Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: yourkittyness    30/06/2019    0 recensioni
Giorno Giovanna è al suo primo anno di università ma qualcosa sembra sempre andare storto. Fortunatamente il destino ha molta più fantasia di lui.
Genere: Angst, Commedia, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Giorno Giovanna, Guido Mista, Narancia Ghirga, Trish Una
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Piccola premessa: avendo scritto questo capitolo nell'arco di - penso - più di una settimana, all'epoca non mi sono resa conto di quanto certi avvenimenti stessero accadendo molto velocemente, di conseguenza ho pensato di dividerlo in due parti, piccoline ma meglio di niente. Also: sono giustificata perché teoricamente questa storia sarebbe dovuta rimanere a me a poche persone soltanto, per favore perdonatemi!!

Timeskip: due mesi e mezzo/tre!
 

P.s. Il prossimo capitolo cercherò di farlo uscire entro la prossima settimana, purtroppo sono in sessione e sono pigra.


CAPITOLO 2.1

 

Guido era da poco uscito dall’università, sentiva ancora un po’ di adrenalina addosso dopo aver consegnato il foglio del parziale sorprendentemente non in bianco. Aveva studiato – o almeno ci aveva provato, cioè Bucciarati aveva provato a costringerlo – e forse, solo forse, sarebbe riuscito a passarlo. A prescindere dal risultato, aveva deciso di premiarsi e recuperare le ore sprecate a studiare giocando a qualcosa di nuovo. Con passo lento, si avvicinò ed aprì la porta del GameStop vicino alla sua università, facendo un cenno al commesso; ormai si ricordava di lui – forse perché lo aveva un po’ spaventato qualche giorno prima? – e si mise a guardare in giro, ben sapendo cosa stesse cercando ma volendo comunque girovagare e osservare per la dodicesima volta i Funko Pop che ormai conosceva a memoria.

Era intento ad osservare la statuita di Naruto, indeciso se comprare anche quella, quando sentì un ragazzo, appena arrivato, salutare il commesso. “Quindi quel tizio si chiama Koichi?”. Posò la figure nuovamente sullo scaffale e si diresse verso la sezione dedicata ai giochi della Nintendo Switch, ricordandosi nuovamente della sua unica e fondamentale missione: comprare Super Smash Bros.

Tuttavia, non appena poggiò le mani sulla scatolina, lo stesso fece il tizio appena arrivato. Quando alzò lo sguardo, vide un ragazzo più o meno della sua stessa altezza con una capigliatura strana. “Be’, i miei cappellini non sono il massimo, non posso giudicare”, si ritrovò a pensare, spostando lo sguardo sul viso del ragazzo che lo guardava con un’espressione anche troppo seria.

«Quindi anche tu vuoi questo gioco» iniziò, impassibile; dopo un paio di secondi in cui si erano fissati, Guido non poté non notare una lieve somiglianza con il suo vicino di casa. “Smettila di vedere Giorno Giovanna in tutto e in tutti” si rimproverò.

Il ragazzo di fronte a lui, con estrema lentezza ma non mollando la presa dalla scatola, spostò lo sguardo da lui allo scaffale. Poco dopo gli s’illuminò il viso e lasciò la presa, mettendo le mani su una confezione identica.

«Fiuuu… » si passò una mano sulla fronte come se avesse effettivamente sudato, «menomale che ce n’era un altro o sarei stato disposto a lottare. E sembri uno tosto» Guido alzò un sopracciglio, schioccando la lingua contro il palato.

«Pensi davvero che saresti riuscito a vincere?» poggiò una mano sul fianco, spostando il peso da un piede all’altro.

«Non sottovalutarmi» rispose il moro, sorridendo.

Mentre colui che, secondo Mista, aveva corso il rischio di diventare un rivale peggiore di Giorno Giovanna, venne distratto da un nuovo cliente appena entrato, Guido si affrettò verso il bancone, volendo fare il prima possibile per tornare a casa a giocare. Sembrava un tipo simpatico e aveva anche un lieve accento che lo faceva sembrare buffo. Quasi si sentì in colpa ad avere approfittato di un momento di distrazione per sgattaiolare via.

Poggiò i soldi sul bancone per poi girarsi nuovamente, il ragazzo moro era dietro di lui con il cellulare in mano. Era la sua occasione, poteva parlargli, attaccare bottone, magari, finalmente, sarebbe riuscito a farsi un amico con i suoi stessi interessi, dato che il suo gruppo era troppo altolocato per giocare ai videogiochi. Solo Narancia si salvava ma non era un opponente particolarmente capace.

«Comunque» alzò lo sguardo, «mi chiamo Guido Mista, piacere» il ragazzo sorrise, per poi guardare perplesso la mano tesa di fronte a lui.

«Josuke Higashikata» fece un piccolo inchino, continuando a guardare la mano di Guido a mezz’aria, «devo… stringerti la mano? Scusa, mi sono spostato da poco, non sono abituato» rispose ridendo, prendendo la mano di Mista e muovendola con troppa foga.

«Quindi sei giapponese come pensavo» il ragazzo posò a sua volta i soldi sul bancone, «come mai proprio in Italia?»

«Mio… padre» disse con un po’ di esitazione, «Ha insistito perché venissi qui e ha convinto mia madre che mi ha praticamente costretto a partire» salutò il commesso, che a quanto pare doveva essere suo amico, e si diressero fuori.

«Però lo sai bene l’italiano» Josuke sorrise.

«Me l’ha insegnato Rohan… cioè un mio conoscente» sospirò, «Ogni tanto mi scordo che la gente non conosce ogni mio amico. Sempre che questo tizio possa essere considerato tale».

Ed ecco che era caduto un silenzio imbarazzante. “Vedi Guido, non sei capace” si ritrovò a pensare e forse Josuke aveva captato un certo imbarazzo, che subito si apprestò a chiedere al ragazzo se volesse mangiare qualcosa da qualche parte; era quasi ora di pranzo. Mista gliene fu grato, non ci sarebbe mai arrivato, fosse stato per lui sarebbero rimasti lì, di fronte alla fermata a guardare il nulla.

Così, grazie all’intervento di Josuke, si ritrovarono a parlare di fronte a un piatto di pasta. Josuke era un tipo divertente e particolare; aveva scoperto che al momento era al primo anno di ingegneria informatica – scelta strana considerando che era giapponese e probabilmente sarebbe stato più utile studiarla lì. Viveva in un appartamento, poco lontano dal ristorante in cui stavano mangiando, che condivideva con il commesso di Gamestop. A quanto pare gli aveva anche parlato di lui, quella volta che lo aveva spaventato per sbaglio, avendolo scambiato per un ragazzino delle medie.

«Purtroppo ancora non mi sono fatto molti amici» sospirò, mettendosi una forchettata di pasta in bocca che masticò appena, prima di inghiottirla, «mi trovano un po’ strano, sarà che sono straniero».

«Oh be’, se vuoi posso presentarti i miei amici, ci sono ben due giapponesi, magari ci fai amicizia» fece una piccola pausa, «non che a me stiano particolarmente simpatici» Josuke sbatté un paio di volte le palpebre, confuso.

«Se posso chiedertelo, come mai?»

«Niente di che, con una ho avuto un primo incontro un po’ particolare. A causa di un mio commento un po’… Diciamo abbastanza sessista mi ha lanciato via lo zaino… e me lo sono meritato e, soprattutto, sono cambiato» Josuke stava sorridendo divertito, «con l’altro… Non mi sta molto simpatico, a pelle. Poi sono stato infantile e non l’ho mai salutato, quindi se l’è presa a male».

«Però, se fa parte del tuo stesso gruppo non dovresti, mmmmh, come si dice? Fare il primo passo per far pace?»
«Be’, sì, teoricamente…» Josuke rise.

«Comunque, è una fortuna che le nostre università siano vicine» aggiunse Josuke, «almeno so che se mai dovessi essere da solo potrò contare su di te».

«Sono già la tua seconda scelta, vedo» fece finta di asciugarsi una lacrima, «ma come hai intenzione di fare affidamento su di me se non hai il mio numero di cellulare?» Josuke sbattè un paio di volte le palpebre.

«Era una pick-up line? No dignity» cominciò a ridere e Mista arrossì improvvisamente.

«Non è come credi! Non in quel senso, non ci ho pensato‼» Josuke continuò a ridere, dandogli qualche pacca sulla spalla.

«Tranquillo, non ti preoccupare… come si dice? No homo» Mista si portò una mano sul viso.

In tutta la sua vita, non era mai riuscito a dire una pick-up line ad effetto a nessuna ragazza che gli era piaciuta. Ecco che, finalmente, era riuscito a far uscire il Don Giovanni che c’era in lui ma… con un ragazzo. Sarebbe stato meglio se Bucciarati non lo avesse mai scoperto.

 
Giorno si ritrovò a mescolare, ancora una volta, l’espresso che aveva di fronte. Davanti a lui, Trish era intenta a postare una foto su Instagram, mentre commentava ad alta voce gli hashtag da usare. Giorno non se ne intendeva di quelle cose e, infatti, era stata l’amica a creare e curare il suo account; si era proposta di fargli anche le foto perché «sei così carino che devi trovare un fidanzato altrettanto carino per te, così può picchiare Mista quando non ti saluta».

Lui non è che ci tenesse più di tanto, però un po’ sperava di poter attirare l’attenzione di una persona. Effettivamente, qualcuno ci aveva anche provato con lui – ed ovviamente Trish si era occupata di rispondere, mentre lui si lamentava al suo fianco, cercando di nascondere il rossore che copriva interamente il suo viso. Peccato fossero tipi un po’ strani che, tra l’altro, nemmeno lo salutavano quelle poche volte in cui s’incrociava tra i corridoi dell’università. Quasi si era convinto che fosse un’abitudine degli italiani, non salutare, nonostante effettivamente vivesse in Italia da sempre.

«Continui a mescolare il caffè e ancora non l’hai bevuto» Trish poggiò il viso sulla mano, aprendo leggermente le labbra rosa acceso, «sovrappensiero?» sorrise. Giorno sospirò, lasciandosi scivolare sulla sedia.

Erano giorni che pensava se effettivamente fosse il caso di parlargliene, ormai erano passati almeno due mesi e mezzo da quando si erano conosciuti e poteva considerarla la sua migliore amica; tuttavia, una parte del ragazzo, quella ancora convinta che prima o poi tutti gli avrebbero voltato le spalle, si rifiutava di farlo aprire totalmente su certi argomenti. Senza contare tutte le volte in cui quella fastidiosa vocina nella sua testa gli ricordava da quanto tempo le persone del suo gruppo si conoscessero tra loro e da quanto conoscessero lui: due mesi e mezzo contro anni di amicizia.

«Promettimi di non dirglielo» appoggiò le mani sul tavolo, avvicinandosi al viso della ragazza.

«A chi?» Giorno prese un bel respiro.

«Penso… Penso, voglio sottolinearlo, che… Mi piaccia…» lo sguardo di Trish si illuminò, «Non posso dirlo! Non ce la faccio» si portò le mani in faccia, non riuscendo però a nascondere le orecchie rosse. Sentì la mano calda di Trish stringersi attorno al suo braccio, delicatamente, cercando di spostare almeno una mano dal suo viso, inutilmente.

«Quanto può essere imbarazzante?» Trish stava ridacchiando, «Non sarà mica Mista?» Giorno scostò le mani dalla faccia, mostrando il viso incredulo.

«Ho tanti problemi, ma non un principio di sindrome di Stoccolma» Trish rise, accarezzandosi il mento con le dita.

«Lo conosco?» Giorno annuì, facendo strizzare gli occhi alla ragazza, «è del nostro gruppo?» Giorno distolse lo sguardo, facendo finta di non sentire.

«È Bruno!» urlò la ragazza, facendo saltare sulla sedia il biondo che le portò le mani sulla bocca continuando a intimarle di fare silenzio. Lo sguardo di Giorno, molto lentamente ma abbastanza terrorizzato, si spostò dalla ragazza di fronte al lui al ragazzo che era appena entrato e che si era girato verso di loro, non appena aveva sentito il nome del suo coinquilino.

Il biondo stirò un sorriso e alzò la mano destra, in segno di saluto. Il ragazzo moro guardò un attimo lui, poi Trish e infine la sua mano, ricambiando, incerto. In un attimo Giorno si schiacciò contro il tavolo, attirando la ragazza di fronte verso di lui.

«C’è Mista, ha sentito il nome di Bucciarati, voglio morire» Trish si girò, salutando il ragazzo con un cenno della mano.

«Figurati se ha capito… Ma aspetta, significa che è lui?!» il biondo stava per avere un mental breakdown.

«Parla... a bassa voce, per favore…» Trish stava cercando di non ridere, «penso che mi piaccia, non lo so, non ho mai avuto effettivamente una cotta per qualcuno, ma lui… penso che siano i sentimenti che dovrei provare?»

«Sembri un robot, sei un alieno?» la ragazza gli spostò un ciuffo biondo scappato dalla treccia che era solito farsi, incastrandolo dietro l’orecchio. Lo guardava con sguardo dolce, ma leggermente incupito.

«Sono felice di apprendere i tuoi sentimenti» esitò, «ma… Bruno è… particolare. Come dire» picchiettò le dita sul tavolo, «diciamo che l’ultima cosa cui pensa è… l’amore? Non penso sia interessato ad avere una relazione? Ogni mese almeno una o due persone ci provano o gli chiedono di uscire, è molto popolare tra gli universitari, sarà che è uno dei rappresentanti. Ma ogni volta che me ne ha parlato… non dico fosse scocciato, ma chiaramente non interessato» si morse il labbro, «mi ha proprio detto “continuano a provarci ma non capiscono che non ho interesse, ho altro per la mente e ho i miei amici, a che mi serve una relazione” o una roba del genere. Presta attenzione solo ed esclusivamente a noi, i suoi amici, perché siamo la sua famiglia» Giorno sospirò.

«Come al solito, ho buon occhio quando si tratta di crearmi problemi» spostò lo sguardo sul caffè, ancora nella tazzina, probabilmente freddo, «almeno posso dire di non essere stato friendzonato perché mi considera suo fratello». Trish prese le mani del ragazzo tra le sue.

«Con tutto il mio cuore vorrei dirti di non mollare e di provarci lo stesso, ma l’ultima cosa che voglio per te è provare i tuoi primi sentimenti veri e forti nei confronti di qualcuno che probabilmente non li ricambierà» gli poggiò una mano sulla guancia, «e poi tieni conto che Abbacchio ha un cotta per Bruno dall’alba dei tempi e non l’ha ancora capito, non vorrai mica stare con uno sentimentalmente tonto come lui, no?» Giorno rise, non riuscendo comunque a far andar via il macigno che sentiva all’altezza del petto.

«Preferisco non essere odiato ancora di più da Abbacchio, semmai».

 

Dal pomeriggio al caffè con Trish erano quasi passate due settimane, oramai Dicembre era alle porte e questo significava solo una cosa: la prima sessione di esami di Giorno era sempre più vicina. Purtroppo per lui, studiare stava diventando un’impresa sempre più ardua. Il motivo? Continuava a pensare a Bucciarati. Quasi gli veniva da ridere: ne aveva parlato con la sua migliore amica, lei gli aveva detto con tutta onestà quale fosse la verità e lui era ancora allo stesso punto, se non peggio. In tutto ciò, Giorno stesso stava personalmente riscontrando in prima persona la situazione descritta dall’amica. Qualunque cosa facesse, era consapevole che Bruno lo stesse guardando con lo stesso affetto con cui poteva guardare un amico o un fratello, nulla di più. Eppure continuava. Non che Giorno fosse particolarmente esperto, non aveva idea di quali fossero le tecniche di flirt ed era anche impacciato, ma ormai tutti se ne erano accorti – Abbacchio compreso, che un giorno lo aveva preso da parte e lo aveva insultato; Giorno aveva scrollato le spalle e se ne era andato, senza rispondere, anche se i commenti del più alto gli avevano trapassato il petto come una lama. Lo sapeva di non essere la persona che Bruno stava cercando, lo sapeva di non poter competere con chi era stato accanto a lui per anni, ma questo non andava a spegnere la voglia, dentro di lui, di occupare un posto d’onore al suo fianco.

Vista, dunque, la situazione particolarmente drammatica in cui versava Giorno, prima di segregarsi definitivamente in casa per la sessione, aveva pensato di aggregarsi a dei gruppi studio: forse, assieme ad altri, avrebbe smesso di pensare al vicino di casa e avrebbe cominciato a focalizzarsi su biochimica. Grosso errore di calcolo: finì semplicemente per confondersi ancor più le idee, mettendosi poi a divagare su una vecchia conversazione avuta con il moro.

Un pomeriggio – uno dei migliori della sua vita da fuori sede, ormai l’aveva appurato – Bruno lo aveva invitato a prendere un caffè, totalmente a caso. Quasi aveva sperato che significasse qualcosa di più; in realtà, oltre loro due era presente anche Mista e doveva esserci un amico di quest’ultimo, che all’ultimo minuto dovette declinare perché gli avevano anticipato una lezione. «Il nuovo amico di Mista si è trasferito dal Giappone e avevamo pensato di farvi conoscere» Giorno aveva sorriso ma dentro di sé si chiese se si ricordassero che aveva vissuto in Italia da che ne avesse memoria. Nonostante tutto, Bruno aveva preparato un caffè – bruciato, ma il biondo preferì non farci caso – e si erano trovati in tre, a tavola, in silenzio: Giorno guardava la tazzina, Bruno sorseggiava in silenzio guardando fuori dalla finestra, Guido era rannicchiato sulla sedia con il cellulare in mano a giocare a qualcosa. Il silenzio era così pregnante e lievemente imbarazzante che il biondo per una volta si sentì grato a Mista per non aver abbassato del tutto il volume del cellulare.

Tutto ciò cui Giorno riusciva a pensare era che stesse sprecando un’opportunità importantissima: parlare da solo con Bucciarati – ignorando totalmente la presenza di Guido. Fino a quel momento erano sempre stati circondati da persone pronte ad interromperli, così finivano per lasciare discorsi a metà e Bruno lo guardava con un espressione che voleva dire “scusa, ne parliamo dopo, ok?”. Peccato non ne parlassero più.

Per sua fortuna, Bruno aveva cominciato a parlare: passarono dai convenevoli, alle domande sull’università, con tanto di “be’, io non ne capisco di biologia, ma se ti dovesse servire un aiuto in economia puoi far affidamento su di me”. Il biondo non riusciva neanche a ricordare il filo di parole che li aveva condotti lì, ma si ritrovarono a parlare di libri. Parlarono dei loro autori preferiti, degli ultimi libri letti e dei passati un po’ oscuri che avevano condiviso – scoprendo che Mista era stato, e ancora un po’ lo era, un grande fan di Twilight.

Proprio da questo continuo scorrere di memorie e pensieri, Giorno si ricordò di quando aveva promesso, scherzosamente ma non proprio, che avrebbe regalato a Bruno una copia di Diritto e Castigo, un libro che a suo parere avrebbe apprezzato molto. Così aveva abbandonato il gruppo studio con una scusa davvero banale, sperando che ciò non avrebbe compromesso i rapporti universitari che si reggevano in piedi a stento, e si recò nella Feltrinelli più vicina alla facoltà, con l’intenzione di andare a casa il prima possibile, regalargli il libro e aspettare in trepidante attesa che lo finisse per parlarne insieme.

Salì di corsa le due rampe di scale che lo separavano dal suo appartamentino, quando, mentre cercava le chiavi, sentì un chiacchiericcio molto acceso provenire dalla porta dei vicini di casa. Quasi si sentì uno spione, ma le porte erano quasi attaccate e la voce che sentiva, oltre quella ben nota di Guido Mista, gli sembrava familiare; per non parlare del lieve accento giapponese… Quando finalmente realizzò l’identità del famigerato amico, Guido aveva aperto la porta, presentando un Giorno con le mani ancora nello zaino, alla disperata ricerca della chiave, che guardava nella loro direzione.

«Giorno?» chiese Josuke, la voce chiaramente alterata per l’eccitazione, incredibilmente felice di vedere suo cugino. Lo sguardo del biondo, ancora immobile, si spostò dal cugino al vicino, i capelli ricci scompigliati e lo sguardo duro, puntato su di lui. Aveva la mascella chiaramente irrigidita e non ci volle molto per notare le mani strette a pugno.

«Josuke?» e Giorno avrebbe voluto sembrare più entusiasta, ma lo sguardo di Mista gli stava letteralmente perforando il cranio.

Non ci volle molto perché il cugino cominciasse a fare le feste di fronte a lui. Non si vedevano da anni nonostante avessero passato ogni estate dei loro anni migliori e più spensierati insieme: un anno in Italia, un anno in Giappone; viaggi ovviamente finanziati da, “nonno” o padre, Joseph.

«Non avrei mai immaginato conoscessi mio cugino!» urlò Josuke, rivolto verso l’amico.

«Quante riunioni di famiglia, eh Giorno?» Josuke non sembrò badare al sarcasmo, probabilmente neanche lo aveva colto, ma il biondo aveva cominciato a sentirsi a disagio. Non riusciva a capire per quale motivo il moro si stesse comportando in quel modo con lui, proprio quando il loro rapporto si era stabilizzato ad una civile convivenza, sia perché erano abbastanza maturi per andare oltre a delle semplici antipatie, ma soprattutto perché non volevano che gli attriti tra loro andassero ad intaccare altre persone a loro care. Era stato un accordo tacito che entrambi avevano colto ma sembrava stesse per essere infranto.

Guido aveva colto chiaramente il disagio di Giorno e quasi ci provava gusto nel vederlo in quello stato, decidendo di mantenere lo sguardo freddo e il tono distaccato. Era infantile e lo sapeva bene, ma l’episodio fece scattare dentro di sé una sorta di meccanismo di autodifesa.
Ormai conoscevano Giorno da tre mesi, non era stata certo colpa sua se era rimasto senza appartamento e il fatto che fosse il coinquilino del suo migliore amico gli stava anche bene; era consapevole che Narancia non lo avrebbe sostituito con lui e il loro rapporto fosse nettamente più saldo rispetto a quello che aveva con Giorno. Aveva quindi deciso di lasciar correre e, anzi, proprio per lo stesso amico, aveva deciso soffocare la sua antipatia e mantenere dei rapporti civili.

Poi era entrato nel loro gruppo, evento ragionevole: era amico di Narancia ed erano vicini di casa. Insomma, una conseguenza naturale. Decise quindi, di nuovo, di lasciar correre. Peccato che fosse il cugino di Jolyne: tra lui e la ragazza non vi era astio, non vi erano sentimenti in generale. Stavano nello stesso gruppo, se si trovavano a parlare lo facevano, altrimenti diventavano meri conoscenti. Fu allora che il primo di quei pensieri cominciò a farsi strada nella sua mente. Sempre di più cominciò a temere che la presenza di Giorno potesse non tanto oscurarlo, ma portargli via ciò che lui considerava la sua famiglia; pian piano, a partire dalla cugina, avrebbero cominciato a preferire il biondo a lui. Era riuscito anche a tollerare l’amicizia con Trish perché si era detto “be’, è gay, figurati se si mettono insieme”, anche se la vocina gelosa che gli oscurava la ragione rimaneva lì, persistente e ogni giorno un po’ più forte. Non poteva permettersi che Giorno Giovanna gli portasse via quello che gli era più caro: gli restavano solo Josuke e Bucciarati; era cosciente della cotta di Giorno per Bruno – chi non lo era, d’altronde, a parte il ragazzo stesso? – ma l’idea di una loro relazione gli sembrava così lontana e improbabile che quasi non ci dava peso. Non era neanche capace di iniziare una conversazione con il coinquilino, le probabilità che riuscisse ad attirare la sua attenzione come qualcuno più importante di un amico erano pari a zero.

Però ecco che arrivava a Josuke. Non appena si riconobbero, Guido sentì un macigno al posto del cuore. Era arrivato anche a lui, l’unico con cui la possibilità di rapporto, in casi normali, sarebbe stata ridotta a numeri decimali. Non avevano nulla in comune, Josuke non conosceva bene gli altri suoi amici, era in gruppo a parte o con Mista; aveva anche pensato di presentarglieli, ma l’idea che Giorno potesse rubargli anche lui lo tormentava ed ecco che, invece, erano addirittura cugini! Sembrava uno scherzo.

Molto presto, Josuke dovette andarsene, chiamato da un altro impegno, ma promettendo al biondo di sentirsi presto, facendosi promettere a sua volta che sarebbero usciti loro due e Jolyne. Quando il ragazzo si chiuse la porta dell’ascensore alle sue spalle, Guido rivolse il suo sguardo verso Giorno che aveva aperto la porta di casa ma non accennava ad entrare. Stava per chiudersi la porta alle spalle, quando sentì il ragazzo più giovane chiamarlo.

«Guido, scusa…» la sua voce era flebile e incerta, a Guido venne da ridere per il tono stranamente dolce utilizzato, mai usato fino ad allora, «Bruno non è in casa, vero?» teneva in mano una busta della Feltrinelli; Guido alzò un sopracciglio, poggiandosi allo stipite della porta.

«Perché?»

«Volevo dargli questo» rispose, sollevando un po’ la busta di carta. Guido scoppiò a ridere – una risata forzata e aspra.

«Cos’è? Vuoi attirare la sua attenzione con un libro?» Giorno piegò la testa di lato, «credi davvero che avrai mai delle chance con lui?» il biondo chiuse un attimo le palpebre, per poi fissare i suoi occhi verde smeraldo su quelli color pece del ragazzo di fronte a lui. Guido sentì un brivido lungo la schiena, mai in quei mesi il ragazzo più basso lo aveva guardato dritto negli occhi, se non per pochi secondi.

«Non ho chiesto la tua opinione sulla mia vita sentimentale, ti ho chiesto se Bruno è in casa» Guido irrigidì di scatto la mascella, scostandosi dallo stipite della porta e piazzandosi di fronte al biondo, sovrastandolo per quanto i neanche dieci centimetri di differenza glielo consentissero.

«Non mi importa da chi lo vuoi prendere, ma evita di ronzare troppo attorno ai miei amici» Giorno non aveva accennato a distogliere lo sguardo, anche se il più alto notò chiaramente le sue labbra tremare per un attimo.

«Sei la persona di merda che credevo, grazie per averlo confermato» il biondo gli diede le spalle, rientrando in casa e sbattendosi la porta dietro di lui. Si era portato con sé il libro.



Ultima nota del capitolo!! 
Ho introdotto Josuke e Koichi un po' a random, principalmente per la mia amica. Non hanno motivo per stare in Italia... Neanche Jolyne ma va bene comunque! Okuyasu è l'unico in Giappone e ancora non so perché, il mio cervello non ve lo sa spiegare. Anche questa fan fiction è una bizarra avventura.
  
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