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Autore: seavsalt    12/07/2019    1 recensioni
Eira si risveglia in una clinica di un'antica città, senza sapere perché si trovi lì, né quale sia la propria stessa identità. Soltanto la "straordinaria verità" potrà svelarle la risposta di ogni quesito irrisolto; ma non tutto, a Yharnam, è come sembra. I ricordi si mescolano ai sogni, in un mondo oppresso dalle belve: qual è la verità?
Note dell'autrice: tutta la storia diverge molto dall'opera originale, nonostante ogni speculazione di lore sia basata su saggi esistenti e del tutto attinenti al mondo di Bloodborne. Inoltre presenta alcuni dialoghi tratti direttamente dall'opera originale. La protagonista è un mio original character.
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Gehrman, Laurence, Nuovo personaggio, Padre Gascoigne
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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<È nato! È nato!> Le acclamazioni dei cavalieri e i vagiti del neonato risuonavano mescolandosi per tutte le stanze del castello. Nobili, uomini o donne che fossero, accorrevano da tutte le parti, attraversando un'infinità di corridoi e salendo un egual numero di scale, fino a giungere nell'angusta stanza dove i cavalieri più fidati della regina sorvegliavano sia il piccolo nato che i medici di corte, che lo avevano appena estratto dall'utero della madre. Si trattava d'altronde del figlio della regina stessa, quel primogenito che cercava da anni e che i cavalieri avevano il compito di farle avere, dal momento che la loro signora non aveva un re al proprio fianco. O, almeno, non più. Erano tutti accalcati fuori dalla porta dalla stanza, tenuti a bada dai cavalieri che dovevano impedire che entrassero e disturbassero il lavoro dei medici. La folla si trovava in uno stato di trepidazione, in ansia di conoscere la risposta alla domanda più problematica di tutte: il bambino era un maschietto oppure no? Rimasero con il fiato sospeso quando videro uno dei cavalieri voltarsi verso l'interno della stanza, mentre uno dei dottori si avvicinava al suo orecchio per pronunciargli il fatidico responso. I corridoi e le scale si riempirono di silenzio e di passi non appena, due secondi dopo, lo stesso cavaliere si girò verso la folla per annunciare solennemente, ma con voce leggermente spezzata, che si trattava di una bambina. Ogni singola persona tornò da dove era venuta, compresi i cavalieri; uno di questi, un giovane uomo con indosso un mantello ricoperto di piume di corvo, il più caro e il più fidato della regina, venne fermato da uno dei medici. < Vieni, > gli dissero < la regina ti aspetta >. Ella era distesa su un letto e avvolta in candide coperte di lino: era maestosa e perfetta anche nella condizione in cui si trovava. Il cavaliere si inginocchiò ai suoi piedi, mostrandole un gesto di riverenza a cui ormai era fin troppo abituata. < Corvo > pronunciò con voce ferma, ma flebile < ho un compito per te >. Il cavaliere alzò leggermente la testa, richiusa all'interno di un elmo argentato e ricoperto da innumerevoli ghirigori estremamente sopraffini. < Vostra maestà, eseguirò qualsiasi cosa mi ordinerete di fare >. La regina accennò un sorriso. < Bene. Dunque, non gettare la bambina nella fossa come tutte le sue altre sorelle. Tienila con te. Allevala ed educala come fosse tua figlia e io la accoglierò come nobile alla mia corte >. Il Corvo era in grande confusione a causa della richiesta della propria signora. Si apprestò ad alzarsi, ma prima di congedarsi si azzardò a farle una domanda. < Vostra altezza, ogni vostro desiderio verrà da me esaudito, ma se mi permettete vorrei chiederle il perché di tale ordine, mia signora >. Ella volse lo sguardo fisso nell'elmo del cavaliere, come se avesse potuto attraversare il copricapo metallico e guardarlo negli occhi. Egli fu percorso da un brivido e da una strana sensazione. La regina parlò. < Sanguesmunto >. Sul castello calò di nuovo il silenzio.

 

 

 

"Oh, sì... Il Sanguesmunto... Bene, hai raggiunto il luogo giusto... Yharnam è la sede dell'infusione del sangue. Tu devi solo svelare il suo mistero. Ma da dove può partire chi ignora tutto, come te? Calma. Quando avrai un po' di sangue di Yharnam... Prima, però, dovrai siglare un contratto."

 

 

 

Un freddo da congelare sin nelle ossa fu la prima sensazione che ebbe al proprio risveglio. Il lettino su cui era sdraiata era estremamente rigido e scomodo e quando fece per alzarsi un dolore lancinante le colpì la schiena. Gli occhi dall'iride insolitamente viola ebbero difficoltà a focalizzare ciò che si trovava intorno a lei e ad abituarsi all'illuminazione della stanza. La testa le faceva male e si sentiva come stordita. Ma la cosa peggiore era che aveva completamente perso la memoria. Non aveva la minima idea di dove si trovasse né cosa stesse facendo là. Guardandosi intorno le pareva di essere all'interno di una qualche sorta di clinica tenuta non troppo bene, viste tutte le fiale e le boccette rovesciate e gli strumenti chirurgici ancora sporchi di sangue di chissà quale paziente. E quei vestiti? Erano stati sempre addosso a lei? Il braccio sinistro era avvolto con delle bende e le faceva un po' male. Osservando la flebo non troppo distante da lei giunse alla conclusione che dovesse essersi appena conclusa una trasfusione di sangue nel suo corpo. Ma perché non riusciva a ricordare? Intrecciò una candida mano tra i capelli, lunghi fino alle spalle, ondulati e bianchi, con dei riflessi quasi lilla, per poi massaggiarsi la nuca, mentre l'altra mano si tese a raccogliere un paio di occhiali rotondi posati su un tavolino lì accanto. Probabilmente l'unica cosa che ricordava era che quegli occhiali erano suoi. Anzi, c'era un'altra cosa che sapeva: il proprio nome. < Eira > ripeteva a voce alta mentre continuava a massaggiarsi la testa. < Il mio nome è Eira. Questo lo so >. Con fatica si diresse verso una grande porta di legno non troppo massiccio e la aprì lentamente. La luce arancione del sole che penetrava attraverso una finestra situata in alto, davanti a lei, le colpì gli occhi, stordendola ulteriormente. A malapena riuscì a scendere una rampa di scale, che la portò al piano inferiore. Non sapeva dove stesse andando, ma sentiva che dovesse proseguire da quella parte, senza conoscerne il reale motivo. Poi, di colpo, il sangue le si congelò nelle vene. Ciò che aveva davanti era uno degli spettacoli più raccapriccianti che avesse mai visto. Non che ricordasse diversamente. Gli occhi della giovane ragazza erano fissi su di un lupo enorme, dal pelo folto e nero, che divorava con le sue grandissime fauci un pover'uomo. Non avrebbe dovuto muoversi, lo sapeva. Ma il suo istinto la portò a fare l'opposto. Non poté fare a meno di avvicinarsi di soppiatto dietro di lui, per poi affondare la mano destra nelle sue carni, come se fosse stata una lancia. Guardava il corpo ormai morto del lupo cadere straziato a terra, mentre del sangue le finiva inevitabilmente addosso, macchiandole una guancia e parte dei suoi vestiti. Ansimò affannosamente senza sapere come avesse fatto. Teneva la mano distante da sé. Non conosceva più neanche se stessa. Andò avanti, piano, calpestando una pozza di sangue, e in lontananza vide una porta che sembrava dare sull'esterno. Voleva uscire. Quel posto le metteva i brividi e il non sapere perché lei stessa fosse dentro di esso la tormentava ancora di più. Arrivò davanti alla porta, che spalancò senza pensarci due volte. Fuori, attraversò un giardino che pareva più un cimitero, tante erano le tombe conficcate a terra, e davanti a lei si stagliò un enorme cancello di ferro. Era pesante, ma questo non bastò a fermarla dall'aprirlo, sebbene avesse dovuto impiegare una grande forza per farlo. All'improvviso una sferzata di vento freddo le attraversò il corpo e si ritrovò a tremare. Davanti ai propri occhi il paesaggio di una grande città dagli alti palazzi veniva illuminata dalla calda luce di un sole prossimo al tramonto, anche se quei raggi non scaldavano affatto le sue membra infreddolite. Semplicemente voltandosi a destra poteva vedere un via vai di poveri cittadini che trascinavano carrette, o che portavano dei sacchi in spalla. Non sapeva se essere contenta nel vedere degli esseri umani: chiunque le passava accanto la guardava di sottecchi e poteva sentirli dire, sottovoce: < Vattene, straniera >. In mezzo a quelle strade Eira si sentiva persa, confusa, non accettata: si sentiva davvero una straniera. Tutto intorno a lei cominciò a girare vorticosamente e non ci volle molto prima che il proprio corpo cedesse, cadendo a terra privo di sensi, sotto gli occhi disgustati degli abitanti. Mentre sui propri occhi calava un velo nero, sentì una voce calma e rassicurante dire qualcosa, senza sapere né di chi fosse, né da dove provenisse, né cosa intendesse dire. Quella frase continuò a ripetersi nella sua mente negli attimi in cui stava perdendo i sensi e la percezione di dove si trovasse.

 

"Ah, vi siete trovati un cacciatore..."

   
 
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