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Autore: lady lina 77    27/06/2019    3 recensioni
Una nuova fanfiction, una AU (che sarà molto lunga), che parte dal tradimento di Ross della S2. Cosa sarebbe successo se Elizabeth si fosse accorta prima di sposare George, della gravidanza del piccolo Valentine? Cosa sarebbe successo se avesse obbligato Ross a prendersi le sue responsabilità?
Una storia dove Ross dovrà dolorosamente fare i conti con le conseguenze dei propri errori e con la necessità di dover prendere decisioni difficili e dolorose che porteranno una Demelza (già incinta di Clowance) e il piccolo Jeremy lontano...
Una storia che, partendo dalla S2, abbraccerà persone e luoghi presenti nelle S3 e 4, pur in contesti e in modalità differenti.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Demelza Carne, Elizabeth Chynoweth, Nuovo personaggio, Ross Poldark, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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"Io questo NON lo mangio!". Daisy picchiò la forchetta sul tavolo, incrociò le braccia, dondolò le gambine dalla sedia e si imbronciò, decisa a portare a termine quel suo proponimento.

Falmouth sospirò, Ross osservò in silenzio la scena, i bambini restarono concentrati a guardare come andava a finire e Demelza sudò freddo, osservando ciò che aveva nel piatto. In effetti quello strano polpettone dall'indubbia farcitura, non attirava nessuno di loro. E i gemelli, con cui bisognava faticare anche per il dolce, di certo non ne avrebbero messo in bocca nemmeno un pezzetto. La cucina scozzese era stata decisamente bocciata dal clan Boscawen e a giudicare dalle facce di Ross e Dwight, anche dai Poldark e dagli Enys!

L'addetta alle cucine, una donna scozzese sulla sessantina dai capelli biondi ormai tendendi al bianco, la pelle chiara e cosparsa di lentiggini e il viso pieno di chi apprezza il cibo locale, guardò storto la bambina. "Haggis... Una delle prelibatezze della regione! Ci sono bambini che ruberebbero, per poterlo mangiare".

"Regalalo a loro!" - ribattè Daisy, spostando di lato il piatto.

Falmouth, che di solito interveniva quando si verificavano quei capricci, stavolta rimase silenzioso. Quel piatto non attirava nemmeno lui... "Haggis... E di cosa sarebbe fatto questo... cibo...?".

La cuoca annuì, orgogliosa della sua opera. "E' lo stomaco di pecora ripieno di frattaglie, appunto, della pecora: interiora, cuore, polmoni, fegato, cipolla, farina d'avena e spezie!".

Clowance, a quella spiegazione, impallidì ed imitò la sorella, spostando il piatto. "Nemmeno io lo voglio!".

E ancora, nessuno osò darle torto.

Falmouth tossicchiò mentre anche Demelza e Ross, dopo essersi guardati negli occhi, decidevano che per quella sera era meglio digiunare. In fondo Demelza non si sentiva così affamata, aveva un pochino di nausea e difficilmente questo 'Haggis' gliel'avrebbe fatta passare.

Demian si alzò dal tavolo, avvicinandosi a Dwight. "Vero che se mangio questa cosa, poi mi viene mal di pancia? Vero che se mi danno il pasticcio di patate è meglio?".

Dwight sudò freddo, facendo correre lo sguardo fra il bambino, Falmouth e infine Demelza, in cerca d'aiuto. "Ecco...".

Prudie, seduta in disparte accanto ai bambini, annuì. "Stavolta sono d'accordo con le bestioline!" - borbottò, mentre la cuoca scozzese se ne usciva dalla stanza indispettita.

L'unico fino a quel momento rimasto in silenzio, si fece sentire. Valentine tagliò un pezzo di Haggis, se lo portò alla bocca, lo masticò mentre Ross lo guardava disgustato e poi sorrise. "E' buono! Dai papà, provalo!".

"NO!" - ribattè Ross secco e stizzito quanto Daisy poco prima, provocando una risata di Demelza.

E Jeremy colse la palla al balzo, passandogli il suo piatto. "Sei esile Valentine, ti regalo anche il mio!".

Demelza lo fulminò con lo sguardo, non aveva ancora dimenticato lo scherzetto delle mance e non apprezzava nemmeno quando Jeremy faceva il furbo, anche se era per una giusta causa. "Jeremy".

"Non lo voglio, mamma!" - ribattè il bambino.

Falmouth si alzò in piedi, picchiando le mani sul tavolo per attirare l'attenzione. "Su, un pò di dieta non farà male a nessuno e purtroppo dovremo adattarci! Difficilmente questa gente sarà in grado di fare piatti per popolazioni civilizzate e non è nemmeno giusto chiederglielo! Non ne sono in grado!".

"E il pasticcio di patate?" - chiese Demian.

"Lo mangerai a Londra!" - rispose Falmouth. "Ma ora, ho cose più serie di cui discutere! Ho organizzato una battuta di caccia per domani, con tanto di pranzo al sacco! Panini imbottiti, da Prudie e Mary per fortuna nostra! Sarà una bella giornata di svago per tutti".

Demelza guardò fuori dalla finestra, pensierosa. Il tempo era orribile e difficilmente sembrava votato al miglioramento. "Sta piovendo e pioverà, dice la gente del posto!".

"Dove dovremmo andare per questa battuta di caccia?" - chiese Dwight.

"Sui monti Cullin! Luogo isolato, impervio, pieno di grotte e anfratti e perfetto per stanare cervi, volpi e caggiagione di qualità" – rispose Falmouth – "E...".

Demelza sbuffò. C'era altro sotto, lo sospettava fortemente. "E?".

Falmouth sorrise, sornione. "E in quella zona c'è un castello che potrebbe fare al caso nostro! Sorge su una piccola isola collegata alla terra ferma da un ponte, è grande e maestoso, antico quanto basta ma in buono stato. Incute timore in chi lo guarda ed esprime la potenza di chi lo possiede! Il castello di Eilean Donan, costruito nel tredicesimo secolo da Alessandro II di Scozia per fronteggiare le invasioni vichinghe, è perfetto per insediare i Boscawen in queste terre!".

"Forte! Chi sono i vichinghi?" - chiese Valentine.

"Gente più selvaggia persino degli scozzesi, ragazzo!" - ribattè Falmouth.

"Ohhh! Papà, tu li conosci?".

Ross sospirò, non sapendo se ridere o piangere per la piega che aveva assunto la cena. In realtà era strano, non erano cose a cui era abituato e che forse aveva sempre un pò evitato anche quando il suo casato era grande e si riuniva a Trenwith, ma quella strana convivialità e condivisione di momenti 'di famiglia', iniziava a piacergli. Ed immaginava anche di capire perché piacesse a Demelza, nonostante le idee astruse ed antiquate di Falmouth: lei non aveva mai avuto nulla da piccola, non pranzi insieme, non chiacchiere davanti al camino, non momenti di condivisione. E nemmeno lui in fondo, sempre alla ricerca di soluzioni ai problemi del mondo, le aveva mai dato nulla del genere se non in rare occasioni. Ora ne era coinvolto, ne sarebbe sempre stato coinvolto e... poteva dire di non disprezzare la cosa. Valentine poteva mangiare circondato da chiacchiere invece che dal silenzio, c'erano tanti bambini che donavano allegria alla tavola e l'atmosfera era calda e piacevole anche per gli adulti. "No, non conosco i vichinghi ma ne ho sentito parlare. Guerrieri valorosi e imbattibili. E con una società di certo non antiquata ma anzi, guidata da idee moderne e eque, da quanto dicono".

"Idee selvagge ed incivili!" - lo rimbeccò Falmouth.

Demelza gli diede un calcetto sulla gamba sotto il tavolo, consigliandogli di non contraddire Falmouth oltre. Certi argomenti erano out a tavola e Ross doveva cercare di sopravvivere a certe cose. Lei conosceva Falmouth, percepiva a fiuto quando stava per inalberarsi ed addentrarsi in un'infinita disquisizione sulla politica e sulla superiorità degli inglesi e aveva, col tempo, imparato ad evitare con astuzia situazioni del genere. Ed era meglio che imparasse anche Ross, per il suo bene!

Lui si voltò verso di lei, sorridendole impercettibilmente e strizzandole l'occhio. Aveva recepito il messaggio!

Jeremy si tirò su, osservando il suo piatto ancora pieno. "Visto che non si mangia, io e Clowance possiamo andare in camera nostra?".

Demelza sospirò. "Dovreste aspettare che ci alziamo tutti...".

Il ragazzino si imbronciò. "Ti preeeego! Se mi fai andare, faccio fare i compiti a Clowance!".

La sorella, lo guardò con malcelata voglia di picchiarlo. "E'?".

"Devi fare i compiti, sei una somara!" - la rimbeccò il bambino con fare da saputello.

Falmouth sospirò e Demelza, con un sonoro sospiro stanco, annuì. "Andate! Non voglio sentirvi litigare! E i compiti fateli sul serio, ENTRAMBI!".

Jeremy sorrise, soddisfatto. E poi sparì di corsa dalla sala da pranzo, seguito dalla sorella, prima che gli adulti cambiassero idea.

Demian, imbronciato, si avvicinò a Valentine. "Giochi con me?".

"Sì. Papà, posso?".

Ross annuì. "D'accordo, ma rimanete al chiuso, fuori diluvia".

Falmouth, a sua volta, si alzò. "E diluvierà anche domani! Ma la pioggia non fermerà il nostro spirito d'avventura, la caccia e l'acquisto di un castello". E con quelle parole uscì, seguito a ruota da Demian e Valentine.

Dwight sospirò. "Temo che domani sera dovrò curare il raffreddore di tutti".

Demelza, alzatasi, si avvicinò a Daisy che, stranamente, si era ammutolita ed imbronciata dopo che i fratelli se n'erano andati. "Speriamo di no" – sussurrò, preoccupata per la sua gravidanza e per qualsiasi ipotetico malanno.

Dwight si alzò dalla sedia. "In fondo non possiamo obiettare, no? Se Falmouth ordina, noi si esegue! E' come la legge militare in guerra!".

"Direi di sì" – rispose Ross. "Hai voglia di bere del buon Scotch Whisky, Dwight? Gli scozzesi non sanno cucinare ma a livello liquori, sono notevoli".

"Perché no?".

Ross si rivolse a Demelza. "Ti unisci a noi?".

Lei sospirò. Dannazione, faceva freddo e ne avrebbe anche avuto voglia, ma la gravidanza gli sconsigliava di farlo. "La prossima volta! Ora io e Daisy ci facciamo un giro per il maniero. Ti va, piccola?".

"Non lo so!".

Ross le si avvicinò, accarezzandole la testolina. "Sei arrabbiata? Stanca? O molto affamata?".

Lei rimase in silenzio, poggiando la testolina sul tavolo, come se fosse percossa da mille pensieri. "Non ho niente".

"Daisy..." - la supplicò Demelza. "Non stai bene? Tesoro, dimmi cosa c'è!".

Lei si voltò piuttosto contrariata, spingendola via. "Non ho niente! E non voglio fare un giro!" - urlò, stranamente rabbiosa.

Demelza e Ross si guardarono e anche Dwight si accigliò. Daisy era spesso capricciosa ed irritabile ma mai eccessiva e instabile nelle reazioni. C'era qualcosa che non andava o la preoccupava.

"Daisy..." - la implorò Demelza, cercando di prenderla per mano.

Ma la piccola le sfuggì dalla presa, con gli occhi lucidi. "Voglio andare da Jeremy e Clowance! Da nessun'altra parte!".

"Va bene, va da Jeremy e Clowance" – le rispose Demelza. Jeremy era sempre stato bravissimo a calmarla e a trovare un modo per comunicare con lei. Se Daisy aveva qualcosa e non voleva parlarne con lei, sicuramente sarebbe stata capace di parlarne con lui. Si sentiva un pò un fallimento come madre, quando Daisy faceva così, rendendosi conto che non riusciva mai ad infrangere del tutto quel muro che la bimba a volte ergeva fra loro.

Dwight tentò un ulteriore approccio. "Non vuoi venire con me e Ross?".

"NO!".

Ross tentò a sua volta di avvicinarla, capendo quanto fosse stranamente turbata. "Con me? Non vuoi farmi compagnia?".

Ma stavolta, anche lui si vide rifiutato. "No! Voglio andare da Jeremy e Clowance".

E risoluta, lasciò mestaemente la sala da pranzo.

Ross si avvicinò a Demelza, abbracciandola da dietro e cingendole la vita. "E' solo di cattivo umore, le passerà!".

Ma Demelza non si sentiva tranquilla. "Non riesco mai ed essere io quella che sa farla stare meglio. O ci riesci tu o ci riesce Prudie o ci riesce Jeremy. Io non vado mai bene".

"Non essere sciocca, Demelza" – intervenne Dwight. "E' piccola e se la prende con chi la ama di più e la perdonerà sempre. Siamo in un paese straniero, in ambienti che non conosce, è costretta a seguire ogni giorno le idee bislacche di Falmouth, non dorme nella sua casa e nel suo letto e questo influisce molto sull'umore di una bambina tanto piccola. E' stanca".

Demelza sospirò, cercando di far sue le parole consolatorie di Dwight. "Non saremmo mai dovuti venire quì e ho un cattivo presentimento".

Ross la baciò sulla nuca, dolcemente. "Non ci pensare".

Ma non pensarci, per lei era impossibile.


...


Appena giunti in camera, Jeremy chiuse la porta e attirò a se Clowance prendendola per mano. "Domani, domani è il giorno giusto per il nostro piano!".

Clowance, che fino a quel momento era stata la promotrice ufficiale dell'impresa, spalancò i suoi occhi azzurri, con un'ombra di terrore sul viso. "Domani? Pioverà!".

"Viviamo in un posto dove piove spesso, la pioggia sarà nostra compagna di gran parte di viaggio. E della nostra vita".

Ma Clowance non pareva comunque troppo tranquilla. "Perché domani?".

Jeremy alzò gli occhi al cielo, non era molto acuta nelle faccende pratiche. "Saremo in pochi, in un luogo isolato, lo zio e gli altri uomini saranno a caccia e con la scusa di giocare, potremo allontanarci senza essere visti. Prepariamo gli zaini, dichiamo a mamma che ci portiamo abiti di cambio per la pioggia, qualcosa da mangiare nascosto fra i vestiti e poi via, verso Londra. O domani, o mai più!".

Clowance sospirò. "Solo qualche abito di cambio? E il mio baule?".

Jeremy scosse la testa, sarebbe stata una compagna di viaggio pessima, lamentosa e poco utile. "Stai scappando, non stai facendo una vacanza. Niente baule, niente nastri per i capelli, niente bambole! Dormiremo nei prati, nei boschi, mangeremo ciò che capita e avremo dei passaggi solo se qualcuno sarà tanto gentile da darceli col suo carretto, ci laveremo nei ruscelli e non potrai cambiarti i vestiti ogni giorno. Sarai un pò sporca, per un pò".

Gli occhi di Clowance divennero lucidi. "Sono una lady..." - sussurrò, spaventata.

"Stai cambiando idea? Resti quì e lasci che mamma e il signor Poldark...".

Ma lei lo bloccò, nuovamente risoluta. "NO! Hai ragione, nelle avventure ci si sporca, ci si deve sporcare! Domani, domani!!!".

In quel momento la porta si aprì ed entrambi saltarono per aria come punti da uno spillo e con la paura che qualcuno, origliando, li avesse scoperti. Chi diavolo...?

Jeremy sbirciò dall'uscio che pian piano si apriva e tirò un sospiro di sollievo quando vide di chi si trattava. "Daisy!".

La gemellina entrò di soppiatto e poi chiuse la porta dietro di se. Sembrava cupa e nervosa e il suo visino di solito giocoso, pareva sparito. "Domani, Jeremy?" - chiese subito, senza giri di parole.

"Domani" – ribattè lui senza voglia di negare, stupendosi ancora di quanto fosse acuta nel capire le cose. Se Clowance fosse stata acuta anche solo la metà, quel viaggio forse sarebbe stato meno duro.

Clowance, dal canto suo, si imbronciò. "Lei che ne sa? Gliel'hai detto? Sei matto?! Lo dirà alla mamma!".

Jeremy scosse la testa. "No, non lo dirà, lei sa mantenere i segreti, non è come Demian".

Daisy prese un lungo respiro. "Sì, li mantengo! Però questo segreto non mi piace, mi fa venire paura". Si toccò lo stomaco, singhiozzò e poi guardò implorante suo fratello. "Ecco, quando ho paura e sono preoccupata, mi fa male quì".

Jeremy le diede un buffetto sulla guancia. "Ti fa male lì perché hai fame! Non abbiamo mangiato niente!".

"No, mi fa male perché ho paura" – insistette la bimba. "Jeremy, non andare via, resta con me!".

"Devo andare via, dobbiamo!" - rispose il ragazzino, dando un'occhiata a Clowance in richiesta d'aiuto.

"Già, dobbiamo andare!" - aggiunse Clowance – "E' per fare andare meglio le cose dopo! E' per il bene di tutti".

"No, non è vero!" - ribattè Daisy, picchiando in terra il piedino. "Scappate, fate spaventare tutti, mi fate venire mal di pancia, fate piangere la mamma e il signor Poldark e se invece chiedete e dite di cosa avete paura, sì che tutti starebbero bene. Anche il mio pancino!".

Jeremy sbuffò. Gli spiaceva ferire Daisy e capiva che tanto piccola com'era, doveva essere spaventata. Chissà come doveva apparirgli spaventosa quella loro fuga nell'ignoto...? Aveva paura anche lui dopo tutto, ma che doveva fare? Forse non sarebbero riusciti nemmeno ad andare troppo lontano, forse li avrebbero ritrovati subito e quindi non c'era di che preoccuparsi. Forse lo sperava anche perché con quei pochi soldi che avevano, con Clowance che avrebbe frignato tutto il tempo, con la pioggia e tutto il resto, difficilmente avrebbero portato a termine il piano. Ma dovevano quanto meno provarci e far capire alla loro madre e sì, anche a quel padre ricomparso dal nulla, cosa provavano. Non riuscivano a dirlo a parole e a volte le azioni spiegavano meglio di mille discorsi. Accarezzò la testolina di Daisy, la prese per mano e la condusse alla sua scrivania, mostrandole una piantina della Scozia che aveva trovato nella biblioteca del maniero. "Vedi, siamo organizzati! Abbiamo anche una mappa per non perderci!".

Ma Daisy non sembrava ugualmente convinta. "Non mi piace lo stesso!".

Clowance si avvicinò loro, prendendo in mano la situazione. "Ma devi stare zitta comunque, è un segreto, Jeremy te lo ha detto e tu devi mantenere la parola data. Anche se ti fa male la pancia!".

Daisy abbassò lo sguardo, spaventata. E senza trovare parole per ribattere, cosa stranissima per lei, mestamente lasciò la stanza...

Jeremy diede una botta in testa a Clowance, appena furono soli. "Non la dovevi trattare così, ora piangerà e forse la mamma...".

"No, non piange! Daisy non piange mai!".

Jeremy osservò nella direzione in cui era sparita la sorellina. Era preoccupato pure per lei, ora. E forse quel segreto era troppo per una di soli quattro anni. "Ha paura, è piccola".

"E allora dovevi pensarci prima!" - rispose Clowance, risoluta.

"Ma non ti spiace per lei?" - insistette Jeremy.

La bimba abbassò lo sguardo. "Sì, certo! Ma se scappiamo, è pure per lei! E' nostra sorella e magari mamma, per stare col signor Poldark, la lascia a Londra con Demian e noi non li rivediamo più".

Jeremy sussultò. Non ci aveva mai pensato ma in effetti era vero, Daisy e Demian erano figli di Hugh e non del signor Poldark. Perché avrebbe dovuto volerli con lui? E la determinazione, a quel pensiero, tornò in lui. Hugh aveva accolto con amore lui e Clowance, anni prima, ma nessuno poteva garantire che il signor Poldark avrebbe fatto lo stesso coi gemelli e di certo non era obbligato. "Hai ragione, non dobbiamo ripensarci, dobbiamo andare".

"Sì, dobbiamo andare!" - rispose Clowance, chiudendo il discorso.


...


Demelza si era stesa, turbata da mille pensieri e preoccupazioni. I bambini erano strani, era incinta e ancora nessuno lo sapeva e Daisy sembrava così irritabile e turbata...

Eppure quei giorni erano, per l'assurdo, fra i più belli della sua vita! La proposta di matrimonio di Ross così dolce e romantica, l'essersi ritrovati, aver superato un passato difficilissimo, l'amore senza ombre e un futuro finalmente roseo davanti, avrebbero dovuto solo scaldarle il cuore. Ma c'erano tante variabili che gravitavano attorno a loro e i bambini ne erano parte fondamentale. Sarebbero stati una grande famiglia allargata, forse... Avrebbero davvero, lei e Ross, gestito tutto? Avrebbero davvero potuto dare e ricevere amore da tutti quei bambini?

Coricata sul letto, col rumore della pioggia battente che scuoteva le finestre, si rannicchiò sotto la coperta per scaldarsi. Aveva uno strano gelo dentro le ossa e di certo la battuta di caccia con quel tempo infame non avrebbe aiutato a scaldarla.

Demian, dopo aver giocato con Valentine, era tornato alla chetichella in camera alla sua ricerca e si era messo seduto sul letto accanto a lei a disegnare e chiacchierare coi suoi pastelli a cera, riuscendo a strapparle più di un sorriso coi suoi discorsi sconclusionati e la sua fantasia.

C'era sempre bisogno di Demian e della sua visione incantata delle cose, in momenti del genere...

D'un tratto la porta di aprì e Daisy sgattaiolò in camera, sorprendendola. Mai veniva da lei di pomeriggio e raramente succedeva di sera quando di solito Daisy e Clowance la aspettavano in camera loro per la buonanotte.

Demelza osservò la sua piccola, nervosa orsetta. La piccola sembrava meno arrabbiata di poco prima e il suo faccino pareva più che altro stanco e turbato, come se sulle sue spalle portasse chissà quale peso.

Preoccupata si alzò dal letto, andando da lei. “Daisy, tesoro...”.

Lei dondolò il piedino a terra. “Posso stare con te un pochino?”.

NOOOO!” - urlò Demian dal letto. “Devi andare nella tua stanza, questa è mia e della mamma!”.

Demelza sospirò, con Demian era sempre la stessa storia e forse era davvero arrivato il momento di fargli capire che pure lui aveva una stanza sua e non era quella dove abitualmente dormiva. “Certo che puoi”.

Daisy sollevò il visino, guardandola con quei suoi occhi azzurri e trasparenti. “Posso stare in braccio?” - chiese, sorprendendola.

In altri momenti quella richiesta tanto rara e preziosa, l'avrebbe riempita di gioia. Ma ora Daisy sembrava talmente smarrita e prostrata, che non riuscì a non preoccuparsi. Si inginocchiò e la prese in braccio, stringendola a se. “Certo amore, certo che puoi stare in braccio!” - le sussurrò, facendole poggiare la testolina sulla sua spalla. “Cosa c'è Daisy?”.

Niente”.

Non è vero, c'è qualcosa che ti preoccupa e si vede. E non puoi nasconderlo alla mamma, le mamme queste cose le vedono subito”.

Demian saltò giù dal letto per pretendere a sua volta attenzioni ma Demelza questa volta tenne duro. Lui aveva già gran parte del suo tempo e della sua attenzione e se una volta Daisy chiedeva apertamente altrettanto, sarebbe stata solo sua. Demian era sereno, Daisy no! E in quel momento era lei che aveva bisogno. “Su, continua a disegnare, tesoro! Fa un disegno bellissimo per me e tua sorella”.

Ma...”.

Demian!!!”.

E davanti al suo richiamo risoluto, il piccolo annuì. “Va bene”.

Demelza tornò a guardare Daisy, dondolandola fra le braccia. La piccola si era messa il pollice in bocca, come faceva quando qualcosa non andava ed era nervosa, quindi qualcosa che la turbava c'era! Non aveva idea di cosa fosse, probabilmente aveva ragione Dwight e la bimba aveva semplicemente bisogno di tornare a casa, ma era comunque meglio indagare. “Mi dici che cosa c'è?”.

Mi fa male il pancino”.

Demelza, sorridendole, glielo massaggiò. “Va meglio?”.

Un pochino...”.

Passeggiando con la piccola per la stanza, con la pioggia che picchiava sui vetri, Demelza ricordò i suoi primi mesi di vita quando le coliche la facevano da padrone e lei piangeva disperata, tenendo tutti svegli. C'era Hugh allora, c'erano le passeggiate notturne nel parco e sembravano passati secoli per quante cose erano cambiate in soli quattro anni. “Sai che quando sei nata, avevi spesso mal di pancia? E io ti prendevo in braccio così, ti coccolavo, ti massaggiavo il pancino e passeggiavo con te nei corridoi o nel parco finché non ti addormentavi. Tu, papà, io e i tuoi fratelli. Tutti svegli! E grazie a te abbiamo passato delle serate tutti insieme al parco”.

Daisy sollevò la testolina, sospirando, non molto in vena di racconti e ricordi romantici . “Era un mal di pancia diverso, mi sa”.

Vuoi che chiami Dwight?”.

No, non sono malata, c'ho un po' paura, per questo mi fa male la pancia”.

Demelza, preoccupata sul serio ora, la sfiorò il mento. “Paura? Di cosa?”.

Ma Daisy volse il capo. “Non posso dirtelo!”.

E' successo qualcosa di brutto?” - insistette Demelza, entrando in allarme.

No, voglio tornare a casa però!”.

Quella frase riuscì in parte a tranquillizzarla. Allora era davvero solo questo il problema?! E aveva ragione Dwight? Non avrebbe dovuto portare i bambini in quel luogo tanto sconosciuto e lontano e anche se a Clowance e Jeremy, quando ci erano venuti con Hugh, era piaciuto, i gemelli erano diversi e quel cambiamento li rendeva suscettibili e agitati. “Ma sai, se aspetti un po', magari qui ti piace e ne esce una bella vacanza”.

No, voglio andare a casa! Quando andiamo?”.

Demelza sospirò, scoraggiata. Ma anche piuttosto risoluta, visto quanto quel viaggio sembrava influire negativamente sui suoi bambini. “Magari cerco di convincere lo zio che per noi è meglio tornare prima con Dwight e i suoi cavalli, che ne dici? Questo ti farebbe stare più tranquilla e senza male al pancino?”.

Daisy annuì. “Sì, a casa veloce veloce!”.

La baciò sulla fronte, dolcemente, cullandola. “Veloce veloce, sì. Ora va meglio?” - chiese, togliendole il dito di bocca, vizio che a Demelza non era mai piaciuto troppo.

Daisy si accoccolò addosso a lei, anche questo stranissimo per il suo carattere. “Mamma...?”.

Dimmi”.

Scusa per prima, se ho fatto la cattiva”.

La strinse forte, era tremenda se voleva ma sapeva anche farsi perdonare in modo magistrale. Daisy non era una ruffiana come Demian o Clowance e nel bene e nel male era sincera, sempre. Soprattutto se chiedeva scusa, erano scuse sincere! “Non importa, è passato e sei qui. E se sei qui con me e vuoi stare con me, allora sono contenta”.

Sei contenta adesso?”.

Certo”.

Voglio che sei contenta anche domani, però!” - ribatté la bimba, seria.

Demelza rise, non capendo il senso di quella frase detta con una strana gravità, come se Daisy temesse che non sarebbe stato così. La ribaciò sulla fronte, visto che era in vena di coccole, poi la dondolò più vigorosamente per farla ridere. “Sarò contenta anche domani, giuro!”.

Daisy sospirò e in quel momento Demian corse da loro, stanco di essere lasciato in disparte. “Mamma, basta, ora tocca a me stare in braccio!”.

Demelza sospirò, il piccolo principe cercava di tornare ad essere il suo unico re ed era stato fin troppo tranquillo per i suoi standard. Santo cielo, tutti e due in braccio non ce la faceva, ora che era incinta. “Demian...” - lo implorò, decisa a non mollare Daisy.

Mammaaaaa” - piagnucolò il bimbo.

E in quel momento una figura entrò nella stanza, di soppiatto, prendendo il bambino in braccio e mettendoselo sulle spalle.

Demelza, colta di sorpresa, fulminò il nuovo arrivato con lo sguardo. “Giuda Ross! Mi stava venendo un infarto!” - borbottò, anche se era contenta di vederlo lì.

Lui, con la sua faccia da malandrino, rise. “Ma ti ho salvata e sono arrivato al momento giusto” - ribatté, osservando Daisy accoccolata fra le sue braccia. Accarezzò i capelli della bimba e poi si rivolse a Demian. “Per oggi, dovrai accontentarti di me! Lascia la mamma anche agli altri!”.

Credeva che Demian avrebbe piagnucolato e invece, resosi conto di quanto fosse in alto, rise. “Se mi tiri un po' più su, alla luna ci arrivo davvero!”.

Ci alleneremo per questo!” - rispose Ross, divertito. “E tu?” - chiese, osservando Daisy. “Va meglio?”.

Daisy guardò sua madre e anche se sembrava ancora turbata da chissà quali pensieri, annuì. “Sì, un pochino”.

Demelza la strinse a se, cercando di darle calore e conforto. Le mancava la sua orsetta vivace e furba, con la risposta sempre pronta! E anche se potersela coccolare la rendeva felice, lo era meno se pensava al fatto che qualcosa in lei non andasse e stesse soffrendo. “Vuoi fare una passeggiata? Solo io e te?”.

Sì!”.

E dopo cena, vuoi dormire con me?” - azzardò.

E Daisy la sorprese ancora. “Sì, voglio dormire con te” - mormorò, affondando il viso nel suo collo.

  
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