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Autore: GiakoXD    09/07/2019    0 recensioni
"Le lacrime iniziarono a scendere lungo le guance della ragazza, raccogliendosi sotto il mento. Paralizzata dal terrore, non riusciva a muoversi. Fissava sgomenta la fessura del mostro, quella a forma di ghigno, che ora iniziava ad allargarsi spaventosamente fino a che la faccia di quell’abominio non arrivò a metà del petto, somigliando ora ad una buia fornace dalle zanne sbeccate.
Non vide quindi la figura che arrivò con un potente balzo dal fondo del vicolo fino a quando la superò, gettandosi in avanti. Con un ampio fendente di qualcosa che teneva in pugno questa mozzò di netto uno dei lunghi arti artigliati della bestia, che volò tracciando un ampio arco in aria. Un denso liquido scuro schizzò lungo una parete, sull’acciottolato e sul cappotto della ragazza che indietreggiò spasmodicamente fino a sbattere contro il muro alle sue spalle"
E se i witcher non fossero una finzione ma fossero realtà, se non fossero una casta scomparsa nel basso medioevo, ma esistessero ancora oggi? Cosa succederebbe se una studentessa universitaria venisse salvata da uno strego? E se nemmeno lei fosse una normale ragazza?
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Era stata davvero una brutta giornata. 

Brutta giornata già fin dal mattino. Sveglia presto, pioggia, lezioni in giro per mezza Padova, pioggia, professore che manda l’assistente che non fa altro che leggere le slide al suo posto – senza avvisare ovviamente – e non bisognava dimenticare la pioggia. Aveva pensato di rimediare alla giornataccia accettando l’invito dei suoi amici per bere qualcosa quella sera, invece tutto non aveva fatto che peggiorare.  

Dovevano essere in sei. Thomas, da solito tira-pacchi maledetto qual era, aveva tirato fuori una scusa ridicola all’ultimo, Marta aveva palestra: sembrava non facesse altro nella sua vita. 

 Scansò all’ultimo una pozzanghera particolarmente profonda mentre camminava a passo deciso. Svoltò a sinistra, e inclinò il suo ombrellino scalcagnato per evitare che una raffica di vento lo rivoltasse come un calzino.  

Quindi alla fine erano rimasti solo lei, Samu, Angela e il suo nuovo scopamico.  

Doveva rivedere la sua lista delle amicizie, decise. 

 
Si era subito dimenticata il nome del nuovo arrivato, un ragazzo anonimo non particolarmente brutto ma nemmeno troppo bello. Subito dopo le presentazioni non le aveva praticamente più rivolto la parola. Sembrava che tra lei e i due nuovi innamorati ci fosse uno di quegli specchi da interrogatorio; loro continuavano a ridacchiare tra loro, strusciarsi e scambiarsi bava come se fossero seduti in una camera, e non in un pub circondati da altra gente. E invece lei c’era, purtroppo, ed era seduta proprio di fronte a loro.  
 

Per distrarsi aveva cercato di far staccare Samuele dalla partita che trasmettevano in tv: se lei doveva sorbirsi i piccioncini non voleva certo essere la sola! Fortunatamente lui aveva capito al volo la situazione che si stava perdendo, ipnotizzato come era davanti allo schermo. Da vero soccorritore di amici in difficoltà le era venuto in aiuto e avevano chiacchierato del più e del meno, bevendo un bel po’ di birra; avevano addirittura preso per il culo la coppietta, dal momento che tanto non gli prestavano minimamente attenzione. Un paio di sbirciate alla partita Samu le aveva date ancora, ma erano giustificabili.   

 

Si tirò più in su il bavero del cappotto rabbrividendo e indirizzò l’ombrellino scassato controvento. Si toccò la cima della testa e fece una smorfia: i lunghi capelli biondi iniziavano a inumidirsi preannunciando la condizione pietosa con la quale li avrebbe trovati il giorno dopo. 

Le strade erano silenziose, e il rumore della pioggia ritmica sulla tela dell’ombrello, ipnotica, aiutava a pensare. 

 

Samuele aveva detto di dover tornare a casa, e la distrazione era finita. 

Erano rimasti in tre, due assatanati di sesso e una reggi-moccolo sempre più innervosita.  

All’ennesima mano sotto il tavolo che aveva visto sparire, collerica, si era alzata dalla sedia piuttosto violentemente, aveva aspettato che la testa smettesse di girare, aveva salutato bruscamente ed era andata a pagare il conto. Dopo aver trafficato un po’ per raddrizzare le stecche scomposte dell’ombrello, era uscita nella pioggia e lì era ancora, in cammino verso l’appartamento dove stava. Erano le undici di un normale mercoledì sera universitario, con l’unica particolarità di non essere stato per nulla divertente.  

“Se non altro adesso me ne andrò a dormire al calduccio e finirà questa giornata di merda” pensò la ragazza assaporando il tepore sotto le coperte.  

 

Non lo sapeva, ma si stava sbagliando in pieno. 

 La scorciatoia che prendeva di solito passava per un viottolo contorto dietro uno dei collegi del centro, uno di quelli con l’acciottolato sconquassato, quasi troppo stretto per il passaggio delle macchine, che inevitabilmente finivano con le ruote sul marciapiede attentando alla vita dei passanti. La ragazza lo imboccò automaticamente e solo quando si accorse di camminare nell’oscurità realizzò che l’aveva percorso un sacco di volte, ma poche volte da sola e praticamente mai di notte.  

I radi lampioni illuminavano scarsamente il vicolo, rendendo complicato avanzare senza storcersi una caviglia, soprattutto da poco sobri, e allungavano e distorcevano le ombre tutto intorno. Un balcone che si chiudeva sbattendo la fece sobbalzare, e da quel momento la sua fantasia fece il resto.  

Adesso sentiva scricchiolii ovunque. La pioggia picchiettava sui tetti e i davanzali e gocciolava cupa nelle grondaie, i suoni della città insonnolita giungevano solo a sprazzi, ovattati e distanti. Procedeva in mezzo al viottolo per evitare l’acqua che si riversava giù dalle grondaie e dai tetti soprastanti, camminando tanto più veloce quanto l’acciottolato sbeccato le permetteva, tenendo l’ombrellino schiacciato sulla testa per bagnarsi meno possibile. Le scarpe erano completamente fradicie, come pure i jeans fino a metà polpaccio. Rabbrividì. Stava considerando dove metterli per asciugare tutto per il giorno dopo quando sentì una voce biascicante che diceva: 

<< Ciao bella… >> 

Con l’ombrello che le oscurava la visuale non si era minimamente accorta dell’uomo appoggiato al muro riparato sotto un terrazzino e ormai ce l’aveva praticamente davanti. Le si gelò il sangue e si impose di rimanere calma. Continuò ad avanzare fissandolo di sottecchi. 

<< Hei bella, hai un po’ di posto sotto l’ombrello? >> l’uomo uscì dal riparo della tettoia con le mani nelle tasche del giubbotto e iniziò ad avvicinarsi. 

“Merda, merda, merda!!! E adesso?!”.  

Continuò a camminare a testa bassa cercando di ignorarlo e convincendosi di fingere di non capire l’italiano, fino a che non arrivò alla sua altezza. Stava considerando di girare su sé stessa, mollare l’ombrello e iniziare a correre quando lui le si parò davanti sogghignando, o almeno la sua mente immaginò che lo facesse, visto che la penombra abbozzava troppo poco la sua faccia per distinguerne i lineamenti.  

<< Signorina, non mi senti che ti sto parlando gentilmente? >> e allungando una mano le afferrò una manica del cappotto. La ragazza, adesso terrorizzata, cercò di divincolarsi e di liberare il braccio mentre l’ombrellino cadeva al suolo, ruotando sulle stecche sbilenche.  

Sudore vecchio e alcol, il cervello della ragazza registrò questi odori mentre si rifiutava di elaborare pensieri coerenti. Registrò anche un’altra cosa, all’unisono con il cervello dell’uomo che la stava molestando: un ringhio profondo, viscerale proveniente da un essere enorme che era appena emerso dall’ombra alle loro spalle.  

Si girarono insieme, la ragazza e il suo molestatore, verso quella figura semi umana ritta immobile, che in quel preciso momento smise di ringhiare.  

Sparirono anche tutti gli altri suoni. Sembrava che tutta la città si fosse fermata a guardare quell’essere in un silenzio irreale. Per quelli che parvero momenti interminabili non si sentì alcun suono, nemmeno la pioggia sulle grondaie metalliche. Non riuscivano nemmeno a sentire il loro respiro, affannoso per il terrore e la confusione sempre più crescenti.  

L’essere, ancora fermo nella penombra del vicolo, avanzò di un paio di passi, lentamente, strascicando i piedi, fino ad entrare nel cono di luce della lampada all’ingresso di un’abitazione. Inclinò leggermente la testa e attese che le sue vittime lo vedessero interamente, beandosi del terrore crescente delle sue prede. 

Il molestatore tentò di imprecare, ma tutto quello che gli riuscì di fare fu di muovere le labbra a vuoto. 

La creatura, che stava ritta su due gambe troppo corte, aveva un corpo alto più di due metri, umanoide ma sproporzionato: le braccia pendevano pesanti fino alle ginocchia tozze e terminavano in lunghi artigli neri che toccavano il terreno. Indossava un logoro impermeabile aperto e di un colore imprecisato, lungo quasi fino ai piedi.  

Sarebbe potuto sembrare umano, da lontano, ma il volto no, quello non sarebbe mai sembrato di una creatura vivente. 

Un ghigno gli attraversava la faccia quasi da un orecchio all’altro, livido, come una spaccatura su un terreno arido. All’interno si intravedevano denti neri e spezzati. 

Ma erano le cavità oculari a incutere il terrore più profondo, vuote orbite simili ad abissi neri che grondavano denso liquido giallastro.  

 Il mostro si concesse un momento per aspirare profondamente l’odore del terrore delle sue vittime, dopodiché si ritrasse su sé stesso pronto a scattare, continuando a fissarli con quelle sue orbite vuote.  

Aprendo la bocca in un grido muto, il molestatore perse ogni pudore e iniziò a fuggire, inciampando nei propri piedi più volte prima di prendere velocità. La ragazza non lo vide sparire dietro l’angolo, perché i suoi occhi attoniti non riuscivano a lasciare i due squarci che la creatura aveva al posto degli occhi. Quella la fissava di rimando quasi divertita attraverso le orbite vuote. Giocava con la vittima avanzando lentamente, strascicando un passo alla volta, fino a che diede le spalle alla luce della lampada e ripiombò nella semi-oscurità.  

Le lacrime iniziarono a scendere lungo le guance della ragazza, raccogliendosi sotto il mento. Paralizzata dal terrore, non riusciva a muoversi. Fissava sgomenta la fessura del mostro, quella a forma di ghigno, che ora iniziava ad allargarsi spaventosamente fino a che la faccia di quell’abominio non arrivò a metà del petto, somigliando ora ad una buia fornace dalle zanne sbeccate.  

La ragazza non riusciva a fare nulla, non riusciva a muoversi, non riusciva nemmeno distogliere lo sguardo. Non vide quindi la figura che arrivò con un potente balzo dal fondo del vicolo fino a quando la superò, gettandosi in avanti. Con un ampio fendente di qualcosa che teneva in pugno questa mozzò di netto uno dei lunghi arti artigliati della bestia, che volò tracciando un ampio arco in aria. Un denso liquido scuro schizzò lungo una parete, sull’acciottolato e sul cappotto della ragazza che indietreggiò spasmodicamente fino a sbattere contro il muro alle sue spalle 

 Era una scena surreale.  

La creatura abominevole e l’altra figura, che si rivelò essere un uomo con una lunga spada scintillante, tentavano di scannarsi a vicenda nel vicolo reso viscido dalla pioggia e dal sangue. La creatura attaccava con movimenti bestiali, allungando scompostamente l’unico lungo braccio che gli rimaneva, mentre l’altro li schivava con movimenti circolari di una velocità incredibile e rispondeva con ampi fendenti, finte e assalti frontali. Sembrava più un gatto selvatico che un uomo.  

Ma il culmine della follia era che tutto il combattimento avveniva senza il minimo rumore: né lo stridere della lama con le zanne, né i passi nelle pozzanghere, né il gocciolio del sangue della creatura, il che rendeva il tutto identico ad un film a cui era stato tolto l’audio.  

L’uomo lanciò a terra una fialetta di vetro che si fracassò al suolo ai piedi del mostro, e nell’aria curiosamente si iniziò ad avvertire uno strano e forte odore di profumo per uomo. Il mostro spalancò l’enorme bocca in un muto ululato e balzò indietro fino alla ragazza, tentando di raggiungerla con le enormi fauci; le avrebbe sicuramente ingoiato la testa con un unico morso se lo spadaccino non si fosse lanciato in avanti e non l’avesse impedito, scagliandola di lato e facendola cadere a terra. Mentre gli artigli del mostro affondavano nella coscia dell’uomo lasciata scoperta, con un unico movimento egli roteò su sé stesso e tracciò un deciso arco con la lama, che attraversò il collo della creatura come fosse burro.  

Con un conato, la ragazza osservò rapita l’enorme testa che rotolava a terra a pochi passi da lei e il corpo mostruoso che ondeggiava e infine si accasciava a terra senza vita, ma ancora scosso da violenti sussulti. Il sangue zampillava a fiotti da entrambe le parti. 

Nel silenzio, iniziò a udirsi solo il gorgoglio proveniente dal corpo della creatura, che si affievolì fino a sparire. 

<< Stai bene? >> Fu il primo suono che tornò a risuonare nel vicolo. Seppure improvvisa, la voce dell’uomo era calma e profonda, e sembrava amichevole. 

La ragazza riuscì finalmente a staccare gli occhi dalla pozza nerastra che si allargava sull’acciottolato e guardò in alto il suo salvatore. Il ragazzo, perché non doveva avere più di una trentina d’anni, scavalcò il corpo riverso a terra e le porse una mano per aiutarla a rialzarsi, per poi esaminarla subito dopo in cerca di ferite. 

<< No, sto bene…fisicamente… mentalmente...devo riprendermi…questo, questo non è mio…>> disse con voce incerta riferendosi al sangue denso che le impiastricciava il cappotto. Fece un passo verso il ragazzo che stava rinfoderando la spada, ma si allontanò di scatto con un gemito non appena lo ebbe guardato in viso. La stavano guardando un paio di occhi da felino, due lunghe fessure nere circondate da iridi di un giallo acceso.  

Sorpreso dal movimento improvviso, anche il ragazzo fece un passo indietro, portando il peso sulla gamba destra, che cedette di colpo. Imprecando, sembrò ricordarsi solo allora del lungo artiglio spezzato che gli perforava la coscia da parte a parte, residuo dell’ultimo assalto.  

<< Ascolta >> le disse guardandola negli occhi ancora spalancati per l’agitazione e indicando la ferita << se mi occupo un attimo di questa cosa tu prometti di non scappare? Non c’è più nessun pericolo, me compreso. >> senza aspettare risposta si appoggiò al muro stringendo i denti e iniziò a trafficare in un astuccio che tintinnava colmo di boccette.  

Il ragazzo, assorto nella ricerca, frugava con le mani guantate, a capo chino. Era pallido come la morte e la fioca luce del vicolo gli dava un aspetto ancora più malato. I lunghi capelli spettinati sembravano neri nel buio ed erano impiastricciati dalla pioggia e gli si attaccavano alla fronte. 

Sembrava non aver trovato quello che cercava, perché imprecò di nuovo e scivolò leggermente con la schiena ancora poggiata al muro. 

Tirando su con il naso la ragazza prese una decisione. Si avvicinò al ragazzo e gli ordinò di sedersi a terra poco più in là, sotto una tettoia al riparo dalla pioggia. Era talmente decisa e risoluta che l’altro obbedì senza fiatare, lievemente incuriosito dal cambio repentino di atteggiamento. Lei le si inginocchiò di fianco e iniziò ad esaminare la ferita. L’artiglio aveva perforato completamente la parte più esterna della coscia, perforando la fascia muscolare e uscendo dietro.  Non era molto spesso, quindi si poteva estrarre senza troppi danni; bisognava però procedere con calma perché era tanto acuminato quanto fragile. Se si spezzava all'interno della gamba, poi sarebbe stato molto più complicato togliere tutti i frammenti. Si tolse il cappotto e inspirò profondamente. 

<< Mettici questo sopra >> le disse lui tendendole una mano. La boccetta aveva un forte odore di disinfettante, insieme a qualcosa che sembrava salvia, ma non ci avrebbe giurato. Fece come gli aveva detto e il ragazzo si irrigidì per un momento, poi poggiò la testa all’indietro, chiudendo gli occhi e prendendo fiato.  

La ragazza iniziò a tirare fuori lo spuntone lentamente e il più dritto possibile, i suoi movimenti erano tornati fermi e controllati. Il ragazzo stringeva i pugni fino a farsi sbiancare le nocche, ma a parte questo soffriva in silenzio.  

La paura e la stanchezza se ne erano andate completamente, adesso la mente della giovane era completamente concentrata su cosa andava fatto. Almeno per ora. Come a tirocinio, si diceva, niente di diverso. Doveva sistemargli la gamba meglio possibile perché, riteneva, non avrebbe potuto camminare molto in quello stato, e invece di strada doveva farne ancora parecchia, e trasportando un carico non indifferente: almeno una cinquantina di chili a peso morto, sempre che non l’avesse lasciata lì da sola in quel vicolo. Sperava di riuscire a rimanere concentrata fino alla fine, che l’adrenalina circolasse ancora per un po’. 

Con gli occhi socchiusi il ragazzo osservò la fasciatura che veniva applicata intorno alla gamba, e la spina sul marciapiede a fianco della sua spada. Si passò una mano sul viso e si rilassò; effettivamente aveva un tocco leggero. Era quasi un peccato doverla drogare, tanto più che era anche carina. Colto da un sospetto gettò un’occhiata alla tasca dei pantaloni dove teneva lo Stilnox, e confermando i suoi timori la trovò completamente lacerata. Nonostante la luce fioca gli bastò unocchiata perché trovasse i resti della boccetta che cercava, fracassati in un angolo del vicolo. Adesso non aveva più modo di farle dimenticare. 

 
<< Dovrei aver finito… ce la fai ad alzarti? Con calma, bene… ci vorrebbero
almeno un paio di punti penso, ma per quelli devi andare in ospedale… >> da semi-ubriaca, a vittima e infine a infermiera da battaglia in nemmeno un’ora, si disse gongolando. Aveva mantenuto la calma e aveva risolto tutto, ora che il pericolo era passato aveva solo bisogno di riposo. Si strofinò la faccia con una mano mentre lo guardava caricare poco alla volta il peso sulla gamba, guardingo.  

<< Ah, cos’era quella boccetta di anestetico? Sapeva da quelle… >>  

Lui fece un passo e le si avvicinò, allungò una mano guantata e le accarezzò la guancia. << Ti sei spalmata un po’ di sangue sulla faccia >> si giustificò mentre lei lo fissava con gli occhi spalancati, arrossendo violentemente. Questo fu troppo per lei. Le orecchie iniziarono a ronzare, grosse macchie nere le comparvero davanti agli occhi.  

Il ragazzo la vide vacillare sul posto e la fermò prima che cadesse, se la caricò in spalla con una smorfia e dopo aver riflettuto immobile per un attimo, iniziò a correre sotto la pioggia, con il suo fardello svenuto che sobbalzava. 

   
 
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