convulsivamente, ma è più forte
di me, non riesco a fermarmi.
"Anita..."Luca mi sorprende alle spalle, stringendomi da dietro, delicatamente a sé.
"Non ce la faccio, Luca, non ce la faccio..." confesso, amaramente, passandomi una mano sugli occhi per asciugarli, invano.
"Shh" sussurra lui, baciandomi una spalla. "Va tutto bene, tranquilla".
Socchiudo gli occhi mentre lui lascia che io sfoghi tutto il mio dolore, abbracciandomi e carezzandomi.
"Come posso vederla stare male, sapendo che non posso fare nulla?! Come
posso?! È impossibile, mi viene chiesto troppo! Non ce la
faccio, non ce la faccio!" strepito, agitandomi nervosa.
"Anita." Luca mi richiama con tono fermo, lambendo le mie spalle per
portami davanti a sé e incrociare il mio sguardo. "Calmati, ok?" proferisce, adagiando la sua fronte contro la mia.
Annuisco, tirando su col naso.
"Mi dispiace" ammetto, abbassando lo sguardo, mortificata. Mi passo
ripetutamente le mani tra i capelli, mordendomi il labbro forte, fino a farmi male. "Ho
peggiorato solo le cose... Lucia non vorrà nemmeno vedermi
più, adesso" esordisco, preoccupata al solo pensiero.
Luca scuote il capo, accarezzandomi una guancia con dolcezza. "Non
dirlo nemmeno per sogno, ok? Ma adesso andiamo a casa, è stato
sfiancante per te questo incontro. Hai bisogno di riposare".
A quel punto, lascio che, ormai spoglia di ogni forza e remura, sia lui
a condurmi. Ma, mentre percorriamo il vialetto che conduce all'uscita,
il mio sguardo si posa sull'edificio dietro di me e i miei occhi
incrociano quelli di Lucia che dalla finestra della sua stanza si
agita, battendo i pugni contro il vetro, pur di richiamarmi a
sé. Distolgo l'attenzione e non mi volto più.
Luca
si è preso cura di me, con quella delicatezza di cui solo lui
pare disporre. Si è assicurato che riempissi il mio stomaco e mi
fossi ripresa, prima di tornare al lavoro. La questione di Lucia non
è archiviata, lo scombussolamento che rivederla mi ha provocato
è lì, latente. Ho cercato di ignorare in questo periodo
un problema ancora esistente, ma fin quando sapevo fosse con una
famiglia, era diverso. Invece adesso?
Mentre me ne sto tristemente distesa sul letto, con lo sguardo perso e
vacuo al soffitto, mi accorgo che la casa, ora, senza Luca mi appaia
terribilmente vuota.
Poi,
improvvisamente, quando l'appartamento è avvolto nel silenzio
più totale, il campanello suona, arrivando a squarciare la
tranquillità nella quale mi ero avvolta.
Mi alzo
dal letto, strascicando i piedi a terra. Percorro la distanza
dalla mia camera all'ingresso e rilascio uno sbadiglio prima di aprire
il portoncino. Cristina si staglia sulla soglia; l'espressione agitata
e il colorito pallido.
"Cris..."annuncio, sorpresa.
Lei mi sorpassa, insinuandosi frettolosamente in casa mia e guardandosi intorno come a constatare che non ci sia nessuno.
"Anita, devo parlarti" enuncia, perentoria.
Aggrotto la fronte, andandole incontro. "Certo, dimmi pure" la sprono.
Lei abbassa lo sguardo, rilasciando un sospiro a fatica. Poi si porta le mani tra i capelli, socchiudendo gli occhi.
"Cris..."la richiamo, preoccupata dal suo stato.
"Ti ho
mentito, Anita. Non ti ho detto tutta la verità, sto male da
giorni e non è vero che il mio malessere dipendesse dal cibo.
Ho, ho comprato un test di gravidanza..." mi confessa ormai in preda alle lacrime,
gesticolando con un certo nervosismo.
"Oh, Cristina" esalo, avvicinandomi per stringerla a me. "È positivo?"
Lei scuote il capo, affranta. "No, non l'ho ancora fatto. Sono qui per questo" le sue dita corrono alla ricerca della confezione, mostrandomela tremante.
"Vieni, andiamo". Prendo le sue mani tra le mie, accompagnandola in
bagno, comprendendo che adesso la mia amica abbia bisogno del mio
sostegno.
"Sono
passati due minuti?!" mi domanda, agitata, mentre siamo entrambe sedute
sul mio letto, in attesa del risultato. Non fa che battere ritmicamente
il piede a terra, e credo che mi stia venendo un gran mal di testa.
"Non ancora..."le replico, mostrandole il display del mio cellulare. "Ma manca poco".
Lei annuisce, lasciandomi trapelare la sua ansia, e si mangiucchia le unghie.
"Cristina" la richiamo, appoggiando una mano sulla sua spalla. "Andrà tutto bene".
Lei annuisce, non del tutto convinta, e quando il timer suona, sussulta spaventata.
"Guardalo tu, guardalo tu, ti prego" mi supplica, giungendo le mani tra loro e indicando la scatola con il capo.
Rilascio
un sospiro, acconsentendo con il capo e prendo il test tra le mani. Osservo la mia
amica, al mio fianco, socchiudere gli occhi, con le mani incrociate tra
di loro accanto alle labbra.
Avvicino l'oggetto tra le mie mani al viso e mi lascio invadere dalla sorpresa non appena mi rendo conto che sia positivo.
"Cris..."la richiamo, con la voce che tremula per l'emozione. "È, è p-positivo"
Lei sbarra gli occhi, strappandomi il test dalle mani. "Fammi vedere!"
Quando
si rende conto che non le abbia detto una menzogna, si porta una mano
alle labbra, cominciando a respirare a fatica. "Devo rifarlo...non
può essere..."proferisce in un susssurro.
"Cris..."
"No, no, no!" strepita, agitandosi nervosamente. "Non posso essere incinta, non posso!"
Comincia
a muoversi ansiosa per la stanza, sotto il mio sguardo attento ma
confuso, poi afferra la sua borsa, estraendone altre tre confezioni.
Risulteranno essere tutti positivi.
"Anita, io non posso essere incinta" piagnucola, mantenendosi la testa
con le mani. Riesco a scorgere il terrore nei suoi occhi e non so
davvero come poterla calmare. Anche perché non mi aspettavo
potesse reagire così alla notizia.
"Ehi..." lambisco le sue spalle, carezzandole le braccia. "Devi dirlo a Edo, lui deve saperlo".
"No!"urla. "Lui non saprà niente di questo e tu non glielo
dirai" mi fa presente, puntandomi un dito contro con tono minaccioso.
"Cooosa?!" le faccio notare, mostrandole il mio disappunto. "C'è
una vita che sta crescendo dentro di te! Edo è il padre e ha
ogni diritto di saperlo..."
Cristina trae un respiro profondo, arricciando le labbra in una smorfia
di dolore. "No, io non posso avere questo bambino. Non doveva
succedere, non ora, non così..."confessa, con gli occhi
arrossati dal pianto.
Le lancio un'occhiata di sbieco. "Beh, se magari foste stati più
attenti!" l'accuso, ridendo sarcasticamente. "Ma adesso questo bambino
è dentro di te e tu devi prenderne coscienza" aggiungo,
avvicinandomi per poggiarle una mano sulla pancia.
Lei diniega il capo, allontandosi terrorizzata. "No, Anita, io non posso, non posso davvero!"
La scruto allontanarsi sempre di più da me e poi riprendere la
sua borsa, stringendola al petto, prima di uscire svelta dalla stanza.
"Non puoi fare così, Cristina!" le urlo dietro, "assumiti le responsabilità delle tue azioni!"
Ma lei ormai è già andata via.
ANGOLO AUTRICE:
Buon pomeriggio! Come state?
Io bene e come vedete non smetto di sfornare capitoli ahahah, anche a
costo di scrivere la sera fino a tardi. Mi rendo conto che questo sia
un capitolo bello forte, ma volevo che fosse esattamente così.
Finalmente dopo un po' di tempo rivediamo Lucia e scopriamo cosa le sia
successo in questo periodo lontana dall'ospedale. Ahimè, la
nostra piccolina non se l'è passata bene e come vedete il ritono
in comunità è stato necessario.
Scrivere del loro incontro è stato emotivamente difficile-veniva
da piangere anche a me- ma era necessario e spero si sia evinto tutto
il dolore e l'impotenza che volevo si trasmettesse. Ma, arrivati a
questo punto, come crediate possa proseguire la vicenda? Anita
riuscirà a rimanere indifferente al pensiero che Lucia stia
soffrendo?
Aspetto i vostri commenti e le vostre opinioni a riguardo con ansia! E
intanto ne approfitto per ringraziare chiunque segua ancora questa
storia; chi legge, chi l'ha inserita nelle sue liste, ma soprattutto
chi recensisce. Grazie davvero! Senza il vostro supporto non riuscirei
ad andare avanti.
Un abbraccio e alla prossima! <3