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Autore: meiousetsuna    27/06/2019    9 recensioni
Partecipa al contest: Il meglio di me - di milla4
Storia vincitrice del contest: Senza tempo - II Edizione, di mystery_koopa
[Character!Death/Tematiche delicate/Ucronia/What if?/Bashing ― Contenendo già la storia una vicenda “difficile”, per restare nel rating arancione ho evitato ogni cenno di violenza grafica]
Cosa sarebbe accaduto se la sorte avesse decretato un destino diverso per Cleopatra, Antonio e Ottaviano alla morte di Cesare?
La sua bellezza è unica, non banale. È alta e snella come il giunco che cresce sulle sponde del Nilo, la sua pelle sembra cosparsa di polvere d’oro, ha occhi luminosi, bei riccioli, piede leggero. Bisogna tacere di questo, ma tutti possono riconoscere in lei la figlia della Grecia e dell’Egitto, del faraone Tolomeo XII e della sua ancella preferita, non della moglie e sorella Cleopatra Trifena. Il suo fascino e genio sono quelli di un sangue nuovo e vivo, mentre i suoi inetti fratelli non furono mai degni di accostarsi a lei. Ricordo quando appena undicenne venne da me per avere una spiegazione su una profezia, rendendomi fiero della sua considerazione. Non ero però così edotto nella materia e l’accompagnai dal Grande Sacerdote.
Buona lettura, vostra Setsuna
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
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Partecipa al contest: Il meglio di me - di milla4
Storia vincitrice del contest: Senza tempo - II Edizione, di mystery_koopa
Pacchetto utilizzato: 1 – Il terzo erede. Il prompt richiede un'ucronia che cambi le sorti della guerra civile, il tutto visto dalla parte di Cleopatra
Character!Death/Tematiche delicate/Ucronia/What if?/Bashing ― Contenendo già la storia una vicenda “difficile”, per restare nel rating arancione ho evitato ogni cenno di violenza grafica

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Anno 261 della dinastia dei Tolomei.
Io, Neofytos, che ho l’onore di essere da molti anni lo scriba ufficiale di corte già scelto dal nobilissimo Faraone Tolomeo XII Aulete, redigo questa pergamena perché resti come il ricordo eterno della vita della mia venerabile padrona, regina e dea, Cleopatra Tea Neotera Filopatore,* la grande, posseditrice di perfezione e splendida del tempio, l'immagine stessa di suo padre. Molti papiri sono stati vergati con il racconto delle gesta della mia magnifica regina, pareti decorate con splendide pitture che raffigurano la sua avvenenza e importanza, e imponenti statue di candido marmo la ritraggono delle vesti di Iside, della quale è l’incarnazione terrena. Ma nessuno narrò la sua vita così da vicino, com’è mio privilegio quale cortigiano di primo rango; questo documento sarà passato alla mia morte a mio figlio maggiore e ai figli dei suoi figli, fino a tramandarlo alla storia. Non tutto in Cleopatra è stato buono e giusto per la legge del Regno d’Egitto e quella dell’Impero dei vanagloriosi romani, ma nulla è vile e piccolo in lei. Ogni sua decisione non è stata quella di una donna ma di una Regina, e nessuno potrà chiederle rendiconto tranne il grande Anubi quando peserà il suo cuore. E anche allora è mia certezza che la piuma di Maat non oserà risultare più leggera. Nel giorno della sua nascita i migliori astrologhi del regno previdero un’esistenza non comune neppure per una nata da Re: il governo del mondo d’Oriente e d’Occidente, la grandezza oltre la morte. Tutti abbiamo confidato nei nostri sapienti, mentre quei barbari che si appellano Cesari prestano orecchio ai loro ridicoli àuguri e arùspici  che osservano il volo degli uccelli e le loro interiora per indovinare le sorti di qualcuno. Già da fanciulla la Regina delle Regine mostrò un’intelligenza superiore, essendo versata nelle arti quanto nelle scienze e nella strategia militare, e Filostrato la portò con sé a studiare nella grande biblioteca di Alessandria: filosofia, retorica, oratoria, ognuna di questa discipline si è piegata alla sua mente sagace. Parla nel loro idioma agli etiopi, gli ebrei, gli arabi, i siri, i parti, conosce il latino e il greco, e si rivolge al popolo nella sua lingua, unica sovrana ellenica a imparare l’egizio. La sua voce è dolce come il miele, e se non sono le parole è il loro suono a incantare chi l’ascolta. La sua bellezza è unica, non banale. È alta e snella come il giunco che cresce sulle sponde del Nilo, la sua pelle sembra cosparsa di polvere d’oro, ha occhi luminosi, bei riccioli, piede leggero.** Bisogna tacere di questo, ma tutti possono riconoscere in lei la figlia della Grecia e dell’Egitto, del faraone Tolomeo XII e della sua ancella preferita, non della moglie e sorella Cleopatra Trifena. Il suo fascino e genio sono quelli di un sangue nuovo e vivo, mentre i suoi inetti fratelli non furono mai degni di accostarsi a lei. Ricordo quando appena undicenne venne da me per avere una spiegazione su una profezia, rendendomi fiero della sua considerazione. Non ero però così edotto nella materia e l’accompagnai dal Grande Sacerdote.

“Khabausokarche, voglio che tu mi spieghi questo scritto che parla del mio futuro, non lo capisco”.
Il nobile sacerdote si inchinò profondamente, ricevendo dalle piccole mani di Cleopatra la pergamena decorata con porpora e cobalto. La lesse con la massima attenzione, poi si alzò per bruciare grani di mirra per il buon consiglio e cannella per la sacralità.
“Questa profezia parla di tre grandi cambiamenti nella vita della mia futura sovrana” il tono di voce di Khabausokarche non era adulatorio o formale, ma ispirato e rispettoso. “Ma questi costeranno un sacrificio. Il primo sarà compiuto per l’oro, il secondo per amore, il terzo per governare sulla capitale del mondo”.
“Quindi Roma”.
“Roma, mia eccellente Principessa. Se non avrai timore questo accadrà, ma la tua mano non dovrà tremare”. Lei sorrise nel suo modo così unico, come se già in quella verde età sapesse come far abbassare gli occhi a un uomo.
“Non ho paura di nulla e so cosa desidero. Non rivelare a nessuno quello che hai visto e sarai ricompensato”. Un attimo prima di uscire dal tempio, Cleopatra tornò sui suoi passi.
“Regnerò da sola?”
“Sarà una tua scelta, Cleopatra, la più difficile”.

No, non fu complicato; non come si potrebbe immaginare. Subito dopo quell’episodio Amon-Ra distolse il suo occhio di Sole, negando all’Egitto il suo favore indiscusso. Il grande Tolomeo, insieme alla mia signora, dovette fuggire cercando asilo a Roma mentre sua moglie e la figlia Berenice si impadronirono del trono di Alessandria, lottando anche dopo la scomparsa del suo primo consorte. Sposatasi una seconda volta con Archelao di Cappadocia fu sconfitta ancora dalle legioni alleate guidate da Gabinio, e messa a morte. Cleopatra aveva quindici anni quando si apprestava a fare un glorioso ritorno in patria, ma pochi giorni prima di imbarcarsi ad Anzio un incontro apparentemente insignificante segnò la sua esistenza.

Il senato decise ― con la gioia di chi vede andar via un ospite scomodo ― di offrire un grande banchetto di saluto al faraone, scegliendo dei giovani triunviri che godevano di buona fama per parlare con Tolomeo e rassicurarlo della continuazione del loro appoggio e alleanza. Un giovane alto, dal fisico atletico e imponente, si appoggiò con fare annoiato a una colonna di marmo pentelico osservando con velato fastidio la scena del convivio e delle danzatrici coperte di piume e gioielli.
“Non ti unisci ai divertimenti, romano?” Non molte fanciulle erano così sfrontate, pensò il bel ragazzo. Magari seduttive e civettuole, ma non sprezzanti e altere come questa che gli aveva rivolto la parola. Il suo abito violetto di seta e i calzari dorati la rendevano senz’altro una patrizia, ma a un esame più accurato ― che non perse tempo a eseguire ― i capelli mossi e bruni, gli occhi grandi e la carnagione ambrata svelavano le grazie d’oriente e occidente fuse insieme.
“Sei Cleopatra, la figlia del Faraone”. La giovane lo sorpassò fissandolo come un falco impaziente di calare sulla preda.
“Invece non so chi tu sia, ma stai sdegnando la festa di mio padre, mentre dovresti porgergli i tuoi omaggi e catturare il suo favore, è per questo che sei qui, triunviro”.
“Sono Marco Antonio, principessa, e forse…” la spavalderia del soldato non si tenne a freno “la prossima volta che ci incontreremo sarai tu a chiedere la mia benevolenza”.   
Cleopatra gli rispose volgendogli le spalle.
“Se arriverà un momento come quello tu morirai, o lo farò io”.

La vita della Regina dei Re e delle Regine non conobbe pace, ma pericoli e prove che avrebbero spezzato volontà più fragili della sua, anche se appartenenti a guerrieri valorosi. Non aveva che diciannove anni alla scomparsa del grande Faraone Tolomeo, e come da suo testamento fu nominata Regina insieme a Tolomeo XIII, di soli dieci anni, suo fratello amante. Con questo titolo si erano legati a doppio filo, assicurando una solida linea di successione, ma solo lei fu Theà Philopàtor, divina amante di suo padre, escludendo il fratello dai documenti ufficiali, come posso ben testimoniare avendone redatti la maggior parte con le mie proprie mani, fiero custode delle sue parole. Hapi non fece a tempo a portare le tre stagioni del Nilo*** che un nuovo pericolo inseguì la Regina, letale e traditore come il cobra che si avvolge sulle spire per meglio attaccare. Gli oppositori di Cleopatra la costrinsero alla fuga in Siria, accusandola di affamare il popolo, per consegnare il trono al solo Tolomeo; ma prima l’arrivo di Pompeo Magno, poi quella del suo rivale Gaio Giulio Cesare, cambiarono le regole di quel gioco che sembrava perduto. Il faraone offrì la testa di Pompeo a Cesare in un cesto di vimini, ma l’unico dono gradito fu un altro.

Lo schiavo, alto e robusto come solo un ex lottatore poteva essere, portava tra le braccia un prezioso tappeto di Damasco, rosso violaceo come il vino di Galilea e decorato con frange di seta.
“Reco un dono della Regina al grande Cesare”.
Il più importante uomo del mondo si alzò, incuriosito e insieme sospettoso, sguainando il suo famoso gladio cesellato con decori scuri al centro della lama.
“Dovrei controllare se non vi sia nulla di pericoloso, la vostra terra non mi ha accolto con troppa devozione”. Un attimo e il ferro brillò come il sorriso crudele di un assassino nel buio, mentre il dittatore lo brandiva sopra il regalo. La reazione del servitore fu rapida, posando l’oggetto sul pavimento di raffinato marmo rosato con più energia di quanto fosse desiderabile, dopo essersi messo in ginocchio lo svolse, rivelando il suo tesoro nascosto. Avvolta nel tappeto c’era una giovane donna, ventenne a giudicare dall’aspetto; i suoi capelli erano nerissimi, gli occhi dipinti con maestria, le ciglia pesanti di kajal. Il naso era aquilino, nobile, il corpo sinuoso e profumato di Kyphi.
**** Ma fu quando si alzò che ― malgrado il mezzo sorriso sarcastico ― Cesare temette che laddove innumerevoli eserciti avversari avevano capitolato, questa volta sarebbe stato il suo turno. Ogni passo della Regina aveva l’ardire del leopardo e la grazia dell’airone, e quando giunse di fronte a lui pensò che l’ambra infuocata delle sue iridi stesse tentando una magia.
“Cleopatra. Che strano modo di entrare nelle stanze dei tuoi ospiti”. Il condottiero non si era apparentemente scomposto, come se passasse la vita a ricevere regnanti consegnati con quel metodo.
“Tu sei ospite, ma io non sono padrona! Perché hai richiamato sia me che mio fratello per governare insieme? L’erede maschio è sempre preferito, mi farà assassinare, per questo mi muovo solo protetta o in modo nascosto nel mio stesso palazzo”.
“Ho accettato di vegliare sull’Egitto e la tua stirpe, nobile Cleopatra. Sei sotto l’egida di Roma, quindi al sicuro”. La ragazza lo trafisse con lo sguardo per poi sollevare appena gli angoli della bocca.
“Quindi berresti da questa coppa, Gaio?” Un calice d’oro incrostato di gemme, scelto a caso sul tavolino di porfido, si parò di fronte al viso di Cesare che lo accettò con noncuranza, ma al momento di assaggiare il vino si bloccò.
“Prima tu”.
La Regina lo prese delicatamente dalla mano segnata dell’uomo, vuotandolo con un gesto di sfida.
“Hai paura anche di questo?” Le labbra profumate si posarono su quelle di Cesare, che non aveva nulla da rispondere.

Ancora una volta la mia sovrana, Regina d’Egitto e di Cipro, non sbagliava. Venti di tempesta soffiarono sulle vele dei suoi nemici mettendo le ali alle loro navi, ma quando l’esercito di Achilla giunse fino a palazzo per riconquistare il trono per Tolomeo, il grande Cesare le fece bruciare nel porto. Immensi danni subì la bella Alessandria; la nostra biblioteca andò a fuoco, e con essa un sapere millenario perduto per sempre. Violenti e rozzi romani, che non date valore all’arte quanto alla spada, alla sapienza quanto alla forza, temete l’ira di Sekhmet, la vendicatrice di Ra, che con un suo respiro cambierà le vostre terre fertili in sabbia e tingerà le sue rosse vesti nel vostro sangue! Ma il complotto del traditore fallì, Tolomeo e Potino perirono sotto le armi delle legioni romane e pergamene e, ventitreenne, Cleopatra sposò il più piccolo dei suoi fratelli, Tolomeo XIV, un fanciullo di dodici anni. Questo bastò a Cesare, che lasciò tre legioni di stanza ad Alessandria e partì per una campagna in Asia. Ma la mia Regina non era sola.

Le ancelle erano in un delirio di gioia, accendevano incensi e ringraziavano Iside, gettavano petali di ninfea azzurra, riservata ai riti sacri. Il bambino era nato, l’erede del mondo, il principe senza uguali: Tolomeo Cesare. Cleopatra, seppure spossata dalle doglie del parto, appariva in auspicabili condizioni, appoggiata a molti cuscini nel suo letto di legno dorato. Sorrideva al figlioletto, tenuto in braccio dalla nutrice mentre lei si rifocillava con datteri e miele. Era bello il piccolo Cesarione, paffuto e con un ciuffo di morbidi capelli marroni come la corteccia del sicomoro. Era il simbolo vivente dell’alleanza, il patto di sangue, l’unico figlio di Cesare. Era questo a rendere raggiante Cleopatra, che fece cenno di portarle l’infante.
“Io e te domineremo l’Impero, Cesarione. E se sarà fedele, lo faremo insieme a tuo padre”.

Purtroppo un’ombra di dolore stava per spandersi sulla Terra e sulla mia signora come una nuvola scura, che dapprima appare all’orizzonte come poco minacciosa, distante, poi in breve scatena pioggia e grandine. Passò un anno, e la mia sovrana fu finalmente invitata a Roma per dimostrazione delle sue onorevoli intenzioni verso la Repubblica. Molti furono i sorrisi falsi e l’ammirazione sincera, gli amici prudenti e i nemici giurati. Per un lungo periodo Cleopatra visse quasi felicemente, difesa dalla vita stessa di Cesare, che le fece perfino erigere una statua nelle vesti di Iside da porre nel tempio di Venere Genitrice. Ma il più ignobile degli omicidi stava per avvenire. Resi folli dai timori, dall’avidità e da contorti ideali, Bruto, Longino, Casca e altri traditori senza onore pugnalarono il grande condottiero Cesare, distruggendo con la sua esistenza quella stessa di Roma come il mondo la conosceva. La fuga fu l’unica possibilità rimasta a Cleopatra, che mise in salvo se stessa e il prezioso principe. Ma il bambino non era stato dichiarato legittimo, così non aveva alcun potere.

“Dimmi, Umblai, ed è solo la verità che voglio ascoltare dalle tue parole”.
Il sacerdote di Sejmet
***** si inchinò incrociando le mani sul petto in segno di umiltà al cospetto della divina Cleopatra. Poi prese con gesti sicuri alcune ampolline contenenti liquidi dai colori incantevoli: verde brillante come lo smeraldo, giallo zafferano, e l’ultimo, rosso come il sangue. Le aprì con cura, versando poche gocce da ognuna in un vasetto più piccolo, poi unì dei sali che spensero il colore del composto che divenne quasi trasparente.
“Apparirà come l’effetto del morso dell’aspide?” Cleopatra fu tagliata a metà da un brivido bollente che si annidò nel suo ventre, strisciante come l’animale che era stato evocato.
“Ti giuro di sì, Iside” il sacerdote sapeva come mostrare venerazione “la morte è certa solo con una grande dose, come quella della vipera; un uomo sano può sopravvivere, è un rischio, ma nessuno potrà distinguerla”.
Progettare un fratricidio è una cosa, realizzarlo è un’altra, ma la giovane donna non vedeva altra scelta di fronte a sé. Il ricordo di lei undicenne che chiedeva lumi sulla sua profezia le rimbombava nella testa come i tamburi dei musici nubiani che suonavano per il piacere della corte nella grande stanza delle feste. ‘Una volta per l’oro’. D’oro era la corona, d’oro gli scettri, d’oro il trono. Tolomeo XIV doveva perire, lei avere tutto.

Grandi e sconvolgenti cambiamenti facevano tremare i Re del mondo. In gran fretta, Cleopatra, la gloria di suo padre, fece eleggere co-reggente Tolomeo Cesare per assicurare la sua posizione in Egitto, pronta a ricevere cattive notizie al più presto. Marco Antonio era in procinto di leggere pubblicamente il testamento di Cesare, e le scommesse si moltiplicavano e raddoppiavano tra i romani, mentre il resto dei mortali fremeva; l’erede designato sarebbe stato il nipote Ottaviano, poco più che adolescente ma molto vicino al pensiero dell’illustre trapassato, o lo stesso Antonio, di provato valore? Lo stupore e l’indignazione che seguirono la rivelazione delle ultime volontà di Cesare si sparsero da Roma ad Alessandria come un’onda impazzita che si abbatta sulla riva spazzando via quello che incontra sul suo cammino. Il desiderio ― quindi l’ordine ― del dittatore era di vedere il figlio naturale, Cesarione, com’era noto, suo unico erede, con la reggenza affidata a Cleopatra fino alla maggiore età. Marco Antonio aveva giurato di eseguire alla lettera il contenuto del legato, ma cos’è la parola e la dignità di un romano di fronte al potere e alle ricchezza di metà del mondo? Invece di scannarsi tra loro come i cani rabbiosi che sono, egli e Ottaviano si ricordarono improvvisamente che nascere sullo stesso suolo li aveva resi fratelli, e unirono le mani e le forze in un’alleanza che doveva vedere la mia Regina in catene, Tolomeo Cesare probabilmente giustiziato, e la fertile terra prescelta dagli dèi il loro bottino. Solo il nobile Dolabella si ribellò a quel cambiare di colore, e salpato di fretta con le sue legioni approdò salvo nel nostro porto.

“Non devi temere, Cleopatra”. Publio Cornelio Dolabella era un prestante giovane di ventisei anni, quasi coetaneo della Regina, molto determinato, anzi preceduto dalla fama di essere crudele e feroce in guerra quanto nelle battaglie personali. Che stesse pensando di divorarla a letto non era qualcosa che tentasse di nascondere.
“Con le quattro legioni che Cesare ha lasciato qui di stanza e le mie sono sicuro nell’affrontare Antonio, Lepido e Ottaviano, che si odiano. Sarà questo a perderli, non si fidano uno dell’altro e quando devi guardarti dai tuoi alleati oltre ai nemici sei già sconfitto. Lascia che conduca questa guerra per te, anzi per noi”.
Cleopatra lo guardò attraverso l’ombra delle lunghe ciglia nere, alzandosi dal trono per andargli incontro, avvolta nella veste da cerimonia di seta bianca lunga fino ai piedi, ornata da una pesante collana fatta con cinque giri di sesterzi, bracciali a forma di serpente ai polsi e alle caviglie. Il tessuto era così impalpabile che la luce dei bracieri lo rendeva trasparente, offrendo al condottiero la visione terribilmente sensuale del corpo sinuoso della donna, che non indossava alcunché sotto quel velo candido.
“Dobbiamo giocare d’astuzia, Publio. Gli assassini di Cesare sono fuggiti e pronti a schierarsi contro di me, ma la promessa di terre dell’impero li potrebbe convincere a cambiare fazione”.
“Vincerò sul campo di battaglia, Cleopatra. Poi tornerò a chiederti una ricompensa”. La donna fece un cenno di profondo assenso, ma altri pensieri occupavano la sua mente. Non avrebbe provato una particolare repulsione nel concedersi a quel giovane, ma era il seguito che la preoccupava. Quale potere avrebbe preteso per se stesso? Avrebbe voluto diventare tutore di Cesarione insieme a lei? Non poteva permetterselo perché l’Egitto era suo di dritto, il popolo una sua responsabilità, Tolomeo Cesare, privo di un padre, non poteva finire nelle mani di qualcuno che non avrebbe curato a dovere il suo interesse; erano i tre pensieri che le pesavano sul cuore, i suoi tre amori. E per amore, lo sapeva, sarebbe giunta la seconda prova.

Chi giudicherà la mia preziosa Regina solo per il fascino, la discendenza divina e la fama che la precede farà torto alla chiara intelligenza che è stata e sarà il suo pregio più impagabile. Chi poteva giungere a tanto? La flotta reale era composta di duecento kebenti,***** che col loro legno robusto e lo scafo rettangolare erano più lenti delle naves praeotoriae, snelle e sfuggenti, ma più solidi, armati di tiratori che si opponevano efficacemente all’uso dei corvi romani.****** Inoltre la velocità delle navi di Roma era compromessa dal sistema di difesa con gli alti scudi, che riproduceva quello della testuggine delle legioni. Così mentre il nobile Antonio si scontrava per mare con Dolabella, attirando l’attenzione su di loro come se quello scontro fosse l’ago della bilancia di quella terribile guerra, altri comandanti erano pronti a raggiungerli, trascinati dalla furia della conquista. Stolti soldati, quanto poco conoscete della natura umana! I sovrani orientali avrebbero costituito il più grande pericolo per l’Egitto. Fu così che Serapione, sovrano di Cipro, diede udienza a un messo di Cleopatra in gran segretezza, il quale gli promise di ricevere il governo e i benefici delle terre dell’Anatolia se avesse eliminato la minaccia di Arsinoe. La mia regina gli offrì un terzo dell’Impero se avesse vinto completamente la guerra contro di esso. Ma un altro messo, sfuggito miracolosamente ai suoi inseguitori, si presentò al cospetto di Cassio in Palestina, promettendo l’aiuto di Cleopatra ai cesaricidi purché fermassero la minaccia del triumvirato, indicando Serapione come il loro più insidioso alleato. Bruto si trovò così isolato a Smirne, ma per poco perché anche lui ricevette, eletto felice, l’unica proposta di patteggiamento della Regina che gli proponeva di prendere in scacco le forze di Roma appoggiandolo in un attacco a Longino. La flotta egiziana sarebbe salpata in suo sostegno, questa era la promessa. Ma una terribile tempesta gonfiò le onde del mare tanto da rendere impossibile per le nostre navi prendere il largo. C’è chi mormorò che i maghi e i sacerdoti avessero predetto l’arrivo di quel flagello, e che Cleopatra avesse calcolato che anche se Longino avesse vinto lei avrebbe avuto un motivo inappellabile per spiegare la nostra defezione. Ma non ce ne fu bisogno, perché i due opponenti, di pari capacità, perirono uniti ai loro uomini in un terribile naufragio. La cattiva fama viaggia veloce, ma gli effetti delle decisioni di Cleopatra furono quelli da lei voluti. Unici sopravvissuti, i potenti Ottaviano e Antonio non si sarebbero mai arresi. O questo è quello che dichiaravano.

“Così ci rivediamo, Marco Antonio”. Il sorriso di Cleopatra scherniva senza mistero il condottiero romano che aveva dato prova di abilità e coraggio sbarcando in Egitto con pochi uomini. Dopo la scomparsa di Longino la promessa del triunviro e di Ottaviano di restare uniti contro di lei stava vacillando, ne era certa. Le battaglie perse dalle forze dell’Impero erano superiori in numero a quelle vinte, e le spie ― che si erano insinuate nei luoghi di potere quanto nelle case dei due amici ― inviavano messaggi di conferma di questa teoria. L’infelice Ottavia era stata data in sposa ad Antonio, ma loro unione era solo una manovra politica, e non vi erano dubbi che lui fosse folgorato dalla visione che aveva davanti agli occhi. Non c’era più la giovanetta incontrata quasi quindici anni prima, seppure fosse stata un bocciolo che prometteva una fioritura lussureggiante, ma una donna che lo abbagliava, completamente vestita d’oro e coperta di pietre preziose, con centinaia di schiavi e cortigiani inginocchiati ai suoi piedi. L’Egitto non era mai stato così ricco malgrado lo sforzo bellico, e la posizione di Antonio più a rischio.
“Mi hai minacciato di morte, Regina, se non rammento male. Una cattiva decisione, visto che potremmo allearci con vantaggio, soprattutto tuo”. L’atteggiamento da padrone dell’uomo era oltremodo fastidioso, ma Cleopatra fece mostra di non badarci.
“Ti propongo di accettare di porre Cesarione sotto la tutela di Roma, e di accompagnarlo a vivere nella capitale. Diventerà un buon cittadino e certamente vorrà rinunciare a un potere troppo grande da portare sulle sue spalle di adolescente. Io governerò l’Egitto in suo nome, e tutto sarà risolto nel migliore dei modi. Oppure potrai mantenere tutto com’è e affrontare una guerra che perderai, saremo una tenaglia che ti schiaccerà”.
“Un accordo conveniente per te, Antonio, che ti illudi di avere di fronte un’ingenua. Forse Ottaviano beve le tue parole addolcite dalla falsità, per scoprire il fiele quando sarà arrivato al fondo della tazza. Hai osato venire qui a chiedermi di capitolare di fronte a te quando mio figlio è il legittimo erede, il solo e unico Sole del mondo, Osiride incarnato. Di assoggettarmi al tuo volere, in cambio di una promessa di amicizia? Tu hai bisogno di me, non il contrario. E mi hai ricordato un vecchio monito, ma la memoria ti ha tradito”. Il disprezzo di Marco Antonio era solo un granello di polvere di fronte a quello di Cleopatra.
“Non ti ho minacciato di morte. Te l’ho promessa”.

Piccoli uomini che vi affaccendate sotto il cielo, cos’è la vostra volontà di fronte a quella degli dei? Le forze di Roma e di Alessandria potevano definirsi pari, ma la fortuna e la giustizia erano dalla parte della mia signora, la dea, amata di suo padre. La tana del lupo fu scoperta a Tarso, e un altro attacco fu sferrato a Neapolis alla flotta romana che era ferma a far riparare le navi, e l’esercito di Antonio dovette dividersi in due. Diciannove legioni sono invincibili, ma due metà non valgono quanto la loro somma. Le cento navi ben armate e i soldati più freschi ebbero facilmente ragione delle truppe accampate sulle rive del mar Egeo, e il restante della flotta, spinto verso Antiochia, incontrò Dolabella in attesa alla foce dell’Oronte. Molto sangue fu versato da ambedue le fazioni, ma maggiore fu quello dei nemici della mia Regina. Ancora oggi si dice che le acque del fiume furono rosse per molti giorni, terrorizzando gli abitanti e facendo fuggire gli animali che si rifiutarono di bervi per mesi, risalendo verso altre sorgenti. Antonio fu sconfitto e fuggì verso Patrasso, ma era troppo tardi. Quello che non poté il ferro lo fecero la malaria e la scarsità di viveri. Fu così che il grande condottiero incontrò una morte senza gloria, come era destino per un mortale che desiderò sconfiggere Iside. Solo Dolabella si rivelò fedele alla sua prima parola, raro uomo tra i romani. Ormai le sue abitudini erano quasi greche, e conquistato il favore di Mecenate e Agrippa, divenne un avversario troppo potente per Ottaviano. Sessanta navi della scorta personale di Cleopatra erano sempre pronte nel porto di Alessandria in attesa di un segnale, e la mia grande Regina decise che l’ora di prendere ciò che era suo e di Tolomeo Cesare era giunta. Avrebbe affidato l’Egitto a Dolabella, con l’ausilio di cento suoi funzionari. Il condottiero non batté ciglio anche se il fatto che al primo cenno di tradimento l’avrebbero giustiziato seduta stante era esplicito. Non desiderava tornare alla vita precedente perdendo la molle agiatezza conquistata a caro prezzo, rinunciando al fasto e alla seduzione della terra dei veri dei. Donne, ragazzi, palazzi, statue, gioie, tutti quello che gli aggradava era suo, e se non aveva potuto sfiorare la più splendida delle donne, aveva la sua sincera riconoscenza, più preziosa e duratura.

Cleopatra era stanca, ma la felicità della vittoria le conferiva un’energia che sembrava infinita. Erano trascorsi tredici anni dall’assassinio di Cesare perché la guerra volgesse al termine e ora le mancava solo centrare un bersaglio, il cuore di Ottaviano, che dovesse farlo con le sue grazie o con una freccia. I preparativi per la partenza fremevano, i doni venivano accatastati nella stiva, le provviste chiuse con accuratezza in vasi sigillati con la cera. Da molti giorni prima di salpare per Roma, però, la donna stava facendo degli incubi ricorrenti e non era solita sottovalutare i segnali dell’aldilà che questi messaggi contenevano. Nel sogno più spaventoso un lupo dal pelo chiaro mordeva un cucciolo di leone trasmettendogli la rabbia e questi, impazzito, cercava di attaccarla per azzannarle la gola. Il gran sacerdote era stato sibillino, ma lei aveva inteso, e in fondo le sue velate parole erano la versione diplomatica dell’interpretazione che aveva intuito da sé. Il pavido Ottaviano, colui che aveva agito mandando in guerra i suoi generali, familiari e amici restando comodamente steso su un triclinio, servito e amato, non poteva attenderla davvero con spirito limpido. Il suo piano poteva essere uno soltanto, perché con le armi non aveva speranza. Corrompere il giovane Tolomeo Cesare, fargli baluginare davanti agli occhi l’idea del comando di tutto il mondo, di portare a compimento il sogno di Aléxandros, suo illustre antenato. Questo disegno sembrava buono, ma il finale era chiaro agli occhi di Cleopatra: il ragazzo, messo alle strette, l’avrebbe fatta uccidere o almeno esiliata e resa schiava come pegno dell’amore per il grandioso Impero Romano, che sarebbe tornato ad allungare la sua ombra su tutta la terra. La Regina immaginò l’orribile fine della sua esistenza, tradita dal figlio che aveva rappresentato il fulcro delle sue speranze; non era solo l’orgoglio di madre ad aver prevalso, ma anche il calcolo che il risultato della sua unione con l’occidente l’avrebbe ripagata. Poteva davvero credere che lui l’avrebbe eliminata? Aveva instillato nel suo cuore dell’autentica devozione filiale? Non ne aveva avuto modo e tempo, presa da intrighi, battaglie e duri compromessi. Eppure era sangue del suo sangue, il suo bellissimo principe, fiore del palazzo reale. Con la morte nel cuore Cleopatra preparò quel rimedio che aveva tenuto per sé se avesse perduto contro l’Impero: cicuta, aconito e oppio per un veleno indolore come il sonno e spietato come la spada di un nemico. La madre piangeva lacrime amare, ma la Regina non esitò. Per Roma.

Sia i patrizi che i plebei erano assiepati lungo la strada che conduceva al Campidoglio, partendo dalla Porta Labicana. Già una volta Cleopatra, la mia signora, aveva fatto un ingresso trionfale in città, ma questo non aveva paragoni. Un gruppo di musici e danzatrici provenienti da tutte le province dell’impero apriva la parata con uno spettacolo magnifico; gli strumenti erano di salice, avorio, madreperla, corallo, perfino d’argento; sfingi di turchese erano dirette come dono per l’altare di Marte. Le fanciulle erano di una bellezza provocante e misteriosa insieme, vestite di costumi di seta e perle, le più attraenti così spogliate da provocare le reazioni indignate delle matrone e degli anziani riottosi. Ma quasi tutti erano incantati, e speravano di poter acquistare uno di quei gioielli per la loro casa. Otto elefanti bianchi avanzavano lenti, coperti di gualdrappe talmente preziose da essere abbaglianti per i loro ricami di filo d’oro. Petali di rose piovevano tutti intorno, mentre le truppe della Regina avanzavano; i soldati erano cosparsi d’olio profumato che faceva rilucere i loro muscoli e mentre le donne sorridevano e si scambiavano commenti osceni tra loro, gli uomini notavano il loro numero. Qualcuno avrebbe potuto sostenere che non era un drappello di scorta, ma la presa della città avvenuta tra gli applausi e le grida di ammirazione del popolo, tra fiumi di vino biondo o sanguigno versato da ancelle col seno scoperto a chiunque si avvicinasse con una coppa, tra un capogiro e una danza, tra pavoni, ghepardi portati al guinzaglio da schiavi etiopi alti come sicomori e neri come l’ebano, scimmie ammaestrate e uccelli dai mille colori. Ed eccolo, il carro di Cleopatra, trainato da trenta buoi bianchi, alto come un piccolo tempio che appaia di fronte a un viaggiatore disperso nel deserto, lussuoso come la sala delle udienze per gli stranieri, ricco come le miniere di smeraldi di Zabarah, magnifico come la sovrana che vi sedeva su un trono con i braccioli a forma di leoni, lo schienale enorme che riproduceva Kheperer, il sacro scarabeo che trasforma ogni cosa in un evento felice. Quando si alzò in piedi, un boato di ammirazione si sollevò dalla folla: le estremità sporgevano dai fianchi sinuosi di Cleopatra come le ali di Iside, e sospesa sul suo capo c’era una corona con il triplo ureo, che la faceva identificare per quella che era, Iside nella sua forma mortale. I romani erano in estasi, quasi in un delirio orgiastico, ma fu il passo successivo a segnare la vittoria di Cleopatra e la disfatta dei suoi oppositori. Le bastò alzare una mano per ottenere l’attenzione di tutti, e fatti tre passi, l’abito di seta bianca si sganciò lasciandone apparire uno sottostante tinto di porpora; i capelli, visibili senza la corona, erano acconciati in un complicato intreccio e fermati da nastri di seta, e avanzando si poterono vedere i suoi calzari di gusto romano. Un solo grido uscì da quelle gole, con voci di fanciulli festanti, uomini, donne. ‘È Venere! Iside e Venere nella stessa donna!’ Stupite, mortali, adorate la mia padrona Cleopatra, regina dell’Alto e Basso Egitto, dea senza pari, meraviglia del mondo ed effige di grandezza! Trema, Ottaviano, che attendi nell’ombra nella quale sarai sprofondato; inginocchiati, Roma!

Note
Titolo: Il titolo è puro citazionismo di Game of Thrones: la profezia della casa degli Eterni a Daenerys. “Tre volte sarai tradita, per l’oro, per il sangue, per amore”
I calcoli li ho fatti partendo dal primo anno del regno di Tolomeo I, il 305 A.C, che certo loro non conteggiavano così.
*Dopo l’asterisco: nome Horo di Cleopatra
**La parte finale della frase è la prima descrizioni di Athena nell’Iliade
***Le tre stagioni del Nilo erano le stagioni degli egizi. La prima, da luglio a novembre, era quella delle coltivazioni sommerse dalle acque; la seconda, da novembre a marzo, era quella del ritiro delle acque; la terza, da marzo a luglio, quella dei raccolti.
****“Il Kyphi, il più prezioso olio profumato dell’epoca dei Tolomei, era composto da più di sessanta essenze
**** Titolo del medico di corte “Medico capo e scriba della parola del dio”
***** Navi costruite con il legno libanese, più robusto di qualunque legno egiziano
****** Passerella di metri 10x1.2, che consentiva di agganciare la nave nemica con un rostro di bronzo e combattere come sulla terraferma

  
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