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Autore: Novembre    26/07/2009    2 recensioni

Stava pensando a tutto questo, chino davanti al frigorifero, e soprattutto a come riuscire a trasportare venti e più bottiglie di birra con solo due braccia a disposizione, quando si sentì osservato. Un leggero formicolio alla base della nuca lo informava della presenza di un ospite curioso.
Si voltò verso la porta della cucina per vedere chi fosse, e scoprì che lei era lì: stava appoggiata allo stipite a braccia conserte, con il suo vestito verde leggero e gli occhi fissi su di lui.
...riveduta e corretta.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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*****







Era finita la birra.
L’ultima la vide scendere velocemente giù per la gola di un tipo barbuto e piuttosto grosso mai conosciuto prima. Cosa ci facesse quello alla sua festa era una bella domanda da porsi, ma decisamente non in quel momento: era un tipo davvero molto tipo e davvero molto grosso e forse era il caso di soprassedere se voleva uscire illeso dalla serata.
Così il ragazzo tornò in casa alla ricerca delle restanti bottiglie, quelle che aveva messo nel frigorifero di ultima generazione di sua madre in caso di estremo bisogno: dopotutto, con amici come i suoi l'alcool tendeva a finire in tempi straordinariamente brevi e non era saggio restare a secco di liquido prezioso in situazioni come quelle.
Schivò un paio di suddetti amici ubriachi, che cercavano di coinvolgerlo nei loro deliri urlanti e dribblò, sorridendo malizioso, un gruppo di ragazze che lo salutavano animatamente, e finalmente riuscì a guadagnare l’ingresso. Si chiese fuggevolmente quante di quelle poteva annoverare tra le sue conquiste, ma, effettivamente, loro erano troppe da ricordare e lui era famoso per la velocità con la quale le cambiava. Sorrise tra sé al pensiero. Stronzo. Quello si, glielo avevano detto tante volte.
In effetti però, poté constatare che erano venuti proprio tutti, anche quelli sulla cui partecipazione nutriva seri dubbi e coloro con cui aveva avuto qualche screzio mal concluso, e si complimentò con se stesso mentre entrava in casa e attraversava l’ingresso.

Dentro, la cucina era in penombra e vi regnava una pace quasi irreale rispetto al caos dell’esterno. Le luci e le chiacchere, le risate e la musica arrivavano un po'attutite dalla grande finestra della stanza che si affacciava sul giardino, spalancata verso le prime stelle della sera che iniziavano a spuntare da dietro le chiome degli alberi; era una tiepida serata di fine estate, di quelle in cui i grilli cantano nell’aria immobile e il cielo è più luminoso che mai. Era, insomma, la sera perfetta per un addio e come aveva progettato, la festa stava procedendo a gonfie vele, merito dell'ottima musica e della bella gente, e lui poteva ritenersi soddisfatto: non sapendo quando sarebbe tornato dal suo viaggio, voleva lasciare un bel ricordo di se a quanti sarebbero rimasti.
Stava pensando a tutto questo, chino davanti al frigorifero, e soprattutto a come riuscire a trasportare venti e più bottiglie di birra con solo due braccia a disposizione, quando si sentì osservato. Un leggero formicolio alla base della nuca lo informava della presenza di un ospite curioso.
Si voltò verso la porta della cucina per vedere chi fosse, e scoprì che lei era lì: stava appoggiata allo stipite a braccia conserte, con il suo vestito verde leggero e gli occhi fissi su di lui.
Nora.
Sapeva che era venuta alla festa e l’aveva anche vista di sfuggita, illuminata dalle luci colorate ed intermittenti, mentre ballava seguendo il ritmo della musica e chiacchierava con qualche compagno e amico, ma trovarsela davanti così, di sorpresa e impreparato, era un’altra cosa. In mezzo alla confusione e distratto dagli invitati poteva evitarla con nonchalance; là in quel momento, invece, no.
Ci mise qualche secondo a realizzare di essere in trappola, tempo durante il quale rimase a fissarla accucciato sul pavimento, con la bocca aperta e la luce del frigorifero che gli illuminava il viso da sotto in su.
Sexy da morire. Letteralmente.

Stupito si sorprese a pensare che lei, invece, era bella quella sera.
Non che non lo fosse sempre, intendiamoci. Lui lo diceva, quanto fosse carina, senza alcun problema e la cosa sembrava non toccarlo più del necessario. Eppure quella sera era diverso. Forse era il vestito, che faceva risaltare la pelle dorata dall’estate; forse erano le lentiggini leggere, spuntate a sorpresa sul naso e le guance; forse era la luce del sole al tramonto che sembrava ancora indugiare su di lei, sebbene il crepuscolo fosse passato da tempo. Forse, semplicemente, sapeva di non poterla portare con se, di doverla lasciare indietro come tutto il resto. Una consapevolezza che lo colpiva più di quanto avesse immaginato.
Aveva creduto che sarebbe stato più facile, dopotutto.
- Ciao. - la salutò guardandola e rompendo il silenzio ovattato della cucina.
- Hai bisogno di una mano?- chiese lei, con un leggero, ironico sorriso staccandosi dalla porta e facendo un passo verso di lui. Accennava alle bottiglie nel super-frigorifero, che ancora aspettavano la sua brillante soluzione di trasporto destinata a non arrivare mai.
- No, tranquilla. Farò due giri. - le rispose, distogliendo lo sguardo e incominciando ad estrarre le birre per posarle sul tavolo di fronte. Sapeva perché lei era lì in quella cucina nonostante tutto, ma questo non rendeva di sicuro le cose più facili.
- Volevo salutarti. – disse con voce dolce, mentre si scostava i capelli chiari dal viso. Ecco, appunto. Proprio quello che temeva.
Ora sembrava sorridere di qualcosa di buffo, probabilmente dell'assurdità della situazione e lui non poteva di sicuro darle torto: era da più di un mese che non si parlavano, ignorandosi a vicenda con una determinazione più simile alla testardaggine, come due muli orgogliosi.
Di fronte a ciò che doveva venire, tutti i problemi, le decisioni sbagliate, le cose successe che li avevano allontanati l’uno dall’altra sembravano, ora più che mai, delle sciocchezze del tutto trascurabili ed era stupido, si disse, continuare in quel modo. Erano stati compagni, amici e confidenti l’uno dell’altra per un periodo che aveva cambiato entrambi e che li aveva avvicinati rendendoli complici di un rapporto meraviglioso. Poi tutto era finito, pensò lui.
Lei si era fermata ad un'estremità del tavolo, le mani sulla spalliera di una sedia, e continuava a fissarlo con un' espressione dolce e al contempo curiosa negli occhi.
La guardò per un secondo, fermandosi.
I suoi occhi. Quelli no, non li avrebbe dimenticati.
- Beh, ciao allora. - rispose, tornando a trafficare con le bottiglie e senza quasi prestarle attenzione.
Aver capito di essere un idiota non lo rendeva di certo più pronto a smettere di esserlo: era tremendamente difficile mettere da parte l’orgoglio ed esporsi di nuovo e lui non era totalmente sicuro di volerlo fare.
Un lento, profondo e doloroso sospiro sfuggì dalle labbra della giovane, mentre lasciava la sedia e gli si fermava di fronte, costringendolo con la sua sola vicinanza a guardarla finalmente in faccia.
- Tutto qui? Credevo che potessi fare di meglio vista la situazione…- e nel suo sguardo c'erano delusione e rassegnazione. Non gli chiese scusa per il lungo silenzio tra loro, per aver scelto di allontanarlo: era stato necessario e ne erano entrambi consapevoli.
- Che altro dovrei dire, Nora?- si era alzato e ora la sovrastava.
Freddo, distaccato. La guardava senza lasciare trasparire alcuna emozione, quasi con sfida.
- Beh, considerando che te ne stai andando dall'altra parte del mondo e che non sai ne quando ne se ritornerai, pensavo che qualcosa in più l'avresti trovato. - replicò stizzita la ragazza.
Si stava arrabbiando e si stava arrabbiando proprio con lui, proprio come sempre, come ogni volta. Lo poteva chiaramente capire dal luccichio pericoloso negli occhi e dall'uso abbondante di sarcasmo. Sarcasmo pesante.
Lui fece per replicare a sua volta, pronto per l’ennesimo battibecco.
- Non importa, lascia perdere. - lo interruppe lei. Sembrava stanca, si massaggiava la fronte con le dita e quell'espressione rassegnata era tornata ad impegnare i lineamenti del suo volto.
Lui non sapeva che fare; anzi, a dirla tutta non sapeva nemmeno se voleva fare qualcosa. Il fatto che lei fosse lì lo gettava nella più completa confusione, diviso tra ciò che voleva e ciò che invece era giusto.
Ma quando lei alzò di nuovo lo sguardo e lo trovò che la fissava, un leggero sorriso le si dipinse sul viso, dalle labbra agli occhi.
Così si alzò in punta di piedi e, colmando la breve distanza che li separava, lo abbracciò il più stretto possibile, aggrappandosi alle sue spalle larghe e scoccandogli un morbido bacio sulla guancia, cancellando in un solo momento la parentesi di vuoto che era stata un errore e riportando tutto a come doveva essere. L’unico modo in cui poteva essere.
E lui rispose all’abbraccio stringendola come mai si era concesso di fare, grato di non dover parlare e che non fossero necessarie stupide spiegazioni o scuse inutili perché sapeva che con lei tutto questo non serviva, che non le avrebbe chieste.
- Ti voglio bene, lo sai. – la sua voce uscì soffocata dall’abbraccio riparatore.
- Anche io. - rispose lui, con il viso affondato nei suoi capelli, respirando il suo profumo. Ed era vero. Ma con lei era sempre stato complicato, diverso e difficile, e il più delle volte lui non riusciva a capire ciò che voleva. Probabilmente non voleva nemmeno.
Quando l'abbraccio si sciolse, lei fece un passo indietro.
Con molta probabilità quello era un addio: lui stava correndo verso il suo sogno e presto ne sarebbe stato inghiottito. Lì non c'era spazio per la sua vecchia vita e di conseguenza nemmeno per lei; anche se un giorno lui fosse tornato, le cose sarebbero state diverse. Se migliori o peggiori era presto per dirlo.
Ma prima che questa innegabile consapevolezza cadesse tra di loro, dividendoli, separandoli di nuovo e questa volta per sempre, lei diede improvvisamente e coraggiosamente vita al fantasma inespresso dei loro pensieri.
Si avvicinò, con uno sguardo imperscrutabile prese fra le dita affusolate il viso del ragazzo e posò un leggero, morbido, unico bacio su quelle labbra disegnate. Uno di quei baci che possono voler dire tutto oppure niente, che racchiude in se una vita e mille momenti ormai perduti. Un solo istante, una frazione di tempo in cui le cose sembrano incastrarsi nel loro ordine perfetto. Le loro labbra si incontrarono proprio come si erano incontrate le loro parole, le loro risate e i loro pensieri durante la loro amicizia e niente in quel momento sembrò essere più giusto di quello.
Poi Nora si allontanò da lui e fece per andarsene.
Perché era diventato improvvisamente difficile guardarsi negli occhi. Sentiva l’impellente bisogno di fuggire da quella stanza troppo stretta, lontano il più possibile da lui per paura di quello che l’uno avrebbe potuto vedere sul volto dell’altro. Scherno? Rabbia? Compassione? Sorpresa? Amore? Difficile dirlo, ma era preferibile l’illusione dell’incertezza che una conferma che poteva essere alquanto dolorosa.

Successe però, mentre la musica rombava di fuori, mentre le birre si scaldavano nel calore della sera, mentre la luce del frigorifero illuminava la scena e la ragazza si allontanava in fretta, che lui la fermò.
Cosa scattò in quel momento nella testa del ragazzo, davanti al frigorifero, non c’è dato sapere. Il risultato delle sue riflessioni, quali che fossero, fu però che lui scattò velocemente in avanti e la fermò.
Si, sembra una cosa stupida, ma non lo è. Non quando si passano anni tra cose non dette e mezze verità, a giocare a nascondino tra i sentimenti con la paura di esporsi troppo per non farsi del male, tra sguardi criptici e altalene di emozioni che non si vogliono svelare restando così degli eterni indecisi.
Lui quella sera le prese la mano con uno strattone e la fermò ed era forse la cosa più vera che avesse mai fatto. Un punto fermo, finalmente.
Stava lì con la mano chiusa a trattenere con tutto se stesso l’unica cosa che non voleva perdere per niente al mondo perché troppo importante e troppo preziosa per poterla lasciare andare.
La sentiva, sentiva perfettamente la forza totalmente irrazionale e d’un tratto divenuta incontrollabile che lo legava da sempre a lei. La sentiva nel petto che si alzava al ritmo frenetico del suo respiro, la sentiva nelle gambe che si muovevano per raggiungerla, nelle braccia che finalmente la stringevano, nelle mani che affondavano nel suo vestito verde e nei suoi capelli.
La tirò a se con forza e senza indugiare oltre e la baciò come, si rese conto, avrebbe dovuto fare già molto tempo prima di quel momento, la baciò di un bacio profondo e quasi famelico, il bacio che non era più un bacio di rinuncia, ma di possesso e che Nora ricambiava con altrettanta convinzione perché le paure di poco prima erano totalmente scomparse, vinte da dalla sensazione che non ci fosse nulla al mondo di più giusto di quello…


La festa si concluse solo molto più tardi, ad un’ora del mattino che i vicini considerarono assolutamente improponibile e venne giudicata una delle migliori dell’estate anche senza l’aiuto delle birre di riserva. Gli invitati, ubriachi o meno, se ne tornarono tutti a casa tranne qualcuno, troppo distrutto per reggersi anche solo in piedi, che venne gentilmente ospitato sul divano di casa.
Lui non rivide più Nora, quella sera.
Non c’era nemmeno in aeroporto il giorno della sua partenza, tra le file di amici e parenti venuti per dire arrivederci ed augurargli un buon viaggio. Si disse che avrebbe dovuto immaginarlo. Era giusto così.
Tuttavia prima di salire sull’aereo si guardò indietro per un attimo, esitando, come in attesa di qualcosa o colto da un pensiero improvviso.
Fu solo un attimo.
Poi, con un sospiro, chiuse in un cassetto tutto ciò che ere stato fino ad allora e lo sigillò, in attesa di quando sarebbe voluto tornare.
















(…)"Che cosa vuol dire addomesticare?"
" E' una cosa da molto dimenticata. Vuol dire creare dei legami…"
" Creare dei legami?"
" Certo", disse la volpe. " Tu, fino ad ora per me, non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma.se tu mi addomestichi, noi avremo bisogno uno dell'altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te unica al mondo."
(…)
Così il piccolo principe addomesticò la volpe.
E quando l'ora della partenza fu vicina:
"Ah!" disse la volpe, "…Piangerò".
" La colpa è tua", disse il piccolo principe, "Io, non ti volevo far del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi…"
" E' vero", disse la volpe.
" Ma piangerai!" disse il piccolo principe.
" E' certo", disse la volpe.
" Ma allora che ci guadagni?"
" Ci guadagno", disse la volpe, " il colore del grano".

Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa…

- Il Piccolo Principe-






  
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