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Autore: JoiningJoice    08/07/2019    4 recensioni
Tutto ciò che lo circonda è polvere, è grigio, è privo di vita. Non lo è sempre stato, tuttavia, e per dimenticare che lo sia – ancora una volta – Remus chiude gli occhi. Finge che la brezza di una mattina appena giunta penetri dalla finestra rotta; finge che i drappi delle tende, ora ridotti a stracci mangiati dagli insetti, scivolino e carezzino i mobili sì impolverati, ma quantomeno tenuti con cura, amati.
Finge che il materasso sfondato, ora letto solo per muffe e piccoli animali, sia pesante di un peso che conosce perfettamente; e così fingendo posa finalmente le dita contro il piano, fingendo anche di non sentire le distorsioni nelle note stonate che esso produce, per suonare l’unica canzone che abbia mai saputo suonare su uno di quegli strumenti.
Inizia tutto con un fa ed un la diesis.

[ WolfStar ]
Genere: Angst, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: James Potter, Peter Minus, Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: Remus/Sirius
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Clair de Lune

 

Tout en chantant sur le mode mineur

L'amour vainqueur et la vie opportune

Ils n'ont pas l'air de croire à leur bonheur

Et leur chanson se mêle au clair de lune

Paul Verlaine

 

                Le sue dita sono fantasmi che aleggiano in silenzio sopra i tasti impolverati di un piano a coda scordato, in un qualunque senso si possa attribuire alla parola certamente da riaccordare, dopo tutti quegli anni di inutilizzo, ed altrettanto certamente dimenticato da chiunque vi abbia mai, passivamente o meno, posato lo sguardo sopra.

                Tutti, nessuno escluso. Tranne Remus Lupin, il cui sguardo ha la stessa importanza fantasmagorica delle dita che, tremanti, si avvicinano ai tasti.

                Tutto ciò che lo circonda è polvere, è grigio, è privo di vita. Non lo è sempre stato, tuttavia, e per dimenticare che lo sia ancora una volta Remus chiude gli occhi. Finge che la brezza di una mattina appena giunta penetri dalla finestra rotta; finge che i drappi delle tende, ora ridotti a stracci mangiati dagli insetti, scivolino e carezzino i mobili sì impolverati, ma quantomeno tenuti con cura, amati.

                Finge che il materasso sfondato, ora letto solo per muffe e piccoli animali, sia pesante di un peso che conosce perfettamente; e così fingendo posa finalmente le dita contro il piano, fingendo anche di non sentire le distorsioni nelle note stonate che esso produce, per suonare lunica canzone che abbia mai saputo suonare su uno di quegli strumenti.

                Inizia tutto con un fa ed un la diesis.

 

 

                Un applauso, tanto forte da arrossare i palmi, lo interrompe. Il giovane Remus apre gli occhi ed è immediatamente gratificato dalla visione di Peter che si alza in piedi, battendo le mani luna contro laltra e sorridendo come avesse appena assistito ad un concerto di un qualche maestro in persona, anziché ad una scarna, pallida imitazione. Anche James sta applaudendo, più moderato dellamico ma equamente Remus glielo legge negli occhi entusiasta per quella piccola, grande dimostrazione di talento.

                « Magnifico! », dichiara Peter; ha gli occhi lucidi. « Splendido, Remus, veramente splendido! »

                « Come hai detto che si chiama, Lunastorta? », si interroga invece James; da seduto che è si alza per avvicinarsi al piano, le assi di legno del pavimento della Stamberga che cigolano lievemente sotto il peso dei suoi passi leggeri. Con la noncuranza che sembra contraddistinguere ogni suo movimento, quellatteggiamento sbarazzino e indifferente per qualsiasi cosa lo circondi, si appoggia al piano e attende la risposta di Remus che ritira le pergamene su cui ha pasticciato, nelle ultime settimane, tentando di dare un senso materiale ai segni sulle righe tracciate con millimetrica precisione. Sua madre, un tempo, gli avrebbe letto quelle note come fossero lettere; e ad ognuna avrebbe attribuito un suono con la stessa semplicità con cui le persone comuni attribuiscono ad un nome un particolare colore. Negli ultimi tempi la sua vista però è deteriorata, e Remus non ha avuto il coraggio di chiederle di trascrivere per lui le note, neppure durante le vacanze di Natale.

                « Claire de Lune, del compositore babbano francese Debussy. », spiega; osserva James annotare mentalmente il nome, che è certo dovrà ripetere almeno un altro paio di volte. Il sorriso che gli rivolge è storto, autoironico. « Buffo, vero? Ma è lunica che sappia suonare come si deve. »

                Gli era parso uno spreco, quasi un crimine, che il piano che per qualsiasi ragione Silente aveva lasciato loro nella Stamberga Strillante non venisse mai utilizzato se non nei momenti in cui Sirius vi strimpellava sopra Frère Jackques o Mary Had a Little Lamb. Si era preso il silenzioso obbligo morale di dare a quella magnifica creazione il dovuto rispetto e così era stato, seppure nelle sue limitate capacità; sperava comunque che lo strumento avesse apprezzato lo sforzo.

                « Potresti insegnarmela! », propone James; non sembra aver colto la natura del commento circa il nome della canzone, probabilmente perché non spiccica un acca di francese. Lamico arrossisce appena, chiaramente assorto in personali fantasie segrete quasi a nessuno; lo sente borbottare, subito dopo: « A Lily piacerebbe probabilmente, sì, le piacerebbe. »

                Remus sorride. Linfluenza positiva che Lily Evans ha sullatteggiamento di James è la manna più graziosa che sia mai caduta dal cielo sotto cui vive. « Con un po di buona volontà e della costanza, Jamesche so per certo non mancarti », afferma, sorridendogli già. « Io penso davvero che potresti »

                « riuscire ad eseguire una graziosa versione di Twinkle Twinkle Little Star quasi perfettamente, James. », li interrompe una voce. « Sono sicura che la Evans cadrebbe ai tuoi piedi istantaneamente. »

                « Deficiente. », è la risposta pronta di James un colpo in canna sempre carico quando si tratta di rispondere a Sirius che, ad occhi chiusi, il volto per metà affondato nel cuscino a cui si è aggrappato nel sonno, sorride comunque visibilmente. « Sei lultimo da cui accetterò mai consigli su come far colpo sulle ragazze. »

                « Ed è per questo che continuerai a fallire. », borbotta Sirius; si volta, ignorando la smorfia di James, per dar loro le spalle. Peter interviene, visibilmente nervoso.

                « Ti sei perso lesibizione di Remus. »

                « Ah, lho sentita tutta, invece. », ribatte lamico. « Mi ha svegliato proprio quella, per cui mi dovete almeno unaltra ora di sonno. Soprattutto tu, Codaliscia, con quellapplauso ho pensato che Mocciosus stesse facendo irruzione nella Stamberga con un esercito di ratti al seguito. »

                « Con i suoi parenti, quindi. », commenta James; si compiace della battuta per un solo istante, tuttavia, immediatamente zittito dallo sguardo di Remus che lo colpevolizza. « Uhm, ehm. Scusa. »

                « Non credo che dormire sia una buona idea. », insiste Peter, aggrappandosi al bracciolo del divano su cui è seduto. « È già lalba. Qualcuno potrebbe vederci mentre ci avviciniamo al castello e »

                « Unora! », ripete Sirius; solleva lindice senza neppure voltarsi. « Di meritato silenzio, Peter. »

                Consapevole che non c’è modo di farlo ragionare, Peter getta le speranze nel mare della capacità e dellinfluenza che Remus ha sugli amici; è compito suo anche sorridere al più debole, rincuorarlo: « Voi iniziate ad andare. Lo convinco io. », sussurra. James è straordinariamente collaborativo: si solleva dal piano senza proteste e fa cenno a Peter di seguirlo cosa che lamico fa senza neppure pensare di discutere. « Iniziate a preoccuparvi se non ci vedete tra una decina di minuti. »

                James ride, sulluscio. « Ora è una tua responsabilità, Lunastorta. », risponde. « Io non sono mai stato qui. »

                Remus scuote la testa. James e Peter si trasformano sotto i suoi occhi, in un confortevole battito di ciglia; per un istante i suoi occhi fissano quelli di una creatura graziosa, longilinea un cervo che sparisce selvaggio in un ulteriore battito di ciglia. Dopodiché è solo, nel silenzio della casa che abita da innumerevoli notti. Quasi crede di poter dimenticare la presenza di Sirius, per un istante, illuso ma poi lui respira un po più forte del previsto e Remus è nuovamente un fascio di nervi teso al limite delle proprie capacità.

                « Quella canzone », sussurra Sirius; la voce è ovattata dal cuscino, lespressione invisibile ai poveri occhi di Remus. « Quella che stavi suonando »

                « Claire de Lune. », ripete Remus, la voce che trema; Sirius, come sempre lievemente più colto di James come anche più bravo a mascherarsi dietro una facciata di rozza ignoranza coglie il riferimento e ride.

                « Sei un masochista, Remus. »

                (Non sai neanche quanto, sussurra a se stesso e nel frattempo: Non Lunastorta, ma Remus.)

                « Però la suoni bene. », prosegue; si volta di nuovo, le molle che cigolano sotto di lui. Remus lo osserva, dal basso dei suoi patetici ed ormonali sedici anni: un giovane Adone disteso sul letto, svestito, che lo guarda da dietro le ciocche di capelli neri e lo divora, con poche parole. « Falla di nuovo. Per me. »

                Non gli è mai stato facile obbedire a Sirius, ma neppure disobbedirgli. La straordinaria differenza tra lui e James, Remus ritiene, è nella consapevolezza: laddove James è un capo inconsapevole del fascino che esercita sui suoi piccoli e devoti seguaci, Sirius comprende perfettamente la reale portata del proprio ascendente. È sempre stato così, fin dal primo giorno, sullEspresso per Hogwarts; e proprio per questo si è permesso di fare un passo indietro e lasciare a James il ruolo più importante nel loro quartetto. Sirius non ha bisogno che nessun ruolo dautorità gli venga riconosciuto e per questo, inizialmente, Remus lo aveva quasi detestato, ritenendolo subdolo ed infimo.

                Poi laveva conosciuto veramente.

                C’è qualcosa di malinconico nelle parole di Sirius, nel suo ordine qualcosa che lo spinge a non avanzare proteste: risistema lo spartito avanti a sé, ma non vi getta neppure unocchiata; sospira e posa le dita sui tasti, mascherando a malapena un brivido deccitazione. Preme.

                Fa. La Diesis.

                Le note di una versione semplificata del capolavoro di Debussy, che Remus conosce grazie alle origini babbane di sua madre il cui amore per il pianoforte rivaleggia solamente con quello che la donna prova per figlio e marito riempiono la stanza. Lo avvolgono in quello che sembra un accompagnamento alla voce malinconica di Sirius, una diretta trasposizione del suo stato danimo; a testa china Remus non lo vede mutare in espressione, non nota la pacata risoluzione nei suoi lineamenti, e non lo vede neppure mettersi seduto. Lo nota però alzarsi ed incamminarsi verso di lui, e per un istante le sue dita si ritraggono dal proprio compito: ma lo sguardo di Sirius, la nota di panico nei suoi occhi, lo riporta nel mondo della musica.

                Se ti fermi ora, mi fermerò anche io., sembra dirgli, in silenzio. Tornerò su quel letto, e insisterò per dormire unora in più, e mi sgriderai fino a farmi alzare. Ma niente di tutto questo deve accadere, non è così, Remus? Non è quello in cui speravi quando hai chiesto a James e Peter di andarsene. E neppure io.

                O forse:

                Perché ti agiti tanto?

                A Remus non è dato sapere quale delle due interpretazioni sia quella corretta. Continua a suonare mentre la canzone scivola verso la propria sezione più corposa, complessa, armonica, e allo stesso modo Sirius continua a scivolare verso di lui. Torreggia al di sopra del suo corpo e lo osserva, ora, e la Stamberga Strillante non gli è mai sembrata così piccola né le sue dita così inclini allerrore. È per un semplice miracolo che continua ad eseguire il pezzo senza fermarsi, sotto lo sguardo fermo e severo di Sirius, legandosi a lui con la musica.

                Il pianoforte è sprovvisto di un sedile apposito. È vecchio, impolverato, e il suo corpo è la tomba della carcassa di svariati insetti troppo piccoli ed insignificanti per rovinarne il suono. Remus ha prelevato una sedia dal tavolo vicino per poter eseguire quel pezzo, ed è quello che ora fa anche Sirius sistemandosi vicino, troppo, al punto in cui le loro spalle si toccano prepotentemente. Remus continua a suonare, avvolto ora in uno straordinario sudario di pace e iper consapevolezza di sé e di ogni movimento che esegue, del sudore che gli imperla la fronte e delle ciglia lunghe di Sirius, i cui occhi non si sollevano dalle sue mani costantemente in movimento; e per un istante Remus, perso com’è nella concentrazione, riesce comunque a pensare che lintero mondo sia in movimento che non siano solo le sue dita a produrre la musica, ma i loro corpi stessi, il modo in cui Sirius inclina il capo verso di lui ed il modo in cui ad un certo punto, ben oltre la metà della canzone, i suoi occhi smettono di osservare il piano ed iniziano ad osservare il profilo di Remus.

                Sbaglia, ma Sirius non può sentirlo. Non conosce quel pezzo, non è cresciuto ascoltando sua madre suonarlo di fatto, Remus si interroga su quante occasioni Sirius abbia mai avuto di ascoltare della musica dal vivo. Non riesce a non figurarselo, piccolo e arrabbiato e solo in quella casa che ha descritto loro come vuota, di cui ha parlato con un sorriso velenoso sulle labbra. Ed è davvero per lui che suona, quindi non per sé, non per il piano, non per sua madre; e la canzone assume tutto un altro significato.

                Distaccarsi da quei tasti è una condanna. Remus ritrae le mani dal piano subito dopo aver terminato, come se lasciarle lì contribuisse a renderlo colpevole di chissà quale crimine; le raccoglie sulle proprie gambe, stringendo i pugni, ed attende che lultimo eco si sia allontanato dalla stanza ed abbia lasciato posto ad un silenzio con cui ha altrettanta familiarità lo stesso silenzio che ha ascoltato, impaziente, tutte le notti in cui ha sorpreso Sirius intento ad osservarlo dal suo letto o tra le chiacchiere di James e Peter riguardo compiti eseguiti allultimo, di fretta e male. Non conosce la forza che lo spinge a sollevare almeno lo sguardo verso Sirius, non gli appartiene; ma la fa sua almeno per qualche istante, forte dellassenza di reazione dellamico.

                « Allora », mormora; e nel farlo si rende conto di aver perso la voce. « Che ne pensi? »

                Sirius solleva una mano verso il suo volto, e prima che Remus possa rendersene conto si avvicina quanto basta perché le loro labbra si sfiorino nella più gentile e discreta delle maniere ma è un veleno che circola istantaneo nel suo corpo, intossicandolo; non fa in tempo ad avere paura di esso che subito si trova a chiederne di più, e preme contro le labbra di Sirius con linsistenza e la voglia accumulata in settimane, mesi ed anni di dubbio. Il suo gomito sbatte e preme contro i tasti del pianoforte, producendo una cacofonia sgraziata di suoni che non riesce comunque a distrarli: ad occhi chiusi scopre un volto che conosce già in una nuova accezione, intima e personale. Il pudore non lo abbandona mai abbastanza da permettergli di aprire la bocca più che per permettere a Sirius di insinuarvi dentro con la propria non c’è un passionale scambio di lingue, non ci sono mani che si aggrappano a volti e capelli e non c’è neppure il cigolio delle molle del materasso che sopporta il loro neonato e congiunto peso, ma ci sono baci disperati ed una smania infantile e nel separarsene Remus posa la fronte contro quella di Sirius e annaspa senza fiato, incapace di aprire gli occhi. Trema e non basta che Sirius prenda le sue mani e sussurri il suo nome con quella cadenza di scherno innocente, quel Remus che suona come una maledizione, una riconferma della sua esistenza. « Apri gli occhi. Va tutto bene, apri gli occhi »

                « È facile per te. », riesce a borbottare e si sorprende nel sapere che c’è ancora una vena di sarcasmo, in lui, la volontà di rimbeccare Sirius, sotto tutte le ansie e le paure. « Non »

                È solo allora che Sirius prende il suo volto tra le proprie mani, i pollici che affondano nei suoi zigomi; Remus apre gli occhi e si trova ad osservare occhi grigi e profondi e profondamente felici, turbati quanto immagina siano i suoi. « Mi dispiace. », è la prima cosa che Sirius dice. « Non dovevo? »

                « No. », risponde immediatamente e altrettanto immediatamente si da dellimbecille. « Non intendo che non dovevi, intendo dire che »

                Le parole gli vengono meno. Non è mai stato bravo con le parole, lui, a cui bastano uno sguardo e poche espressioni gentili per definire la propria personalità, e mai si è odiato come in quel momento. Le sue mani stringono quanto riescono dei vecchi pantaloni in jeans, unico sfogo nervoso che gli è concesso. Potesse fuggirebbe da quella casa, da quella scuola, da quel mondo ma non può: è intrappolato tra le mani di Sirius e tra il suo sorriso sornione, caritatevole.

                « Penso che sia davvero bella. », gli mormora.

                « Faccia tosta. », borbotta in risposta. Scuote la testa e Sirius ride, una risata che gli scuote il corpo.

                « Anche tu sei davvero bello, Remus. », prosegue, una volta placata la risata non del tutto, però. « Era da tanto che volevo dirtelo. »

                Una nuova ondata di consapevolezza si abbatte su di lui. Le cicatrici sul suo volto e sul suo corpo non gli sono mai sembrate così vivide neppure nel vederle indicate dagli altri studenti estranei le ha mai sentite bruciare, così vere, sulla sua pelle; la moltitudine di lentiggini, ed i capelli di un colore scialbo ed anonimo, e i vestiti di seconda mano: tutto di lui sembra sia stato preso, accartocciato e riaperto, mentre Sirius è lequivalente di un principe annoiato e viziato.

                E Sirius gli ha appena detto che lo trova bello.

                « Tu mi ucciderai, uno di questi giorni. », sente se stesso sussurrare. « Non prendermi in giro »

                Sirius Remus lo scopre nei minuti successivi, passati tra baci e carezze leggere; nei giorni che seguono, tra domande a cui trova finalmente risposta e riscoperte altrui; nei mesi a venire, in cui il loro rapporto sboccia in discreto silenzio, tra baci rubati dietro una libreria e lunghe dichiarazioni scritte di cui si prendono gioco lun laltro, ma che conservano comunque non lo fa.

 

 

                Ad Azkaban non esiste musica, ovviamente. Per anni ho pensato di essermi immaginato il mondo esterno, i colori, i fiori, la musica e tutto il resto, gli aveva confessato Sirius, seduto su una poltrona del salotto della casa che tanto aveva odiato una prigione non troppo differente da quella in cui era stato gettato per dodici anni. Ma poi mi è tornata in mente quella canzone, Remus. Quella che suonavi sempre al piano, come si chiamava?

                Claire de Lune, aveva risposto Remus, consapevole che Sirius ricordava perfettamente il titolo. Come ventanni prima aveva alzato lo sguardo sullamico e laveva trovato intento a fissarlo.

                Proprio quella, aveva confermato Sirius; e poi gli si era avvicinato e lo aveva baciato con la stessa triste delicatezza di quella prima volta. E poi avevano scoperto di non essere più due ragazzini timidi ed impacciati, e per qualche settimana avevano avuto persino il coraggio di approfondire le implicazioni di tale scoperta.

                E poi Sirius se nera andato per sempre.

                Remus osserva le dita sui tasti grigi. Non è andato più in là di quelle prime due note ha limpressione di aver dimenticato il resto, nonostante i pomeriggi passati a tentare di insegnare a James la canzone, ascoltando gli incoraggiamenti di Peter e le risate scroscianti di Sirius far da sottofondo.

                Forse un giorno troverà la forza di distruggere quel piano, di rimuoverlo dalla propria vista, regalando allo strumento martoriato un ultimo atto di carità. Lo farà a pezzi e lo seppellirà da qualche parte dietro la Stamberga, nello stesso posto in cui anni prima ha seppellito i ricordi dinfanzia.

                Per ora, però, quella rabbia distruttiva non gli appartiene. Solleva le mani dai tasti consunti e le posa sulle proprie gambe stringendo i pugni, in attesa.

 

 

-

 

 

                Questa fic è dedicata a Sora e alle sue idee tristissime che mi ispirano a scrivere cose tristissime. So che non è il modo migliore per augurarti una vita felice, ma mi conosci: è il mio modo. Spero tu stia bene

                Mi scuso per le probabili inesattezze musicali: non sono una musicista e le cose qui riportate sono informazioni raffazzonate e ricercate in una mezzoretta con laiuto di un fratello (musicista) mezzo addormentato e vari tutorial di YouTube. Spero non abbia rovinato lesperienza a chi ne sa più di me :’’

                Vi ricordo che le mie commissioni sono aperte e vi lascio il link del mio ko-fi qui sotto!

Alla prossima,

-Joice

               




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