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Autore: Roberto Turati    13/07/2019    1 recensioni
[ARK: Survival Evolved + Horizon Zero Dawn]
 
Una collaborazione tra me e Manon, mia buona amica e grande appassionata di Horizon Zero Dawn, autrice su Wattpad.
 
Dopo aver salvato il mondo da ADE, Aloy può finalmente rilassarsi pensando ad alcune faccende marginali come esplorare, partecipare alle cacce della Loggia, sbloccare nuovi override nei Calderoni eccetera. Ed è proprio in uno dei Calderoni che, per incidente, scopre un progetto segreto e abbandonato che gli Antichi avevano inizialmente preso in considerazione come un'alternativa a Zero Dawn, prima di decidere che quest'ultimo era un'idea migliore. Così l'amazzone Nora scoprirà un posto che non avrebbe mai immaginato, ma dovrà suo malgrado salvarlo da alcune Macchine che vi hanno acceduto assieme a lei...
Genere: Avventura, Mistero, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un'Isola Unica al Mondo'
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Asile e Corliss tornarono alla base e la videro piena di gente come al solito, il che era davvero un buon segno: significava che la battaglia aveva mietuto poche vittime. Con grande gioia dell’anziana Nora, Bargh era già lì, all’entrata, che la aspettava: immaginava quanto fosse in pensiero, così aveva pensato di darle sollievo fin da subito. I due si abbracciarono forte, mentre Asile li guardava sorridente. Poi Bargh salutò Asile:
 
«Ciao, straniera!»
 
«Ciao! Corliss mi ha portata a Meridiana, è davvero bella»
 
«Sì, così dicono. Perché ci volevi andare?»
 
«C’erano degli animali arkiani, il dovere mi chiamava»
 
«Oh, capisco. Senti, Nellim vuole parlarti, lo troverai nella sua grotta»
 
«Parlarmi? E perché mai?»
 
«Vuole essere lui a raccontarti il resoconto della battaglia»
 
Asile rimase perplessa:
 
«Eh? Che senso ha? A me non interessa»
 
«Ma a lui sì. Ti conviene andare, vedrai…»
 
Asile rifletté un secondo guardando per terra, poi si strinse nelle spalle e andò da Nellim.

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«Oh, eccoti» salutò Nellim, quando vide Asile.
 
«Scusa, perché mi vuoi parlare di com’è andata? A me non interessa… anzi, mentre venivo qui ho sentito delle voci per cui i velociraptor a Meridiana erano le ultime bestie dalla mia isola che si vedevano in giro da quando tutto è cominciato, quindi avrei anche finito! Domani pensavo di salutare tutti e portare Kïma su ARK nel portale che mi hanno lasciato apposta per il mio ritorno, me l’ha fatto pro…»
 
«Silenzio! Fammi parlare!»
 
«Oh, scusa»
 
«È proprio di lei che devo parlarti. Come puoi capire dal nostro tono di allegria, abbiamo vinto»
 
«Ho notato. Ora mi è venuta voglia di saperne di più! Come avete fatto? Quanti di voi sono morti?»
 
«Nessuno»
 
«COSA?!?»
 
«Vedi, io non ho scelto il campo di battaglia a caso. Fin dai tempi del padre di Brachio, che era molto più temibile del figlio, ho pensato di far allestire una miriade di trappole e mine in quel prato, in caso avessi avuto da negoziare con la sua banda e ci fossimo accordati per uno scontro. Inoltre, negli anni, ci siamo sempre resi utili come potevamo alle altre tribù, in modo da poter chiedere loro aiuto in caso di necessità. Le persone con problemi sociali si uniscono a me per loro scelta, ma questo non significa che per il resto del mondo smettiamo di esistere. Anzi, voglio che il mondo ci stimi!»
 
«Mi sembra giusto. Quindi?»
 
«Io e Brachio ci siamo sfidati al corpo a corpo, come d’accordo. Ha vinto lui, quindi la battaglia è iniziata. Ma come i suoi si sono fatti avanti, due terzi di loro sono esplosi con le nostre mine. Sono state molto efficaci pure contro le creature dalla tua isola che aveva domato! Le abbiamo abbattute quasi tutte, quindi in realtà non hai finito… ma ti manca poco. Ora, qui arriva il problema…»
 
«Cioè?»
 
«Kïma, in qualche straordinario modo, è stata rapita e catturata»
 
«Oh…»
 
«Mentre Brachio e i suoi pochi superstiti scappavano con la coda fra le gambe, dall’alto è piombata un’immensa aquila che l’ha afferrata e portata via con loro. Non so quanto la cosa ti preoccupi, ma nel caso voi due vi steste affezionando l’una all’altra… vuoi venire con me e alcuni dei miei migliori per recuperarla? So già dove possono essere»
 
«Scherzi? Certo che vengo! Le ho promesso di mostrarle ARK e, soprattutto, lei mi ha salvata: è più che ovvio che le debba un favore grande così!»
 
«Molto bene. Partiremo immediatamente…»

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Kïma fu portata alla base di Brachio, posto che conosceva molto bene, e appena l’argentavis la mollò Brachio la raggiunse e la tramortì. Si svegliò nel bel mezzo del rottamaio, con la testa che le faceva un male cane: le sembrava che potesse scoppiare da un momento all’altro. Si mise seduta, ma si stupì per quanto fece fatica a compiere ogni singolo movimento, dal muovere le braccia a sollevare il busto: i muscoli agivano molto più lentamente di quanto lei volesse che facessero e ogni azione la affaticava moltissimo.
 
«Che mi succede?» si chiese ad alta voce, una volta che fu seduta.
 
«Indovina?» rispose una voce molto familiare dietro di lei.
 
Si voltò e vide brachio seduto su una testa di Celermorso.
 
«Ah, figlio di puttana! Avrei dovuto sgozzarti subito poco fa…»
 
«Ma non l’hai fatto perché sei scema. E ora eccoti qua, insieme a me per l’ennesima volta! Solo che oggi la tua vita avrà fine, perché mi sono stancato di te. E poi ucciderti dopo tutte le umiliazioni che mi hai costretto a sopportare da quando eravamo ragazzini…»
 
«Ehi, non è colpa mia se sei così facile da prendere per il culo…»
 
«ZITTA!!! Tu non ti rendi conto, Kïma… i miei uomini sono sull’orlo della rivolta, non mi vogliono! Sono tutti così ignoranti e insolenti da sbattermi in faccia che mio padre era migliore di me, quando dovrebbero rispettarmi e temermi senza discutere…»
 
«Che ti dicevo?»
 
«Ora, come se non bastasse, ho perso quasi tutti loro e pure tutti quelli che avevo lasciato qui a sorvegliare! Su questo dovrò indagare, ma non credo che importi, ormai… se non fosse per il vecchio con cui collaboro e i suoi rifornimenti dall’isola dell’indigena con cui vai a spasso come la cagnetta che sei, mi avrebbero già fatto un mazzo così…»
 
«Devi accettare la verità, bello: resterai sempre ignorato, inutile e senza donne, perché non vali niente»
 
«Be’… almeno io ho avuto dei genitori!»
 
«EHI!!! Smetti di rinfacciarmelo! AFRODITE è sicuramente meglio di qualunque genitore al mondo! Piuttosto, che diamine succede al mio corpo?!»
 
«Succede che ora io sfogherò tutta la mia ira funesta su di te e tu potrai farci pochissimo!» le rispose Brachio, mostrandole ridendo una spina di cactus che lei riconobbe subito.
 
«Quello è…»
 
«Eh, già: indionigro! Non potrai muoverti bene per un bel pezzo. Avrei potuto farti due punture e bloccarti del tutto, ma poi che gusto ci sarebbe stato?»
 
«Non vale!»
 
«Siamo a casa mia e a casa mia vale tutto quello che faccio. Forza, affrontami! Considerala un simpaticissimo confronto privato: tutti gli altri sono al cancello a fare la guardia, siamo come soli»
 
Detto questo, prese un coltello e glielo passò. Aspettò che Kïma lo prendesse e si alzasse a fatica, quindi si mise in posizione di combattimento, stando disarmato. Kïma, per niente disposta a non combattere, decise di sfidare la sorte in ogni caso. Si buttò in avanti alla velocità di una tartaruga e iniziò a tirare una serie di patetici fendenti privi di vigore che Brachio schivava semplicemente indietreggiando. Ogni tanto sbadigliava per farla arrabbiare ancora di più. Nel mentre, pensava distrattamente a quante fosse funebri sarebbero servite per onorare la morte dei caduti in battaglia, con lapide ed epitaffio. Ad un certo punto, giustamente, Kïma si stancò e non poté fare a meno di fermarsi per prendere fiato. Brachio non perse occasione di provocarla:
 
«Ehi, forse vado un po’ fuori argomento, ma te ne intendi di fosse?»
 
«Cosa?»
 
«Sai, a parte quella che ti stai scavando da sola»
 
«Taci e combatti!»
 
«Eh, se insisti…»
 
La raggiunse e le tirò un gancio allo stomaco che le svuotò i polmoni. Le venne d’istinto mettersi le mani sulla pancia e piegarsi in due, quindi fece cadere il coltello. Kïma perdeva gocce di bava dalla bocca aperta e, per la fatica di muoversi, ora anche riprendere fiato le sembrava un’impresa.
 
«Oh, non eri pronta? Avresti dovuto dirlo, così te lo davo più piano…»
 
«Fottiti!»
 
«Spiacente, Kïma, ma una volta che si comincia un duello non ci si può più fermare!»
 
La colpì sul naso, poi le tirò un calcio nel fianco sinistro, infine le afferrò le caviglie e la tirò all’indietro per farla cadere.
 
«Non si rubano le battute…» lei riuscì comunque a scherzare.
 
In realtà, l’idea dell’indionigro era già venuta a lei una volta precedente: il padre di Brachio l’aveva mandato a saccheggiare un villaggio di allevatori con un gruppo di banditi e lei, mandata da Nellim a salvare gli abitanti, l’aveva trovato a torturare gli abitanti dopo che gli altri se n’erano andati per divertimento personale. Disgustata, aveva deciso di punirlo a dovere. Così, notando un indionigro in un vaso davanti a una delle case, aveva preso due spine senza farsi vedere, l’aveva raggiunto e poi paralizzato. Quindi gli aveva dato il benservito. E ora le toccava subire la stessa cosa, solo che non aveva fatto niente per meritarlo davvero. Questo, più le botte e le battute di lui rendevano tutto una pena mentale insopportabile. Brachio le afferrò i capelli e la trascinò fino ad un cumulo, poi la mollò un secondo. Mentre lei provava a rialzarsi, prese una placca arrugginita e gliela fece cadere in testa, rintronandola.
 
«Oh, deve fare male...» commentò lui.
 
A Kïma si offuscò la vista e le ronzavano le orecchie. Si sentì sollevarsi da terra: Brachio l’aveva caricata sulle spalle e stava scalando con calma il cumulo. Quando arrivò in cima, le chiese se le piaceva rotolarsi giù dalle colline. Prima che capisse, si ritrovò a cadere rovinosamente giù per la montagna di rottami, graffiandosi da tutte le parti e macchiandosi d’olio. Se dopo tutto ciò non avesse preso il tetano, sarebbe stato un miracolo. Quando smise di cadere, si ritrovò per terra a guardare il cielo. Le faceva male tutto e sapeva bene di essere ferita, ma ringraziò per non essersi fatta (ancora) niente di grave. Senza perdere la forza di volontà, si girò sulla pancia e prese a strisciare verso una sbarra di ferro che vide poco più in là, sperando di poter provare ad usarla per difendersi. Brachio scese dal cumulo e la raggiunse fischiettando. Prese un chiodo da una cassetta e, quando la raggiunse, la sollevò di nuovo per i capelli e la punse in diversi punti della schiena, sperando di strapparle almeno uno squittio infastidito, ma lei non fece una piega. Allora andò a prendere la sbarra di ferro e la colpì alle giunture, strappandole dei lamenti: lei non voleva affatto gridare e dargli soddisfazione. Brachio disse di essersi finalmente sfogato e... che ora poteva anche finirla.
 
«Dannato bastardo! Dovresti morire tu!»
 
«E adesso che abbiamo finito... manderò i tuoi pezzi marcescenti alla tua finta madre creata dagli Antichi!»
 
«Tu non sai dov’è AFRODITE...»
 
«Infatti!»
 
Sollevò la sbarra per fracassarle il cranio, ma si fermò quando sentì un gran casino oltre i cumuli del rottamaio, fra grida di battaglia e ruggiti animali. Sospettando di cosa potesse trattarsi, impallidì e cominciò a sudare freddo: Nellim doveva aver mandato una truppa per schiacciarlo una volta per tutte. Subito dopo, in cima al cumulo apparve Arlak, di cui si vedeva solo l’ombra perché dietro di lei c’era il Sole. Il gigantopiteco prese un rottame grosso quasi quanto lei e, urlandogli contro, glielo lanciò. Brachio si accucciò coprendosi la testa, temendo di essere schiacciato, ma il pezzo di ferro atterrò molto più in là. Lui, comunque intimidito, si allontanò da Kïma indietreggiando. Al gigantopiteco si unì Asile, armata di balestra, che appena vide l’amica corse da lei seguita dalla scimmia.
 
«Asile? Oh, era ora che arrivaste! Speravo ci fossi anche tu» commentò Kïma, sorridendo.
 
«Ciao! Ho sentito che ti avevano catturata, così quando Nellim è partito per salvarti mi sono unita a loro. Mi devo sdebitare per la volta scorsa e pure farti vedere ARK!»
 
«Pensi che me ne sbatta qualcosa in questo momento? Guardami! Sono conciata da buttar via! E non riesco quasi a muovermi, ad alzarmi!»
 
«È vero! Sei tutta una ferita...È stato seriamente lui a farti questo? Non mi era sembrato così pericoloso...»
 
«Non ci posso credere... ancora tu! - esclamò Brachio - Stammi a sentire, straniera! Non ricordo nemmeno più perché ti ho fatta rapire, ora sei venuta a distruggere quel poco che mi restava fra uomini e creature della tua terra... ma almeno lasciami ammazzare quella strega!»
 
«Ehi, io non ti devo niente, tantomeno rispetto!» ribatté Asile.
 
«Vedi, io e Kïma stavamo... discutendo: lei voleva vivere e, be’, io no»
 
«Eh? Perché vuoi morire?»
 
«Cosa? No, ehm... io... io intendevo... voglio che lei muoia»
 
«È perché sei un perdente dalla nascita?»
 
«COSA???»
 
Asile, da degna nipote di Alocin Olledmon, iniziò a provocarlo godendo come una sadica:
 
«Sai, i ragazzi di Nellim mi hanno raccontato un po’ di cose su di te mentre venivamo qui: che non vali niente, che tuo padre era un temibile nemico, mentre tu sei solo un bambino cresciuto, che non sai fare il capo, che anche se li avessimo risparmiati i tuoi uomini di sarebbero fatti ammazzare solo per non dover più sopportare la tua idiozia...»
 
Kïma non poteva crederci: nemmeno lei avrebbe mai potuto essere così disinvolta, creativa e provocatoria ad insultare Brachio! Lui, colpito dove faceva più male, iniziò a stringere pugni e denti. Le lanciò la sbarra, ma la giovane Arkiana la schivò senza problemi.
 
«No… no, no, no, no, no! Tutto questo non è giusto! Perché deve fare tutto così schifo?! Sono stato all’ombra di mio padre per tutti quegli anni… meritavo di splendere!» frignò lui.
 
Asile e Kïma si scambiarono un’occhiata compiaciuta, poi la prima disse:
 
«Sai, se non mi avessi fatta morire di fame in una cantina mi faresti compassione, ma siccome l’hai fatto… no. E poi, da quello che so, sei uno schifoso criminale che non è altro che un danno alla società, quindi credo che ti farò ammazzare! Arlak, prendilo!»
 
Il gigantopiteco grugnì divertito e si avvicinò rapidamente a Brachio. Terrorizzato, il bandito scappò dietro uno dei cumuli, verso la sua baracca, ma Arlak lo inseguì, lo raggiunse e gli fratturò entrambe le braccia e le gambe come se stesse spezzando un legnetto, poi lo buttò via, facendolo rotolare nella polvere. Asile gli si parò davanti e commentò:
 
«Non so cosa tu abbia fatto a Kïma, ma direi che questo parifica i conti! Anzi, ora faccio anch’io la mia parte…»
 
Gli sollevò la testa e gli spaccò il naso. A questo punto, disse che era soddisfatta e che poteva “farlo pagare per la sua vita inutile e fatta di crimini”, come Nellim l’aveva autorizzata a fare.
 
«No! No, aspetta! Possiamo trovare un accordo?»
 
«Uhm… no. Vai, Arlak!»
 
Il gigantopiteco prese il bandito e lo sollevò sopra la propria testa, dunque iniziò a tirare la testa da una parte e le gambe da un’altra…Finché Brachio si spaccò in due metà grondanti sangue e viscere. Arlak si sporcò tutta la pelliccia e buttò via con noncuranza il corpo macellato, poi tornò dalla padrona e giocò a sporcare anche lei di sangue.
 
“Ah, missione compiuta! Che bello…” pensò Asile.

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L’indomani, Nellim indisse una festa per celebrare la sconfitta definitiva della banda che per tanti anni aveva messo loro i bastoni fra le ruote. Fece anche un piccolo discorso per ringraziare Asile e Kïma per il contributo. Alle due ragazze fu dedicato un graffito in dimensioni reali su una delle pareti della cava e loro lasciarono una firma accanto ai loro ritratti. Approfittarono del festeggiamento per legare ancora di più, raccontarsi parecchi più aneddoti sulle loro vite: Asile rivelò tutto quanto sulla morte dei suoi genitori e su quanto “particolare” fosse suo zio, mentre Kïma rivelò di non avere parenti. Con grande meraviglia di Asile, anche se ormai la biografia di Aloy le aveva permesso di farsi un’idea delle stramberie di cui la dimensione di Zero Dawn fosse capace, la ragazza tatuata rivelò di essere stata generata da un’incubatrice degli antichi con diecimila anni di ritardo e di essere stata cresciuta dall’intelligenza artificiale AFRODITE, che l’aveva letteralmente curata e amata come una madre vera. Era stata adottata da Nellim a dieci anni, ma non aveva mai smesso di andarla a trovare. In risposta, Asile le disse che sicuramente era un mentore meno traumatico di Alocin.
 
«Tuo zio sembra una persona divertente, me lo farai conoscere?» chiese Kïma.
 
«Volentieri! Però… se lo vedi ubriaco, copriti bene il petto e tieni le brache mooooolto in alto, altrimenti rischia di balzarti addosso come un deodonte in calore!» la avvertì lei.
 
«…d'accordo, questa era strana»
 
Ed entrambe scoppiarono a ridere. Ora erano sedute su uno dei gradoni, accanto alle loro cavalcature da ARK e/o Macchine sottomesse, a guardare la comunità che si divertiva, con dei boccali di birra artigianale Oseram. Poco dopo, Corliss e Bargh vennero a fare i saluti finali, in caso Asile pensasse di partire presto. Spiegarono che sarebbe tornata a casa appena Kïma si fosse rimessa in sesto del tutto. L’importante, in ogni caso, era che fosse finita per tutti.

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SEI MESI DOPO…
 
Dopo la fine delle vicende che, per un incidente, avevano collegato due dimensioni, si erano andate a risolvere parecchie questioni in sospeso. Asile presentò Kïma a suo zio e, per fortuna, tutte le volte che lo videro era sobrio. Aloy e Kïma si conobbero e fecero amicizia quasi subito, nonostante la differenza di carattere, così Asile decise di fare da cicerone ad entrambe, visto l’interesse comune di esplorare ARK. Le tre si divertirono un mondo e Kïma fu spesso tentata di restare lì a vita, ma ogni volta le veniva nostalgia di casa e di Nellim, figura quasi paterna per lei, anche se si vergognava di lasciarlo capire. Aloy era affascinata più dalle creature di ARK, Kïma dallo stile di vita dei nativi: de gustibus. La Nora volle anche spiegare un po’ di più sul suo mondo ad Alocin, che col tempo diventò un amico vero e proprio amico e che le fece frequentare spesso Lefeuvre e gli altri, facendola simpatizzare anche con loro. Contemporaneamente ai loro meritati svaghi, Sylens proseguì le ricerche di Ryomo basandosi sui progetti scritti dal vecchio Carja. Kïma aveva raccontato ad Aloy delle batterie e, quindi, lei aveva convinto il suo contatto a prestarle quella del telecomando affinché Kïma potesse andare al bunker dove la speciale armatura avanzatissima e dotata di scudo oleografico degli Antichi e sbloccare i sigilli che impedivano di prenderla. Quando la ragazza ebbe finito, Sylens riprese le batterie (irritandosi nel frattempo, ma quelle erano sottigliezze) e lavorò sui telecomandi finché riuscì a fabbricarne tre: uno per sé, uno per Aloy e il terzo per Kïma, su richiesta di Aloy e Asile. E fu così che i tre membri del mondo di Zero Dawn divennero in grado di andare e venire a piacimento, in modo che i loro congedi non fossero mai degli addii: ognuno di loro tornava frequentemente, incapace di resistere al richiamo dell’isola. Perché, come Charles Darwin scrisse nel suo libro, la vera magia dell’isola preistorica era la voglia di tornarci che ti trasmetteva: chi riesce a lasciarla, non lo fa mai del tutto, una parte della sua anima rimarrà per sempre abitante di ARK.

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«Hahahahaha, certo, come se qualche donna potesse darti un minimo di attenzione con quei baffi!» rise Alocin, bevendo uno speciale amaro di spezie costiere.
 
«No no no, fidati! In vita mia ho vissuto prima in Camargue, poi a Monaco e infine a Toulouse, e in tutte e tre ho perso il conto di quante sono cadute ai miei piedi!» rispose Lefeuvre, svuotando la sua damigiana.
 
Il gruppo di amici era radunato sull’isoletta degli Squali Dipinti a fissare il tramonto sull’oceano, Osnofla li aveva invitati a fare una mangiata di pesce allo spiedo da lui per il suo compleanno e nessuno aveva perso l’occasione di incontrare gli altri, anche se Aras doveva stare a casa per tenere d’occhio il bambino nato pochi mesi prima.
 
«Sarà, ma di certo nessuno di voi due è stato più romantico di me quando ho imparato a conoscere Aras!» si intromise Ocnarf.
 
«Eh no: tu sei impegnato, non conti più! Noi preferiamo la bella vita, altro che matrimonio! Ci sono stranieri che dicono che sposarsi è come prendere una freccia nel ginocchio, immagina…»
 
«Ma per piacere! E chi sarebbero questi stranieri?»
 
«Mah, non so… ne ho conosciuti un paio ed entrambi dicevano di venire da un posto molto freddo e nevoso»
 
«À propos, Alocin… dov’è l’ospite d’onore? Mi manca la vista di quel buisson rouge…»
 
«Dovrebbe arrivare presto, mi ha detto che… oh, eccola lì!»
 
Dalla macchia mediterranea alle loro spalle apparve Aloy, con un ampio sorriso stampato in faccia. Li raggiunse e si sedette con loro, come le fecero posto.
 
«Ciao, ragazzi! Sempre bello rivedervi» salutò.
 
«Eccoti accontentato, Lefeuvre! Se vuoi cacciare il naso nei suoi capelli, è la tua occasione» scherzò Alocin.
 
«Cosa?!» sobbalzò lei.
 
«Niente… una cosucccia fra noi» la rassicurò Osnofla.
 
«Forza, Aloy, parla anche ai ragazzi di quella promozione di cui hai accennato stamattina… non ho capito tanto bene neanch’io» la incalzò Alocin.
 
«Certo! Ragazzi, ricordate quando ho parlato della Loggia dei cacciatori?»
 
«Credo di sì» disse Ocnarf.
 
«Vagamente» rispose Osnofla
 
«Comme ci comme ça» ammise Lefeuvre.
 
Aloy prese la nuova arma che aveva portato per quella visita su ARK e la piantò nella sabbia, in modo che tutti potessero vederla bene: era lo squarciatore, dunque era diventata in via ufficiale la miglior cacciatrice fra le tribù del suo mondo. Alocin le chiese se poteva fare una dimostrazione e lei accettò: imbracciò l’arma, la puntò contro una roccia nera a qualche ventina di passi di distanza e premette il grilletto. Un secondo dopo, dentro il macigno c’era un buco a forma di cerchio perfetto che lo attraversava da parte a parte, permettendo di vedere bene il paseaggio attraverso esso. Senza parole, i quattro amici fecero cascare le damigiane e Aloy nascose una risatina.
 
«È stato… uao!» commentarono.
 
«Ehi, ho un certo appetito… non è che avete qualcosa per me?»
 
«Ho, ho ancora parecchi pesci sulla barca! Te ne arrostisco subito uno…» Osnofla si alzò e corse al lido.
 
Intanto, Aloy si sedette di nuovo e ricominciarono a conversare del più e del meno…

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INTANTO, NELLE PRATERIE…
 
«Posso guardare, adesso?» chiese Asile, che si stava facendo guidare ad occhi chiusi.
 
«Aspetta un secondo… ora puoi» rispose Kïma.
 
La nipote di Alocin aprì gli occhi e vide un diplodoco stecchito sull’erba. Le due avevano fatto una scommessa, quella mattina: se Kïma fosse riuscita ad abbattere un diplodoco selvatico, che ultimamente dava fastidio alle femmine usate per il trasporto persone perché era in calore, di cui le taglie parlavano e solo con la fionda e le munizioni esplosive, Asile l’avrebbe portata a guardare il panorama sull’isola volante, se no Kïma le avrebbe prestato l’armatura degli Antichi.
 
«Congratulazioni! Sei andata a ritirare i ciottoli?»
 
«Sì, ma penso che li regalerò a te: non me ne faccio niente nel mio mondo»
 
«Giusto. Bene, allora seguimi! Ti porto all’isola volante»
 
E si incamminarono, mentre il cielo diventava nero e spuntavano le stelle…

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Con un’ultima vangata, Sylens finì finalmente di sotterrare ADE, che per tutto quel tempo aveva tenuto chiuso in una lanterna ad insaputa di Aloy. Era un rischio tenerlo in giro nel loro mondo: avrebbe potuto scappare e intaccare qualche dispositivo per riacquisire potere. Ma ora che c’era ARK, dove non c’era alcuna tecnologia analoga a quella di GAIA, lui sapeva che era il nascondiglio perfetto: potendo andare e venire a piacere, ora l’aveva completamente in pugno.
 
«Tu non hai ancora finito di istruirmi, quindi sappi che non finisce qui… verrò a trovarti presto. Piuttosto presto»
 
L’aveva già interrogato sui suoi creatori e aveva provato ad usarlo per attivare il gigantesco relitto a forma di ragno che poteva vedersi da qualunque punto del territorio dei Nora, ma niente: evidentemente gli sfuggiva un passaggio di sorta che doveva ancora scovare. Si sarebbe impegnato a trovarlo di lì in avanti.
 
“Rilassati quanto puoi su quest’isola, Aloy: ho l’impressione che avranno ancora bisogno della loro salvatrice, presto o tardi” pensò.
 
Attivò il telecomando di Ryomo e scomparve dietro la nuvola viola.

FINE

   
 
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