Anime & Manga > Yuri on Ice
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Autore: Dragonfly92    30/06/2019    7 recensioni
“Non fa niente.”
“Con quanti 'non fa niente' ti sei ferito, Yuuri?
Quanti te ne sei imposti?”
“Aveva ragione.
Mi guardi.”
“Lo faccio, Yuuri.
E vedo un ragazzo che sta morendo sotto strati di 'non fa niente'.”
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Tematiche delicate: Bulimia
Questa storia è per BerriesTart_LilacSweet
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Mila Babicheva, Victor Nikiforov, Yuri Plisetsky, Yuuri Katsuki
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Troppo

 

“Quindi serve un incantesimo che trasformi il porcellino in principe...”

 

Un cigolio, un’inclinazione.

Un fulmine, la bruciatura sul terreno.

La causa che svanisce, il segno che rimane.

 

Yuuri lo aveva sentito.

Aveva sentito quel termine - Porcellino – dissociarsi dalle altre parole, echeggiare.

Diventare gigantografia e specchio.

Di se stesso.

Nudo, rosa, viscido, enorme.

 

In contemporanea, Yuuri, aveva anche sentito il sangue affluire al volto e dipingerlo in maniera violenta, seppellendo, sotto lo strato di evidente e normale imbarazzo, una più profonda, intensa vergogna.

 

Il processo era stato totalizzante.

Dieci secondi di infinità.

 

Dieci secondi che Victor non avrebbe nemmeno notato, dieci secondi che Yuuri avrebbe liquidato con un’alzata di spalle.

 

Perché, d’altronde, cosa sono dieci secondi confrontati alla vita?

 

A volte, una manciata di tutto.

 

“Ti ha ferito quella frase, Yuuri?”

 

Porcellino.

Porcellino.

Poi, l’indice che picchietta sulla pancia, sul grasso della pancia.

E ‘picchiettare’ è giocoso ed anche ‘Porcellino’ è giocoso.

E Victor.

Victor è Victor, ed è lì, bello, statuario.

È lì, campione, perfetto.

È lì per lui.

Incarnazione di miriadi di poster, ha preso vita, forma, una bellissima forma.

Ed ha picchiettato e detto Porcellino, ma lui è Yuuri Katsuki e che diritto ha Yuuri Katsuki di dire o anche solo pensare ‘Smettila, ho capito.’?

Nessuno, perché effettivamente Victor ha smesso di parlare e toccare.

 

Ingrato è stato il pianto di Yuuri, ingrato e mai esistito.

Perché se piangi sotto la doccia, non stai piangendo.

Non stai nemmeno stritolando fra le mani il grasso della tua pancia.

E non stai dicendo “Non fa niente, Non fa niente, Non fa niente.”

 

“Non fa niente.”

“Fa, invece.”

La Dottoressa sorride, Yuuri non la guarda.

“Ero sovrappeso.”

“Perché?”

 

Perché?

Perché?

 

Nessuno ha mai chiesto perché.

Nessuno ha mai voluto sapere.

Perché chi si abbuffa fa schifo, chi si abbuffa non vuole cambiare.

E allora si merita di restare solo col suo cibo, amato, saporito.

Con l'unico sapore che sente.

 

“Mi ingozzavo.”

Schifo, fa schifo anche dirlo.

“Perché?”

Perché.

Perché quando ero solo avevo paura.

Avevo paura del silenzio, del vuoto, dei pensieri.

E allora cercavo da mangiare e perdevo tempo.

E mangiavo e perdevo tempo.

Perché.

Perché non sapevo cosa fare, da dove ripartire.

Perché tutti dicevano “Non devi fare così” ma nessuno mi diceva come fare.

Perché.

Perché avevo fallito.

Perché ero un fallito.

Perché…

 

“Non lo so.”

“Se guardi il te di allora, Yuuri.

Cosa vedi?”

 

“Niente.”

Un niente che cammina, un niente che respira.

 

“Ma poi è arrivato Victor.

E con lui hai ricominciato a essere.

Con lui hai visto un futuro, Yuuri?”

“Un presente.”

 

Dopo lo sconforto, lo sfogo.

Dopo una notte di sonno facilitato dalle lacrime abbandonate nella doccia.

La mattina Yuuri si alza e vede.

Vede un piano studiato per lui, vede Victor.

Vede la svolta del presente, vede la quotidianità perdere grigiore.

E decide, che è stato sciocco sentirsi ferito.

Che la sua forma ricorda davvero quella di un…

Quello che ha detto Victor.

 

Ma può cambiare.

 

“Così avete iniziato il programma e la dieta.”

“Sì.”

“Ne eri felice?”

Yuuri annuisce.

“Stava funzionando?”

Il Si è muto.

Yuuri non vuole ungerlo di lacrime.

“Riuscivi a seguirla?

Seguivi le indicazioni di Victor?”

“Si.”

“Tutte?”

“Quasi.”

Due sorrisi.

Uno pieno di incoraggiamento.

Uno pieno di crepe.

 

I primi risultati sono tempestivi.

Il peso cala, i centimetri si riducono.

Ma poi sembra che tutto rallenti.

Mantenimento!”, dice Victor.

No, decide Yuuri.

 

Perché così è troppo in bilico, basta poco a riportarlo fuori dalla pista.

E lui non vuole più starle lontano perché è grasso.

Non vuole.

 

Ogni dieci giorni, una concessione.

Un gelato, il katsudon, cibo italiano.

Un premio.

Ma succede che quel giorno, prima di uscire, mentre si prepara, lo specchio gli indichi delle striature.

Sulle braccia, sulle cosce.

Sui fianchi.

E allora, quando sono a tavola, Yuuri si attiene al solito regime e rifiuta, la sua concessione.

E succede anche che scopra, quando è solo nel suo letto, che è quella sensazione, il suo premio.

Saper di non aver ceduto, sapere di aver rifiutato.

Da lì a sentirsi appagato per ogni riduzione dei pasti, il passo era stato breve.

 

“Victor però ti ha scoperto…”

Un’espressione affettuosa.

Una colpevole.

“Avete discusso.”

“Un po'.”

“Si è dichiarato.”

“Più o meno.”

“Non gli hai creduto.”

“Come avrei potuto?”

Elettricità nello sguardo.

“Sei arrabbiato come se stesse succedendo di nuovo, non è così?”

“Mi scusi, mi scusi davvero, io non so perché…”

Parlare senza piangere è complesso.

Così Yuuri tace, come ha imparato a fare.

Come fa sempre.

 

“Va bene essere arrabbiati, Yuuri.

E va bene anche essere tristi.”

“A lei va sempre bene tutto, Dottoressa.”

Yuuri le sorride e piccole rughe intorno agli occhi inghiottono lacrime che non vuol versare.

 

“Adesso arriva la mia parte preferita: Tu che ti spogli.”

Mila non riesce a trattenere una risata di fronte all'incandescenza delle guance di Yuuri.

“Non dica così!”

“Allora dimmelo tu, forza.”

 

 

Victor era furioso.

Hai boicottato la mia dieta!

Non è questo che ti ho insegnato a fare!

Perché stai facendo di testa tua?

Vuoi sentirti male?

Perché…”

 

Yuuri ascolta, ascolta, esplode.

 

Perché? Perché?”

Si sfila la maglia, furioso quanto il coach.

Strizza fra le dita i fianchi, la pancia.

Le smagliature.

 

Perché faccio schifo!”

 

Ma Victor lo inchioda al muro e Yuuri si ritrova bloccato.

Dal suo fiato, dai suoi occhi, dalla bocca.

Non dire mai più una cosa del genere.”

 

Victor lo bacia e Yuuri quasi sviene.

Poi Victor gli dice “Sei bellissimo.”

E Yuuri lo spinge via, via.

 

“Il giorno dopo ho trovato una crema di fronte alla porta di camera.

E un biglietto, con le sue scuse.

Diceva che avrebbe dovuto immaginare che farmi perdere peso così velocemente avrebbe…

Insomma, che sarebbero venute fuori quelle.

E che lui non dice cose che non pensa.

Comunque, quelle non se ne sono andate.

Ma almeno non se ne sono aggiunte altre.”

 

Victor gli bacia il collo, il mento.

Con la bocca percorre la mascella, sale fino allo zigomo.

Poi scende, giù, sempre più giù.

Il petto, il ventre.

Le carezze sui fianchi.

E Yuuri dimentica, lentamente dimentica quelle.

E la soddisfazione, il premio, non si trova più nei crampi della fame.

Ma in quelli piacevoli che provoca Victor.

Con la sua presenza.

Col suo sorriso.

 

“Le cose andavano meglio?”

“Si.”

“Ti pesavi tutti i giorni?”

“Qualche volta lo dimenticavo.”

“Era un bel passo avanti.”

“Era un bel passo avanti.”

“Poi, cosa è successo?”

“È arrivato Yura.”

 

 

È arrivato Yura.

Yura col suo indomabile carattere, Yura col suo senso d’abbandono.

Che Yuuri ha compreso, da subito.

C'era terrore, sotto gli insulti di Yura.

Terrore d'esser stato dimenticato, d'esser stato messo da parte.

Voglia di rivalsa, di farsi sentire.

E Yuuri lo sapeva.

Perché Yura si ingozzava di parolacce e frasi scostanti.

E non serviva qualcuno che gli dicesse di smettere.

O che gli dicesse “Così non va bene.”

Gli serviva qualcuno che gli dimostrasse come fare.

Gli serviva qualcuno che lo vedesse.

Che si chiedesse perché, faceva così.

 

Yuuri non ha difficoltà a farsi scivolare di dosso le parole dell'omonimo.

È partito preparato, è più sicuro.

È pronto.

Ed insiste, chiede a Victor di farlo rimanere, di allenarli entrambi.

Victor accetta, Yuuri respira.

Yura ringhia, ma non graffia.

 

Passa un po' di tempo, troppo o troppo poco.

Stanno pranzando.

L'allenamento di Yuuri è andato bene, quello di Yura un po' meno.

Lo ha detto Victor.

Victor che se la fa con Katsuki, Victor che tratta Katsuki sempre con i guanti.

Ma come cazzo te lo mangi quel panino?

Sembri un maiale!”

 

Yuuri sente un brivido lungo la spina dorsale, un brivido freddo.

 

Un cigolio, un’inclinazione.

Un fulmine, la bruciatura sul terreno.

La causa che svanisce, il segno che rimane.

 

Il boccone rimane incastrato in gola.

 

Non può parlare, ha la bocca piena e se lo facesse, allora sì, che sembrerebbe un maiale.

 

Non prendertela con lui.

Sai che avresti potuto fare molto meglio.”

Sta' zitto, che vecchio come sei dovresti andare in pensione, non allenare!”

 

 

“Perché pensi che Yura abbia dato a Victor del vecchio?

“Perché…

Perché Victor ha sempre paura di apparire così e…

Di avere i capelli bianchi, allora…

Yura era deluso da se stesso e quando è ferito…

Se la prende col mondo.”

 

“E perché pensi che Yura ti abbia dato del …”

Yuuri strizza gli occhi, un secondo, un’eternità.

“Perché pensi che ti abbia detto quelle cose?”

“Perché…

Il modo in cui mangiavo era…

Disgustoso, sembrava…

Sembrava che non mangiassi da una vita.

Lo avevo morso dalla parte centrale, non da una parte, come avrebbe fatto una qualsiasi altra persona e…

Avevo, le briciole sulle guance e…”

“Che schifo”, sussurra Yuuri.

Che schifo, si ripete.

 

“Yuuri, riesci a ricordarti come Yura aveva addentato il suo, di panino?”

 

Yura che afferra il panino entrambe le mani.

Morde, centrale, e mastica, le gote si riempiono e si gonfiano.

 

“È diverso.”

“D'accordo.

Allora permettimi un'altra domanda.

Credi che pensasse davvero quel che ha detto a Victor?

Che fosse troppo vecchio per allenare, intendo.”

“No, certo che no, lui…

Lui stima Victor.

Gliel’ho detto, in quel momento era…

Ferito, ecco.

E ha attaccato.”

“Capisco.

Allora perché pensi che le parole contro Victor fossero soltanto uno sfogo, ma quelle che ha detto a te rappresentino la verità?”

“È diverso.”

“No, non lo è.”

 

Un sospiro, non può capire.

Ma non ha importanza, davvero.

 

“È stato solo un episodio stupido.

Io, io non so nemmeno perché l'ho raccontato.”

 

“Forse perché non è stato così stupido, per te.”

“Solo un episodio, l'ho detto.”

“Va bene, Yuuri.

Ha più mangiato panini da allora?”

 

“Certo che sì.”

Uno sguardo costretto alla soddisfazione.

Un muto te l'avevo detto.

“Come?

Come li hai mangiati?”

 

Dividendoli in pezzi.

Piccoli.

Con le mani.

Ma questo, Yuuri non lo dice.

 

Si morde le labbra, si guarda attorno, in basso.

 

“Yura è un ragazzino.

Il suo era uno sfogo.

Non c'è niente da aggiungere, davvero.

Il giorno dopo era tutto come prima.”

“Andavate d'accordo?”

 

Yuuri sbuffa un sorriso.

“Sì, ma non lo faccia sapere a lui.”

 

Complicità.

È la natura del rapporto che si instaura fra Yuuri e Yura.

Faticosa, silenziosa.

Ma profonda.

Yuuri è premuroso con Yura.

Di nascosto.

Yura si ritrova cerotti e disinfettanti nel borsone.

Vestiti puliti e ripiegati sulla sedia in camera.

I cereali al miele, per colazione, non mancano mai.

 

Yura non inveisce.

E nella mancanza dei suoi ruggiti, Yuuri sente ogni ‘grazie’.

 

“Un bel caratterino.”

“Sì, decisamente.”, ridacchia Yuuri.

Lo fa ogni volta che parla dell'omonimo.

Ride con tenerezza e comprensione.

 

A Yuuri, il Touring non riesce.

Victor incita, sprona.

Ma a lui, proprio non riesce.

La sera, nel letto, Yuuri si rigira nello sconforto.

Poi, una notifica.

 

Il mittente è a poche stanze di distanza.

 

È un video.

Mostra Yura intento nel Touring

Il rallenty e l'enorme freccia fluorescente apparsa al nono secondo, mostrano la precisa posizione delle lame.

 

Il cuore di Yuuri si gonfia.

Grazie’, scrive.

Si, si.

Ma questo ammorbidente puzza.’

Profuma di lavanda…’

Ti sembro una cazzo di ape?

Fiori? Sul serio, Koutsudon?

Rivoglio quello alla vaniglia.’

Anche la vaniglia è un fiore…’

Fanculo.’

Notte anche a te.’

 

“È il suo modo di essere amichevole.”

Yuuri alza le spalle, continua a sorridere.

“Era un bel periodo, Yuuri?”

“Lo era, si.”

“Anche con Victor?”

“Soprattutto.”

Le guance si infiammano nel rendersi conto dell'espressione malinconica.

Gli sguardi si intercettano, un attimo.

“Ti manca, Yuuri?”

“Ogni minuto.”

 

Quando Mila allunga una mano per sposarla sul suo braccio, Yuuri la ferma.

“Va tutto bene…”, dice, premendosi le dita sugli occhi.

Un respiro grave.

Il controllo ritrovato.

 

“Ti do una mano a sistemare il cuscino?”

“No, grazie.

Ma se potessi…”

Il tentativo di disincastrare il filo impigliato alle maniglie del letto.

Subito assistito da Mila, che scioglie l’incastro e, sfacciata, modella il guanciale dietro la schiena di Yuuri.

“Grazie.”

“È una delle tue parole preferite?

Insieme a Scusa, ovviamente.

Il tono giocoso stempera l'aria, addensata nella prospettiva della domanda futura.

Non ne hanno mai parlato, non ancora.

 

“Cosa è successo, Yuuri?”

 

Non c'è bisogno di specificare altro.

Mila vuole sapere quando, vuole sapere cosa.

Gli ha chiesto di pensarci, già il primo giorno.

Ma Yuuri non ne aveva bisogno.

Sapeva, sapeva quel era stato il punto di rottura.

 

“C’è stata l’esibizione…”

“Eros e Agape?”

“Si.”

“Ti sentivi a tua agio ad interpretare Eros?”

“Era un bel periodo…”

Yuuri si giustifica.

Mila lo comprende, non aggiunge altro.

Qualsiasi altro commento arriverebbe distorto, nella testa di Yuuri.

“Hai vinto, giusto?”

Un’altra alzata di spalle.

L'annuire breve.

 

Comprendere.

 

“E Yura ha perso…”

 

Yura si allontana a grandi passi dal Palaghiaccio.

A nulla serve rincorrerlo, cercare di fermarlo.

Ha bisogno di tempo, per ammortizzare il tutto.

Victor ha organizzato quella gara per spronarli, per motivarli.

Ma lui l'ha persa, l'ha persa.

 

Yura non si fa vedere, la sera.

Yuuri gli lascia un piattino con la cena di fronte alla porta della stanza.

Ma, un tentativo.

Yuuri bussa una volta.

Vorrebbe dirgli che era solo una sciocca serata.

Che non è da quello, che si decide un vincitore.

Bussa, una seconda volta.

Bussa una terza e Yura gli urla di andarsene.

Ti lascio la cena qui…”

Perché non te la mangi tu!

Scommetto che non vedi l'ora! Katsudon del cazzo.”

Insistere non è buona mossa, con Yura.

Yuuri sistema il vassoio e se ne va.

E sorride, quando sente la porta aprirsi e richiudersi.

 

Yura sta facendo pace con se stesso.

 

“Perché Yura se la prendeva così tanto?”

“Perché credeva di valere solo quello che dimostrava sulla pista.”

“Oh, potresti fare lo psicologo, sai?”

“Credo che uno psicologo sarebbe stato più cauto di me.

Avrebbe evitato di dirglielo, Dottoressa.”

“Ti ha fatto un occhi nero?”

“Mi ha quasi rotto il naso!”

La risata nasce sincera.

Ma sfuma, un punto dolente che si avvicina.

Si avvicina.

 

“Vi siete rivisti il giorno dopo?”

“A…

Colazione, si.”

 

Una pausa.

Un sospiro lungo.

 

“È successo allora.”

“È successo allora.”

 









 

--------------------------------------------   Spazio a noi  ---------------------------------------------

 

Buongiorno : )

Chi mi conosce sa che non posso non scrivere del dolore.

Che non posso fare a meno di raccontarlo, analizzarlo, provare ad esorcizzarlo.

Contrariamente a “La forza dell'Amore”, un pochino di questo mi è appartenuto.

È vecchio, risarcito. Ed era il momento giusto per scriverne.

Come sempre, la mia paura più grande è quella di sminuirlo.

Perché sminuire il dolore, una ferita, è ciò che credo possa far più male della sofferenza stessa.

Sentirsi dire 'passerà', 'non pensarci' o, in questo caso, scrivere di determinate tematiche con superficialità, è doloroso per chi legge/sente.

Quindi, se in qualche modo l'ho fatto, scrivetemi, anche in privato.

 

In molti pensano che le fanfiction debbano essere storie leggere, storie per passare il tempo.

Hanno ragione, anche loro.

Ma per me, sono un mezzo per arrivare a qualcuno. Per abbracciare quel qualcuno.

Per farlo sentire un po' meno solo.

So che questo potrebbe esser scambiato per presunzione.

Ma vale il rischio.

È tanto tempo che sto scrivendo questa storia.

Adesso che è finita, voglio condividerla e rassegnarmi a passare la giornata tormentata dai dubbi.

Devo ringraziare Syila, che ha atteso e ha spronato. Senza di te, questa storia sarebbe ancora una bozza.

E BerriesTart_LilacSweet, per i pezzi di lei che sono qui dentro.

E BlackUnicorn, che non ho dimenticato, così come Fioredipesco.

E 1234ok.

Perché sei tanto, tantissimo.

 

E te.

Che hai letto, stai leggendo.

Che sei bella e non lo sai.

Che non sei sola e, forse, alla fine di questa storia, lo saprai.

 

Dragonfly92

   
 
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