Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: saitou catcher    01/07/2019    3 recensioni
Erwin Smith, e il sogno che ha guidato la sua vita.
[Erwin!centric- character study- possibili spoiler per chi non ha terminato la terza stagione]
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Erwin Smith
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Piccola nota d'autore: questo account è gestito da due sorelle. Una sono io, Catcher, l'altra è Saitou, autrice di L'ultima promessa. Ovviamente, coglierete delle somiglianze fra le due storie, perché passiamo ore a discutere insieme, e quindi finiamo sempre per stabilire un nostro headcanon.


Per quanto ne sa, ha passato la vita a sognare.

Da bambino, i suoi sogni erano vividi e intensi e pieni di colori, immagini alate che si staccavano dalle pagine dei libri per venirgli incontro la notte, scintillanti come le stelle, il calore sfrigolante della sabbia che sulla carta si chiama deserto, la linea netta di un orizzonte non ostruito da mura, il volo degli uccelli che si alzano fino a toccare le nuvole. Sognare è bello, ed è facile, e sembra così giusto che Erwin non pensa mai che potrebbe esserci altro.

Ogni volta che un sogno gli rimane particolarmente impresso, aspetta la mattina per raccontarlo a suo padre. Il professor Smith è un uomo dall'aria perennemente stanca, circondato dall'odore dei libri e dell'inchiostro che maneggia tutto il giorno, un uomo che nessuno guarderebbe due volte- ma Erwin non conosce nessun altro che sappia così tante cose, nessun altro che sappia soffiare parole via dalla carta per da loro il colore dell'erba, il sapore del vento, il tocco del sole.

-Papà- ricorda di avergli chiesto una volta, serio come lo sono sempre i bambini quando schiudono agli adulti i piccoli segreti del loro cuore- papà, i sogni possono diventare reali?

-Non ce n’è bisogno- gli ha risposto suo padre, allungando una mano a toccargli il viso, e dietro le lenti rotonde degli occhiali, i suoi occhi brillavano di un amore che Erwin non avrebbe più conosciuto. -Lo sono nel momento in cui li fai.

 

(Ci sono anche gli incubi, ovviamente. Incubi di bambino aggrovigliati e confusi, forme smozzicate di mostri sotto al letto- Erwin ci ripenserà nel buio di un dormitorio, i polmoni intasati di sangue e del fumo delle pire, e penserà Mi hai mentito. Sono le cose che temi, non quelle che speri, a diventare reali.)

 

-Maestro, come facciamo a sapere che non c'è nessuno fuori dalle mura?

Di quel giorno ricorda ogni particolare. Ricorda che fuori c'era il sole, e l'aula era più calda del solito, i sentieri di luce creati dai raggi che si rincorrevano sul legno dei bagni, l'aroma della carta e dell'inchiostro, la sua mano che si alza e la domanda che prende forma nella sua testa e poi diventa parola prima che lui possa fermarla. Ricorda il lampo in fondo agli occhi di suo padre. All'epoca aveva pensato fosse irritazione; anni dopo, ha capito che era paura.

-Lo sappiamo e basta- ha risposto secco il professor Smith, e Erwin ha sentito il cuore stringersi a quelle parole, un piccolo seme di dubbio e confusione piantare radici nella sua mente- perché suo padre rispondeva sempre alle domande, e sapeva più cose di tutti, e allora perché...?

Di quel giorno, di quel momento, Erwin ricorda ogni cosa. Nei sogni, torna sempre lì, in quell'aula, quel momento, quella mano alzata, e certe volte pensa Stavolta sarà diverso. Stavolta aspetterò che siamo a casa, prima di chiederglielo, stavolta torneremo a casa e lui non mi dirà niente, io non dirò niente, sarà tutto come prima, stavolta non lo perderò, stavolta-

Non importa quante volte si risvegli, ricoperto di sudore gelido, il nome di suo padre sulle labbra. Il sogno continua a tornare, e Erwin continua a credere di poterlo cambiare, anche se sa che non ci riuscirà.

 

 

La prima volta che si libra in aria usando il Movimento Tridimensionale, Erwin si sente felice per la prima volta da anni, dal giorno che un gendarme è venuto e fargli domande e suo padre non è tornato a casa. Stacca i piedi da terra, e si alza, senza peso, il terreno sotto di lui una tavolozza informe di tonalità verdi e brune, e sogna il giorno in cui avrà sulla schiena le Ali della Libertà, il giorno in cui spiccherà il volo verso il mondo oltre le mura, verso la verità.

I suoi compagni lo ammirano nella stessa misura in cui lo ritengono un po' svitato; Erwin se ne accorge dalla piega condiscendente delle loro labbra quando ascoltano i suoi discorsi, dalle risatine che sente di tanto in tanto risuonare alle sue spalle. In quei momenti, la frustrazione gli risale in gola e lì si ferma, un macigno rovente e appuntito che gli blocca il respiro, perché come fanno ad essere tutti così ciechi, così accondiscendenti? Come fanno a posare gli occhi sulla mole incombente delle mura, senza sentire il bisogno di disfarle pietra per pietra?

Un giorno, si dice, mentre si allena, gli occhi fissi al cielo. Un giorno sapranno che avevo ragione.

 

Marie passa nella sua vita come una possibilità luminosa e mai afferrata, un sogno che Erwin ha stretto fra dita tremanti nel momento più segreto della notte, senza ammetterlo nemmeno a sé stesso. Marie ha i capelli biondi che catturano la luce delle lanterne, mani forti fatte per tenere in piedi una casa e cullare bambini, Marie sorride con la gioia placida di chi ha trovato la sua via, e di fronte a quel sorriso, Erwin ha pensato forse questo potrebbe bastarmi; forse potrei imparare a volerlo.

Ma Erwin si conosce troppo bene, persino a quindici anni, e sa come andrebbe a finire. Sa che una vita tranquilla non placherebbe la fiamma che gli dilania il cuore, sa che nessun abbraccio riempirebbe il vuoto oscuro e sanguinante che un tempo ospitava l'amore di suo padre, sa che non sarebbe in grado di rinunciare al suo sogno nemmeno se lo volesse, e non vuole. Marie potrebbe dargli amore e una famiglia, fargli piantare radici- ma Erwin vuole imparare a volare.

La guarda andare in sposa a Nile con le Ali della Libertà spiegate sul cuore e sulla schiena. Se prova rimpianto, è solo per un momento.

 

Ci vogliono cinque spedizioni perché smetta di vomitare alla vista dei cadaveri, dieci perché riesca a ricacciare le lacrime abbastanza a fondo da non poterle più trovare, quindici perché impari a non girarsi quando sente risuonare alle sue spalle le grida dei compagni divorati, il concerto disgustoso di mascelle che masticano ossa, carne e nervi. Credeva che la paura sarebbe diminuita, col tempo, e invece resta sempre lì, una bestia liquida e fredda, annidata in fondo al suo stomaco, che gli sussurra che basterebbe così poco, un momento di distrazione, e il suo sogno si ridurrebbe a briciole sui denti di un Gigante.

Alla fine di ogni spedizione, bruciano i loro morti, e Erwin guarda il fuoco consumare quelli che un tempo erano uomini, sente il sapore della carne bruciata formargli una patina sulla lingua. Ogni volta, riesce a trattenersi un po' più a lungo, e un brivido gli scivola gelido lungo la schiena, mentre pensa: se riesco a sopportare questo, cos'altro sarò disposto ad accettare? Il mio sogno vale davvero tutto questo?

 

(La notte, quando va a dormire, non sono i suoi compagni caduti a fargli visita. Ogni volta che chiude gli occhi, ciò che vede è il volto di suo padre, e allora la sua domanda trova risposta.)

 

Ci sono momenti, nei suoi cinque anni da Comandante, in cui Erwin pensa che possa esserci della verità in ciò che molti dicono di lui. Lo hanno chiamato pazzo e demone, e forse è entrambe le cose, perché solo un folle riterrebbe possibile strappare il mondo alla presa marcia dei Giganti, e solo un demone spargerebbe parole dorate per convincere ragazzi poco più che bambini che c'è gloria nel ridursi a un pezzo di carne insanguinata risputato sull'erba.

Erwin non sa se esista davvero un Inferno dopo la morte; se è così, non dubita che è lì che finirà, quando sarà giunto il suo momento. E ogni volta, a quel pensiero ne segue un altro, più feroce e più profondo: Se così deve essere, così sia. Quando arriverà il momento pagherò il prezzo, sconterò ogni vita a cui ho posto fine- ma non prima di aver realizzato il sogno di mio padre; non prima di averlo rivisto e avergli detto che è stata colpa mia e mi dispiace.

 

La speranza che l'umanità ha rinunciato ad attendere si fa viva nel mezzo della desolazione di Trost, sotto forma di un ragazzo che riemerge dalla carcassa fumante di un gigante. Nonostante il fuoco che gli incendia le vene, Eren Jager è poco più che un bambino, e chiunque esiterebbe a porgli sulle spalle il destino dell'umanità. Ma Erwin non esita neanche un istante; perché appesa al collo di Eren c'è la chiave che conduce alla verità del mondo, e ormai non c'è prezzo che pagherebbe, non c'è parte di sé stesso che non darebbe via, pur di avere tra le mani le risposte a cui ha dato la caccia per tutta la vita.

 

(Nella luce tremolante delle fiamme, i cadetti appaiono più giovani che mai, gli occhi sbarrati, i pugni stretti convulsamente sul petto come se sperassero di fermare il battito impazzito dei loro cuori. Poco più che bambini, tutti loro, ma c'è luce nei loro sguardi, determinazione oltre la paura. Erwin li scruta uno a uno, nel buio punteggiato da scintille, ricorda com'era e si chiede cosa sia diventato adesso- per fortuna, non sa immaginare la risposta.)

 

“Mi fido di te” gli dice Levi, dopo aver minacciato di spezzargli le gambe per tenerlo al sicuro. A quelle parole, Erwin avverte una morsa gelida alla bocca dello stomaco, perché sa cosa significa la lealtà di un uomo come Levi e non è sicuro di aver fatto qualcosa per meritarsela. Per un attimo, è tentato di rinunciare; tentato di restare indietro e lasciare che siano gli altri a tirare le somme.

Ma è vicino al suo sogno, adesso, più vicino di quanto sia mai stato in anni, abbastanza da sentirlo fremere sulla punta delle dita; se rinuncia adesso, se si guarda indietro, la montagna di cadaveri su cui si è arrampicato crollerà fino a travolgerlo e suo padre sarà morto per niente, e allora- allora...?

 

(Se Erwin fosse l'uomo che Levi crede, l'uomo a cui Levi ha concesso la sua fedeltà, gli direbbe la verità. Gli direbbe: non farlo. Non fidarti di me, non seguirmi, non credere in me. Perché verrà il giorno, lo so, in cui dovrò fare una scelta, scegliere tra la realizzazione del mio sogno e la vittoria dell'umanità- e quando quel giorno arriverà, non credo che sceglierò voi.)

 

Shiganshina è un caos di sangue e grida, ed Erwin capisce, con chiarezza accecante, quanto si è lasciato ingannare. E' stato sciocco a credere che sarebbe stato così facile, sciocco a pensare che la fine sarebbe stata qualcosa di diverso da questo. Sangue ed illusioni: a questo si riduce la sua vita.

Potrebbe andarsene. Potrebbe voltare le spalle ai soldati che muoiono ai piedi della mura e fra i tetti di Shiganshina, trascinarsi fino alla cantina e lì morire, esalare l'ultimo respiro con la verità del mondo impressa negli occhi. In piedi sulle mura, Erwin valuta tutte le possibilità, freddamente, spietatamente, e non importa che tutto il sangue che ha versato gli stia mordendo il cuore come una bestia feroce, impedendogli di respirare; non importa che riesca a sentire, sotto le suole degli stivali, la massa devastata di tutti morti che ha calpestato per arrivare fin qui. Ha sempre saputo che sarebbe finita in questo modo. La strada che ha intrapreso non finisce con la morte di eroe.

Vattene adesso, sussurra una voce in fondo alla sua mente, la voce del bambino che non ha mai smesso di essere, una voce che parla di rancore e di sogni perduti. Vattene e raggiungi il tuo sogno; lasciali al loro destino. Non vuoi sapere se avevi ragione? Non vuoi che tuo padre sappia che non è morto per niente?

 

 

(Quando arriva il momento di spezzarsi, quando la montagna di cadaveri sotto ai suoi piedi si trasforma in un onda che lo trascina verso il fondo, verso l'oscurità, è Levi a mostrargli la strada; Levi, leale come nessun altro, persino dopo che Erwin gli ha rivelato la parte peggiore di sé. Rinuncia al tuo sogno e muori, dice, la voce ferma, malgrado la disperazione bruciante in fondo al suo sguardo- ed Erwin non si è mai sentito più grato di qualcosa in tutta la sua vita.)

Fino all'ultimo istante della sua vita, Erwin sogna.

Nel sogno, l'azzurro del cielo non è soffocato da una massa scura di fumo e l'erba non è intrisa del sangue di bambini morti. Nel sogno, il sole brilla al di fuori della finestra, ed Erwin immagina il giorno in cui sentirà la carezza calda dei raggi sulla pelle, il tocco lieve della brezza tra i capelli. Nel sogno, suo padre è lì e tutto il dolore che Erwin ha provato nella sua vita si dissolve nella luce.

Fino all'ultimo istante della sua vita, Erwin sogna- e l'ultima cosa che vede, prima che tutto svanisca nel buio, è il sorriso di suo padre.

Prima cosa che occorre sapere: in questo fandom, ci sono finita con l'inganno.
Per farla breve, è stata colpa dei miei infassimi fratelli, che mettevano le puntate a colazione, che è più o meno l'unico momento della giornata che trascorriamo sempre tutti e tre insieme, e pareva brutto dirgli di cambiare. Vedi una puntata, vedine un'altra, e finisce che noti la regia pompatissima, le animazioni fantastiche, colonna sonora divina, personaggi che letteralmente escono dallo schermo e ti coinvolgono nei loro drammi... poi fai la conoscenza di Erwin.
E lì succede il patatrac.
Non ricordo l'ultima volta che mi sono innamorata fino a questo punto di un personaggio. C'era qualcosa, in lui, che mi toccava nel profondo: forse il suo carisma, forse il fatto che avesse, per citare mio fratello, grandi altezze e grandi bassezze, il suo essere uno dei personaggi più vulnerabili e tormentati, aldilà delle apparenze. Più di tutto, il fatto che, alla fine, ha rinunciato al sogno che aveva sostenuto la sua intera esistenza per offrire (nel senso letterale del termine) il suo cuore all'umanità. E' morto da Comandante, ed è morto da eroe.
 Non credo di aver detto nemmeno la metà di quello che c'era da dire su di lui, ma sentivo il bisogno di rendergli omaggio, adesso che non lo vedremo più.
Ah, se qualcuno fosse così buono da recensire, fate attenzione agli spoiler, che finora ho seguito solo l'anime.
Alla prossima!
Catcher

 

  
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