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Autore: CHAOSevangeline    30/06/2019    2 recensioni
{ Tweek!Centric | Accenni Creek }
Una breve introspezione su Tweek e il suo stato d'animo.
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"«Perché non fai un bel respiro e non ti calmi, Tweek?»
Perché non serve.
Non serve contare fino a dieci, non serve respirare lentamente. Non serve visualizzare un posto sicuro e neanche manipolare un giochino antistress."
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Craig, Tweek
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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17 Gennaio, 4:30


 

Do you ever feel that sinking in your stomach to the floor
When your hands won't stop the shaking
And you can't take any more

 
 

 
«Perché non fai un bel respiro e non ti calmi, Tweek?»
Perché non serve.
Non serve contare fino a dieci, non serve respirare lentamente. Non serve visualizzare un posto sicuro e neanche manipolare un giochino antistress.
Non serve a un cazzo.
Ti svegli con quel macigno sullo stomaco e ormai neanche lo senti, perché sei così assuefatto al tuo stesso stato d’animo da essere appesantito da una zavorra costante. Ti grava addosso e la ignori, ma non vivi come se non ci fosse.
Oh no.
Cammini e te la trascini dietro, una palla di piombo legata alla tua caviglia.
Strascichi il piede e quando hai abbastanza forza la sollevi, la prendi in braccio come fosse un bambino capriccioso e fai finta almeno fino a quando l’ultimo briciolo di energia che ti resta non scompare di potertene andare in giro come tutti, di mantenere lo stesso passo di tutti.
E fai fatica, ne fai tanta. Ma nessuno lo sa.
E la mattina, quando puoi, ti avvolgi nelle coperte e speri di sparire. Speri che quel fortino caldo che hai scaldato la notte ti renda invisibile a quella… cosa, quella sanguisuga che vive dentro di te. E che ti vede sempre, in qualche modo. Vede te, le tue gioie, le tue paure. Un ospite indesiderato.
Ti chiudi lì dentro e bruci secondi, minuti, ore, perché finché la tua testa non è sveglia puoi immaginare un posto diverso, avere qualcosa nella mente di un po’ diverso.
Se sei fortunato, se va bene, invece ti alzi. Vivi come se niente fosse, magari: scendi per colazione e sorridi, pensi a qualcosa di buffo.
Vai a scuola e saluti i tuoi compagni, allegro; racconti che cos’hai fatto il giorno prima anche se il giorno prima, come quello prima e quello prima ancora, non sei riuscito a combinare niente. Ma non importa, perché in quel momento, mentre ascolti loro e parli tu, mentre ti sembra di essere sentito e di saperti ascoltare a tua volta, allora ogni cosa può andare meglio.
Poi quel qualcosa che può andare meglio, invece, va storto.
Non intorno a te: non c’è niente che non vada nella splendida giornata di sole che ti scalda.
È dentro di te che si incrina qualcosa. Batti le ciglia ed è lì, non il tempo di un passo e sei stravolto.
E lo senti che sta arrivando.
Che piano piano lo stomaco si annoda, che le mani sono fredde anche con il riscaldamento di casa tua, anche con la coperta avvolta intorno alle spalle.
E cerchi di respirare, di chiudere gli occhi, di visualizzare un posto pacifico.
Ma se ci sei tu nessun posto lo è. Nessun luogo lo può essere. Entri nella stanza e si ingrigisce.
Una cosa dovresti fare: trattenere il fiato, prendere la rincorsa e sbattere la testa contro il muro così forte da sperare di svegliarti tra qualche ora e di essere rinato.
«Sei agitato, cosa c’è?»
E magari quella domanda arriva da tuo padre, da un amico.
Apri la bocca per parlare e lo sai cosa c’è: sai che non è per il compito che hai il giorno dopo, che non è qualche paranoia giovanile. Sai che è colpa del tuo cervello; quel macigno lo ha colpito e ha deciso che in quel preciso momento, per la successiva mezz’ora, ora, due ore, tu avrai paura. Una paura fottuta di qualsiasi cosa il tuo cervello abbia prescelto per te quel giorno: uscire di casa e sentirti uno schifo? Attraversare la strada perché potrebbero investirti? Aprire bocca e dire la parola che farà capire a tutti quanto tu sia maledettamente distrutto, indesiderabile, rotto?
Beh, almeno c’è varietà.
E invece nemmeno quella.
Perché i tuoi pensieri, le tue paure, sono come gli spicchi colorati di una ruota della fortuna che gira, gira, gira e crea un turbinio di colori, sfocati, uno di seguito all’altro. Ti si incrociano gli occhi mentre li segui e poi tanto, uno per volta, chi più chi meno, si ripetono.
Tenti di indovinare quale sarà la tua penitenza del giorno per prepararti psicologicamente, per quanto possibile. E ti preparerai sempre per quella sbagliata: ne arriverà un’altra e non saprai come gestirla anche se una settimana prima magari, ripensandoci, tutta quella pressione non la sentivi. Non pareva così insormontabile e forse non lo era per davvero. Forse continua a non esserlo, ma lo sembra.
E per un giorno poi stai bene e il giorno dopo stai uno schifo. Pensi di averlo superato e il mattino successivo sei a letto, mentre fissi il soffitto e senti il cuore che ti scoppia nel petto per il terrore. Vuoi riaddormentarti ma nemmeno quello riesci a fare.
E poi ci sono loro.
Ah, come scordare loro?
Le lacrime. Con l’occhio che si strizza per il tic nervoso dovuto ai nervi, al troppo caffè bevuto. Traditore: speravi ti avrebbe sciolto lo stomaco e invece lo rende ancor più dolorante.
Le lacrime scendono per frustrazione e sono solo l’ennesima cosa che non puoi controllare.
Mi sfogherò quantomeno – pensi. Se contare fino a dieci non serve, magari piangere aiuterà.
E provi a respirare nel mentre, piano, regolare, e neanche ce la fai.
Nemmeno quello riesci a fare. Nemmeno quello.
Suona la sveglia, la spegni e non scendi dal letto.
Sei solo pigro, per gli altri. Nessuno si accorge della verità perché non c’è altro di cui accorgersi, per loro.
Ti trascini al piano di sotto, ma agli occhi di tutti sei solo sceso, in ritardo, per colazione. Strisci per i corridoi della scuola come un’ombra, trasandato perché dici che non ti andava di vestirti meglio, che eri di fretta e beh, allora sei solo sciatto. Non capiscono.
E mentre stai partecipando a una conversazione fissi il vuoto per un istante e ti arriva la domanda che ti dà un po’ di speranza.
«Ma è tutto a posto?»
No, non è tutto a posto. Questo vuoi dire. Vomitare per una sola volta tutta la verità.
E dici di sì, perché non è passato nulla ma di colpo qualcuno ti ha visto, ti ha guardato davvero e ti fa stare meglio. Perché è un peccato far preoccupare Craig: se succede non sorride più e se non sorride tu tranquillo non ci stai.
E il suo sorriso ti fa calmare.
Arrivi a casa, sei calmo.
A metà pomeriggio qualcosa ti turba, ti rende le dita dei ghiaccioli tremanti, geli nella felpa e poi sudi freddo nella coperta. Le ginocchia tremano, le giunture paiono fatte di burro. Un po’ difficile trovare un modo comodo per starsene in santa pace, visto che se stendi le gambe per alzarti tremano come foglie.
E magari non fai nulla. Pensi e basta, rimugini tutto il giorno.
Fai un gioco: top ten di motivi per cui stare calmi è meglio. Provi, non funziona.
Poi di botto ti rilassi.
Così, senza ragione. La magia del caffè o di qualcosa che non hai scoperto, perché il fidget spinner che doveva calmarti lo hai buttato per terra e non lo hai più recuperato ormai ore prima. Poco male: così hai la conferma che non serve investire in quegli stupidi aggeggi.
Poi cala la notte. Oggi non fa paura.
Pensi meglio di notte, in qualche modo. E ti annoti tutto: cos’è successo, cos’hai pensato. Che eri agitato e che poi per un breve istante, per un sorriso un po’ preoccupato e una premura, non lo sei stato più. Non ha cancellato ogni cosa, ma ha aiutato.
Una boccata d’aria dopo l’apnea, una luce in fondo a un corridoio buio.
E ci cammini da mesi, anni in quel corridoio. Tasti le pareti in cerca di un interruttore e non lo trovi.
Colpisci con il piede un mobile inaspettato e ti fai male, di tanto in tanto.
Vedi solo una luce intermittente in fondo, lontana. Non la raggiungi, forse non la raggiungerai mai, devi solo riuscire a intrappolarla e a usarla quando ne hai più bisogno.
Quanto può essere difficile?
Beh, lo è. Lo è sempre stato, lo sarà ancora e lo sai già.
Ma in fin dei conti sei lì, sul tuo letto. Un quadernino e una penna in mano ad annotare, annotare per fare qualcosa di migliore di te stesso, per non essere schiavo.
Non è nato tutto da te, non è tua l’ispirazione che ti ha fatto rimettere in piedi. È stata di Craig.
Ma è per te, che ti stai aiutando.
Ripensi al sorriso di Craig.
Alla promessa di vedersi il giorno dopo, perché lui ci sarà, che sia un giorno felice o un giorno triste.
E per un po’ è come se quella luce l’avessi stretta fra le dita.




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Le mie storie su South Park stanno nella mia cartella a decantare sempre per un sacco di tempo, prima che le posti.
Questa introspezione su Tweek è nata da un po', ma era un flusso di coscienza del personaggio così... intenso, che non so, temevo di poter essere uscita dal personaggio. Qualche giorno fa l'ho rispolverata e ho deciso di sistemarla e pubblicarla, finalmente.
Spero davvero vogliate dirmi cosa ne pensate!
Ringrazio Rika, che ha letto la storia in anteprima e mi fa sempre supporto anche quando io metto la testa sottoterra come uno struzzo e non voglio pubblicare o scrivere. O entrambe. E poi sai per quali altri motivi ti potrei dedicare questa soria <3
Alla prossima!
   
 
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