A hundred things
Non sapeva nemmeno lei cosa le fosse preso; un secondo
prima stava ballando tranquilla (anche se tranquilla non era l’aggettivo
giusto visto io locale) con le sue amiche, quello dopo era spiaccicata contro
il muretto del retro della discoteca, nascosta dalla vegetazione del giardino,
la bocca impegnata con quella di Kisshu.
Doveva decisamente smetterla di dire sì tutte le volte
che Ichigo offriva di dividere un drink.
La mano del verde le solleticò piacevolmente un fianco,
giocherellò impudente con l’orlo molto corto del suo vestito di paillettes, e
lei inarcò la schiena verso di lui, le mani ben ancorate al suo collo.
Si sarebbe uccisa piuttosto che ammetterlo, ma quella
situazione si stava rivelando particolarmente intrigante.
« Sai una cosa, colombella, » il modo in cui Kisshu
strascico le parole le fece comprendere che anche lui doveva aver bevuto un po’
più del dovuto, « Mi piace davvero tanto baciarti. »
Il basso ventre le diede uno sfarfallio sfacciato,
ringraziò che a volte l’alcol la rendesse più tenace: « Tanto lo dici a tutte.
»
Lui sbuffò contro le sue labbra, fece un mezzo passo
avanti così da sfiorarle il bacino col suo: « Era da un sacco che volevo farlo.
»
Questa volta, fu il suo cuore a farsi sentire un po’ di
più, ma lei lo ignorò decisa: « Dai sempre troppa aria alla bocca, Ikisatashi.
»
« Fattelo fare un complimento ogni tanto, Aizawa. »
Lei sorrise appena e si riconcentrò sul ritmo della
lingua calda di lui contro la sua, del suo sapore speziato mischiato a quello
dell’alcol, del calore che si irradiava dal suo corpo e accendeva piacevolmente
il suo. Nonostante i sandali col tacco, si alzò in sulle punte, tirandolo al
tempo stesso più in basso verso di lei.
La stava baciando con una lentezza tale da essere allo
stesso tempo estenuante e terribilmente eccitante, un pollice che le disegnava
cerchi sopra la stoffa sulle anche, l’altra mano che le teneva la testa reclinata
all’indietro e premuta contro la bocca.
Fece quasi fatica a rendersi conto che aveva iniziato a
strusciarsi contro di lui, un braccio attorno al suo collo, finché non lo sentì
grugnire appena mentre la premeva ancora di più contro al muro e prendeva un
respiro, staccandosi il meno possibile dalle sue labbra.
« Ci sono cento cose che vorrei farti, in realtà. »
Minto socchiuse appena le palpebre, trovando le iridi
dorate piantate su di lei. Una sua gamba era finita tra quelle di Kisshu (si
accorse solo in quel momento di quanto pericolosamente in alto si trovasse il
suo vestitino già corto), e poteva benissimo immaginare cosa intendesse.
Storse il naso, decidendo che il calore sulle guance
fosse dovuto solo alla combinazione di alcol, l’apnea, e alla differenza di
temperatura con l’interno della discoteca: « Credo che dovrai accontentarti dei
baci. »
L’alieno gemette con finto dolore, poggiando la bocca
appena sotto il suo orecchio, in quel punto che lei non sapeva come facesse a
conoscere: « Non che mi lamenti, » sussurrò, il fiato caldo sulla pelle fredda
che la fece rabbrividire, « Però sei così sexy con questo coso addosso. »
Le mani scivolarono sotto al vestito per afferrarle con
decisione il fondoschiena, strappandole un singulto di sorpresa a cui lui rispose
con un sospiro gutturale, baciandola con più forza. Minto si aggrappò alle sue
spalle larghe, perdendo una mano tra i capelli, ormai completamente conscia che
il vestito le si fosse arrotolato sui fianchi, le dita di lui libere sulla
pelle nuda visto il sottilissimo perizoma che quel dannato abitino
richiedeva.
Dal modo in cui stava premendo contro di lei, non c’erano
dubbi che lui apprezzasse quella scelta.
« Kisshu… » il suo nome le sfuggì in un gemito roco
quando le mani di lui le accarezzarono le cosce e poi tornarono verso le
natiche per tirarla ancora più su.
« Non farlo, » ringhiò lui, mordendole appena un labbro,
« Se non vuoi farmi impazzire in questo momento, non farlo. »
Minto non riuscì a trattenere un sorriso, fece scivolare
i suoi palmi lungo il suo torace, staccandosi un poco per rallentare il ritmo
dei baci, lasciandogliene un paio a stampo.
« Kisshu, Kisshu, Kisshu, » ripeté divertita a bassa
voce, divertita dalla sua espressione agitata.
« Tortorella sfacciata, » la prese in giro lui, prima di
intrecciare le loro dita e costringerla a portare le mani sopra la testa,
riconquistando l’altezza che aveva su di lei. Stava per ricominciare a
baciarla quando sentirono la porta del locale aprirsi, e Purin barcollò fuori,
anche lei con aria poco lucida mentre si guardava intorno.
« Ah, ecco dove eravate, » li studiò per un secondo prima
che un sorriso di divertita comprensione si spalmasse sul suo viso, « Oh,
finalmente vi siete decisi. »
Minto si sentì assumere circa tre tonalità di rosso
diverse, ma paradossalmente uno sbuffo divertito le scappò dalle labbra, mentre
girava il volto dall’altra parte e liberava le mani per spingerlo ad una
distanza un po’ più consona.
« Scimmietta, hai tre secondi, sono estremamente
impegnato. »
La biondina gli fece l’occhiolino: « Stiamo andando a
casa, sono le tre. Fate come volete, ma fate i bravi. »
La mora stava continuando a ridacchiare, e quando la
porta si richiuse, le dita di Kisshu si serrarono sul suo mento, collegando i
loro sguardi: « Vieni a casa con me. »
Non era una domanda, e Minto si morse appena il labbro,
le labbra incrociate al petto.
« Perché dovrei? » sussurrò sardonica.
Kisshu ghigno divertito, arrotolò una ciocca di capelli
color inchiostro attorno al dito: « Hai sentito Purin, finalmente. »
« Non è abbastanza. »
« Perché tu mi piaci, passerotto, » le labbra rosse e i
fianchi si erano avvicinate di nuovo ai suoi, « Mi sembra evidente, come
mi sembra evidente che io piaccia a te. »
« Sei sempre così sicuro di te, » Minto si appoggiò al
muro, cinque centimetri tra di loro, un freddo improvviso, « Io non faccio
certe cose. »
Lui continuò a sorridere divertito, rifece il passo verso
di lei: « Chi ti dice che sarebbe solo stasera? »
La vide corrugare la fronte, mordersi ancora il labbro: «
Tu sei Kisshu. »
« E tu sei Minto, direi che coi nomi propri ci siamo. »
« Idiota. »
« Tortorella, » svelto come una volpe, la riagguantò per
la vita, « Fidati per una volta. »
Il suo profumo la investi all’improvviso, il cervello
rallentato dall’alcol che rendeva tutto ancora più difficile: « Mi risulta che
tu attualmente occupi la camera degli ospiti di Akasaka-san. »
« Se la madamigella ha in mente una location migliore, io
non dico di no. »
Le dita le stavano sfiorando piano la pelle nuda della
schiena, confondendola ancora di più; Kisshu era immobile, la fronte appoggiata
alla sua e le labbra a pochi millimetri, così maledettamente invitanti.
Si chiedeva cosa sarebbe successo se per una volta si
fosse lasciata andare, avesse ascoltato il calore tra le cosce e nello stomaco,
il ronzio nel retro del cervello. Al tempo stesso, poteva sentire il suo
orgoglio ruggirle nel petto, ordinarle di non cedergli così, non ancora,
soltanto per torturarlo ancora un po’, per distruggergli quel ghignetto
soddisfatto che aveva sempre ogni volta che lo beccava intento a guardarla.
Minto si tirò ancora sulle punte, stendendo le braccia
oltre il suo collo così da essere languidamente allungata su di lui, i corpi
premuti così vicini da poter sentire il battito sotto la maglietta scura che
indossava. Vide i suoi occhi brillare vittoriosi, speranzosi, desiderosi, e
sorrise appena, la sua stessa voglia che la tirava inesorabile verso la sua
bocca.
« Non è divertente ottenere tutto subito, non credi? »
gli sussurrò divertita.
Kisshu, preso in contropiede, doveva ammetterlo, sbuffò
sottovoce, le sfiorò il naso con il proprio, e una frazione di secondo li
teletrasportò sul largo balcone davanti alla camera della mora.
« Sto per trasformarmi in zucca, allora? » le mormorò con
poco fiato.
« Magari mi devi portare la scarpetta, » replicò lei, e
fece per staccarsi, controvoglia, la pelle che si increspò nell’avvertire la
frescura della notte ora che non c’era più lui così attaccato.
Durò un istante, perché Kisshu la riagguantò veloce e la
bloccò ancora contro il muro, baciandola con così tanta passione da toglierle
il fiato, da farla maledire per avere detto di no e farle cedere per un attimo
la convinzione di riuscire a resistere.
« Buonanotte, tortorella. »
La sua voce le arrivò come un rombo basso sulle labbra
gonfie, e non fece in tempo ad aprire gli occhi che lui se n’era già andato,
lasciandola con una sensazione di vuoto addosso che cercò di scacciare
scuotendo la testa, convincendosi di aver fatto la scelta giusta.
Si svegliò la mattina dopo con la luce del Sole già potente
oltre le tende che si era dimenticata di chiudere, la testa pesante e lo
stomaco poco contento dei suoi trascorsi.
Con uno sbuffo, afferrò a tentoni il cellulare sul
comodino per controllare l’ora e dare notizie di sé alle amiche che aveva
abbandonato la sera prima (anche se avrebbe dovuto essere in condizioni mentali
migliori per trovare una scusa che reggesse, non pensava certo che Purin avesse
risparmiato particolari), ma si stupì di vedere invece già un messaggio da un
numero con cui avrebbe voluto aver messaggiato di meno.
Vorrei
portarti al mare, invece. – K.
Minto sbatté le palpebre un paio di volte per rileggere
il messaggio, i pezzetti della serata precedente che si rimisero insieme uno
alla volta come tessere di un puzzle, tenute insieme dal calore che avvertì
risalirle per le guance. Emise un gemito e ributtò la testa sul cuscino,
nascondendoci sotto il telefonino.
Ora che aveva la mente meno offuscato dall'alcol (quasi,
forse avrebbe avuto bisogno di dormire almeno altre due ore), si rendeva conto
dell'enorme stupidata che aveva fatto a cedere così banalmente alle lusinghe di
Ikisatashi. Si sarebbe presa a calci da sola.
Scese quasi scivolando dal letto, afferrando malamente la
vestaglia di cotone caldo che penzolava da una poltrona, e si nascose in bagno,
speranzosa che una doccia le avrebbe rinvigorito la mente e cancellato l'odore
di quell'idiota di un alieno che ancora sentiva sotto al naso. Si insaponò così
tanto, condendo il tutto con uno scrub al miele, che la pelle quasi cominciò a
tirare, appena arrossata. Lavò anche i capelli, cancellando il lezzo di sudore
e di fumo del locale che Ichigo aveva caldamente
consigliato, era sicura che le fosse finita pure qualche decilitro di drink
addosso (perché diamine si era fatta
crescere i capelli poi).
Si avvolse nel suo asciugamano più grande e caldo,
tamponandosi le punte e canticchiando sottovoce il motivetto di una canzone che
le era rimasta impressa mentre ritornava a passi lenti in camera, più rilassata
e desiderando solo rimanere a letto tutta quella domenica, con il portatile,
una serie TV e un bel libro.
Ci mise qualche secondo a capire che il freddo che
sentiva attorno alle caviglie proveniva dal venticello che filtrava dalla
finestra aperta del suo balcone, le tende gonfiate dall'aria.
Finestra che lei non aveva decisamente aperto.
Erano scarpe da tennis quelle sul suo immacolato tappeto
bianco?
I suoi occhi seguirono con estrema lentezza il profilo
asciutto e lungo dell'alieno così scanzonatamente appoggiato con una spalla
allo stipite della sua porta-finestra, le braccia incrociate e il solito
sorrisetto compiaciuto e beffardo in volto.
E lei era avvolta solo da un asciugamano.
« Ciao, tortorella, » esclamò bonario, fin troppo
contento, « Non dovevamo andare al mare?
»
Minto, ancora ammutolita, sentì nuovamente le guance
infuocarsi mentre cercava di stringersi il più possibile nel telo azzurro.
« Ti... ti sembra il caso di presentarti qui così senza
nessun tipo di invito?! »
« Tecnicamente sono ancora fuori, » con un dito indicò il limite della finestra, facendole
l'occhiolino, « E poi sono un alieno, non un vampiro, posso entrare senza
invito. »
La bollicina che aveva nel petto scoppiò, riempendola di
stizza: « Tu sei solo un deficiente, ecco cosa sei. »
Lui rise, ma rimase dov'era, osservandola spostarsi
veloce intorno alla stanza per recuperare almeno una camicia da notte larga
abbastanza per cacciarsela da sopra la testa senza doversi togliere
l'asciugamano.
« Andiamo, ho preparato tutto, » fece un cenno allo zaino
accanto a lui, da dove spuntava un boccaglio, « E, c'è anche una bottiglia di
vino, in caso ti servisse di nuovo del coraggio liquido per ammettere che ti
piaccio. »
« A me non serve certo l'alc - » Minto si bloccò a metà
della frase, comprendendo che nella stizza di rispondergli a tono si stava per
mettere ancora di più nei guai, « Io non ho ammesso un bel niente. »
Kisshu si staccò ridendo dal muro e le si avvicinò,
aiutandola a far passare la testa dalla camicia di seta del pigiama ancora
abbottonato: « Non credo che ieri sera ci fosse tanto bisogno di parole per
capirlo. »
«
Villano, » borbottò lei, improvvisamente a disagio ad averlo così
vicino, di nuovo.
« Forse, ma ero sincero. »
Lei abbassò gli occhi, la fronte aggrottata: « Non mi
sembrava fossi immune nemmeno tu ai drink a metà prezzo. »
« Niente che non avrei fatto comunque, prima o poi, » lui
piegò la testa da un lato e la fissò con un sorriso sincero, « Poi che c'entra,
l'importante è averlo capito. »
Il profumo di lui le invase di nuovo le narici, riaccendendole
parti del corpo che aveva sperato di placare con la doccia. Kisshu giocherellò
con una ciocca bagnata, mantenendo una sacrosanta distanza di circa dieci
centimetri da lei, quanto bastava per non farle andare di nuovo il cervello in
tilt.
« Secondo me abbiamo entrambi capito qualcosa. »
Minto lo guardò da sotto in su: « Ma se la scorsa
settimana stavi flirtando con le studentesse nel tavolo all'angolo. Soprattutto
con quella dalla volgarissima scollatura. »
« Perché, credi non ti abbia visto venerdì pomeriggio
uscire tutta agghindata per l'appuntamento con l'amico di tuo fratello? »
La mora storse il naso, punta sul vivo, evitando il più
testardamente possibile gli occhi dorati ma finendo inevitabilmente calamitata
dalle labbra invitanti a cui aveva ceduto. Kisshu le si fece ancora più vicino,
piegandosi in avanti perché potesse sfiorarle il naso col proprio.
« Ci sono cento cose che vorrei farti, e non saprei
nemmeno da dove iniziare, » le sussurrò roco, la voce che le vibrò contro lo
stomaco, « Ma prima, vorrei davvero portarti al mare, » le sfiorò i fianchi con
le dita, lei che inarcò appena il collo verso di lui, « Anche se è sempre
davvero difficile cavarti gli occhi di
dosso quando ti metti quei maledetti bikini. »
« Stavi andando bene, » esalò lei quasi scocciata, ma fin
troppo distratta dai millimetri di spazio tra le bocche.
Quella di lui si stese in un sorriso da gatto sornione,
poi all'improvviso fece cinque passi indietro, riappoggiandosi allo stipite: «
Allora vestiti, tortorella. Il primo appuntamento ci aspetta. »
Minto rimase inebetita un attimo, il cuore che le
sfarfalleggiò minaccioso in petto, poi alzò gli occhi al cielo, e sorrise: «
Dammi cinque minuti. »
**
Internet mi dice che oggi si festeggia (ancora?) la giornata internazionale
del bacio, e LiveQuiz per domani sera propone lo speciale a tema firmato Durex,
quindi mi sono detta why not? xD Ovviamente prendiamo moltissime libertà
narrative e fingiamo che in Giappone si diano limoni tali con poca esitazione
:3
Oggi è stato un sabato di nullafacenza alla ricerca di ispirazione e mi
sono messa a spulciare tutte le FF che ho scritto/abbozzato e mai pubblicato –
se voi sapeste quante ce ne sono, sono vergognosa! – perché mi andava di
buttare giù qualcosa. Stavo in realtà lavorando ad un’altra che è già finita,
poi mi è tornata in mente questa che risale ad Aprile 2018 (si perché me le
scordo, capite la vecchiaia?) e dalla regia me l’hanno consigliata, perciò ecco
un po’ di Kishinto a caso, che non fanno mai male e che si baciano. Anche l’altra
poi arriverà un giorno, non temete ;)
Se non siete fan dell’indie italiano come me, la fic è ispirata a La musica non c’è di Coez
– che tornerà, ve lo dico, ha ispirato un sacco di cose tra cui una ff di
Natale che appunto verrà pubblicata a Natale e di cui vi ho già parlato LOL
Grazie a chi mi segue, e a chi passerà! Spero vi siate baciati oggi e che
vi bacerete ancora tanto! Buona domenica <3
Hypnotic Poison