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Autore: Futureishere    10/07/2019    1 recensioni
Questa storia era presente sul mio vecchio profilo EFP, e ho voluto ricaricarla su questo.
"Storia partecipante al contest "In punta di pennello" indetto da Stainless_ sul forum di Efp".
Che si respiri per la prima volta in un'asettica camera o in una fetida baracca quello sarà comunque il primo respiro del mondo, un mondo che cambierà ma mai del tutto, ci si trascinerà sempre una stralcio mal ridotto di quel respiro.
*storia ispirata al dipinto "Cimitero dell'Abbazia Sotto la Neve" di C.D. Friedrich
Genere: Drammatico, Malinconico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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chi nasce solo

Chi Nasce Solo...



Una notte come quella sembrò riportare la pace tra gli uomini, ci si doveva rendere conto di quanto fosse immenso l'ignoto e quanto fosse scarso l'occhio umano.

C'era una grandezza tale nei paesaggi del quotidiano, il campo di grano ridotto a sterpaglie secche accanto alla capanna, l'insolito ma regolare crepitio degli steli d'erba a cui era stata tolta prematuramente la vita a causa delle mancate piogge autunnali.

Di fronte alla fatiscente abitazione un cumulo di neve ghiacciata perdeva goccia dopo goccia la sua consistenza, lasciando come unico ricordo una pozza circolare d'acqua limpida.

Nell'oscurità della notte i rami sovraccarichi di neve gelata si abbassavano silenziosi con pacata lentezza, come se al mattino non volessero farsi trovare meno maestosi del solito.

Da qualche settimana dopo una scarsa stagione autunnale l'inverno era arrivato senza avvisi, costringendo i volatili a emigrare e i mammiferi ad andare in letargo.

Il cielo aveva ceduto scaricando quantità cospicue di neve che con l'andare delle settimane avrebbe modificato il suo stato, per passare dal solido al liquido raffreddando in profondità la terra asciutta e stepposa dei terreni accanto alla capanna.

I fiocchi continuavano a cadere, anche in quel momento, di fronte alla vita che nasceva il tempo non si piegava, proseguiva secondo le sue regole, imperterrito.

Non è possibile dimenticare quell'istante, quello in cui si arriva fra il pianto e il dolore.

Chi da alla luce non può rimuovere tutto quello che la nuova vita lascia, i ricordi, i dubbi, una serie di emozioni raffazzonate troppo intense da riuscire a distinguerle con chiarezza.

Che si respiri per la prima volta in un'asettica camera o in una fetida baracca quello sarà comunque il primo respiro del mondo, un mondo che cambierà ma mai del tutto, ci si trascinerà sempre una stralcio mal ridotto di quel respiro.

Così fu anche per Edith, nata da un grembo sconosciuto e costretta ad interrompere bruscamente quell' assaggio di puro conforto materno.



-



La sconosciuta arrivò a destinazione senza imboccare mai un sentiero errato, con i capelli intrisi di fiocchi sciolti che come pesanti corde sfilacciate rimbalzavano ad ogni passo.

Rischiò più volte di cadere sulla fanghiglia melmosa a causa della veste troppo lunga e bagnata nella parte finale. Dalla fretta non aveva nemmeno pensato di procurarsi un cappotto o un soprabito per contrastare la nevicata che con il passare delle ore aumentava la propria intensità scaricando selvaggi fiocchi, sempre più consistenti e corposi. La baracca distava diversi chilometri dall'abbazia e già nell'alta stagione risultava piuttosto arduo riuscire a raggiungerla in due ore.

La donna arrivò davanti al massiccio portone di legno attorno alle cinque e mezzo del mattino, quattro ore dopo aver dato alla luce Edith.

Prese fra le mani quel bozzolo di lenzuola di lino e con un ultimo moto di puro affetto baciò la pallida fronte della neonata dormiente, per poi sistemare il corpo avvolto nella cesta.

Con mani umide e tremanti afferrò la busta nascosta sotto al corpo della piccola e la incastrò fra le pieghe soffici del telo che custodivano la giovane creatura, così che fosse ben visibile.

X Aidan”, così era stata marchiata, la x era stata sbavata dall'umidità ma il nome era ancora perfettamente leggibile, chiaro e pulito.

La lasciò davanti all'ingresso di quella antica abbazia che si ergeva sfiorando il cielo e con passo strascicato riprese la via del ritorno.

Non si preoccupò per la temporanea tempesta, a momenti il portone si sarebbe spalancato e l'abate a cui era assegnato il compito di dare inizio ad una nuova giornata e aprire le porte avrebbe visto quella piccola forma di vita che ora silenziosa sonnecchiava nel bozzolo in cui era stata disposta dopo la nascita.



-



Così fu, Aidan tirò come ogni mattina gli elaborati maniglioni aspettando la consueta boccata di aria gelata e umida che ogni volta lo lasciava senza fiato. Di fronte a lui giovani alberi si ergevano smaniosi di crescere, il bianco candore aveva ricoperto le ordinate scale che dalla viuzza rudimentale portavano all'ingresso dell'edificio. In un temporaneo frangente di smarrimento Aidan si chiese se un domani anche lui avrebbe potuto assistere alla crescita di quegli, ora deboli, arbusti.

Il presente era incerto tanto quanto il futuro ai suoi occhi, le certezze si infrangono pensò, e spariscono come se non fossero mai esistite.

Ogni tanto gli capitava a quell'ora di rimanere sul primo scalino dando le spalle all'abbazia, rivolgendo lo sguardo assonnato al territorio che delimitava l'edificio religioso, rimaneva immobile come un predatore che attende il momento giusto per divorare la sua preda con la tunica che a causa delle raffiche del vento incorporava aria allargandosi e assomigliando sempre di più ad un grosso telo steso ad asciugare al sole.

Anche durante il giorno lo faceva, si allontanava dagli altri abati e semplicemente scrutava quello che era distante, la sua terra natia ad esempio, la Svezia.

Di mattina quando il colore predominante era il blu si ricordava dei laghi accanto a dove abitava, la risata bassa di suo padre, le lunghe camminate fatte di ginocchia sbucciate e antiche melodie rassicuranti sussurrate dal genitore per asciugargli le lacrime.

Blu, come il soprabito di sua madre l'ultima volta che la vide, aveva quattro anni e dopo essersi svegliato di soprassalto a causa dello sbattere rumoroso di una porta aveva guardato alla finestra stropicciandosi gli occhi, aveva intravisto nel biancore della tempesta di neve che era in corso, una macchia blu, un blu scuro come quello che scende di sera per preparare il cielo ad ospitare le stelle.

Tutto quello che accadde dopo la sparizione di quella macchia blu fu devastante, per lui e per quello che una volta era il suo sorridente padre. Scrisse, implorò, cercò la sua giovane sposa ma lei era ormai in altre terre, troppo lontana per riuscire ad udire la crepa che con il tempo si era formata dentro suo padre, una crepa troppo profonda da riuscire a chiudere, fu tutto inutile infatti. Suo padre morì qualche anno dopo all'interno di quel lago che aveva ospitato i suoi ricordi d'infanzia e che ora gli tornava alla mente sotto una luce del tutto diversa, durante il periodo invernale, quello in cui persino la pioggia che scendeva era ghiacciata in Svezia, l'uomo si buttò infrangendo con un rumore stridulo lo spesso strato di ghiaccio, lasciandosi affogare.

Quelli che seguirono furono anni confusi, come ricoperti da un sottile strato di fumo, compagnie discutibili e conoscenze che lo portarono proprio lì, in Germania, come abate.

In quell'imponente edificio che per mano di uomini devoti era sorto in una zona ora piuttosto pericolosa della Germania, una zona contesa, un luogo che in origine rappresentava la purezza dello spirito, l'isolamento come unica via per capire se stessi, un credo costruito sulla morte di centinaia di uomini.

Durante questa ultima riflessione gli parve di udire una specie di vagito rimbombare nel silenzio dell'alba.

Spostando lo sguardo verso il basso fece la grande scoperta, una giovane creatura, che ora con il setoso nasino arrossato aveva iniziato a tremare.

Aidan dopo un momento iniziale di sbigottimento si chinò per prendere tra le braccia l'infante, nel farlo dal bianco telo che lo avvolgeva cadde quella che a primo sguardo gli sembrò una lettera.

Prese il bozzolo con un braccio e con l'altro chinandosi afferrò la busta bianca, quando lesse il nome del destinatario per poco non inciampò in avanti.

Con frenesia afferrò la cesta e con la lettera ancora in mano e l'infante premuto contro il petto si incamminò verso il suo alloggio, nel percorso fece attenzione a non svegliare i compagni che comunque da lì a poco avrebbero abbandonato il giaciglio.

Raggiunse la sua stanza e con estrema delicatezza appoggiò la cesta sopra il letto singolo incastrato nel mogano scuro, si sedette alla rudimentale scrivania e afferrò con entrambe le mani la lettera.

Non avrebbe rivelato il contenuto di quella fino al momento opportuno, solo due persone avevano il diritto di venire a conoscenza di quella misteriosa risoluzione contenuta in quelle pagine, assieme alle sbavature e agli errori.

Due persone, lui e quell'indifesa creatura che ora si stava svegliando.



6 anni dopo



Il rumore sordo di un calcinaccio che si schiantava contro il pavimento diede inizio a quel glaciale giorno d'inverno.

Per quella elaborata abbazia che nel corso degli anni aveva dato rifugio, garantendo un tetto solido sulla testa e un pasto caldo, a centinaia di viaggiatori sperduti, gli anni passavano rubando stabilità a quella vecchia struttura, una meraviglia del passato che si trascinava in un moto lento nel tempo cercando di celare i segni della sua debolezza.

L'alta cupola nelle giornate primaverili sembrava sfiorare i bordi delle nuvole, le accarezzava con quiete vedendole passare, ogni nuvola aveva il suo corso come il tempo e quel sacro nido domandava pietà al tempo, lo pregava di farlo resistere per dare ancora alloggio ad anime sperdute in cerca di conforto.

All'interno quel rumoroso pezzo di soffitto giaceva a terra davanti all'altare.

Il legno malconcio delle panche bucherellate dalle tarme emetteva qualche scricchiolio che rimbombava nello spazio vuoto dell'edificio principale del''abbazia, la chiesa.

Alle spalle dell'altare bianco gesso si innalzavano lunghe tre vetrate composte da piccoli vetri disposti a mosaico che raffiguravano in quella centrale Gesù figlio di Dio, in quella a sinistra San Benedetto fondatore dell'ordine benedettino da cui nacque l'ordine Cistercense e infine in quella a destra la Madonna irradiata a quell'ora del mattino di una luce eterea e impalpabile.

Sotto alle estese vetrate una croce massiccia di marmo bianco sostava immobile dall'ultimo giorno della costruzione.

Ai lati dell'edificio principale due ali di differenti lunghezze si stagliavano ricoprendo i dormitori e la biblioteca, queste braccia si univano in una gentile stretta ospitando il refettorio.

All'interno di questa stretta lineare si presentava sotto il cielo invernale il chiostro, un luogo rassicurante all'aperto che gli abati utilizzavano per respirare aria nuova e leggere, sopratutto nelle giornate estive, in cui sostare per ore all'interno di quella cupa biblioteca era un compito assai arduo anche per l'abate più devoto.

Al di fuori di questo scomposto rettangolo si ergeva la foresteria, un edificio resistente come una stalla ma dall'aspetto di una modesta casa dell'epoca, lì sostavano i forestieri, coloro che venivano temporaneamente accolti fra le braccia dell'ospitalità.

L'abbazia non aveva protezioni, era un luogo di pace in cui gli abati che si dedicavano alla ricerca della fede isolandosi dal resto del mondo non immaginavano di poter essere attaccati.

A Greifswald era in corso una battaglia silenziosa e forse l'abbazia era troppo emarginata dal resto del paese per potersene accorgere.

L'onda del pericolo che stava crescendo in quegli anni non poteva arrivare lassù, all'interno di quegli oscuri corridoi e vacui spazi.

L'abate Alexander fece un sospiro malinconico e con non poca difficoltà raccolse il calcinaccio, il suo primo approccio era quello fatalista e non poté fare a meno di pensare che prima o poi tutto avrebbe fatto il suo corso, sarebbe crollato tutto, in mille pezzi, non c'era nulla da fare.

Aidan si era già occupato del portone principale ed ora mattiniero come sempre, sostava accanto alle scalinate con in mano un vecchio taccuino di pelle marrone scuro e una matita piuttosto corta, notò Alexander.

Buongiorno fratello Aidan.” Disse l'uomo avvicinandosi sempre di più al giovane dal portone della chiesa.

Aidan dal canto suo, assorto com'era nei suoi pensieri dallo stupore nel sentire improvvisamente quella voce fece cadere la matita logora.

Ah, fratello Alexander buongiorno.”

L'uomo si toccò la barba bianca e ispida, buttò il calcinaccio all'interno di un rudimentale secchio di pietra scheggiato e chiese:

Cosa ti turba Aidan?”

Nulla, apprezzo la solitudine e non potrei immaginare un momento migliore della giornata per sostare qui con il mio fedele taccuino a pensare.”

Aidan non appena vide Alexander avvicinarsi con l'intenzione di posizionarsi al suo fianco chiuse il taccuino senza dare troppo nell'occhio.

Alexander era un un uomo piuttosto alto, da quando Aidan l'aveva incontrato portava una folta barba bianca che con l'andare dei mesi si allungava di qualche centimetro.

Aveva un carattere che a primo approccio avrebbe potuto confondere e renderlo cinico agli occhi di un ipotetico interlocutore, in realtà era solo indifferente.

La sua vita era stata un'avventura lo ripeteva sempre e dopo aver superato la mezza età si era ritirato , voleva astenersi dai problemi quotidiani, dedicare il tempo che gli rimaneva alla fede e a se stesso.

Alexander sai oggi è il compleanno di Christopher. Pensavo potremmo allestire un piccolo banchetto nel refettorio e celebrare assieme questo momento.”

E' una buona idea, quel bambino merita di festeggiare nel modo giusto il suo sesto anno di vita, vado a svegliare gli altri fratelli.”

Io vado a controllare se abbiamo l'occorrente per il tutto.”

Sì è una buona idea, pensò il giovane incamminandosi infreddolito all'interno della chiesa, Edith lo merita, dopo tutto quello a cui la sottopongo.

Non passava giorno in cui Aidan non si sentisse colpevole per quello che stava facendo, si ripeteva che era l'unico modo, ma costringere una bambina a vivere in un luogo così poco adatto alle giovani menti selvagge e sotto una falsa identità per giunta gli pesava come un sacco di pietre sul collo.

Edith non sarebbe potuta rimanere lì se non con una finta identità, potevano ancora accettare un bambino ma una bambina no, all'interno di un ordine monastico maschile era impensabile.

Lui doveva proteggerla, non poteva perderla, era l'unico vero legame che gli rimaneva.

Edith aveva gli occhi chiari come il cielo limpido del mattino e i capelli castani che lui puntualmente le tagliava di una lunghezza piuttosto corta per non far insospettire gli abati.

La bambina desiderava tenerli lunghi, provava a convincerlo ogni volta, lo pregava di lasciarli crescere voglio che mi arrivino ai piedi!” esclamava.

Sorrise a quel pensiero, un sorriso amaro pieno di dolore e incertezza.

Avrebbe voluto andarsene, prendere Edith e scappare verso la Svezia, avrebbe potuto tornare a casa, assaporare di nuovo il profumo della sua terra ma non glielo avrebbero lasciato fare.

Si diresse verso il refettorio dopo aver infilato il taccuino di pelle nella soffice tasca della tunica, a metà del corridoio pensò di raggiungere il refettorio per controllare che Edith fosse ancora nel mondo dei sogni e per avvertire gli altri forestieri dell'evento.

Qualche ora dopo tutti sedevano ai tavoli di legno pesante del refettorio, un ambiente poco illuminato e piuttosto tetro nelle ore notturne, ora brillava di una luce naturale, le portate disposte in ordine sul tavolo bislungo utilizzato per il banchetto attendevano di essere assaporate, le risa degli uomini rallegravano l'aria infausta della stanza.

Edith avrebbe ricordato quel giorno per anni, Aidan che le sorrideva e le faceva gli auguri, Alexander che la prendeva in braccio con la delicatezza e la familiarità di un nonno commosso dalla crescita del suo nipotino.

Leon un forestiero come lei agli occhi degli abati, che da anni soggiornava nella foresteria assieme a ella, un giovane sempre allegro e pimpante con una camminata veloce e uno sguardo vivace.

Veniva dalla Francia, nessuno era a conoscenza del suo passato, gli abati avevano accettato di ospitarlo sotto il tetto sacro come facevano con ogni straniero, con un sorriso bonario e senza fare troppe domande.

Agli occhi di Edith Alexander era come un nonno saggio e anziano che con il passare degli anni aveva optato per una vita lenta, poco movimentata, uno stile di vita in cui nulla andava troppo veloce per poterlo afferrare.

Leon invece assomigliava ad un fratello maggiore, i capelli castani come i suoi che nei pomeriggi primaverili sobbalzavano sospinti da raffiche briose di vento, gli occhi scuri illuminati da una luce naturale in ogni momento della giornata, quel suo modo di fare sempre giocoso e selvatico.

Aidan invece era un padre per lei, un solido piedistallo che le donava sicurezza e stabilità.

Si appoggiava a lui, sempre, era la prima persona di cui sentiva il bisogno non appena si svegliava al mattino, avvertiva una stretta scomoda allo stomaco che la costringeva a correre da lui ogni volta.

La sorprendeva in ogni più piccolo gesto, lo sguardo dolce che le rivolgeva prima di chiudere la porta della sua ristretta camera nella foresteria, la pazienza con cui le aveva insegnato tutto, ad ogni domanda corrispondeva sempre una soave risposta che lei accettava fidandosi con spontanea sincerità, una fiducia che solo i bambini sanno donare.

Si domandava come un ragazzo così pensieroso e solitario potesse rivelarsi così capace nei rapporti con gli altri, sopratutto con lei.

Non lo sopportava quando la costringeva a fare silenzio, le tagliava i capelli corti o le negava la lettura di quella lettera che tanto gelosamente custodiva in un vecchio comodino al fianco del suo letto singolo nel dormitorio.

Voleva conoscere il contenuto di quello scritto ma lui le ripeteva sempre con tono morbido quando crescerai, potrai leggerla” così lei raccoglieva le braccia incrociandole sul petto, voltava il viso dall'altra parte e tirava la bocca in una specie di espressione ferita.

Lui successivamente per farsi perdonare le portava una porzione in più di torta, la maggior parte delle volte la sua stessa fetta, e rimaneva con lei fino a tarda notte raccontandole le fiabe a cui era più affezionato.

Alcune volte avvertiva una sensazione strana, come se lei e Aidan fossero legati e per motivi ignoti fossero intrappolati lì assieme.

Non era ancora arrivata a domandargli per quale motivo il ragazzo a cui era così vincolata avesse scelto quella vita, non sembrava mai essere presente del tutto alla messa o ai momenti di preghiera, lo vedeva distratto, si guardava attorno e cercava sempre con lo sguardo qualcosa di poco definito come se volesse perlustrare ogni millimetro di ogni ambiente dell'abbazia.

Edith avrebbe voluto prenderlo per mano e trascinarlo via, le piaceva stare lì con Alexander, Leon, gli altri abati che in maniera più o meno simile avevano imparato a volerle bene pur non conoscendo la sua vera identità, ma dal portone della chiesa il mondo sembrava così grande.

C'era così tanto da vedere, quando di mattina le capitava di svegliarsi all'alba raggiungeva Aidan sulle scalinate di pietra e assieme a lui mirava il profilo della città sotto la luce debole delle prime ore mattutine.

Lui a volte le raccontava della Svezia e lei con gli occhi lucidi immaginava di attraversare immense praterie, di salutare anziani paesani, di ammirare il cielo svedese che dai racconti di Aidan era di una chiarezza cristallina quasi fiabesca.

Quel giorno d'inverno dopo aver celebrato il suo sesto anno di vita Edith si era incamminata con Aidan fuori dal territorio dell'abbazia, rimanendo pur sempre nelle vicinanze.

Lui dopo averla coperta con un soprabito piuttosto pesante e massiccio, le aveva preso la mano e con un occhiata amorevole le aveva chiesto:

Ti va se andiamo a fare una passeggiata?”

Certo!” Aveva risposto la bambina.

Camminavano con lentezza seguendo linee immaginarie fisse, Edith camminando si guardava i piedi rinchiusi all'interno del paio di scarponcini neri che indossava solitamente d'inverno, affondavano con il tipico rumore di una crepa negli steli d'erba ghiacciati.

Quell'inverno non aveva ancora nevicato e ogni mattina la piccola si svegliava sperando d'incontrare manciate di fiocchi freschi quel giorno, ma fino ad allora il tempo non aveva voluto saperne.

Aidan le teneva ancora la manina, gliela stringeva con sicurezza ma senza stringere troppo.

Stavano ripercorrendo circolarmente il perimetro dell'abbazia per la quarta volta quando Edith decise di porre quella fatidica domanda, l'aveva conservata per troppo tempo, voleva venire a capo di questo dilemma che la attanagliava.

Aidan, ma perché non te ne vai da qui?”

Il ragazzo si voltò verso di lei e si fermò di colpo in mezzo all'erba.

Che cosa vuoi dire?”

Mi sembra sempre che tu non voglia stare qui, mi parli sempre della Svezia, di come sarebbe bello poter tornare a casa, di quanto ti manca il cibo svedese, il clima, insomma non ti vedo bene qui.

Poi mi sembri sempre così distratto, come se stessi pensando ogni minuto ad altro rispetto a quello che stai facendo.”

Edith si aspettava una lunga risata, dal modo in cui gli aveva posto la domanda e da come lo stava guardando sembrava che si stesse facendo gioco di lui.

In realtà non sapeva come porgli questo quesito quindi aveva optato per un tono e un'espressione piuttosto giocosa, nulla di troppo drastico.

Aidan la guardò negli occhi per un tempo indefinito, aveva le labbra leggermente incrinate come se il suo sorriso si fosse congelato ancor prima di comparire sul volto.

Lei nel frattempo sbatteva ripetutamente le palpebre domandandosi sempre più imbarazzata se era il caso in quel momento di fare quella domanda inopportuna, poi lui si ridestò e piegò le labbra in un palese sorriso.

Vuoi la verità Edith?”

Le aveva mentito fin troppo, la costringeva a vivere rinchiusa lì con lui e una trentina di abati solo perché era convinto di proteggerla celandole la verità, almeno su questo poteva essere sincero.

La bambina annuì.

Io vorrei andarmene da qui ma non posso farlo e non posso dirti perché, devi fidarti di me.”

Ma perché non puoi?” Edith gli aveva tirato la mano come per pregarlo di dirle tutto.

Non posso, quando crescerai te lo dirò.”

Quando crescerò, non fai altro che dirlo, io voglio conoscere la verità ora!”

La bambina aveva alzato la voce calpestando con gli scarponcini l'erba ripetutamente per ribadire la sua posizione.

E tu?” Sussurrò il ragazzo.

Edith si fermò e lo fissò con gli occhi spalancati e un'espressione confusa sul volto.

Io cosa?”

Tu, vuoi rimanere qui?”

Da ogni particolare capiva che la domanda che lui le aveva posto era della massima serietà, ad Aidan importava per davvero di ciò che lei desiderava, lo vedeva dagli occhi di lui che ora erano tornati seri, dal suono della voce del giovane che non aveva più tracce di leggerezza.

Non lo so. Voglio bene ad Alexander, Leon, anche a tutti gli altri e mi sento al sicuro qui ma vorrei esplorare il mondo, vorrei viaggiare, andare in Svezia, in Spagna, in Inghilterra, ovunque.”

Il giovane si chinò per posizionarsi alla stessa altezza della bambina che ora con incertezza lo guardava abbassarsi domandandosi per quale motivo le avesse posto quella domanda.

Allora ti faccio una promessa. Ti prometto che prima o poi ce ne andremo da qui, assieme.”

Davvero?”

Te lo prometto.”

Il ragazzo allungò le braccia e per qualche minuto rimasero abbracciati, Aidan con le ginocchia sull'erba gocciolante e Edith stretta a lui con le braccia corte che gli circondavano il collo.

Edith avrebbe ricordato quel giorno per molti anni, perché passarono giorni, settimane e poi anni.

Alcuni di quei giorni si trascinavano lenti come lumache sguscianti mentre altri allietati dall'allegria degli amici volavano come piume al vento.



-



Non fu semplice crescere sotto un nome che non le apparteneva e genere che non era il suo. Malgrado ciò Edith si fece trasportare dal tempo, ripercorse i corridoi dell'abbazia innumerevoli volte fino a conoscere con esattezza ogni più piccolo difetto, un puntino sul muro, una leggera crepa sul soffitto, una vecchia insenatura con dipinti semplici che perdeva pezzi di colore e assomigliava sempre di più ad un puzzle. Vide gli alberi crescere, notò la piega di ogni singolo albero, l'ingrossamento di ogni tronco. Incontrò ogni straniero che nel corso degli anni si era presentato alla porta per chiedere aiuto, salutò gli abati che lasciarono la vita terrena ispirando un ultima volta.

Annusò l'aria del pericolo che raggiunse ad un certo punto anche l'abbazia, quella parte di territorio non era più stabile e si sentiva nell'aria, c'era una specie di pulviscolo che aleggiava in tutta l'abbazia, un sentore pregno di tensione.

Attraversò il chiostro, il suo luogo preferito dopo la biblioteca, innumerevoli volte, sotto agli archi canticchiava motivetti sussurrati e quando nessuno era nei paraggi ruotava armoniosa facendo increspare i pantaloni maschili da forestiero che era costretta a indossare.

Nelle serate estive trasportava quantità esagerate di opere letterarie dei più svariati generi nella sua camera e li posizionava sulla scrivania accanto ad una piccola pila di taccuini scribacchiati, passava le notti a leggere e quando in biblioteca non c'era nessuno riportava i titoli che aveva preso, li infilava nella spaziosa camicia bianca e li rimetteva con assoluto silenzio a posto.

Ogni tanto Leon la raggiungeva e parlavano per ore, aveva per esempio scoperto che quel giovane francese era scappato dal suo paese per diversi problemi con la legge, era innamorato di una giovane borghese dagli occhi verdi come le foglie che germogliano a primavera e le labbra setose come i petali di una rosa.

Si chiamava Elizabeth ed era la promessa sposa di un importante proprietario terriero che manovrava gran parte delle colture della sua regione, Leon ed Elizabeth erano stati amanti ma quando il marito si accorse del tradimento subìto giurò di catturare il giovane con le proprie mani e ucciderlo con tutta la ferocia di cui era capace, così Leon fu costretto a scappare.

Aveva persino elaborato un dipinto di Elizabeth, che aveva realizzato con cura e devozione, e ogni sera prima di coricarsi pregava Dio di fronte a quel ritratto per potersi ricongiungere con la sua amata un giorno non troppo lontano.

In quegli anni Edith aveva conosciuto quasi ogni abate sempre mantenendo l'identià di Christopher, ed era a conoscenza di parecchi dettagli sulla loro vita personale.

Si intratteneva a parlare con loro e ogni volta che qualcuno le domandava da dove venisse lei rispondeva abbassando il capo e sussurrando “non lo so”.

Più i giorni passavano e più si sentiva a disagio in quegli umidi corridoi, gli scricchiolii notturni tipici delle vecchie strutture la obbligavano a svegliarsi, erano colpi secchi alcune volte come se la foresteria e il resto della struttura stesse cedendo pian piano.

Nutriva ancora il desiderio di andarsene ma a differenza degli anni precedenti ora era a conoscenza di cosa spingeva questa sua scelta, voleva sapere chi era.

Da dove veniva, chi era sua madre, se era ancora viva, perché l'aveva lasciata in quel mattino d'inverno davanti a quell'antiquato portone.

Voleva scoprirlo e questo desiderio che ardeva era diventato l'argomento più discusso fra lei e Aidan, lui che le diceva di aspettare ancora qualche anno e lei che lo pregava di lasciare tutto e fuggire.

Pensava di tornare un domani all'abbazia, ricongiungersi con gli amici di un tempo ma aveva bisogno di risposte e quelle che cercava non erano lì.

Non sapeva che non sarebbe potuta tornare mai più fra quegli odori stantii del legno vecchio e l'oscurità lugubre delle stanze silenziose.





10 anni dopo





Non c'era nessuno nei paraggi, l'eco dei ritmici passetti di Edith rimbombava in quell'ala dei dormitori.

Nel mezzo di quell'assolato pomeriggio estivo ogni abate era distante, chi leggeva seduto sulle panchine color mandorla del chiostro, chi coltivava il proprio pezzetto di orticello, chi era intento a preparare le pietanze per la cena e chi era a fare l'inventario delle provviste nell'area del magazzino.

Aidan aiutava altri due abati con le provviste e per la prima volta si era dimenticato la porta della sua cara stanzetta aperta.

Portava sempre con sé la chiave come se ci fosse qualcosa di misterioso dentro quella camera, qualcosa da non rivelare a nessuno.

La sera prima lui e Edith avevano avuto il loro primo litigio, lui non era più l'amico dolce e fedele che lei ricordava e lei non era più così ingenua e paziente, erano cambiati entrambi in quegli anni.

Lei insisteva con il volersene andare e lui particolarmente adirato aveva concluso la discussione sbattendole in faccia la porta della camera di Edith nella foresteria, dopodiché la ragazza aveva tentato un inseguimento precipitandosi di corsa verso la porta, spalancandola, ma Aidan si era già allontanato e con passo fulmineo stava raggiungendo i dormitori.

Con il tempo Edith aveva iniziato a nutrire dei sospetti nei confronti del ragazzo, si comportava in modo troppo sfuggevole, le nascondeva i suoi taccuini, non le lasciava vedere nulla che fosse custodito nella sua camera.

Così quel giorno approfittando della sua assenza, Edith decise di venire a capo di quell'enigma, entrò nella camera da letto di Aidan e si mise a cercare la lettera.

Sapeva che la custodiva sotto un plico di vecchi libri nell'ampio scoparto del vecchio comodino in legno di ciliegio.

Aprì lo sportello e ad uno ad uno spostò i libri cercando di non fare troppo rumore, sapeva di essere sola ma non voleva rischiare.

Dopo aver impilato l'ultimo libro nella torre che stava formando sul pavimento scorse la carta rovinata della lettera, deve averla letta miriadi di volte pensò Edith.

Afferrò con entrambe le mani la lettera e continuando a guardarla si sedette sul letto rifatto di Aidan.

Le tremavano le mani e sentiva una forte pressione sul petto, fin da piccola aveva nutrito una certa curiosità nei confronti di quella lettera, il ragazzo gliela aveva tenuta nascosta così a lungo che ora non poteva credere di averla tra le mani.

Fece dei piccoli respiri continui, si mise comoda sul letto e ignorando il forte senso di colpa per quel gesto subdolo aprì quel tanto agognato foglio:



Caro Aidan,

avrei desiderato iniziare questa lettera pregandoti di perdonarmi per il ricordo che hai di me, per quello che ho fatto e per l'enorme responsabilità che ora ti sto riversando sulle spalle.

Ma sono cosciente del fatto che non c'è perdono per me e che non potrai mai comprendere del tutto i miei gesti.

Io non posso prendermi cura di questa bambina, sono gravemente malata e il tempo a mia disposizione scarseggia, la povertà nella quale mi ritrovo a sguazzare da anni non mi permette di crescere una bambina.

Avrei voluto chiederti aiuto tempo fa ma dopo quello che è stato non ho avuto il coraggio di presentarmi davanti a te.

Ti chiedo aiuto ora però, ti supplico di prenderti cura di questa indifesa creatura come io non ho fatto con te e come non potrò fare con lei.

Inoltre ti supplico di perdonarmi o di tentare di farlo, perdonami per essermene andata così barbaramente e aver abbandonato te e tuo padre per un altro uomo che non è stato in grado di darmi nemmeno una manciata dell'amore che mi ha donato il tuo defunto padre.

Avrei voluto tornare ma dopo la sua morte sapevo che tu non mi avresti mai perdonata e sono stata una codarda ma ho preferito fuggire qui in Germania.

Una domenica andando a messa ti ho visto, ti ho riconosciuto subito tesoro e non so come esprimere il grande sollievo che ho provato nel vederti vivo e nel sapere a chi avrei affidato questa giovane creatura.

Io non sono mai stata brava con le parole, nemmeno con i gesti ma credimi quando ti garantisco che nessuna mia azione è mai stata volta a farti del male, non volevo lasciarti solo ma mi sono innamorata di quest'uomo, era un amore talmente forte che mi ha trasportata altrove e mi sono dimenticata di tutto l'amore che già avevo.

Come ti dicevo non c'è scusa per ciò che ho fatto, ti chiedo però di non addossare le mie colpe a questa bambina che merita un'educazione ed un affetto che sono certa tu saprai donarle.

Addio Aidan figlio mio,

Con profondo affetto e speranza,

Tua madre.”



In lacrime Edith ripiegò quel foglio ingiallito di carta e lo buttò con noncuranza sul pavimento per poi lasciarsi cadere del tutto sul letto.

Si coprì il volto con le mani e pianse sommessamente cercando di non fare troppo rumore che potesse attrarre l'attenzione.

Le aveva mentito, per tutti quegli anni lui le aveva celato la verità, le suo origini, il loro legame, tutte quelle risposte alle domande fatte un numero esorbitante di volte, nel silenzio della biblioteca o sotto ai raggi di sole splendente che trapassavano i rami degli arbusti temprati dal tempo.

La ragazza ancora con il volto nascosto avvertì un forte capogiro e fu felice di essersi sdraiata sul letto perché altrimenti senza alcun dubbio sarebbe crollata sul pavimento, inerme.

Il contenuto di quella lettera era troppo forte, troppi segreti venivano svelati contemporaneamente ed Edith non sapeva se provare rabbia verso il riscoperto fratellastro o disperazione per la defunta madre.

Perse la concezione del tempo e per poco quasi non si addormentò, poi come risvegliatasi da forze misteriose si raddrizzò sul letto, appoggiò i piedi sul pavimento di pietra e si alzò abbandonando il giaciglio.

Con gli occhi rossi e intrisi di un pianto ora silenzioso, raccolse la lettera e la risistemò al suo posto sul fondo dell'antro per poi schiacciarla sotto alla pila di libri.

Diede un ultima occhiata alla stanza di Aidan, non tanto per controllare di non aver spostato nulla, quanto per necessità sua.

Non le importava di aver lasciato eventuali segni della sua permanenza in quella zona perché prima o poi avrebbe dovuto affrontare Aidan, voleva conoscere i motivi della sua scelta, perché aveva deciso di non dirle la verità in tutti quegli anni.

Decise di parlargli quella sera stessa, dopo la cena nel refettorio l'avrebbe condotto fuori con la scusa di una tranquilla passeggiata serale.

Così fece, dopo una cena a base di zuppa di verdure, insalata di ceci e dolce di marzapane, preparato dalle mani pazienti e affusolate dei due abati addetti alla cucina, Nikolas e Gerd si avvicinò a Aidan e sorridendogli con aria innocente gli chiese se voleva fare una chiacchierata con lei al di fuori delle mura.

Il ragazzo titubò per un attimo, dopo la loro precedente lite gli sembrava strano un invito simile, Edith era una giovane orgogliosa e rancorosa, infatti ogni volta toccava a lui farsi avanti per una possibile riconciliazione anche per il più piccolo torto e considerato che quella della sera prima era la loro prima lite a maggior ragione non capiva cosa stava accadendo.

Decise comunque di accettare, non poteva sopportare di avere qualcosa in sospeso con lei.

Nella temporanea frescura serale che raffreddava i terreni resi calorosi dall'afa giornaliera, i due camminavano a pari passo senza premura godendo della sfacciata brezza.

Come anni prima nessuno dei due per un arco piuttosto lungo di tempo proferì parola, i loro occhi erano impegnati ad ammirare il boschetto che si stava formando tutt'attorno con le larghe foglie verde smeraldo che danzavano briose e i tronchi che solidi e robusti come uomini temprati dalle fatiche si ergevano imponenti.

Perdonami per ieri sera, per il modo in cui mi sono comportato.”

Ad un certo punto la voce scura e bassa dell'uomo interruppe il flebile racconto del vento.

Edith voltò il capo e per una frazione di tempo incredibilmente breve provò tenerezza per lui, per tutto quello che aveva passato in giovane età, poi il morso feroce della rabbia si impossessò di lei e la tenerezza si trasformò in avversione.

La ragazza dai capelli castani decise che era inutile rimandare l'inevitabile, forse il fatalismo di Alexander l'aveva contagiata più di quanto pensava, così si fermò.

Riusciva ad avvertire le mani, che ciondolavano accanto al busto, tremare sempre più in un crescendo che da lì a poco sarebbe scoppiato senza lasciare più nulla.

Non riusciva a sostenere lo sguardo di Aidan così decise di focalizzarsi su un punto indefinito del suolo ricoperto da giovani steli d'erba.

No. - si fermò sentendo gli occhi pizzicare il ventre esploderle di tensione – Non posso perdonarti, non posso farlo. Dopo tutto quello che mi ha nascosto per tutti questi anni non posso.”

Dopo aver terminato la frase una lacrima iniziò a solcarle il viso ed Edith la sentì scivolare di poco sulla pelle a causa del venticello che in quel momento aveva intensificato le sue raffiche.

Aidan sbarrò, senza rendersene conto, gli occhi fissandola con stupore e paura.

Capì che lei aveva letto quella maledetta lettera.

Sapeva che quel momento sarebbe giunto prima o poi ma sperava in uno svolgimento differente, lo aveva colto alla sprovvista e lui non sapeva nemmeno cosa dire.

Io...”

Perché non mi hai detto la verità?” La ragazza piangeva lacrime di delusione che cadevano ad un ritmo regolare attraversandole la guancia per poi bloccare il loro percorso al limite del viso.

Da lì cadevano a terra nutrendo la terra bollente.

Perché Aidan?”

Lui sempre più agitato e in difficoltà la guardava senza sapere cosa fare, seguiva il percorso delle lacrime realizzando a poco a poco che ognuna di loro simboleggiava metaforicamente ogni volta in cui lui le aveva mentito.

Avrebbe dovuto dire qualcosa ma era come ipnotizzato da quelle gocce pregne di odio forse giustificato, pensò.

Io non potevo dirtelo.”

Le parole gli uscirono come una ninna nanna sussurrata, il senso di colpa lo attanagliava come un serpente che stringe la povera vittima fino a ucciderla.

Non ti perdonerò mai per questo.”

La ragazza pronunciò quelle ultime parole come un addio e con gli occhi gonfi e le labbra rosso ciliegia scappò via verso la foresteria.

Non poteva sopportare ancora la sua presenza, le faceva troppo male.

Aidan la guardò scappare via devastato da un turbine di rassegnazione e repulsione verso se stesso, Edith ha ragione pensò, non si può perdonare un fratello per un torto simile.

Prese una decisione quella stessa sera, si diresse verso la propria stanza e con il viso devastato e il cuore trafitto decise di farla finita.

Era intrappolato lì in quell'abbazia, costretto ad una vita che non voleva più condurre, era rimasto in vita tutti quegli anni per lei, non voleva lasciarla sola al mondo, ma ora quella forza rappresentata dalla ragazza che lo spingeva ogni giorno a sopportare, era venuta meno.

Recuperò una vecchia corda che conservava all'interno del tetro baule di legno ai piedi del letto, l'avrebbe utilizzata anche anni prima se non fosse stato per quel sorriso dolce e quegli occhi puri.

La legò alla stecca ferrosa di rinforzo sul soffitto, utilizzò un piccolo supporto di legno tarlato per raggiungere quel cappio sfilacciato e si lasciò cadere.



-



Quello che venne dopo nessuno può raccontarlo con precisione.

Nel taccuino del giovane non venne riportato più nulla, quindi si ipotizza che il tragico crollo sia avvenuto nell'anno 1632 attorno al mese di agosto.

Le spie svedesi non ricevendo più contatti con il loro infiltrato dopo la sua morte decisero che era giunto il momento di attaccare, senza pietà alcuna neppure per gli abati che trascorrevano dopo la morte del ragazzo la loro vita all'interno dell'abbazia, rinchiusi nella preghiera .

Una settimana dopo la morte di Aidan infatti le truppe scandinave con estrema ferocia raggiunsero la cittadina di Greifswield che fu dilaniata da saccheggi, uccisioni di massa e torture spietate.

L'abbazia fu abbattuta con l'utilizzo di cannoni da guerra che come enormi balenottere solcavano il cielo rilasciando palle di un nero pece sopra alle vecchie mura, facendo tremare la terra e crollare la fede.

Quelle fedeli strutture che per anni avevano protetto gli uomini crollarono rovinosamente inchiodandoli a terra in una morte veloce e troppo precipitosa, le vetrate segno di un intoccabile credo si frantumarono in stridenti urla prolungate che cessarono solo quando ogni più piccolo vetro colorato raggiunse il pavimento ricoperto di polveri.

La cupola che toccava il cielo sprofondò causando un frastuono agghiacciante, le pietre con cui era stata innalzata quella struttura cadevano come frutti maturi dai rami degli alberi, il pavimento in pietra si frantumò in alcuni pezzi formando crepe asimmetriche e profonde.

Dagli scaffali della biblioteca antichi tomi di carta spiegazzata raggiunsero il suolo ricadendo su se stessi, alcuni lasciando le mensole altri soffocati dalla struttura di legno che per anni li aveva ospitati.

Gli archi morbidi del chiostro vibrarono rimanendo però incrollabili cercando di conservare un minimo di resistenza che a causa dei continui colpi venne meno costringendoli ad accartocciarsi poi su stessi per poi sprofondare a terra trascinando con loro l'intera struttura che a pezzi irregolari era rimasta in piedi.

La foresteria venne schiacciata al suolo per ultima, bastò un colpo per farla appiattire del tutto, i muri diventarono un agglomerato di fumo che salì in aria, il mobilio contenuto all'interno sotto il peso del tetto e della funesta palla del cannone si spaccò con una facilità fuori dal comune.

Per poco si udirono le urla delle anime intrappolate in quell'instabile rifugio, ognuna di loro venne zittita da un tonfo tombale che si trascinò dietro la vita di tutti loro, il profumo della religiosità di quel luogo e l'imponenza del tutto ridotta a miseria.

Decine di corpi furono rinvenuti e i tedeschi si occuparono di dare loro una degna sepoltura.

Ogni bara fu trasportata con rispetto e riverenza all'interno di quelle umide rovine che ora scoperchiate si ritrovavano a combattere con i fattori atmosferici.

Ci volle tempo per tutte, si decise perfino di seppellire momentaneamente i corpi per poi riportarli alla luce mesi dopo nell'aria funerea dell'inverno dove vennero attuati i riti adeguati poi sistemare ognuno sotto il proprio strato di terra nevosa.

Furono chiamati alcuni vescovi e alcuni preti dalla cittadina vicina, riuscita a sfuggire alla ferocia delle truppe svedesi stroncate da quelle tedesche, per celebrare la messa e accompagnare ogni defunto nell'aldilà dopo mesi di attesa.

Edith sarebbe dovuta partire il giorno dopo il crollo, senza più Aidan e nessun pilastro a cui potersi aggrappare decise di inseguire l'unica prospettiva che le rimaneva, andarsene.

Stava recuperando gli oggetti a lei più cari combinandoli nelle casse per il viaggio assieme a quelli di suo fratello.

Ci sarebbe voluto tempo, questo fu il suo ultimo pensiero innocente verso il futuro prima di udire un gracchiare di voci seguito da un colpo ruggente che rimbombò nell'aria pesante di quella mattina estiva.

Senza sapere cosa fare si nascose nella propria stanza non prima di controllare in quella Leon, lui era all'interno dell'abbazia per recuperare qualche opera dalla biblioteca, non vedendolo decise di controllare all'esterno e proprio in quel momento la foresteria crollò su se stessa portandosi via Edith.

Quando scavarono sotto le macerie trovarono un corpo con vestiti maschili e la seppellirono così, con addosso i pantaloni scuri che le aveva donato Aidan dal suo modesto guardaroba in una sera d'autunno dove l'aria sapeva ancora di speranza e temerarietà.

Durante i funerali la sua bara venne trasportata da due preti con il volto cereo che a capo chino si occuparono di trasportarla fin davanti all'altare, sotto alle vetrate spoglie e al crocifisso di marmo bianco scheggiato.

La bara giaceva nel mezzo della sala devastata dalle violenze di una guerra brutale e irrequieta, al di fuori la neve continuava a cadere sulle croci degli abati seppelliti nei primi mesi degli scavi, sul terreno invernale trasudante polvere assorbita nei mesi precedenti, sulle scalinate riflessive che donavano scorci lontani.

Edith se ne andò così come era arrivata, perché chi nasce solo muore solo.



Fine

   
 
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