Film > Black Panther
Ricorda la storia  |      
Autore: AminaMartinelli    25/06/2019    5 recensioni
Chiedendo aiuto per una missione al Dottor Strange, Black Panther si ritrova nell'insolito, involontario ruolo di Cupido per il suo fidato collaboratore e amico Everett Ross.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Questa ff è un tentativo di Everstrange (ma in sostanza è l'ennesimo tentativo da parte mia di mettere e mantenere insieme quei due adorabili pasticcioni di BC e MF!).
Non ho idea di come sia venuta perché è la prima volta che mi cimento con i loro ruoli nel MCU e, purtroppo, non c'è un solo momento in cui Everett Ross e Stephen Strange compaiano insieme nei film sugli Avengers, quindi non ho idea di come potrebbero interagire. Di conseguenza ho fatto del mio meglio non negandomi "contaminazioni" che gli Shwrlocked riconosceranno.
È dedicata a Béa, perché è stata una sua idea, perché abbiamo detto che sarebbe stato carino scriverne una insieme ma la vita è ingiusta, ma soprattutto è dedicata a lei perché le voglio bene.


Everett K. Ross si considerava una persona pratica, di più: pragmatica, razionale, senza grilli per la testa, abituato a muoversi in istituzioni e ambienti che non lasciavano grande spazio alla fantasia.

Poi si era ritrovato a combattere nel Regno di Wakanda, un luogo che rimandava più alla leggenda che alla realtà, per un re-supereroe passionale e travolgente come T’Challa…così aveva scoperto un lato del suo carattere che non aveva mai esplorato, incline a seguire l’istinto e farsi coinvolgere dai moti del cuore.
Come quando si era beccato un proiettile che lo aveva quasi ucciso, per fare da scudo a Nakia, e lo aveva fatto senza pensarci, mosso da ragioni che la ragione non capirebbe e su cui lui stesso non si era fatto domande.

Entrare in quel mondo, diverso da qualunque cosa avesse mai potuto immaginare, per essere curato dal potere di quello stesso vibranio che aveva scatenato l’avidità di Klaue (e non solo la sua), gli aveva fatto conoscere persone che lo avevano cambiato, portando alla luce un altro Ross.
Non che gli dispiacesse, questo suo lato, ma non poteva permettersi di indulgere in questo genere di cose, o almeno se ne era convinto tornando alla sua realtà quotidiana.

Per questo ora, in quella stanza, protetto dal vetro polarizzato, non voleva proprio crederci che quello che stava osservando era uno stregone…anche dopo Wakanda continuava a pensare che c’è un limite a tutto.

Lo osservava, non visto, con sguardo scettico e postura composta, come se questo potesse proteggerlo dal rischio di crederci.
Non fosse altro che per l’incredibile fascino che quel personaggio emanava.
Ma per carità! Adesso ci mancava solo che lo trovasse bello e l’elenco delle assurdità sarebbe stato completo.

Dall’altra parte del vetro, Stephen Strange aspettava con calma. Aveva meditato fino a pochi minuti prima di entrare in quell’edificio, si era quindi assicurato un bel po’ di ore di autocontrollo totale, anche se temeva che gli sarebbero servite tutte.

Dal suo arrivo a Kamar-Taj, in cerca di guarigione, ne era passata di acqua sotto i ponti, e lui aveva imparato, al di là di ogni segreto magico, la difficilissima arte della conoscenza di sé e del controllo di emozioni e reazioni.
Ma il vecchio Stephen non era del tutto scomparso sotto la Cappa della Levitazione, e a volte tentava di riemergere specialmente quando le circostanze erano così esasperanti come l’aver a che fare con un gran numero di burocrati, governativi e diplomatici.

Se quella non fosse stata una situazione di emergenza e la persona che doveva incontrare non gli fosse stata raccomandata da re T’Challa in persona, non si sarebbe sottoposto ad un simile esercizio di pazienza.

Everett continuava ad osservarlo. La sua esperienza, in anni di lavoro con i diplomatici, gli aveva insegnato a studiare chi aveva davanti con la massima attenzione, così da poter cogliere ogni minimo cambiamento nella postura, ogni tic o gesto istintivo, ogni micro espressione, ciò che sfuggiva ai più: le regole del linguaggio corporeo.

In questo modo non c’era verso che qualcuno potesse ingannarlo.
Ma in quella occasione si stava davvero innervosendo: quel Dr. Strange sembrava impassibile. Immobile da parecchi minuti, il suo viso era come una maschera di cera e, maledizione, teneva gli occhi chiusi.

Avrebbe voluto prendersi altro tempo per studiarlo…avrebbe aperto gli occhi, prima o poi!
Ma non poteva far protrarre ulteriormente l’attesa senza un valido motivo.
Quindi si decise ad entrare, prendendo un bel respiro.

Quando la porta si aprì, Strange non mosse un muscolo, non sollevò le palpebre.
“La sua analisi comportamentale è già finita o è solo venuto a studiare il soggetto più da vicino?” disse con un tono inespressivo.
Ross sentì l’impulso di sbattere la porta per scuotere quell’odioso pieno di sé, ma si trattenne.
“Ottimo autocontrollo, Everett, i miei complimenti”, lo stuzzicò ancora Stephen.
L’uomo spostò delicatamente una sedia e si sedette dall’altra parte del tavolo.
“Senti chi parla di autocontrollo...mi tolga una curiosità: perché ha voluto vedermi in una stanza per interrogatori? È allergico al vinile del salottino?”

Solo in quel momento Strange si lasciò sfuggire un sorriso.
“Per darle la possibilità di studiarmi. So bene quanto lei sia diffidente e sospettoso, qualità essenziali nella sua professione”
Everett si irrigidì, serrò le labbra, poi sibilò:
“Bene. Mi hanno detto che lei viaggia nel tempo, quindi probabilmente ne ha da perdere. Io invece no. Perciò veniamo al dunque: re T’Challa mi ha assicurato che lei può esserci utile, altrimenti non sarebbe qui”
“Black Panther mi ha chiesto di collaborare con lei, raccomandandomi di fidarmi del suo istinto e della sua professionalità…altrimenti non sarei qui”
Strange aprì finalmente gli occhi e li fissò in quelli blu profondo, spalancati e colmi di sorpresa di Ross.
“Non siamo nemici, Everett, combattiamo sullo stesso fronte…”
Ross abbassò per un attimo lo sguardo, sopraffatto dal potere di quegli occhi, che in quel momento brillavano dello stesso splendore della Gemma del Tempo.
“Mi fido ciecamente di T’Challa”, voleva essere un’affermazione forte, ma gli uscì come un sussurro.
“E lui di te, Everett. Ora diamoci da fare, ti prego, la situazione sta precipitando”
Ross sorrise malizioso: “Da quando ci diamo del tu?” e avrebbe giurato di aver visto gli zigomi pallidi dello stregone tingersi di un rosa acceso…
Stephen si alzò in piedi, costringendo l’altro a fare lo stesso, per non lasciarlo torreggiare nella stanza su di sé, ma nonostante ciò le cose non cambiarono sensibilmente e Ross si sentì di nuovo nervoso (o era a causa del calore intenso della mano che Strange gli aveva posato su una spalla?).
La voce baritonale di Stephen riempì la stanza di vibrazioni a cui Everett non poté sottrarsi.
“Andiamo, ti spiegherò tutto”
Un gesto, e un vortice di luce aprì un portale attraverso il quale scomparvero entrambi.

---
Quando l’ennesimo vortice si aprì e piombarono nello studio di Strange, Ross era certo di averne attraversati almeno venti, di quei dannati portali, e lo colse un lieve senso di nausea.
Ebbe anche un capogiro perciò, mentre Stephen atterrò elegantemente su di una poltrona, lui si ritrovò seduto per terra come un bambino che avesse esagerato col girotondo.
Si aspettava un ghigno e qualche battuta sarcastica, invece Stephen prontamente si alzò e gli si inginocchiò accanto offrendogli aiuto per alzarsi.
“Quando non si è abituati è un po’ destabilizzante, me lo ricordo”
Il tono gentile lo sorprese quanto i gesti premurosi.
Ma fu l’espressione del volto di Strange a lasciarlo senza fiato, non ricordava di essere mai stato guardato con quella intensità, con un interesse così sincero e profondo…la spiacevole sensazione alla bocca dello stomaco si tramutò in uno sfarfallio inebriante.
Afferrò incerto la mano che gli veniva offerta ed entrambi avvertirono distintamente la potente scossa che passò dall’uno all’altro.
Stephen lo aiutò a mettersi in piedi e poi a sedersi sull’altra poltrona.
Lo sguardo interrogativo di Everett lo spinse a parlare di nuovo.
“A forza di attraversare portali dobbiamo esserci caricati di elettricità. Passerà presto”
Ross lo guardò dritto negli occhi prima di lasciargli la mano.
“Non ne sono sicuro”, gli sfuggì. Poi volse la testa ad ammirare il luogo in cui si trovavano.
“Gran bel posto, il tuo ufficio. Niente a che vedere col mio…”
“Forse perché io lavoro in proprio”, replicò ed entrambi risero anche se non era una battuta esilarante.
“Quindi…missione compiuta?”
Stephen sorrise intenerito dal nervosismo di Everett.
“Sì. Sapevo che T’Challa non avrebbe potuto indicarmi che il migliore. La tua collaborazione è stata preziosa: non avrei saputo trattare a livello diplomatico con i sovrani dei vari regni. Con alcuni ho avuto la tentazione di farli scomparire in qualche recesso dell’universo. Per fortuna avevo te al mio fianco, ad intervenire sempre nel modo e nel momento giusto.”
L’aveva detto tutto d’un fiato e non sapeva neanche il perché. Aveva sentito l’esigenza di rassicurare e lodare quel piccolo grande uomo, seduto accanto a lui con l’aria un po’ sperduta, quasi fosse uno studente che aspettava il giudizio di un professore.
Avrebbe voluto fare di più. Lo avrebbe abbracciato, si sorprese a pensare, ma non sarebbe stato opportuno…no, assolutamente.
Lo stava ancora pensando quando la Cappa gli si sfilò di dosso e volò a posarsi sulle spalle di Ross, come una coperta antishock, per poi avvolgerlo in quell’abbraccio che Stephen aveva censurato, negandolo ad entrambi.
Everett passò delicatamente una mano sul tessuto della Cappa in un gesto che voleva apparire casuale ma che somigliava tanto ad una carezza.
“Vive di vita propria?”, disse con una risatina nervosa.
“In un certo senso…diciamo che ha una forte personalità”
“Wow”, gli occhi di Ross si spalancarono sentendo il tessuto vibrare sotto le sue dita. Nello stesso istante un brivido percorse Stephen.
Per mascherarlo fece comparire sul tavolo una bottiglia di liquore ambrato e due bicchieri.
“Facciamo un brindisi, poi ti accompagno al tuo ufficio” Ross immaginò di dover attraversare altri portali e la sola idea gli fece tornare la nausea.
“No, per carità!”, esclamò. Poi si ricompose, afferrando il bicchiere in cui Strange aveva versato un po’ di liquore.
“Voglio dire…no, grazie, non sarà necessario: posso chiamare un’auto di servizio. Non ti scomodare” e trangugiò in un sorso tutto il contenuto del bicchiere.
“Beh, certo, non ci avevo pensato…”, sospirò Stephen. Posò il bicchiere dopo averlo a sua volta svuotato, poi lo riprese giocherellandoci con le lunghe dita. “è…molto tardi. Posso ospitarti qui se vuoi”.
Ross sollevò la testa di scatto.
“Non…non penso sia il caso. In ufficio si staranno chiedendo che fine ho fatto”
“Non credo – si affrettò a replicare Stephen – T’Challa li avrà avvertiti che sei in missione diplomatica”.
La Cappa gli si strinse addosso, protettiva e possessiva.
Everett non poté evitarsi di pensare che era leggermente inquietante. Come se avesse letto i suoi pensieri, la Cappa volò via andando a posarsi su di un appendiabiti che prima non c’era.
Ross si alzò.
“Davvero, Stephen, ti ringrazio ma non è necessario. Ora è meglio che vada”
Anche Strange si alzò e lo accompagnò alla porta senza fiatare, mentre Ross telefonava.
Il tempo di scendere al piano terra e uscire sul marciapiedi che un’auto gli si affiancò. Salì e chiuse lo sportello.
“Tutto bene signore?”, l’autista si informò, lanciandogli una occhiata discreta dallo specchietto retrovisore.
“Tutto perfetto”, rispose. Ma in realtà niente gli sembrava perfetto, in quel momento, e non si era mai sentito tanto scontento e fuori posto.

---
“Buonasera, maestà”. Entrando in casa sua, Ross accennò un piccolo inchino a T’Challa che, in piedi al centro del salotto, lo squadrò perplesso.
“Quanta formalità…non siamo a Wakanda”
“Scusa, deformazione professionale”
Il re alzò un sopracciglio, poco convinto.
“Davvero, Everett? Non capisco: sono passati due mesi dalla brillante conclusione della missione con Strange. Le cose non sarebbero potute andare meglio di come sono andate, eppure tu sei sempre così nervoso, sembri insoddisfatto”
Ross fece un sorriso sghembo.
“Mhm, meglio che io non giochi a poker in questo periodo, visto che sono un libro aperto…”
T’Challa assottigliò lo sguardo.
“Lo sei per me. Hai dimenticato da quanto tempo sei al mio fianco? Spero di non sbagliare dicendo che ormai siamo amici”
Quella frase accese un campanello di allarme nella testa di Ross. Non sentiva il bisogno di aggiungere il senso di colpa alla compilation di sentimenti negativi che gli suonava dentro.
Avanzò, con tutta la disinvoltura che riuscì ad imporsi, verso l’amico.
“Hai ragione. Non vorresti accomodarti sul divano? Posso prepararti il tuo cocktail di frutta preferito…”
Sul viso del re si diffuse un sorriso spontaneo che lo fece sembrare un ragazzo, più che un saggio sovrano. Si lasciò cadere sul divano, rilassandosi.
“Ottima idea, adoro i tuoi cocktails di frutta. Che ne diresti di metterci anche una spruzzatina di ‘oratiraccontochemistasuccedendo’?”

Everett non poté evitare di ridere, non avrebbe saputo dire se per nervosismo o sollievo. Si diresse all’angolo bar e cominciò a versare gli ingredienti nel mixer, mentre rifletteva su come sbrogliare la matassa di pensieri ed emozioni che lo intrappolava, per riuscire a confidarsi con il suo amico di sempre.
Era ancora di spalle, quando decise di parlare.
“Sono innamorato”, affermò con apparente indifferenza, come se avesse annunciato l’acquisto di una nuova auto.
T’Challa rimase in silenzio, aspettando il seguito, che però non arrivò.
Ross terminò di preparare il cocktail e lo porse al suo amico, poi si sedette a sua volta, stringendo tra le mani un tumbler come se fosse un dispositivo salvavita.
Il silenzio si stava facendo imbarazzante, quindi T’Challa, ormai convinto che Everett non avrebbe detto altro, decise di replicare.
“Era ora che il tuo cuore venisse conquistato! Chi è la fortunata?”
Everett bevve un sorso dal suo bicchiere.
“Non è una persona”
A T’Challa andò di traverso il cocktail e cominciò a tossire in modo convulso.
Quando si calmò si sporse in avanti sul divano, posò il bicchiere sul basso tavolino davanti a lui e fissò il suo amico.
“Dimmi che ho capito male”
Ross accennò un sorriso, finì il suo liquore, poi si appoggiò allo schienale della poltrona.
“Hai capito benissimo”
T’Challa scosse la testa e replicò.
“No, davvero, sono serio…non è una persona? Cos’è? Un animale, forse?”
Everett chiuse gli occhi e si prese la testa tra le mani, piegandosi in avanti per appoggiare i gomiti sulle ginocchia, nel gesto più stanco che il suo amico gli avesse visto fare.
“È un mantello…”

---
Avevano parlato per ore.
Era ormai l’alba quando T’Challa aveva lasciato l’appartamento di Ross, preoccupato per ciò che il suo amico avrebbe dovuto affrontare, sapendo che lo spaventava più di qualunque nemico, sapendo di non poterlo aiutare pur essendo stato lui l’artefice di quell’incontro, l’inconsapevole promotore di una potenziale catastrofe.
Aveva tentato di sdrammatizzare e gli aveva consigliato di agire, ma sapeva bene che era solo un tentativo di alleggerire il peso che gravava sulle spalle e sul cuore del suo più caro amico e fidato collaboratore, un tentativo che temeva essere vano.

Quando il suo amico era ormai lontano, Everett si versò altro whiskey e andò alla grande finestra che gli permetteva di ammirare Manhattan e restò a fissare il proprio riflesso nel vetro immacolato.
Il suo volto sembrava incombere come quello di un minaccioso gigante sulle luci della città, invece lui si sentiva quasi insignificante, un sentimento inusuale per lui.
“Siete nella stessa città – gli aveva detto T’Challa prima di andare via – non devi attraversare nessun portale per raggiungerlo, devi solo salire in cima a quel palazzo. Ma prima devi scendere dentro di te e tirarti giù dal piedistallo del tuo orgoglio”.
Facile a dirsi. Molto meno a farsi.
Sapeva che avrebbe passato la notte a quella finestra, a bere per annullare il rimbombo dei suoi pensieri.
Andò a versarsi altro liquore e vide il pacchetto di sigarette che aveva lasciato in bella vista per sfidare se stesso a resistere alla tentazione.
Decise che aveva resistito abbastanza.
Ritornò davanti alla vetrata e fece scattare l’accendino, aspirando con troppa forza.
Si prese in giro ‘devi solo accenderla, non consumarla tutta in un solo tiro’.
Il bagliore di brace sulla punta della sigaretta, riflesso nel vetro contro il cielo nero, gli ricordò i vortici di luce creati da quelle splendide mani che non riusciva a dimenticare.
Aspirò un’altra boccata, chiudendo gli occhi, e in quel momento una voce alle sue spalle lo fece trasalire.
“Quelle cose ti uccideranno”
Spalancò gli occhi e cominciò lentamente a voltarsi, voleva replicare nel modo più arguto possibile, ma non fece in tempo neanche a finire di girarsi che venne avvolto da un’affettuosa cappa rosso passione.
“Le mancavi”, affermò con la massima serietà quella voce che un attimo prima lo aveva sorpreso, ma che risentiva nella sua testa da mesi, soccombendo ogni volta allo sconvolgente effetto di quelle tonalità calde e vibranti.
“Lo vedo”, rispose.
Cercò nella sua mente ogni tipo di commento sarcastico, ma fallì miseramente.
La sola cosa che trovò fu un sentimento sincero e profondo per quella magica cappa e il suo maestro.
Il calore che questo pensiero trasmise al suo cuore si diffuse in tutto il suo corpo e fece vibrare il magnifico tessuto, che si strinse più dolcemente intorno a lui.
Sembrava facesse le fusa, ed era la cosa più adorabile che gli fosse mai capitata.
Finalmente si arrese alle emozioni e rinunciò ad ogni difesa, aveva la certezza di essere al sicuro, di non avere nulla da temere, di potersi fidare ciecamente di Strange, affidarsi a lui come aveva fatto durante la missione anche quando ciò che succedeva era troppo incomprensibile…troppo magico.
Mentre lui apriva il proprio cuore a queste riflessioni, il meraviglioso volto di Stephen si apriva in un sorriso che aveva del soprannaturale, che lo rendeva persino più bello di quanto già fosse.
Non ci fu bisogno di parole. Fecero all’unisono i passi necessari ad annullare la distanza tra loro.
La Cappa si aprì quel tanto che bastava per avvolgere entrambi e, all’interno di quel cerchio incantato Stephen pose le sue grandi mani sui fianchi di Everett, che chinò il capo poggiando la fronte sul petto di Strange che si sollevava e si abbassava in sincrono col suo.
Sussurrò “Stephen...”
Lo stregone gli accarezzò delicatamente il collo e la nuca, sfiorando con la punta delle dita i corti capelli argentei e rispose alla muta domanda poggiando la guancia sulla testa di Ross che continuò:
“Ho provato a negare tutto questo…”
Strange replicò:
“Lo so, Everett…ma le cose stanno così e non possiamo sfuggire alla realtà”
“Disse lo stregone che manipolava il tempo…”
Everett lo sentì sorridere sui suoi capelli e un brivido gli percorse la schiena. Si accostò di più a lui, aiutato dalla Cappa.
“Ma la realtà dell’amore è ineffabile e non ho alcun potere su di essa, e neanche su di te: la tua magia è ciò che mi ha attratto qui, non avrei mai potuto resistere”
Ross alzò il viso.
“Amore…?”
Stephen fissò il suo magnetico sguardo nel blu indescrivibile degli occhi di Everett.
“È una parola che infonde timore, ma è ciò che è”
“È ciò che è”, gli fece eco Ross.
Strange abbassò il viso e fece unire le loro labbra: non c’era altro da dire, non era più il tempo delle parole, era il momento di lasciarsi andare all’unica vera magia, quella che scaturiva dai loro cuori.
   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Black Panther / Vai alla pagina dell'autore: AminaMartinelli