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Autore: Parmandil    29/06/2019    1 recensioni
Per più di due secoli gli Archivi D’Arsay sono stati un mistero archeologico della Federazione. Antichi di ben 87 milioni di anni, celano una sorprendente tecnologia, capace di trasmutare la materia, unita però a una cultura simbolica e ritualistica di difficile interpretazione.
Quando la sonda-archivio minaccia di trasformare una colonia federale nella replica dell’antica D’Arsay, la Keter deve intervenire. Solo un viaggio nel remoto passato potrà svelare il mistero di quell’antica civiltà, col suo misto di raffinate tecnologie e di riti sanguinari. I nostri eroi dovranno affrontare Masaka, la crudele regina-dea, incarnazione del Sole. Risvegliatasi dal lungo sonno, Masaka intende riportare la sua civiltà agli antichi fasti. Forse solo il suo antico compagno Korgano, il dio-luna, potrà placarla, sempre che si riesca a evocarlo. Ma quando anche i Breen reclamano il possesso di quel mondo strategico, il Comandante Radek dovrà decidere quale fazione appoggiare. Sapendo che, chiunque vinca, l’Unione perderà.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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-Capitolo 5: Sotto un nuovo sole

 

   «È una catastrofe... e lei l’ha lasciata accadere!» strepitò la Presidente Rangda, all’indirizzo del Capitano Hod. Le due comunicavano via subspazio su un canale criptato.

   «È stata lei a ordinarmi di non intervenire nello scontro» obiettò l’Elaysiana in tono misurato. «Io mi sono attenuta alle istruzioni. I Breen hanno avuto campo libero nel prendere possesso del pianeta. Non è colpa mia se i D’Arsay li hanno distrutti».

   «E come hanno fatto? I Breen avevano già eliminato la sonda-archivio» disse la Zakdorn.

   «Masaka e Korgano sono stati previdenti. Sapendo che la sonda era a rischio, hanno usato la Sintesi Particellare per ricostruire i loro macchinari nel sottosuolo del pianeta» spiegò il Capitano. «Così hanno anche potuto contare sull’effetto sorpresa, dato che i Breen li credevano indifesi».

   «Ventiquattro navi distrutte... la Confederazione è sul piede di guerra!» si disperò la Presidente.

   «Non possono incolpare l’Unione. Noi ci siamo ritirati secondo gli accordi» ribadì Hod. «Il pianeta è a loro disposizione... se non possono occuparlo, peggio per loro».

   «Senza di quello, verranno meno alla loro parte dell’accordo» sottolineò Rangda, alludendo ai commerci e alle manovre militari congiunte.

   «Questa è una disgrazia. Ma forse è meglio avere un mondo-cuscinetto, piuttosto che far avanzare i Breen nel nostro spazio» disse il Capitano.

   La Presidente rimuginò. Era ancora arrabbiata e per un attimo sembrò sul punto d’inveire contro Hod, ma poi l’astuzia politica prese il sopravvento. «Se una nuova civiltà sta sorgendo ai nostri confini, non possiamo ignorarla» disse. «Voglio che lei stipuli un patto di non aggressione coi D’Arsay».

   «Signora Presidente, questo è un compito da ambasciatori» notò Hod.

   «Non si preoccupi, le farò avere una dispensa speciale per gestire le trattative» garantì la Zakdorn. «Vede che, malgrado tutto, ho grande stima di lei?» fece con un sorriso stiracchiato.

   «Ne sono onorata» disse l’Elaysiana. Le intenzioni di Rangda erano fin troppo chiare: sperava che facesse la fine di Thot Vur. Ma con i giusti accorgimenti, lei contava di uscirne viva.

 

   «Venga avanti, Capitano Hod. S’inchini al cospetto di Masaka, Signora dei Quattro Punti Cardinali, Creatrice e Distruttrice del mondo!» disse il funzionario D’Arsay con voce stentorea.

   L’Elasysiana avanzò nella sala del trono, affollata di dignitari. Davanti a lei, in cima alla scalinata, Masaka era assisa sul suo scranno. Per celebrare la vittoria indossava un sontuoso copricapo di penne dorate, che le facevano corona. Korgano invece aveva il solito aspetto e se ne stava discosto, senza alcun seggio. Giunta davanti agli scalini, il Capitano notò che ai suoi lati c’erano guerrieri D’Arsay armati, pronti a intervenire al minimo sgarro.

   «I miei rispetti, Altezza. Vengo in pace e senz’armi» esordì l’Elaysiana, mostrando le mani aperte. «Mi scuserete se resto in piedi, ma...».

   «Sì, voi federali siete troppo orgogliosi per inchinarvi» disse Masaka, segnalando ai suoi guerrieri di non intervenire. «Finalmente c’incontriamo, Capitano. Ero incerta se permetterle di sbarcare... ma il mio stimato amico, il Comandante Radek, mi ha persuasa ad accoglierla».

   Il Rigeliano, che fino a quel momento era stato seminascosto tra i dignitari D’Arsay, si fece avanti un po’ imbarazzato. Hod scambiò una breve occhiata con lui e si rivolse nuovamente alla sovrana. «Sono qui per negoziare un trattato di pace, a nome dell’Unione Galattica» annunciò.

   «Il vostro tentativo di distruggerci sfruttando i Breen è fallito e ora ci tendete la mano? Non sono così ingenua» rispose Masaka, arcigna.

   «Vi siete impadroniti di un pianeta conteso e ne pagate le conseguenze» ribatté il Capitano. «I Breen hanno sferrato il loro assalto e potrebbero riprovarci...».

   «Che ci provino!» ringhiò Masaka. «Stiamo potenziando le difese. Ora abbiamo uno Scudo Planetario e generatori di riserva in tutti i continenti. I loro dissipatori energetici non sono più una minaccia per noi».

   «In ogni caso, la pace con l’Unione è nel vostro interesse» disse Hod. «La bozza di accordo prevede uno scambio di ambasciatori e la creazione di una zona di tre anni luce intorno al pianeta, in cui le navi federali potranno passare solo col vostro permesso» disse, consegnando a un funzionario il d-pad coi dettagli del trattato.

   «Volete accordarvi sia coi Breen che con noi. Sperate di sfruttare la nostra contesa a vostro vantaggio?» chiese la regina.

   «È normale prassi dell’Unione cercare intese con gli altri popoli della Galassia» spiegò l’Elaysiana. «Con questo accordo, noi riconosceremo la vostra sovranità su Ultima Thule».

   «Ci darò un’occhiata, se avrò tempo» disse Masaka, scrutandola dall’alto in basso.

   «Con tutto il rispetto, vorrei sentire cosa ne pensa Korgano» aggiunse Hod, notando che il Cacciatore restava in silenzio e in disparte.

   «Non è il momento» disse la regina. «Ora che la città è costruita, ci alterneremo nel governo. Io terrò il trono nelle ore diurne e Korgano in quelle notturne».

   Il Capitano sentì un incipiente mal di testa. Con esseri del genere, le trattative si annunciavano complicate. «Altezza, questo continuo avvicendamento non può funzionare. Ci sono molte potenze interstellari con cui dovrete rapportarvi. Per cavarvela vi servirà una politica estera che non cambia dall’alba al tramonto».

   «Noi dobbiamo agire secondo la nostra natura, che è quella degli astri» insisté Masaka.

   «E cosa v’insegnano gli astri di questo nuovo pianeta?» chiese Hod, andando verso la finestra più vicina. «Guardate... ora è giorno, eppure la luna brilla alta nel cielo».

   I D’Arsay si accalcarono lungo la fila di finestre, per verificare con i loro occhi le parole del Capitano. Effettivamente il grosso satellite naturale del pianeta splendeva alto, come un disco quasi pieno. La regina stessa lasciò il trono e si recò alla finestra più vicina, per osservarlo assieme a Korgano. «L’astronomia di questo mondo è diversa, e allora? Che dovremmo imparare?» chiese.

   «Che anche il potere può essere condiviso» spiegò Hod. «Voi lo avete già fatto, in parte, alternandovi al trono. Ma dovete imparare a condividerlo nello stesso momento. Invece di detronizzarvi a vicenda in un ciclo continuo, affiancate due troni e regnate assieme» suggerì.

   «Non l’abbiamo mai fatto...» mormorò la regina, incerta.

   «Ma così rispetteremo il nuovo ordine delle cose» approvò Korgano. «Credo che il Capitano abbia parlato con saggezza, mia diletta. Non sei stanca di questo interminabile avvicendamento? Io sì. Voglio condividere tutto il giorno, non solo le albe e i tramonti».

   «Come faremo ad accordarci, se dissentiremo su qualcosa?» chiese Masaka, tornando verso il trono.

   «Come fanno i mortali, suppongo. Ne discuteremo fino a trovare un compromesso» rispose Korgano.

   «Un compromesso!» esclamò la regina. «Non è forse un modo per scontentare entrambe le parti? Il mio potere è sempre stato assoluto» disse, sfiorando con rimpianto lo schienale del trono.

   «Ho visto le immagini del nostro mondo natio» disse il Cacciatore, venendole appresso. «Oggi è un deserto senza vita. Non ci sono alberi, né acqua. Il sole implacabile ha distrutto ogni cosa. Ecco cosa fa il potere assoluto. Vuoi essere così?».

   «No!» gemette Masaka, rialzando lo sguardo. «Voglio regnare sui viventi, non sui cadaveri. È solo che...».

   «Hai paura delle novità? Certo non hai paura di me» disse Korgano. Le prese la mano che aveva posato sul trono e la tenne tra le proprie.

   «Io non temo niente e nessuno. Sicuramente non te!» ribatté la regina, fissandolo con aria di sfida.

   «Allora dimostralo. Rimani al mio fianco. Ricostruiamo la nostra civiltà assieme» la invitò il Cacciatore, in tono appassionato.

   «E sia» cedette Masaka. «Condivideremo questo nuovo mondo, come il sole e la luna condividono il nuovo cielo». Così dicendo attivò la Sintesi Particellare. Il trono svanì, rimpiazzato da due seggi affiancati di uguale magnificenza, uno dorato e l’altro argenteo. Anche il marchio di Masaka svanì dalla parete di fondo, così come dalle pareti esterne della piramide. Persino le fronti dei D’Arsay divennero lisce. I sudditi se le sfiorarono increduli, mentre i sovrani s’incontravano davanti ai due troni.

   «Sapevo che avresti accettato» disse Korgano, abbracciando la sposa.

   «Non l’avrei fatto per altri» sussurrò Masaka. La coppia si baciò tra le acclamazioni della folla. Anche il Capitano Hod applaudì, augurandosi che il regno congiunto fosse un po’ più benevolo di quanto visto finora. Non s’illudeva che tutte le ingiustizie si risolvessero, ma era pur sempre un miglioramento, rispetto all’autocrazia di Masaka.

   Terminati gli applausi, i sovrani sedettero fianco a fianco. «Capitano Hod, leggeremo nel dettaglio la proposta dell’Unione e se lo riterremo opportuno vi porremo delle correzioni, ma in linea di massima le dico che sono favorevole al trattato» annunciò Korgano.

   «Vi ringrazio... la Keter resterà in orbita, in attesa di una risposta. Spero solo che non troveremo giaguari a spasso nei corridoi» disse l’Elaysiana.

   «La sua nave sarà risparmiata dalla trasmutazione» promise Masaka. «Nel frattempo, però, dobbiamo deliberare su altre questioni. A partire da questa!». Al suo cenno, le guardie trascinarono in sala un prigioniero che aveva la testa stretta in una gogna. Era Ihat.

   «Pietà, mia regina!» implorò il poveretto. «Non ho fatto nulla di male, lo giuro!».

   «Non so che farmene dei tuoi giuramenti» disse Masaka con voce vellutata. «Hai finito di scappare, bugiardo ladruncolo!».

   Il Capitano provò il desiderio d’intervenire a favore del poveretto, ma si trattenne. Aveva faticato per raggiungere una certa intesa con i sovrani e non poteva buttare tutto all’aria per una sola persona.

   «Quindi mi ucciderete? Ma non pensate che anch’io, come tutti, ho un ruolo da svolgere per equilibrare le cose?» chiese Ihat.

   «E che ruolo sarebbe? Mentire, imbrogliare, rubare tutto ciò su cui riesci a mettere le mani?» incalzò Masaka.

   «Vivo d’espedienti, sono fatto così» ammise Ihat. «Ma è merito mio se non tutto, nel nostro mondo, è noiosamente prevedibile. E poi m’interesso a ciò che accade fuori dai confini. Ora che viviamo in mezzo a tanti altri popoli» disse accennando a Hod, «potrebbe farvi comodo uno come me...».

   Korgano e Masaka si scambiarono un’occhiata. Poi la regina si rivolse al prigioniero: «Non tollererò più il disordine che spargi nella mia città. La tua vita qui è finita».

   Il prigioniero chinò il capo, affranto, aspettandosi l’esecuzione.

   «In compenso, la tua nuova vita sta per cominciare» sorrise Masaka. «Ci serve un ambasciatore che tratti con l’Unione. A te piace viaggiare e vedere posti nuovi, inoltre hai la lingua sciolta e ti adatti facilmente alle nuove circostanze. Sono qualità rare fra noi... perciò non vedo persona più indicata a svolgere quest’incarico. Liberatelo!» ordinò.

   Ihat rialzò la testa, incredulo. Accanto a lui, il guerriero-giaguaro era altrettanto sorpreso. Ma la regina aveva parlato in termini inequivocabili, così dovette obbedire. Aprì la gogna, liberando il prigioniero, anche se continuò a guardarlo in cagnesco. Ihat si massaggiò il collo, per far passare l’indolenzimento, e s’inchinò davanti ai sovrani. «Per la prima volta in vita mia non so che dire, tranne... grazie» disse. Masaka lo congedò con un cenno e lui si ritirò verso il muro, tra i mormorii dei dignitari.

   Mentre i sovrani davano altre disposizioni, Radek si accostò al Capitano. «Chiedo il permesso di tornare a bordo» disse come se nulla fosse.

   «Cominciavo a credere che volesse restare» disse Hod.

   «E perché? Questa è una missione come un’altra» sostenne il Rigeliano, con invidiabile faccia tosta.

   Hod scosse la testa, incredula, ma non replicò. Nel frattempo Ihat era sgattaiolato accanto ai federali. «Bene, bene... se devo fare l’ambasciatore, mi servirà un passaggio per la vostra Terra. Mi porterete voi?» chiese.

   «Direi di sì» annuì l’Elaysiana. «Ma cerca di non combinare troppi guai, mentre sei a bordo. Non vorrei scoprire che la mia pazienza è inferiore a quella dei tuoi sovrani».

 

   Di lì a poco i federali risalirono sulla Keter, in attesa che i D’Arsay si esprimessero sul trattato. Korgano e Masaka discussero dell’argomento, mentre passeggiavano nella hall della piramide, seguiti dalle guardie.

   «Mi hai sorpresa, prima» disse Korgano. «Non mi aspettavo che perdonassi Ihat così facilmente».

   «Non volevo bisticciare davanti a tutti» spiegò Masaka. «E poi l’importante è che si levi di torno. Spero solo che quel furfante non combini disastri, in mezzo agli alieni. Non ho mai commesso errori prima d’ora... dargli quell’incarico potrebbe essere il primo».

   «Mai commesso errori?» rise Korgano, divertito dalla sua cocciutaggine. «Ne sei proprio sicura? Hai cercato di rimpiazzarmi con lo straniero...».

   «Ancora questa storia!» sbottò Masaka. «Tu eri sparito e a me serviva qualcuno esperto della Galassia. Comunque, se è stato un errore, l’ho corretto in fretta».

   «Vero» concesse Korgano. «Ma laggiù c’è un errore molto più grave, che non hai ancora risolto» avvertì.

   Masaka seguì il suo sguardo, notando il vecchio accasciato accanto a un braciere semispento. Era Uxmal. «Ah, no!» s’irrigidì. «Non è neanche il mio vero padre... non ho nulla da dirgli».

   «Allora lascia che sia lui a parlare» suggerì Korgano.

   «Per sentire i suoi rimproveri? Non mi umilierò a farlo!» sibilò la regina, sprezzante. «È solo un vecchio rimbambito. Non sprecherò tempo ascoltando i suoi vaneggiamenti».

   «Chi vuoi ingannare? Io ti conosco... dietro questa maschera che ostenti, sei terrorizzata all’idea di confrontarti con lui» disse Korgano.

   «Assurdo... perché dovrei temerlo?» chiese Masaka con una smorfia.

   «Temi che ti metta di fronte alle ingiustizie e agli errori che hai commesso. Tutte cose che non puoi tollerare... perché una dea non sbaglia».

   Masaka rimuginò a lungo, fissando il pavimento. Ogni tanto la sua immagine sfarfallava, segno del conflitto fra le vecchie subroutine e i nuovi protocolli che si erano creati negli ultimi tempi. «Gli parlerò» disse infine. «Ma solo per dimostrarti che non temo nessuno!».

   «Ti aspetterò» promise Korgano, segnalando anche alle guardie di darle spazio.

   Masaka attraversò la hall, ma ad ogni passo in direzione del vecchio la sua andatura rallentava. Non erano solo le proteste dell’orgoglio ferito. C’era qualcosa di diverso... un batticuore mai provato prima, nemmeno sotto la minaccia dei Breen. Korgano aveva ragione: era terrorizzata.

   Giunta davanti al vecchio accasciato, Masaka si arrestò. Osservando il suo aspetto malmesso, provò qualcosa di strano. Forse era quella che gli Organici chiamavano compassione. O senso di colpa. Restò a lungo in silenzio.

   Poco alla volta il vecchio, che stava sonnecchiando, aprì gli occhi e la mise a fuoco. «Masaka» riconobbe. «C’è stata agitazione, prima... e ora indossi il copricapo della vittoria».

   «Ho dovuto affrontare una battaglia» confermò la regina. «Ovviamente ho schiacciato i nemici... con un piccolo aiuto».

   «Sono certo che è stata una grande vittoria» annuì Uxmal. «Potresti darti ai festeggiamenti... invece sei qui, con questo vecchio mendicante».

   «Sì, sono qui» ripeté Masaka. «Ho sempre pensato d’essere infallibile, ma ultimamente sono accadute cose che hanno incrinato questa certezza. Io e Korgano stiamo creando la nuova D’Arsay, ma il cammino è incerto. In questi tempi difficili io... ecco...» mormorò, inginocchiandosi accanto al padre. Gli sfiorò la testa calva con la mano inanellata. Uxmal gliela prese e la tenne tra le proprie mani rugose.

   «Figlia mia... alla fine ti sei ricordata di me» disse solennemente il vecchio.

   «Sì, padre» sussurrò Masaka con voce rotta. «D’ora in poi non ti scorderò più. Non scorderò più nessuno, nel nostro regno». Per la prima volta in vita sua, pianse.

   Uxmal si raddrizzò per quanto possibile e l’attirò più vicina, fino a baciarla in fronte. «Ti perdono per ciò che mi hai fatto» disse. «Creare il mondo e sgominare i nemici è sempre stato nelle tue facoltà. Ma riconoscere uno sbaglio... non ti credevo capace di farlo. Oggi, per la prima volta, sono fiero di te».

   «Grazie, papà» disse Masaka, abbracciandolo. Poi si rialzò e si rivolse ai servitori che attendevano a rispettosa distanza. «Una portantina, subito!» ordinò. «Portatelo in un alloggio confortevole e dategli vesti nuove. D’ora in poi, a mio padre saranno tributati i massimi onori del regno».

   «Udiamo e ubbidiamo» dissero i servi, prima di correre a prendere la portantina per il mutilato.

   Nell’attesa, Korgano si avvicinò a Masaka. «Ben fatto» le disse. «Sai, anche Uxmal è un ologramma come tutti noi. Se rimaneggiamo le sue subroutine, potremmo ridargli le gambe».

   «Lo farò» disse Masaka, a bassa voce per non farsi sentire. «Sai che non mi dispiace ciò che siamo? All’inizio ero sconvolta, ma devo ammettere che non è così male».

 

   Il giorno dopo, i sovrani D’Arsay contattarono la Keter per annunciare che accettavano l’accordo. Di conseguenza Ihat fu teletrasportato sulla nave, in qualità di ambasciatore, per essere condotto sulla Terra. Come apparve sulla pedana di plancia, cominciò subito a ficcanasare in giro, facendo commenti salaci. Fortunatamente Juri era lì per spiegargli alcune cose sull’Unione. Intanto il Capitano si congedò dai sovrani.

   «L’Unione vi manderà a breve il proprio ambasciatore» disse Hod. «Vi esorto a trattarlo con lo stesso rispetto che noi daremo al vostro. Se dovesse succedergli qualcosa, le conseguenze sarebbero gravi» mise in chiaro.

   «Il vostro rappresentante sarà trattato con tutti gli onori; avete la mia parola» promise Korgano.

   «In realtà gli ambasciatori non avranno molto di cui discutere» intervenne Masaka. «Noi non siamo interessati alle vostre trame interstellari. Preferiamo concentrarci sulle questioni interne... perché anche se la città è costruita, qui resta molto da fare. Abbiamo un intero popolo da ricreare».

   «Non lo avete già?» chiese il Capitano.

   «Abbiamo gli ologrammi, ma il nostro scopo è sempre stato ricreare i veri D’Arsay» spiegò la regina. «Per sicurezza ho scaricato i loro codici genetici nel computer della base, prima che la sonda fosse distrutta. Con le nostre tecnologie, possiamo sintetizzare i DNA e far sviluppare gli embrioni in incubatrici. Presto i primi D’Arsay di carne e sangue apriranno i loro occhi sul mondo. Per questo vi dico che, se non interferirete nelle nostre faccende, noi non disturberemo voi».

   «In futuro, quando le prime generazioni D’Arsay saranno cresciute, non escludo che si possano stringere ulteriori accordi» aggiunse Korgano.

   «Buona fortuna, allora» disse il Capitano. «Spero che riuscirete ad adattarvi alle nuove condizioni».

   «Chissà. Vedremo come andranno le cose sotto il nuovo sole» rispose Masaka.

   «Addio, regina» disse Radek, fissandola con un’ombra di rimpianto.

   «Addio, Comandante. E grazie di tutto» rispose lei, ricambiando lo sguardo. L’attimo dopo lo schermo tornò a mostrare il pianeta.

   «Rotta verso la Terra» ordinò il Capitano Hod. «E mostrate all’ambasciatore il suo alloggio».

   «Non vedo l’ora di raggiungere il vostro pianeta!» disse Ihat, fregandosi le mani. «Scommetto che mi divertirò un mondo, laggiù».

   «Bada che anche noi abbiamo delle leggi» disse Juri, precedendolo nel turboascensore. Se ne andarono chiacchierando fittamente della Terra.

   «Beh, questa missione non è andata come previsto» sospirò Hod. «Pensavamo di dover respingere un’invasione e invece l’abbiamo legittimata».

   «Nel momento in cui Rangda ha ceduto il pianeta ai Breen, è svanita ogni speranza di riconquistarlo» disse Norrin. «A quel punto poteva andare solo a loro o ai D’Arsay».

   «Non so ancora cosa sia peggio» disse il Capitano. «I D’Arsay restano una teocrazia che non tollera il dissenso».

   «Ma hanno fatto dei progressi» notò Radek, speranzoso.

   «Sotto la spinta della necessità» precisò Hod. «Quando si sentiranno più sicuri, potrebbero tornare alle loro pessime abitudini. L’Unione dovrà stare attenta, con loro».

 

   Di lì a poco il Capitano si ritirò nel suo ufficio, per fare rapporto all’Ammiraglio Chase. Nel riferire l’accaduto non nascose la sua frustrazione per la scarsa libertà di manovra che aveva avuto, a causa dei maneggi di Rangda.

   «Ha fatto ciò che poteva, date le circostanze» riconobbe l’Ammiraglio quando ebbe sentito tutto. «Certo che quanto accaduto su Ultima Thule costituisce un precedente pericoloso. Se si afferma l’idea che l’Unione rinuncia facilmente a interi pianeti, ci troveremo di fronte a una serie infinita di rivendicazioni».

   «Concordo, signore» disse Hod.

   «Ma sono ancora più inquieto per gli sviluppi politici interni» proseguì Chase. «Rangda ha sfruttato questa crisi per dare uno schiaffo a tutta la Flotta Stellare. Ha voluto mostrarci che ormai ha tanto potere da annullare le disposizioni del Comando, senza nemmeno passare dalla discussione in Senato. E sebbene l’accordo coi Breen sia saltato, questa dimostrazione di forza resta valida. D’ora in poi saranno ancora meno quelli che oseranno contestarla».

   «In tutta franchezza, Ammiraglio... speravo che qualcuna delle navi di rinforzo ignorasse il contrordine di Rangda e venisse ugualmente in nostro aiuto. Invece hanno fatto tutte dietrofront» notò Hod.

   «Le loro Intelligenze Artificiali non possono trasgredire un ordine diretto del Presidente» disse Chase. «Per questo è una fortuna che voi non l’abbiate. Se un giorno le cose volgessero al peggio, sarà fondamentale che almeno voi abbiate libertà d’azione».

   «Libertà d’azione... per cosa?» mormorò Hod, pur sapendo la risposta.

   «Agire secondo coscienza» rispose l’Ammiraglio. Non aggiunse altro, perché non ce n’era bisogno. Presto o tardi, il conflitto tra la Presidente e la Flotta Stellare sarebbe esploso, segnando il crollo definitivo dell’una o dell’altra parte.

 

   Come capo della Sicurezza, Norrin disponeva di un ufficio tutto suo, anche se vi trascorreva poco tempo, dato che il suo turno principale era in plancia. L’Hirogeno veniva lì per stilare i ruolini di servizio della sua sezione, discutere con i colleghi di questioni tattiche, gestire eventuali indagini. O, come in quel caso, scrivere lettere di condoglianze alle famiglie dei caduti sotto il suo comando. Era un compito che gli pesava, anche perché essendo un tipo di poche parole spesso non sapeva che dire. Nel caso di Ortega, poi, non lo conosceva granché. Ma gli Agenti Temporali, pur essendo un dipartimento semi-autonomo, ricadevano sotto la sua responsabilità negli aspetti burocratici, quindi non poteva esimersi. L’Ufficiale Tattico era bloccato su quella lettera da una buona mezz’ora, a chiedersi come elogiare il Tenente senza suonare banale o melodrammatico. Si stava ancora lambiccando il cervello quando la dottoressa Mol entrò nell’ufficio.

   «Posso parlarti un momento?» chiese la Vidiiana, a bassa voce sebbene fossero soli.

   «Certo» disse l’Hirogeno, lasciando la scrivania per venirle incontro. «Mi chiedevo se hai pensato a quanto ti ho detto...».

   «Sono qui per questo» confermò Ladya, un po’ rigida. Distolse lo sguardo e si umettò le labbra, prima di tornare a concentrarsi sull’Hirogeno. «Sei una bravissima persona, Norrin, e tengo molto a te. Sei tra i pochi, qui a bordo, a sapere come ci si sente lontano dalla propria gente. E mi hai salvato la vita, cosa della quale ti sarò sempre grata».

   «Sento che sta per arrivare un ma» disse Norrin, per nulla confortato da quell’esordio.

   «Il ma è che siamo ufficiali superiori di questa nave» spiegò Ladya. «Abbiamo responsabilità che sarebbero compromesse, se ci abbandonassimo ai sentimenti. Io credo che, per il bene di tutti, dovremmo tenere le cose come stanno».

   «Non violeremmo il regolamento» le ricordò l’Hirogeno.

   «È vero, ma sarebbe tutto più complicato» disse la Vidiiana. «Non mi sento pronta per un cambiamento di questo tipo».

   «C’entra qualcosa la morte di Ortega? L’hanno ucciso brutalmente davanti ai tuoi occhi. Forse temi che accada lo stesso anche a me» indovinò Norrin.

   «Può darsi» ammise Ladya a malincuore. «Comunque, per quanto tu mi sia caro, devo chiederti di non insistere».

   «D’accordo» acconsentì Norrin, fissandola malinconico. «Dimmi solo se ci sono altri motivi oltre a questo. Se non fossimo ufficiali della Keter, credi che potremmo...?».

   «Forse» disse Ladya in un soffio. «Stammi bene, Norrin». La dottoressa abbandonò in fretta l’ufficio, lasciandosi dietro un Hirogeno giù di corda. Lei stessa era in preda al dubbio e si chiedeva se non avesse fatto uno sbaglio. Nei giorni successivi provò più volte l’impulso di tornare da Norrin e ritrattare. Ma ogni volta che stava per farlo, qualcosa la tratteneva, finché sentì che il tempo utile per tornare sui suoi passi era scaduto.

 

   «Voleva vedermi, Capitano?» chiese Jaylah, entrando nell’ufficio.

   «Sì, Guardiamarina» l’accolse Hod.

   Notando che il Capitano era più formale del solito, Jaylah rimase in piedi anziché sedersi.

   «Quest’ultima missione mi ha fatto riflettere» disse l’Elaysiana. «Pensavamo tutti che Masaka fosse la quintessenza del dogmatismo, e in parte lo è. Eppure, a conti fatti, si è rivelata più ragionevole dei Breen... o della nostra beneamata Presidente» aggiunse caustica. «Dev’essere perché, in qualche misura, ha accettato di mettersi in discussione. Così ho pensato che dovrei farlo anch’io».

   «Capitano?» chiese Jaylah, perplessa.

   «Finora l’ho esclusa dal comando della Squadra Temporale a causa di alcune differenze di vedute tra noi» confessò il Capitano. «Ma ora che serve un nuovo caposquadra, devo ammettere che lei è la candidata migliore. Si è destreggiata sia negli scontri diretti, come la caccia ai Devidiani, sia nelle decisioni più filosofiche, come salvare o meno Korgano. Per queste ragioni le conferisco i gradi di Tenente e il comando della Squadra Temporale». Così dicendo si alzò e le venne appresso, per appuntarle i gradi.

   Inaspettatamente Jaylah si ritrasse. «Non so se sono pronta» disse. «Non ho mai comandato una squadra».

   «Norrin la giudica in grado... e dopo gli ultimi eventi anch’io sono giunta alla stessa conclusione» disse il Capitano. «Ma se la pensa diversamente, non è obbligata ad accettare».

   «Vorrei solo pensarci un attimo» mormorò Jaylah, soppesando i pro e i contro. Non poteva mentire a se stessa: guidare la squadra era sempre stata la sua ambizione. Ma col succedersi delle missioni, aveva visto com’erano difficili le scelte che l’aspettavano. E dopo l’esperienza nel lazzaretto aveva messo in dubbio persino la sua volontà di restare in quella branca della Flotta.

   «Non posso darle molto tempo. La squadra ha bisogno di un capo» avvertì Hod. «Se non sarà lei, la Commissione per l’Integrità Temporale invierà qualcun altro. In quel caso non è da escludere che Rangda faccia pressioni per designare un suo fedele».

   «Accetto la promozione» disse subito Jaylah.

   «Me lo aspettavo» commentò il Capitano, amara. «Tenente Chase, da questo momento lei è a capo della Squadra Temporale. Faccia onore al suo incarico e alle responsabilità che ne derivano» disse, appuntandole i gradi sul colletto. Dopo di che le strinse la mano.

   «Lo farò» disse Jaylah, ricambiando la stretta. Tenne per sé i propri timori. L’anno prima, durante la sua esperienza con un Cristallo di Bajor, le era stato rivelato che la Guerra Civile incombeva sull’Unione. Con lo scontro fra Rangda e la Flotta sempre più acceso, la mezza Andoriana non stentava a crederlo. «Qualunque cosa mi aspetti, non mi farà male avere un po’ d’autorità» pensò uscendo dall’ufficio, con i gradi da Tenente in bella vista sul colletto.

 

   Un anno dopo, a Nuova D’Arsay, il sole scintillava attraverso le finestre dell’ospedale cittadino. Il neonato strillava a pieni polmoni, mentre un sensore medico lo scannerizzava da capo a piedi. «Tutti i valori sono nella norma» disse il dottore, consultando uno schermo pieno di glifi colorati. «Il bambino sta bene».

   Masaka e Korgano si scambiarono un’occhiata emozionata, poi tornarono a osservarlo. Erano stati loro a sintetizzare il suo DNA, in base alle informazioni degli Archivi, e poi ne avevano seguito assiduamente la crescita in incubatrice. Vederlo respirare a pieni polmoni era una scena imperdibile; il coronamento dei loro sforzi.

   «Complimenti, piccolo» disse Masaka. «Sei il primo D’Arsay in carne e ossa che nasce in 87 milioni di anni. E presto non sarai solo» aggiunse, osservando la lunga fila d’incubatrici lì accanto, piene d’infanti che si succhiavano i pollici o scalciavano.

   «Non gli abbiamo ancora dato un nome» notò Korgano.

   «Scegli tu» disse la regina.

   Il Cacciatore rifletté qualche secondo, osservando il piccolo che strillava. Lo avvolse in una copertina e lo prese in braccio, lasciando che i raggi del sole lo illuminassero attraverso la finestra. «Sarai Huna-ku te-Masak, “nato sotto un nuovo sole”» disse solennemente. Poi lo consegnò a una balia, perché se ne prendesse cura. Ovviamente gli ologrammi non potevano allattare, ma la balia aveva con sé un biberon. Cominciò subito a nutrire il pupo, fermandone il pianto.

   In quella arrivò un sacerdote. A differenza dei sovrani, che avevano smesso di farne uso, lui aveva il volto coperto da una maschera rituale. «Lode a voi, miei sovrani... questo è un giorno fausto!» esultò. «La rinascita del nostro popolo merita una celebrazione. Organizzerò una grande festa al tramonto».

   «Certo...» disse Korgano distrattamente, osservando il neonato che succhiava dal biberon con sano appetito.

   «E secondo la tradizione, il primo nato della nuova città verrà sacrificato!» aggiunse il sacerdote.

   «Uhm, sì... l’usanza era quella» disse Masaka. Korgano la osservò con rimprovero, ma lei restò concentrata sul sacerdote. «Ricordi perché si faceva?» gli chiese.

   «Per propiziare gli dèi... affinché i successivi nati fossero sani e forti» rispose lui, osservando la fila d’incubatrici.

   «Mi sento già abbastanza propizia» disse la regina. «Non ho portato in vita questa creatura per fartela ammazzare».

   «Altezza... è mio dovere...» protestò il sacerdote.

   «Li stabilisco io, i tuoi doveri. Oppure osi contestare i miei ordini?!» s’inalberò Masaka.

   «Mai, divina padrona» si arrese il D’Arsay, arretrando a capo chino.

   «Buon per te... altrimenti mi tornerà la voglia d’immolare qualcuno, e non sarà il bambino» minacciò la sovrana. Il sacerdote lasciò frettolosamente la sala.

   «Questa è la regina che amo» si complimentò Korgano. «Chiamo Uxmal, così vedrà anche lui il bambino. Ora che ha le gambe, verrà subito qui».

   «Vi aspetto» disse Masaka. Quando Korgano fu uscito, si accostò alla balia. «Fammelo tenere» disse accennando al neonato, che aveva smesso di succhiare dal biberon.

   «Sorreggetegli la testa, mia signora» si raccomandò la D’Arsay, consegnandole il pupo nell’involto di coperte.

   Masaka annuì, impaziente, e lo prese tra le braccia. Dopo essersi sfamato, il bimbo avrebbe dovuto dormire; invece si guardava intorno con gli occhioni spalancati. La regina si assicurò di reggerlo correttamente. Sorrise, soddisfatta della sua vitalità. Poi uscì sul terrazzo dell’ospedale, per mostrargli il mondo sotto il nuovo sole.

 

 

FINE

 

 

   
 
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