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Autore: Sabriel Schermann    09/07/2019    3 recensioni
Durante le prove, si resero tutti rapidamente conto che c’era qualcosa che non andava in Ohno Satoshi: non era così stupido come voleva far credere.
Solo il tempo avrebbe potuto trarre le proprie conclusioni.
[Fanfiction classificata all'ottavo posto al contest "Music is my best disaster" indetto da Soul_Shine sul forum di EFP]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Kazunari Ninomiya, Satoshi Ohno
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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– Aspettando l’arcobaleno

 

 

 

 

 

Quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo.
Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero.
Ma su un punto non c’è dubbio.
Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi era entrato.

 (Kafka sulla Spiaggia – Haruki Murakami)

 

 

 

 

 

Era notte fonda quando squillò il telefono. Quel rumore fastidioso gli fece spalancare gli occhi e battere il cuore come solo i peggiori incubi riuscivano a fare: odiava i rumori forti e improvvisi. Si stropicciò gli occhi per qualche istante, si rigirò nel letto inquieto, fino a quando non decise di alzarsi e andare a rispondere. Gli cadde casualmente lo sguardo sull’orologio a forma di gatto appeso sopra la porta della stanza e realizzò con amarezza di avere ancora solamente due ore di riposo.
«Pronto?» disse con voce ancora impastata dal sonno, lasciando fuoriuscire un po’ d’asperità. Dall’altra parte, solo silenzio. L’udito che aveva imparato a sviluppare grazie al suo lavoro poteva percepire un sottile brusio provenire dall’altra parte della cornetta, il ronzio tipico di un apparecchio elettronico.
«Pronto!» ripeté con durezza. Nessuna voce sembrava sovrastare quell’irritante vibrazione, per cui decise di riagganciare il telefono e tornarsene a letto.
Una nuova e faticosa giornata sarebbe iniziata prima che Ninomiya se ne potesse rendere conto.

 

˜

 

Durante le prove del giorno successivo, si resero tutti rapidamente conto che c’era qualcosa che non andava in Ohno Satoshi. Si era assentato dal lavoro chiedendo delle ferie per malattia per una settimana, posticipando tutti gli impegni della band e mandando su tutte le furie il manager e gli organizzatori. Quel giorno si era finalmente presentato alle prove, ma era chiaro che non stava affatto bene. Era arrivato in ritardo e in camerino lo avevano accolto calorosamente, ricevendo in risposta solamente un grugnito.
Nino era genuinamente preoccupato, ma non aveva avuto il tempo di rivolgergli una parola fino alla pausa per il pranzo. Appena raggiunse il camerino, lo vide accovacciato sul divanetto con le ginocchia al petto, prendendo posto accanto a lui.
«Satoshi» lo interpellò con tono severo, «mi vuoi dire che cosa c’è che non va?» si addolcì, osservandolo attentamente in viso. Lo sguardo del leader si era posato su qualcosa di indefinito sul pavimento, disperso nel vuoto; le labbra scarlatte erano semiaperte e Ohno sembrava assorto nei propri pensieri come un bambino che, appiccicato alla vetrina di un negozio, osserva il proprio giocattolo preferito sapendo di non poterlo mai avere.
Nino aprì il proprio bentō¹ senza fretta, mescolando il riso bianco con la verdura accuratamente tagliata a lato del contenitore.
«Kazunari» si sentì chiamare con un suono simile a un sibilo, che doveva essere appena uscito dalla bocca del giovane uomo accanto a lui, nonché l’unica persona presente nella stanza in quel momento. «Ho deciso di mollare» concluse il più grande quasi sussurrando, con un tono che di deciso stavolta non aveva assolutamente nulla. Nino lasciò che le bacchette gli scivolassero dalle mani. Si voltò incredulo, cercando un contatto visivo che però rimase soltanto un desiderio.
«Vuoi mollare? Ho sentito bene?» chiese osservando il ragazzo con occhi sbarrati. Un fragoroso silenzio calò nella stanza come la musica col volume più alto che esista.
Un violento mal di testa colpì improvvisamente il più giovane, che si vide costretto a posare il contenitore sul tavolino accanto al divano per prendersi la testa tra le mani: «Ma non puoi farlo!» sbraitò subito dopo. Satoshi lo guardò negli occhi. Non ne aveva avuto il coraggio fino ad allora, ma ormai la verità era stata svelata e tutt’a un tratto la paura di affrontare i propri compagni era svanita.
Sarebbe stato sincero, avrebbe dato le giuste motivazioni, anche se in fondo non sapeva darne nemmeno a se stesso. Voleva solo essere felice, perché non lo era più da troppo tempo.
Ne aveva il sacrosanto diritto anche lui.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

¹ bentō: contenitore porta-pranzo con coperchio, molto utilizzato in Giappone.


   
 
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