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Autore: Longview    02/07/2019    0 recensioni
[Gerard/Frank; Gerard/Bert] [High School AU!]
[...]
"nonostante la sua sorprendente positività, non poteva negare di sentirsi dilaniato nel profondo. Ogni momento passato da solo –e, ultimamente, quei momenti costituivano la quasi totalità delle sue giornate- gli ricordava quanto fosse vuota e insensata la sua esistenza."
.
Not the same old story.
Genere: Dark, Fantasy, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bob Bryar, Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way | Coppie: Frank/Gerard
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Homesick




La chiacchierata con Bob della sera precedente aveva lasciato in Gerard una grande malinconia. Avevano parlato a lungo, e, quando era arrivato il momento di salutarsi, Gerard si era sentito come se quella fosse stata la sua ultima occasione di passare del tempo con l’amico. Sinceramente, era stato mosso da uno strano senso di gelosia non appena gli aveva detto di star passando molto tempo con i loro vecchi amici, e con qualche nuova conoscenza. Temeva che, con il passare dei mesi, Bob avrebbe potuto rimpiazzarlo con qualcun altro, magari una persona più simpatica e meno enigmatica e complessata di lui. Qualcuno che non gli creasse mille grattacapi a cui dover pensare. Da una parte gli augurò di trovare qualcuno del genere, e magari di trovarsi anche una ragazza.
Sorrise. Lui e Mikey erano di nuovo lungo la strada che li portava a scuola, e quest’ultimo non poté fare a meno di domandargli il perché di quell’improvviso buonumore.
-Ieri sera ho sentito Bob. Dice che sentono tutti la nostra mancanza, a Belleville- Gerard aveva totalmente stravolto la chiamata del giorno prima al solo scopo di vedere felice il fratello. Mikey era riuscito a inserirsi molto bene nel nuovo ambiente, ma non poteva in alcun modo nascondere a Gerard di avere nostalgia di quel posto che, fino a pochi mesi prima, chiamavano “casa”.
Mikey sorrise a sua volta, e insieme continuarono a parlare fino all’arrivo a scuola. Nel cortile, poi, le loro strade si divisero: dopo essersi salutati velocemente, il più piccolo si diresse verso un gruppo di ragazzi che chiacchierava a lato del portone d’ingresso, mentre Gerard filò dentro l’edificio in direzione del suo armadietto. Il momento in cui lo aprì, fu per lui, psicologicamente, l’attimo in cui la nuova settimana ebbe inizio; infatti, senza rendersene conto, dieci minuti più tardi si trovava fuori dall’aula di inglese, quasi un quarto d’ora in anticipo rispetto al suono della prima campanella.  Sperava di potersi accaparrare un posto decente, arrivando presto.
 
“Prega che i banchi non siano già tutti occupati, Gee, o ti ritroverai in prima fila di fronte all’insegnante come tutta la scorsa settimana”.
 
Preferiva non ricordare le incredibili pessime figure che aveva fatto i giorni precedenti a causa di quel piccolo inconveniente. Appena varcò la soglia, ritrovò la stanza già piena di alunni, che, senza alcun evidente motivo, avevano deciso di rovinargli la giornata occupando ogni sedia esistente nell’aula.
Nervoso, e stringendo saldamente con la mano destra la cinghia della tracolla che aveva appesa su una spalla –ora che ci pensava, quell’accessorio lo rendeva ancor più effeminato di quanto fosse in realtà-, si fece largo tra i ragazzi, finché non trovò, per sua fortuna, un banco libero. O, almeno, sperava che lo fosse.
-Scusa- Gerard fece cenno al ragazzo che, abbandonato con la schiena contro il muro e con le cuffiette nelle orecchie, era seduto al posto immediatamente vicino. Questi lo fissò stralunato, indeciso se valesse la pena o meno di togliersi un auricolare per sapere cosa  avesse da dirgli lo strano individuo di fronte a lui. Alla fine si decise, improvvisamente incuriosito dalla spilla dei Misfits che, facendo vagare lo sguardo sulla sua figura, trovò attaccata all’esterno della sua tracolla.
-Questo posto è occupato?- domandò infine il ragazzo.
-Oh, no- rispose l’altro. Gerard allora, soddisfatto, ripose le sue cose sul tavolo, per poi sedersi con un sorrisetto trionfante. Finalmente aveva la possibilità di osservare ogni angolo della classe, in quel posto d’onore ai margini della stanza, e non avere più la sola esclusiva visuale della cattedra del professore. Finalmente poteva passare inosservato agli occhi di tutti.
Passarono alcuni minuti nei quali i due ragazzi, che si erano trovati casualmente vicini di banco, si scrutarono sottecchi a vicenda: entrambi si domandavano se fosse necessaria una presentazione di qualche tipo, in una situazione del genere. Alla fine lo sconosciuto fece il primo passo.
-Io mi chiamo Frank- esordì quello, passandosi una mano tra i capelli. In quel momento Gerard si rese conto che quel ragazzo aveva una capigliatura decisamente strana, rasata sui lati della testa e nel mezzo lasciata libera di crescere: probabilmente era quello l’aspetto che doveva avere una cresta senza gel e lacca.
-Uhm, io sono Gerard-  Lui si era sempre un po’ vergognato del suo nome: solo pronunciandolo, si sentiva invecchiato di almeno vent’anni. Preferiva certamente i soprannomi che gli amici gli avevano affibbiato, come “Gee” o “Gerd”, rispetto a quello scellerato mucchio di consonanti adatto più che altro a un nonno. E mentre pensava a tutto ciò, Frank ridacchiò, facendolo innervosire e arrossire: subito infatti sbuffò, già pronto ad alzarsi e cambiare posto. Ma l’altro lo trattenne, afferrandolo per un braccio.
-Ehi, va tutto bene, scusami. Mi piace il tuo nome- Gerard, convinto che scherzasse, iniziò a ridere nervosamente, e si scrollò di dosso la mano stretta attorno al suo polso –rabbrividì all’idea che fino a un  istante prima qualcuno lo stesse trattenendo in quel modo, addirittura entrando in contatto fisico con lui. Il pensiero di essere toccato o sfiorato da qualcuno che non conoscesse lo aveva sempre messo sotto pressione, e, inconsciamente, ciò andò ad aumentare l’odio che iniziava a provare per quella sua nuova conoscenza. Fece per andarsene, credendo che almeno si sarebbe risparmiato ulteriori prese in giro.
-Ma dove scappi? Ero sincero- il ragazzo allora riportò lo sguardo su Frank, che ora appariva offeso e, con grandi probabilità, meno propenso al dialogo con lui. Fsi era giocato la sua prima occasione di fare amicizia con qualcuno; con qualcuno di strano, certo –almeno a giudicare dal suo aspetto-, ma dopotutto non poteva negare di essere lui stesso strano. Accennò uno sguardo dispiaciuto in direzione dell’altro, in segno di scuse, ma l’altro continuò a scrutarlo, abbastanza diffidente e infastidito. Prima che uno dei due potesse aggiungere qualcosa, suonò la campanella, e, puntualissimo, il professore varcò la soglia. Gli alunni, sparsi casualmente per ogni angolo dell’aula, nel giro di qualche secondo presero posto dietro a banchi.
Gerard tentò con ogni molecola del suo corpo di prestare attenzione e prendere appunti durante la lezione di letteratura, ma la parte del ragazzo coscienzioso e diligente non gli si addiceva: pertanto, dopo appena mezz’ora dall’inizio –e pensare che doveva sopportare la finta affabile parlantina del professore per un’altra ora e mezza-, prese a scarabocchiare qualche disegno lungo il bordo del quaderno, estraniandosi totalmente dal resto della classe. Ma sentiva pesante e fastidioso lo sguardo di Frank addosso, proprio mentre stava ripassando i contorni di una mummia dall’aria minacciosa. Gli lanciò una veloce occhiata, e in quel momento l’altro ragazzo prese fiato, cosciente di essere stato colto in flagrante, e gli sussurrò: -Sei bravo a disegnare-.
Gerard si gonfiò, fiero e consapevole di esserlo. Sorrise mentre riprendeva il suo personale lavoro, ma l’altro non pareva propenso a concludere lì la conversazione. Così Frank cominciò con cautela a porgli qualche domanda, senza freno e con forte curiosità.
-Ascolti i Misfits?-
-Certo. Perché?- Gerard non staccò neanche per un secondo gli occhi dal quaderno, sia perché era intento a disegnare, sia perché preferiva non farsi scoprire dal professore a non seguire la sua lezione.
-Mh, niente. È una tra le mie band preferite- rispose quello, contento.
-Oh, bene- quella conversazione era senza senso e inconcludente, ma, nonostante l’imbarazzo, i due si sentivano come se la situazione si stesse sciogliendo dalla tensione poco a poco. Ciò che sorprendeva era il repentino cambiamento di atmosfera che correva tra loro.
-Non ti avevo mai visto a scuola prima d’ora- Gerard scrutò l’altro da sotto le ciocche dei suoi capelli corvini che ora, chino sul banco, gli cadevano sul viso. Abbozzò un sorriso storto.
-Sì, uhm, mi sono trasferito da poco…- Frank percepì una nota di tristezza nella voce e negli occhi dell’altro. Preferì non domandare oltre.
 
Qualche ora dopo, Mikey Way si sorprese nel vedere il fratello, in atteggiamento di finta rilassatezza –che in realtà nascondeva tutto il suo disagio interiore-, intento a parlare con un gruppo di ragazzi. Si avvicinò cautamente, salutò l’altro e stette al suo fianco in attesa che concludesse quel suo nuovo bel quadretto.
A quanto sembrava, dei tre ragazzi presenti, almeno due aveva appena avuto il piacere di conoscerli: uno era un tipo abbastanza alto e con dei capelli assurdamente voluminosi e ricci, l’altro un ragazzotto un po’ in carne e con un accenno di barba in viso.
-Io comunque avrei fame- concluse l’afro, e, per sottolineare ciò che aveva appena detto, si passò entrambe le mani sul ventre asciutto.
-Sì, uhm, venite con noi…?- Frank si lisciò la nuca, un po’ in imbarazzo. Non voleva che Gerard e il ragazzo apparso si sentissero esclusi, e quindi si trovò costretto a invitarli a pranzo. Di tutta risposta, Mikey allungò la mano verso di lui, per presentarsi.
-Beh, piacere, Mikey-, prese fiato, -sono il fratello di Gerard-.
Frank allora sgranò gli occhi, e accennò un leggero sorriso. Quei due si somigliavano così poco che non avrebbe mai immaginato fossero imparentati. Il più piccolo si presentò anche agli altri due ragazzi, Ray e Matt.
In mensa, Gerard si estraniò dalle chiacchiere degli altri. Sbocconcellava quello che aveva nel piatto e giocherellava con la forchetta. Non riusciva a rendersi partecipe, e non perché non gli interessassero i discorsi che venivano fatti al tavolo, o perché si sentisse triste: semplicemente aveva poca voglia di parlare. La sua mente tornò per circa la centesima volta alla sera prima, e a Bob. Ricordava gli anni passati, a scuola, durante la pausa pranzo, quando non si sentiva costantemente sorvegliato dal fratello; proprio in quel momento, gli picchiettò con il gomito sul fianco, per spronarlo a mangiare. Mikey era molto premuroso, ma anche troppo apprensivo nei suoi confronti.
Frank, seduto di fronte a lui, si sporse in avanti, e gli sussurrò: -So che qui non servono il cibo migliore del mondo, ma purtroppo è l’unica cosa che puoi mettere sotto i denti. Ti ci abituerai con il tempo-.
Gerard aggrottò la fronte e pensò che non si sarebbe mai abituato a tutto quello.
 
Contro ogni aspettativa, le settimane trascorrevano senza intoppi. Mikey iniziò a passare molto più tempo con i suoi nuovi amici, a scuola e fuori, mentre Gerard approfondiva con lentezza l’amicizia con Frank; non era molto, ma era contento di poter contare su qualcuno quando ne aveva bisogno, come quando era stato preso di mira per i corridoi da un paio di studenti: Frank era corso in suo aiuto, e Gerard scoprì che era una piccola testa calda, da cui più o meno chiunque cercava di tenersi alla larga. Essere suo amico gli aveva fatto acquisire uno strano rispetto, ma la cosa positiva era che nessuno aveva più tentato di infastidirlo.
Quando era a casa, Gerard studiava e disegnava, e cominciava a sentire la mancanza di Mikey, ora che  trascorreva molti pomeriggi fuori dalle mura domestiche. Cercava però di non farglielo notare, perché era contento di vederlo a suo agio nella nuova città. Ogni tanto parlava con Bob, e gli raccontava della scuola e delle persone del posto: in California era tutto così diverso. Anche il clima era tutto nuovo per lui: a ottobre era ancora costretto a vestirsi con pantaloni corti e t-shirt. Quando voleva uscire per una passeggiata, doveva aspettare le ore meno calde, se non voleva ritrovarsi con ustioni sparse per tutto il viso e sul corpo, come era già successo qualche settimana prima –“i drammi dei nuovi arrivati”, ridacchiò Ray il giorno seguente, quando lo incontrò per i corridoi a scuola. Nota positiva, il loro quartiere distava pochi chilometri dal mare, e di tanto in tanto prendeva il pullman e andava a nuotare (aveva la patente, ma odiava guidare, e per di più non aveva modo di usare l’automobile quando suo padre lavorava).
Un pomeriggio, mentre tornava a riva dopo più di mezzora passata in acqua a rilassarsi, vide Frank raggiungere la spiaggia con uno zaino in spalla e un telo sotto braccio. Nel panico, si gettò sott’acqua, e cercò di nuotare lontano. Non era la prima volta che lo incontrava in giro per la città, ma il suo animo timido e poco socievole lo spingeva a evitarlo il più possibile. Quante probabilità avevano di trovarsi sulla stessa spiaggia, alla stessa ora, lo stesso giorno? Quando non riuscì più a trattenere il respiro, tornò in superficie in grande affanno. Frank era ancora lì, aveva steso il telo sulla sabbia e ci si era seduto sopra; osservava il mare con un’espressione dura in viso. Con uno scatto, posò lo sguardo su Gerard, unica persona presente oltre a lui stesso, e quest’ultimo si accorse di non aver fatto molta strada nuotando in modo forsennato. Frank si stupì di vederlo, e si incupì lievemente, mentre lo salutava con una mano: voleva passare del tempo in solitudine, niente di più. Gerard non ebbe più scuse: uscì dall’acqua e si diresse nel punto dove aveva abbandonato la sua roba, raccolse un asciugamano e si avvicinò all’altro ragazzo.
-Che ci fai qui?- Frank lo guardava serio; aggrottò un po’ la fronte e socchiuse gli occhi, per ripararsi dal sole. Gerard percepì del fastidio nelle sue parole, e arrossì.
-Niente, mi piace venire qui ogni tanto…- fece vagare un po’ lo sguardo, indeciso se correre via il più lontano possibile o comportarsi da persona normale. Notò che Frank aveva qualche tatuaggio qua e là sul corpo, e poté anche osservare meglio quelli sulle braccia. Senza che se ne accorgesse, si perse nel tentativo di comprendere quale soggetto avesse rappresentato sul basso ventre, il quale era parzialmente coperto dal costume.
-Uhm, Gerard, tutto bene?- Gerard distolse velocemente lo sguardo, conscio del fatto che si era comportato in maniera molto poco opportuna; ma, soprattutto, in maniera molto fraintendibile.
Si portò una mano al viso, per nascondere il mix di emozioni che lo stavano travolgendo: -Mi dispiace, scusami! Stavo solo… guardando i tuoi tatuaggi-, e, detto questo, corse a raccogliere le sue cose, salutò Frank e scappò via, non sapendo più che altro dire. Solo quando fu a una certa distanza dalla spiaggia, si fermò per indossare la maglietta, e si incamminò verso la fermata del bus. Il costume gocciolava ancora, e sbuffò. C’era qualcosa in Frank che spesso lo agitava, qualcosa che non sapeva spiegarsi, ma che lo scuoteva fino nelle viscere. Sentì lo stomaco gorgogliare, e gli venne da piangere. Era scosso per qualche strana ragione, e non solo per lo spiacevole equivoco di poco prima. Con un amaro sorriso sulle labbra, si chiese con quale coraggio avrebbe rivolto la parola a Frank il giorno dopo, a scuola.
  
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