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Autore: RoseScorpius    03/07/2019    12 recensioni
Scorpius Malfoy, nonostante fosse il mio ex ragazzo storico, nonché fratellastro, nonché migliore amico del mio cugino/migliore amico e tante altre cose che avevano reso estremamente imbarazzante la fine del nostro rapporto, non aveva mai davvero fatto parte della lista di quelle persone che avrei volentieri preso a Schiantesimi alla prima occasione. A meno che non si volessero considerare i nostri primi anni a Hogwarts, ma quella era storia del paleolitico. (E comunque non ero più così infantile... O, beh...)
In ogni caso, tra la marea di difetti con cui ero nata, ero sicura di possedere almeno un pregio. E questo, se vi interessa saperlo, era proprio il pregio di non essere una ex ragazza asfissiante. Al contrario, da quando avevamo chiuso mi ero letteralmente eclissata, sparendo per sempre dalla vita di Scorpius. Quindi si poteva ragionevolmente presumere che non fossi una di quelle ex ragazze patetiche che finivano per odiare il proprio ex ed insultarlo davanti a chiunque fosse disposto ad ascoltarle.
Ma, d'altro canto, quell'intero assunto partiva dal postulato di base che Scorpius non fosse un cafone.
Postulato che, come ebbi modo di scoprire, non era poi tanto vero.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Rose Weasley, Scorpius Malfoy | Coppie: Rose/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Capitolo 7

Scomode verità


 

Daniel Hook era elegantemente seduto a gambe larghe sul cofano del furgoncino, con gli stivali infangati piantati sul paraurti ed in bocca i resti di uno stuzzicadenti che aveva masticato per l’ultima mezz’ora. La classe degli australiani non cessava mai di stupirmi. 

Succhiò rumorosamente lo stuzzicadenti ed abbassò il binocolo. 

« Ancora niente » dichiarò. « Se non si muovono a schiudersi dovremo andare in mezzo al nido a controllare ».

« Dovrai andare » lo corressi. « È il tuo lavoro. Io sono solo una tirocinante sottopagata »

Non avevo il minimo desiderio di farmi ammazzare da una mamma Anaconda iperprotettiva. E, sinceramente, non ero nemmeno del tutto sicura di sperare che le uova si sarebbero schiuse. In effetti, ero del tutto a mio agio con l’idea che le alluvioni della settimana prima avessero rovinato la covata di Anaconde Canterine che stava per schiudersi. 

Daniel mi rivolse un sorriso orribile. « E verrai con me se vuoi continuare ad esserlo ».

Sbuffai. Il mio tutor barra baby sitter sembrava avermi presa in simpatia dopo che il quindicesimo tentativo di liberarsi di me si era concluso con la mia inaspettata sopravvivenza, ma nonostante questo il mio potere contrattuale nella relazione maestro-allieva restava di poco inferiore allo zero. 

Daniel si grattò distrattamente la parte bassa della schiena, sotto alla camicia sbottonata. 

« Come va con il tuo amico… aspetta, come hai detto che si chiama? » 

« Scorpius » gli ricordai, più o meno per la ventesima volta.

Daniel fu così estasiato dal sentire il nome del mio ragazzo che rischiò di soffocarsi. 

« Ti prego, ripetimelo ancora un’altra volta » supplicò. 

A quel punto avrebbe anche potuto smetterla con la recita di quello che vuole ridere ma si trattiene, tanto valeva rotolarsi sul cofano sghignazzando come un Koala epilettico – pensai, indispettita. 

« Ed è il mio ragazzo, comunque » sbuffai. 

Daniel era paonazzo.

« Sì, sì, non offenderti, Lentiggini ». Lo stuzzicadenti gli sfuggì dalle labbra e cadde sul terreno rossiccio dell’entroterra australiano. Senza battere ciglio, lo appellò e se lo rimise in bocca. « Ti stavo solo chiedendo come va »

Ovviamente, così come sapeva benissimo il suo nome, Daniel sapeva anche perfettamente che le cose con il mio ragazzo non andavano per niente bene. 

« Ce l’ha a morte con me perché sono venuta in Australia invece di iscrivermi al corso Auror, lo sai »

« Mh-mh » annuì Daniel, succhiando lo stuzzicadenti con aria intenta. « E trovarti un altro ragazzo, magari uno a cui non facciano schifo i tuoi interessi, non è un’opzione? »

« Beh, no, stiamo assieme da secoli » risposi, infastidita dalle continue intrusioni del mio tutor nella mia vita sentimentale. Non sarebbe stato così orribile, se almeno avesse avuto la decenza di non sembrare così dannatamente divertito dai miei problemi. 

Daniel, da sotto il cappello, mi lanciò uno sguardo che non seppi interpretare. 

« La risposta giusta era ‘no, perché lo amo’ » mi informò. 

Come se Daniel Hook, la cui unica frequentazione romantica erano le iguane della riserva, avesse la minima autorità per rilasciare quel tipo di dichiarazioni. Alzai gli occhi al cielo. 

« La pianti di prendermi per il culo? »

« Non la smetterò mai di prenderti per il culo, Lentiggini » disse, ridendo di gusto.«Stai con un tizio che si chiama Scorpius Hyperion »

Come avevo avuto modo di scoprire, al di fuori della comunità Purosangue britannica chiamare i propri figli con i nomi di astri o personaggi mitologici era considerato desueto e ridicolo. Una fastidiosa vocina mi ricordò che ai tempi di Hogwarts anche io avevo avuto molto da ridire sulla pomposa onomastica dei Malfoy, ma la misi a tacere. 

« Ma non ce l’hai una ragazza tua di cui preoccuparti? » sbottai, arrossendo. 

« Ovviamente no » fu la risposta, scontata. « Sono solo un umile ranger e non ho nemmeno un pomposo nome da Purosangue inglese. Chi vuoi che mi prenda? »

Se avesse continuato a fare quelle cose inguardabili con lo stuzzicadenti, non lo avrebbe preso nessuna di sicuro. Ero divisa tra i momenti in cui trovavo Daniel attraente – e me stessa disgustosa per aver pensato una cosa del genere – ed i momenti in cui trovavo i suoi modi di fare disgustosi – e me stessa attraente e sofisticata come una lady, al confronto. 

« Non lo so, magari una femmina di Skurk » proposi. 

Daniel si colpì la fronte con il palmo della mano, nella sua ironica imitazione di un mago colto da un’illuminazione. 

« Non ci avevo pensato! » esclamò. « Dovrei provare a corteggiarne una ».

Incrociai le braccia sotto il seno e gli voltai le spalle per scrutare l’orizzonte, fingendo di non trovarlo divertente.

« Assolutamente » concordai. 

« Ti farò sapere se ho successo » disse lui, mentre mi mordevo l’interno delle guance per non scoppiare a ridere al pensiero di lui che rincorreva un umanoide con la testa di squalo in riva al mare. 

Scorpius non aveva mai avuto un gran senso dell’umorismo. Non quel tipo di umorismo, almeno. 

 

*

 

Il primo marzo realizzai che mi trovavo dall’altra parte del mondo da sei mesi esatti. Il tempo a volte sembrava essere volato in un battito di ciglia, altre volte sembrava trascinarsi piatto ed interminabile nella solitudine di Makulu. 

Non avevo avuto il coraggio di tornare a casa, per Natale. La verità era che non avevo avuto il coraggio di fare molte cose che avrei dovuto fare, in quei mesi: dire la verità ai miei su Makulu, sul fatto che non c’era nessun corso e nulla di anche solo vagamente serio e professionale in quello che stavo facendo laggiù, mentre Scorpius aveva dato e passato con successo i primi esami all’università. Avevo pensato che una volta preso il diploma di ranger a Makulu sarei tornata in Inghilterra, ma più il tempo passava più mi rendevo conto che quell’anno in Australia non mi avrebbe aperto nessuna porta. Certo, avrei potuto cominciare l’università con un anno di ritardo – mio padre aveva lavorato al negozio di George per tre anni prima di iscriversi al corso Auror – ma ero troppo orgogliosa per ammettere di aver fatto una cavolata. Non volevo affrontare mia madre ed i suoi ‘te l’avevo detto’, ma soprattutto non volevo affrontare Scorpius e la sua rabbia. Avevo sperato che dopo un paio di settimane al massimo mi avrebbe perdonata per quello che avevo fatto, ma le sue lettere erano rimaste glaciali e distaccate finché, dopo Natale, avevano smesso di arrivare del tutto. 

C’erano giorni in cui mi mancava tutto di casa. Scorpius, la mia famiglia, i miei amici, la pioggia, persino i libri ed i compiti per casa. In quei giorni, ero capace di fissare il calendario appeso al muro per ore intere, contando e ricontando i mesi che mancavano al mio ritorno a casa. Altri giorni, invece, avevo in mente solo i paesaggi magici della riserva e gli occhi caldi di Daniel. In quei particolari giorni, tendenzialmente, mi sentivo uno schifo. Non che pensare a Scorpius fosse molto più confortante, comunque: da un paio di mesi a quella parte Albus aveva preso il brutto vizio di spedirmi lettere minatorie in cui si parlava di una certa Cynthia. Scorpius non l’aveva mai nominata nelle sue lettere ed io ero stata troppo orgogliosa per chiedere: come risultato ormai nel mio immaginario scientifico Cynthia era una fotomodella bionda alta un metro e ottanta con le tette grandissime e le gambe lunghissime. E, ovviamente, più intelligente di me visto che studiava Magisprudenza. 

Daniel, che era sempre pronto a dare una mano quando mi vedeva giù di morale, non perdeva occasione per ricordarmi la sua teoria secondo la quale nessun uomo era capace di astenersi dal sesso per più di tre mesi consecutivi. Diceva anche che l’unica possibilità che avevo di non venir cornificata e poi scaricata me l’ero giocata quando avevo deciso di non tornare a casa per Natale.

« Gli uomini sono come cuccioli di marsupiale, Lentiggini » mi ripeteva durante gli infiniti turni nell’outback« Hanno bisogno di costanti attenzioni, altrimenti muoiono »

Nonostante ci provassi, non riuscivo proprio a capire cosa frullasse nella testa dell’australiano. 

« Sai, non te la cavi malaccio con le creature magiche » mi disse, quel primo marzo. 

Ero appena riemersa dall’oceano con le braccia graffiate ed un cucciolo di tartaruga saldamente stretto tra le braccia. Avevo dovuto battermi contro un intero branco di Skurk per salvarlo, e mio malgrado avevo scoperto che gli Schiantesimi non erano altrettanto efficaci su delle bestie di tre tonnellate. 

Liberai la tartaruga sulla sabbia ai piedi del ranger, ansimando.

« Aspetta, mi sta facendo un complimento? »

« E c’è di peggio » confermò Daniel. Quando alzai lo sguardo su di lui scoprii che mi stava fissando spudoratamente con uno di quei suoi soliti sorrisi sfacciati. « Questa sera ti offro una birra. Sempre che tu non sia troppo occupata a piangerti addosso per il tuo Scorpius Hyperion »

 

*

 

Quella sera mi resi conto che avevo davvero una pessima opinione di Daniel. E anche una brutta cotta per lui, nonostante facessi del mio meglio per negarlo. Non ero mai stata molto brava a gestire le mie fantasie romantiche sugli uomini che mi piacevano, e di solito non me ne piacevano due alla volta. 

Tamburellai le dita sul vetro del bicchiere, abbassando lo sguardo. 

« Dunque, uhm… » esordii, arrossendo. Non avevo mai passato del tempo con Daniel, al di fuori delle numerose ore che trascorrevamo assieme per lavoro. « Visto che sai già tutto di Scorpius… tu ce l’hai qualche ex ragazza nascosta da qualche parte? »

Daniel aggrottò la fronte, come faceva Mortimer durante le interrogazioni di Storia della Magia, fingendo di richiamare alla memoria qualcosa che palesemente non aveva mai studiato in vita sua.

« Uhm… una, credo. Si chiamava Jodie, o Jane, o qualcosa del genere ».

« Siete stati assieme per tanto tempo? » indagai ancora.

Una parte del mio cervello, quella che si chiamava Calvin e generalmente indossava cose molto minimal, mi fece notare con sdegno che le mie domande non erano per niente disinteressate e che potevo anche non avere un briciolo di morale ma, fino a prova contraria, avevo ancora un ragazzo che attendeva il mio ritorno dall’altra parte del mondo. Un ragazzo meno bello di Daniel. Che passava un sacco di tempo con la sua nuova amica Cynthia. (Io almeno avevo ritenuto corretto informarlo dell’esistenza di Daniel. Anche se mi ero guardata bene dal renderlo partecipe di certe mie personalissime e discutibilissime opinioni sul suddetto.)

Daniel scrollò le spalle. 

« Non ne ho la più pallida idea » rispose, evasivo.

D’accordo, Rose. Questo è un chiaro segno che hai passato il limite e stai facendo domande troppo personali e stai fraintendendo alla grande questa situazione. State solo prendendo una maledetta birra, non ti ha chiesto di uscire. 

E comunque, ci tenne a farmi notare Calvin, se mi avesse chiesto di uscire in quel senso io avrei detto di no. Sembrava ancora molto offeso per il modo in cui lo avevo ignorato quando mi aveva fatto notare che la scollatura con cui intendevo uscire di casa era un po’ eccessiva per una che non voleva niente a parte l’amicizia. Lo trovavo piuttosto ironico detto da uno che di solito non indossava nemmeno le mutande. 

« Scusa, non volevo ficcare il naso » borbottai, certa di essermi mimetizzata con successo in mezzo ai miei capelli sciolti.

(Avevo anche passato mezz’ora a lisciarli, a proposito di ragazze per bene che non si aspettano niente da una birra in amicizia).

Daniel scoppiò a ridere. 

« No, dico sul serio Lentiggini, non me lo ricordo. Quando ci siamo lasciati mi sono Obliviato ».

« Tu hai fatto cosa? » ripetei. 

Era ufficiale, Daniel Hook non era capace di passare più di cinque minuti consecutivi senza sentire la necessità di prendermi per il culo. Questa volta, dovevo concederglielo, gli stava pure riuscendo molto bene: sembrava serissimo. 

« Ma sì, lo sai » disse. « Lo facevano tutti qualche anno fa. Ti mollavi con la tipa, andavi ad ubriacarti con gli amici, ti mettevi la bacchetta su una tempia e ti Obliviavi. Mai fatto in Inghilterra? »

« Direi di no » risposi, troppo scandalizzata per esprimere un commento su quella barbarie.

Se mi stava prendendo in giro lo avrei ammazzato, fosse l’ultima cosa che facevo.

« Era una cosa piuttosto stupida, in effetti » convenne lui. « Ci misi due settimane, poi, per ricordare come si chiamava mia madre »

 

***

 

Fui svegliata alle otto e trenta di mattina da qualcuno che bussava alla porta della mia camera in modo assai indelicato ed inopportuno. Forse era il servizio in camera – mi dissi, girandomi sull’altro fianco sul materasso (la piacevole sensazione di risvegliarsi accarezzata da delle morbidissime lenzuola di seta fu rapidamente spazzata via dal ricordo di quanto avevo dovuto pagare per passarci dentro una notte). Il servizio in camera, però – riconsiderai, arrendendomi ad abbandonare prematuramente il mio sonno da sedici Galeoni – non era dotato di arieti da sfondamento, che io sapessi. Mi trascinai fuori dal letto e ciabattai ad aprire prima che il mio sgradito ospite sfondasse la porta. 

Davanti a me, vestita in modo impeccabile sopra a degli stivali alti e decisamente aggressivi, trovai Dominique Weasley. Anche la sua faccia era decisamente aggressiva. 

« Come hai fatto a trovarmi? » chiesi stupidamente. 

Il vantaggio di vivere in Australia era che non avevo mai ricevuto improvvisate del genere dopo essermi comportata da cretina. 

Domi roteò gli occhi, facendo chiara mostra di ritenere la mia domanda indegna di qualsiasi considerazione. 

« Sono una giornalista. È il mio lavoro ». 

I miei genitori erano degli Auror, se era per quello, ma non si erano disturbati.

Le fui grata per aver steso un pietoso velo sul fatto che ovviamente sapeva tutto, e con lei probabilmente anche il resto del clan Weasley. 

Giusto, dimenticavo. La parola privacy non esiste nel dizionario Weasley. 

« Domi. Senti » iniziai, con un dito ben alto davanti al naso per mettere in chiaro la serietà del mio discorso. Dito che feci rapidamente sparire nella tasca del pigiama quando incrociai lo sguardo di mia cugina. 

La ritirata mi fu concessa da un pietoso aggrottare di sopracciglia. 

« Hai intenzione di restare qua dentro tutto il giorno o scendiamo a fare colazione? » si informò Domi quindi. « C’è la colazione a buffet e fanno le uova alla Benedict migliori di tutta Diagon Alley ». 

Ah, dunque i miei sedici Galeoni non erano stati completamente buttati nel calderone. Buono a sapersi. 

« Va bene, mi vesto » bofonchiai, facendole strada dentro la suite. « Entra ». 

Dominique, ovviamente, si era già seduta sul mio letto sfatto prima che arrivassi alla seconda sillaba di ‘entra’. Accavallò le gambe e rimase a fissarmi con manifesta disapprovazione mentre frugavo nello zaino chiedendomi se mi fossi ricordata di portare un cambio o se, in caso contrario, avrei dovuto cimentarmi in qualche incantesimo casalingo per rimuovere l’odore di ascella dalla maglietta del giorno prima. 

« Beh, direi che tu e Scorpius l’avete gestita bene, questa cosa » commentò Domi, mentre osservavo con un misto di curiosità e sdegno i calzini spaiati, l’accendino, il sacco a pelo, le due riviste babbane datate 2009 e le chiavi della casa in Australia che si trovavano sul fondo del mio zaino. 

« Non sai come sono andate le cose » risposi, offesa (non sapevo se dal suo commento o dalla prospettiva di indossare lo stesso paio di mutande per quarantotto ore).

« Sei scappata in Australia, hai fatto finta che Scorpius – e tutto il resto della tua famiglia, per inciso, me inclusa – non esistesse e ora torni e ti meravigli che le cose che hai ignorato sei anni fa non si siano affrontate da sole in tua assenza ».

Brillante, verosimile e quanto mai irritante analisi della situazione. Mi chiesi da quando Dominique parlava come se stesse scrivendo i titoli scandalistici sulla prima pagina della Gazzetta del Profeta. 

« Beh, ti sei disturbata parecchio per venire fin qui a cazziarmi » commentai, sarcastica. « Non serviva ».

Dominique continuava a guardarmi come se fossi un Vermicolo troppo cresciuto, ed io continuavo a non avere nulla da mettermi addosso. Rimasi impalata al centro della suite, spostando il peso stupidamente da un piede all’altro.

« Punto primo » precisò Dominique. « Sono qui per le uova alla Benedict. Punto secondo, c’è anche James che gradirebbe vederti, quindi muoviti prima che svuoti il buffet senza di noi. Punto terzo, non sono qui per cazziarti ma per parlare con te. Pensi che avere avuto una relazione con il tuo fratello acquisito faccia schifo? Beh, immagina essere innamorata di tuo cugino. Ma io non sono scappata in Australia ». 

Aprii e richiusi la bocca un paio di volte, interdetta. Dominique non aveva mai parlato così apertamente della sua cotta per James. Non la Dominique che conoscevo io, almeno. Ma la Dominique che conoscevo anni prima, in effetti, non mangiava nemmeno i carboidrati, mentre quella attuale sembrava del tutto intenzionata a mangiare quelli e pure il tavolo. 

Rinunciai alla messinscena in cui fingevo di cercare dei vestiti che sapevo bene essere del tutto inesistenti e mi sedetti sul letto accanto a lei. 

« Tu… non ne parlavi mai » balbettai. 

Mi sentivo ancora in colpa se ripensavo a quanto la avevo vista fragile durante i miei ultimi anni a Hogwarts, e a quanto poco tempo avevo saputo trovare per lei. Lei che, al contrario, era venuta a cercarmi in quella stanza d’albergo dopo anni che non mi facevo viva – e non ero così stupida da pensare che non lo facesse perché mi voleva bene. 

Ma questo non significa che non lo trovi irritante. 

« Come hai fatto ad affrontarlo? » chiesi. 

Nonostante avessi previsto che tornare a casa non sarebbe stato facile – diciamocelo, ero convinta che sarebbe stato un disastro, altrimenti non avrei latitato in Australia per cinque anni e mezzo – affrontare Scorpius e trovare tutte le persone che conoscevo cresciute e cambiate senza di me era stato molto peggio di quanto potessi immaginare. 

Dominique si strinse nelle spalle.

« Semplicemente, l’ho affrontato » rispose. « Con il tempo ho capito che a James volevo bene forse più che ai miei stessi fratelli, ma non nel modo che pensavo. Sai, dopo Nott e tutti i ragazzi stupidi che avevo avuto ai primi anni ero ferita e fragile e detestavo gli uomini. Volevo James perché non potevo averlo e perché non mi avrebbe mai potuta abbandonare o maltrattare come avevano fatto gli altri, sarebbe sempre stato uno di famiglia. Ho capito che volevo solo un amico, qualcuno su cui poter contare sempre, e non un altro fidanzato ». 

« E poi? » incalzai.

« E poi gliene ho parlato » rispose Dominique con semplicità. « James… beh, sai come lo trattavo. Gli dispiaceva e non capiva cosa volessi da lui. Siamo usciti un paio di volte per chiarirci, mesi dopo i MAGO. Era il periodo in cui tu hai deciso di andare in Australia e non te ne ho parlato. Poi sai, con James se si esce è matematico che bisogna mangiare qualcosa, così abbiamo cominciato ad uscire prima per parlare, poi per mangiare, ed ora eccoci qui ».

Fece spallucce, sorridendo. Ancora non riuscivo a credere di sentire mia cucina Dominique che parlava di James in modo così disinvolto, come se la cosa non la toccasse minimamente. Eravamo tutti cresciuti – supposi. 

Loro più di te – puntualizzò Calvin. 

« Non c’è un modo giusto di farlo » disse ancora lei, ed io avvampai sotto il suo sguardo serio e preoccupato da persona adulta. « Ognuno si trova intrappolato dentro alla sua vita ed in qualche modo deve venirne fuori. Il punto è che io non sono scappata, Rose. Se scappi di nuovo in Australia e lasci le cose come stanno non risolverai mai niente ». 

L’imbarazzo di trovare qualche patetica scusa per giustificare la mia imminente ritirata in Oceania mi fu risparmiato quando mia cugina, dopo aver lanciato un’occhiata distratta all’orologio, saltò in piedi sussultando.

« Per le mutande di Merlino, sono già le nove e un quarto! Rose, muoviti, ti presto una mia maglia. Finiranno tutto il buffet se non scendiamo a mangiare immediatamente ».

 

***

 

James Potter – grande e grosso come sempre, ma meno in carne e con più barba sulla faccia che neuroni in testa – stava ruminando il suo quarto uovo alla Benedict con evidente soddisfazione. Mai nel corso della mia miserabile adolescenza mi ero anche solo lontanamente soffermata a considerare mio cugino come un individuo vagamente attraente, eppure dovevo ammettere che Scorpius non era l’unico ad aver compiuto dei drastici miglioramenti in termini di estetica e virilità. Probabilmente essere uno dei giocatori di Quidditch più famosi della Gran Bretagna gli aveva instillato quel senso di amor proprio di cui, ai tempi della scuola, era stato drammaticamente sprovvisto. 

Ero ancora troppo intenta a squadrare la barba folta ma curata, l’orecchino a forma di Boccino ed il tatuaggio sul bicipite per ricordarmi di far valere i miei sedici Galeoni al buffet. Non che Domi e James non stessero già provvedendo a mangiare anche per me, comunque. Non scherzavano, quando avevano minacciato che se non mi fossi data una mossa le uova alla Benedict sarebbero finite. Il dettaglio che avevano omesso, ma che mi appariva evidente dopo che ne avevano fatte fuori sette in due, era che sarebbero stati loro a finirle. 

« Che cosa ha combinato Albus stavolta? » s’informò mio cugino, sputacchiando pezzettini di pane e uova sulla tovaglia. 

In realtà, cominciavo ad avere le palle abbastanza piene di quella storia. 

« Il solito » sbuffò Dominique, teatrale. « L’ha invitata al funerale, all’insaputa di Scorpius ».

« E preferirei non parlarne » precisai io, mentre James occhieggiava il tavolo del buffet alle mie spalle, già intento a decidere cosa avrebbe mangiato dopo. Parlare con una persona che guardava per il venti per cento del tempo la mia faccia e per il restante ottanta la torta al rabarbaro dietro il mio orecchio sinistro si stava rivelando piuttosto irritante. Soprattutto se la suddetta persona decideva di prendere Albus Potter come argomento di conversazione.

« Mi dispiace » disse James, rivolto al vassoio di pasticcini che stava Levitando al seguito di un Elfo Domestico. « Ignoralo, è sempre stato fissato con te e Scorpius. Anche quando sei andata in Australia lui continuava a dirgli che voi due dovevate stare assie… »

Il pestone che gli assestò Dominique per farlo tacere non mi sfuggì, anche perché al primo tentativo centrò il mio piede. 

« Sì, beh, ci ha pensato mia madre a convincerlo del contrario, a quanto pare » borbottai. 

Se mi ero aspettata che quella dichiarazione lasciasse la mia platea incredula e sgomenta, dovetti constatare mio malgrado che l’unica cosa in grado di turbare i miei due cugini, in quel momento, era l’imminente esaurimento delle scorte di cibo dell’albergo. Fui piuttosto infastidita dalla loro assenza di partecipazione. Insomma, avevo appena rivelato che mia madre aveva tramato alle mie spalle per farmi lasciare dall’unico vero ragazzo che avessi mai avuto, non mi sembrava esattamente una notizia di poco conto.

Si comportano come se non fosse esattamente una novità, vero? – osservò Calvin, pacato. Da quando mi ero rifiutata di correre da Scorpius per raccontagli cosa aveva fatto Cynthia, la sera prima, il modello sembrava aver deciso che non meritavo la benevolenza della mia famiglia né tantomeno quella del mio ex. 

« Non devi prendertela con lei » disse James con aria filosofica. « Non era l’unica a dirlo ». 

« Come sarebbe a dire non era… » sbottai. Poi, rendendomi conto di aver appena urlato in mezzo alla sala da pranzo del più lussuoso albergo di Diagon Alley, mi detti un contegno. « Cioè, non che mi interessi, in fondo io e Scorpius ci siamo lasciati da anni, ma chi altro lo diceva di preciso? »

« Oh, beh, un po’ tutti in realtà ». 

Anche il secondo pestone di Dominique riuscì nell’intento di colpire ed affondare il mio alluce. Spostai le gambe un po’ più indietro sotto la sedia, diffidente. 

Magnifico, non solo mia madre aveva tramato contro di me. La mia intera famiglia si era schierata dalla parte del mio ex tramando contro di me, a quanto pareva. 

« Cioè » corresse il tiro James. « Io, insomma noi, Domi ed io, non ci siamo mai immischiati. Però sai, Scorpius è un po’ uno di famiglia ormai, era più che altro, finché si degnava di stare con noi, prima di stare con Cynthia, ma insomma, cioè, stava proprio malone quando sei partita ».

Stava proprio malone. Perché per me, invece, emigrare in un altro continente e rompere con il ragazzo che credevo di amare era stata una passeggiata. Perché diamine la gente doveva sempre dare per scontato che io non avessi dei sentimenti?

« Ma non ti dà fastidio, vero? » aggiunse James. A giudicare dalla smorfia di dolore che gli deformava il volto, Dominique doveva aver centrato il bersaglio. « Cioè, tutto a posto no? »

« Certo » mentii. « A postissimo ». 

 

***

 

Stavo marciando per Diagon Alley con la bacchetta in una mano ed il bagel che avevo trafugato dal buffet poco prima, inventandomi una scusa per eclissarmi. Ero moderatamente consapevole di avere i capelli spettinati, il volto rigato di lacrime e la faccia sporca di cibo, ma non era un grosso problema dal momento che non avevo intenzione di rimettere piede in Gran Bretagna per il resto della mia vita. 

Mi infilai dentro al Paiolo Magico, scansando due folletti in giacca e cravatta che attraversarono la mia strada parlando dell’inflazione della valuta magica rispetto a quella Babbana, attraversai la sala buia ed ancora semideserta del pub e mi fiondai fuori dalla porta che dava su Charing Cross Road. Finalmente, circondata da una selva di Babbani troppo assorbiti dai loro smartglassesper accorgersi di quello che succedeva a due centimetri dal loro naso, mi sembrò di riuscire a respirare fino in fondo. D’altronde, se non si erano accorti che una pazza con una bacchetta in mano era appena spuntata dal nulla in mezzo al marciapiede, dubitavo che si sarebbero preoccupati del fatto che avevo palesemente appena versato mezzo litro di lacrime. 

Mi ficcai in bocca quello che restava del bagel e mi asciugai le guance sulla manica della maglia di Dominique. Se di lì a poco la mia testa fosse esplosa, lanciando in aria una scia di coriandoli rossi, non mi sarei stupita più di tanto. Chissà se almeno quello sarebbe riuscito ad attirare l’attenzione dei Babbani. Probabilmente i loro occhiali tecnologici erano più interessanti (ero rimasta ferma agli smartphone di sei anni prima, e sinceramente, vedendoli camminare in giro come uno sciame di formiche fotofobiche sotto Imperio, non me ne pentivo. Forse ero io che stavo invecchiando, ma la tecnologia Babbana cominciava a mettermi i brividi). 

Attraversai la strada, meritando gli insulti del tassista Pakistano che mi aveva quasi investita. Ai Babbani non piaceva essere disturbati quando non potevano starsene in trance dietro ai loro paraocchi tecnologici, specialmente se il disturbo significava doversi fermare davanti ad un semaforo arancione. Mi trattenni a stento dall’affatturargli la vettura e, dopo aver lottato contro uno sciame di ragazzine asiatiche determinate a farsi fare un servizio fotografico da tutte le angolazioni di una cabina telefonica, riuscii finalmente ad accaparrarmi la cornetta. Mi guardai attorno furtivamente per accertarmi che nessuno mi stesse osservando, quindi picchiettai la bacchetta sulla tastiera e sussurrai: « Anaconda a pois ». 

Immediatamente il telefono iniziò a squillare. Chiudendo gli occhi riuscivo a visualizzare perfettamente il vecchio telefono impolverato in un angolo della segreteria di Makulu ed il suo squillo poco meno fastidioso dei canti di accoppiamento degli Skurk. Dopo una ventina di secondinuna voce assonnata mi rispose: « Pronto. Riserva di Makulu ». 

« Daniel! » esclamai. Speravo fosse lui a rispondere, anche se per la verità non avevo nutrito grandi aspettative in merito. Sapevo bene che, quando capitava di guardia la notte, la maggior parte delle volte fingeva di non sentire il telefono. 

« Lentiggini? » rispose il Ranger dall’altro capo del telefono. « Per Merlino, sono le dieci e mezza, cercavo di dormire ».

« Tu non vai mai a letto prima dell’una » puntualizzai.

« Esatto, i turni di notte mi servono per recuperare il sonno perso » precisò lui, sbadigliando. « Allora, che vuoi? Quando torni? »

« Domenica, dopo pranzo » risposi. 

Esitai, poi scossi la testa e rimasi in silenzio. Mi era mancato sentire la sua voce che mi insultava. Se non altro lui mi insultava con affetto, al contrario di quello che avevano fatto la maggior parte dei miei familiari da quando ero riapparsa in Gran Bretagna. 

« Mh » ruminò Daniel. Dedussi che stava mangiando qualcosa, e sembrava trovarlo più degno di nota di me. « E chiami me perché Thomas non verrà mai a prenderti a Perth, immagino ». 

« No, io non stavo mendicando… » mi difesi, infastidita. « E comunque che cosa me ne frega di Thomas? »

« È quello che ti sto chiedendo io da due mesi » mi fece notare Daniel. « Accio patatine di Hal »aggiunse poi. Lo strappo di un sacchetto che veniva aperto con malagrazia fu accompagnato da un verso esultante. « Lo sapevo che il maiale le nascondeva qua dentro da qualche parte! Allora, Lentiggini, cosa vuoi? Ti hanno fatto il culo a casa? »

Sospirai, sconsolata.

« Ovviamente ». 

« Io te l’avevo detto di non andare » mi ricordò Daniel, sfoggiando il suo consueto tatto. « Potevi restare qui con me e darmi il cambio per questo pulciosissimo turno di notte il venerdì sera ».

« Non te lo avrei mai dato » puntualizzai.

Daniel scoppiò a ridere. Sapevamo entrambi che in un modo o nell’altro riusciva sempre a liberarsi dei turni peggiori per rifilarli a me. 

« Ti avrei costretta ».

In effetti, era probabile. 

Mi guardai attorno con aria furtiva. Un nuovo gruppetto di turisti Babbani aveva adocchiato la mia cabina e una ragazzina con gli occhiali sembrava in procinto di reclamare il proprio turno per fingere di parlare al telefono mentre costringeva le amiche a fotografarla. Imprecai tra i denti e feci segno che no, non avrei mollato la presa sul telefono nel futuro prossimo. La ragazzina rispose indicando lo smartphone che teneva in mano e picchiandosi un dito sulla tempia. A quanto pareva nel ventunesimo secolo usare le cabine del telefono per farsi la nuova foto profilo di Facebook aveva più senso che usarle per telefonare a qualcuno. 

« Senti, Daniel, ce li hai dieci minuti per parlare? » chiesi, mentre chiudevo lo scambio di gesti con un dito medio ed un labiale piuttosto internazionale. 

« Ho tutta la notte, Lentiggini. Spara ». 

Accostai la cornetta alle labbra e voltai le spalle al gruppetto di turiste inferocite. 

« Qui è una merda » sussurrai.

La risposta, alquanto prevedibile, fu: « Te lo avevo detto ».

Scossi la testa, infastidita, mentre il Ranger continuava a ruminare le patatine di Hal con evidente soddisfazione. 

« No, Daniel, è davvero una merda ».

« Lo so, ti avevo detto che sarebbe stato davvero una merda » mi fece il verso lui.

Per essere uno che si spacciava come il mio migliore amico non sembrava moto toccato dalle mie disgrazie. 

« Non ricordo tu mi abbia detto che sarei tornata per scoprire che il mio ex sta per sposarsi con un’arpia, la quale peraltro pare gli faccia le corna ed io sono l’unica a saperlo credo ma se glielo dicessi non mi crederebbe mai, e per inciso tutta la mia famiglia è preda di un gigantesco delirio bipolare in cui prima vogliono farmi tornare con Scorpius a tutti i costi e poi mi dicono di stargli lontana e smettere di farlo soffrire, e in tutto questo viene fuori che mia madre e più o meno tutti mentre ero in Australia hanno fatto pressioni a Scorpius perché mi lasciasse. E mi ha anche fatto le corna. Con Cynthia. O, e poi mia sorella Electra mi odia, Scorpius ha tentato di Schiantarmi e abbiamo duellato e la migliore amica di Scorpius, Tessa, è venuta a dirmi che in realtà è colpa sua se ci siamo lasciati e che non avrebbe mai dovuto mentirmi e in tutto questo io non riesco a ricordarmi un cazzo di quello che è successo cinque anni fa e non ho idea di cosa stesse parlando e tutti mi trattano come se fossi un mostro a tre teste che ha risucchiato l’anima di Scorpius per qualcosa che non ho mai fatto, o non sono consapevole di aver fatto, o non ricordo di aver fatto. E non credo che tu mi avessi detto che sarebbe andata così prima che partissi, o avrei dato la Passaporta in pasto agli Skurk! »

Mi fermai per riprendere fiato, ansimante. Notai con piacere che le turiste Babbane, nel frattempo, avevano deciso di andare a cercarsi un’altra cabina. 

Le mie parole furono seguite da un lungo silenzio.

« Beh, sei andata in Australia per un anno senza chiedergli un parere, questo te lo ricordi, vero? » disse Daniel alla fine. 

Sembrava piuttosto imbarazzato. Immaginavo che vomitargli addosso una serie di informazioni sconclusionate senza punteggiatura potesse averlo destabilizzato un po’. Gli Australiani erano un po’ come mio padre: affrontare le emozioni altrui li metteva terribilmente a disagio. Se poi le suddette emozioni erano più d’una contemporaneamente e se possibile anche contraddittorie era altamente probabile che sarebbe scoppiato loro il cervello. 

« Sì, ma… Insomma, lo so che sono stata scorretta, ok? » balbettai. « Mi dispiace per quello che ho fatto, ma ormai non posso più tornare indietro. E poi non mi ricordo nemmeno perché accidenti non sono più tornata a casa quell’estate, cioè, è demenziale che io non sia tornata, lo so, ma come cavolo faccio a spiegargli quello che ho fatto se nemmeno io so perché diavolo l’ho fatto? E comunque sono passati cinque anni: pensavo gli fosse anche passata! »

« Ok, Lentiggini, calmati ».

« Come faccio a calmarmi? » sbottai. 

« Non è colpa tua se non se l’è fatta passare » disse Daniel. (Fui alquanto lieta di sentire la prima persona in una settimana che mi dava ragione su qualcosa.) « In più, se vuoi la mia opinione, il coglione si meritava tutto quello che gli hai fatto e tuo cugino o è un imbecille o non ha idea di cosa ha fatto il suo splendido amico ». 

« E cosa ha fatto, di preciso, il suo amico? Non mi sembrava di averti mai detto che lui e Cynthia… e poi nemmeno io lo sapevo fino a tre giorni fa, di che cosa stai parlando? »

« Oh… uhm… Non ti ricordi proprio niente di niente, vero? »

« Niente di niente di cosa? » esclamai, esasperata. « Non cominciare a fare anche tu come Tessa! »

Daniel tossicchiò, a disagio. 

« Non ho idea di chi sia Tessa. Comunque… Magari ne parliamo a voce di questo, ok? Devi restare lì ancora quarantotto ore. Ce la puoi fare. Ora fai un respiro, calmati, e vedrai che andrà tutto bene ».

« Ok, sì. Due giorni » ripetei, per farmi coraggio. « Ce la posso fare. Credi che dovrei dirglielo che Cynthia gli fa le corna? »

« No » rispose lui senza esitare. « Hai fatto bene a non dirglielo. Non ti immischiare e non farti coinvolgere ».

« Ma Cynthia… »

 La mia obiezione venne prontamente messa a tacere. 

« Rose. Punto primo, mi dispiace ma non mi dispiace minimamente per lui. Punto secondo, te ne frega veramente qualcosa di Scorpius Hyperion Coso o come diavolo si chiama? »

« No » mentii.

« E allora fregatene. Che faccia quello che vuole » concluse Daniel, e ricominciò a masticare con evidente soddisfazione.

« Giusto » dissi, annuendo. « Fanculo Scorpius. Me ne frego ». 

« Esatto. Ricorda, non si va a raccogliere un cucciolo di Skurk che è finito impantanato nelle sabbie mobili. Ci è finito da solo, e se ne tirerà fuori da solo se ne è capace. A soccorrerlo rischi solo di farti sbranare ».

   
 
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