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Autore: Freddie36    13/07/2019    0 recensioni
Due sposi sono scomparsi. Sherlock e John sono stati chiamati ad indagare, ma incontrano Silente. La domanda è perché?
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Quasi tutti
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Eccomi qua con una nuova FF. Spero che non ne ricordi altre, ma nel caso non è assolutamente voluto.
Nella storia ci sarà anche Albus Silente, ma non sono molto brava ad aggiungere i personaggi, e perciò ho messo quasi tutti.
Ancora una cosa, poi vi lascio alla lettura: come coppia ho messo nessuna, poi capirete il motivo.
Questa storia l'ho pensata ieri sera, mentre stavo ascoltando Titanic, perciò potete ascoltarla anche voi se volete.

Cinque uomini stavano correndo, il primo dei quali era inseguito dagli altri quattro. Sherlock, John, Lestrade ed incredibile a dirsi, Mycroft erano sulle sue tracce perché aveva rubato un incredibile gioiello che faceva parte della corona: ed ecco spiegata la presenza di Mycroft. Il gioiello in questione era chiamato il diamante della speranza, o per meglio dire il diamante Hope. 

Strane leggende giravano intorno a questo diamante blu ad occhio nudo, poiché si diceva che era maledetto; ma altri dicevano che grazie ad esso si potevano realizzare i desideri più nascosti della persona che lo possedeva.

“Fermo!” Gridò Lestrade, ma quello, come ogni ladro che si rispetti non lo ascoltò. Dopo qualche minuto di folle corsa, riuscirono a raggiungerlo e così, Lestrade lo potè arrestare.

“Dov’è il diamante?” Chiese Mycroft con fare minaccioso. L’uomo ghigno. “Potete arrestarmi, da me non saprete nulla.” “questo lo vedremo” disse Lestrade e con Mycroft si allontanarono, come immaginerete per l’interrogatorio.

Rimasero solo Holmes e Watson. “mi segua Watson, ho capito dove si trova il diamante” “cosa? Come?” Holmes sorrise soddisfatto e si accinse a spiegare ciò che, secondo lui era ovvio: “Mentre parlava, i suoi occhi si sono mossi verso sinistra, a quanto pare quella è la direzione da prendere per trovare il tesoro; c’è ancora di più, mentre lo studiavo sul ginocchio sinistro, a causa della caduta, dato che era inciampato, ho potuto osservare una polvere giallastra, che di solito si trova nella zona di Marylebone Road. Ristretto il campo ad un’unica strada, ora come fare per trovare il numero giusto? bene, lui ha guardato verso sinistra per trentaquattro millisecondi e da ciò si può dedurre che abita al numero 34, per fortuna nostra quell’appartamento ha un unico piano e potremo scoprire dove abita facilmente” “Fantastico” disse Watson  a bocca aperta.

Di fronte all’appartamento, aprirono la prima porta a destra ed entrarono. Davanti a loro si presentò un divano color crema a sinistra ed al centro un tavolo di vetro. “Andiamo, non c’è niente qua”. Analizzate tutte e tre le camere e anche il bagno, Holmes stava pensando che aveva sbagliato, ma questo era impossibile. “Holmes, guardi qua. C’è ancora una porta”. Strano, di solito non gli sfuggiva niente.

Si avvicinò alla porta spingendola, a destra nell’angolo, nascosta alla vista, c’era una cassa metallica, sin troppo grande per un diamante. “bene, adesso devo solo aprirla” disse Holmes come un bambino che deve scartare un regalo. Intanto Watson era con un orecchio verso la porta, nel caso sentisse dei passi. Infatti dopo qualche minuto li sentì. Gli sembrava troppo facile. “Holmes, andiamo. Qualcuno si sta avvicinando”. “ancora qualche secondo, cel’o quasi fatta” e dicendo questo aprì la cassa e prese il diamante. Ancora due passi e l’ospite sarebbe entrato. “Andiamo Watson” si avvicinarono alla finestra e saltarono, non si fecero quasi niente, solo qualche graffio dato che la casa era solo al primo piano.

Arrivati a Baker Street, Holmes tolse il diamante dalla tasca e lo osservò. Era perfetto. Si chiedeva perché le persone adoravano la perfezione, non era solo perfetto era anche bellissimo. Lo osservò ancora per qualche secondo, prima di decidersi a mandarlo, ovviamente in anonimato, a Lestrade e così lasciare quel uomo libero perché minacciato da Moriarty, si chiedeva perché Mycroft non ci avesse pensato. “Watson…” stava per dirgli di passargli la carta d’’orata per imballare il diamante quando si accorse di una lettera sul tavolo. Cambiò idea, dimenticandosi per un attimo del diamante. “cos’è quella lettera? “non lo so”. La prese in mano analizzandola e chiese all’amico di leggerla. La lettera recitava: Signor Holmes e Dottor Watson, mi farebbe piacere se voi partecipaste al nostro matrimonio che si svolgerà settimana prossima Borgh House. Molly… “noioso” “sono degli nostri amici. Ti prego Sherlock, pensaci”. Il consulente investigativo si meravigliò che l’avesse chiamato per nome, ma non ci diede importanza.

Dopo mezz’ora a battibeccare, John riuscì a far cambiare idea all’amico.

Finalmente il giorno tanto atteso, per dire, arrivò. Sherlock indossava uno smoking nero, mentre John una camicia bianca decorata con dei pallini neri e aveva dei pantaloni neri e scarpe dello stesso colore. Non si sentiva così elegante come suo amico, ma dal sorriso di Sherlock capiva che andava bene. Chiamarono un taxi. Sherlock era nel suo mind palace e chi sa a cosa stava pensando? E mentre John si chiedeva ciò, Sherlock si chiedeva come faceva l’amico a non capire che lui era perfetto, non il diamante. Era anche bello, il fondo, l’amore rende bello anche un sasso.

Finalmente arrivarono e Sherlock si destò. Ma, invece di vedere i sposi, videro la madre della ragazza che correva contro di loro piangendo. “Si calmi signora Huper, ci dica cos’è successo”. “Mia figlia…” disse tra i singhiozzi “è sparita. “e lo sposo?” Chiese il detective “entrambi! O mio dio… come è potuto accadere?” “ci racconti quello che è successo” John vide negli occhi dell’amico un lampo di eccitazione e gli rivolse un’occhiata ammonitrice. “Entrate, così vi racconto. Volete qualcosa da bere?” “no grazie.” Disse Sherlock sbrigativo. John sospirò. “sta mattina…” Sherlock sbuffò impercettibilmente “ci dica i fatti cruciali, non la giornata” “Sherlock!” Disse John con un’occhiata turva. “bene” riprese la madre “Sta mattina, dopo che i due si sono spostati, abbiamo chiamato il ristorante per chiedere se fosse stato possibile anticipare mezz’ora prima la cena dato che avevamo finito in anticipo. Per fortuna non c’è stato alcun problema. Il pomeriggio passò in fretta, tra le persone che arrivavano al punto d’incontro stabilito. Ma ad un tratto si alzò un vento terribile e tutti pensammo che fosse strano, dato che al meteo annunciavano una giornata mite. Dopo due minuti il vento se ne andò così com’era venuto; ma dei due sposi non c’era traccia. Questo è accaduto dieci minuti fa”. “interessante” disse Sherlock con le mani sotto il mento, nella sua posizione riflessiva. “la aiuterò. Ci faccia vedere esattamente dove si trovavano i sposi nel momento in cui sono spariti”.

Erano davanti ad un museo, lady Huper indicò le due postazioni dove si trovavano gli sposi, uno di fianco all’altra. “Perché qui?” Chiese il dottore. “ovviamente per ricordo. Stupidi sentimentalismi” disse Holmes tra i denti. “s-sì….” Rispose la Lady che aveva rincominciato a piangere.

Holmes tolse dalla tasca la lente di ingrandimento cominciò ad analizzare la strada; non trovando nulla, a parte la testimonianza che davvero i due sposi erano stati lì, entrò nel museo ad interrogare tutti coloro che erano presenti. “Sherlock, cosa ci facciamo cui? Lady Huper ha detto che non sono entrati”. Disse John sottovoce.  “Lo so, ma probabilmente qualcuno dei dipendenti, o qualche cliente, ha fatto uno scherzo”. “a che pro?” Domandò John scettico, lui era più propenso a credere a qualcosa di sovrannaturale. “questo non lo so, ma lo scoprirò. Non crederai alla storia del forte vento?” Disse Sherlock lanciandogli un’occhiata divertita.

Dopo tre ore di interrogatori John era troppo stanco per continuare. Sherlock, vedendo che non riusciva. A ricavare niente, decise di prendere i campioni di polvere per poi analizzarli, una volta arrivati in albergo. “John, andiamo a mangiare” “tu non mangi mai durante un caso” “no, ma tu hai fame”. Watson stava per replicare, ma l’amico si era già avviato.

Dopo aver mangiato, il detective si mise ad analizzare tutto ciò che aveva in mano - si sta parlando del caso degli sposi scomparsi - ed il dottore lo stava ad osservare. Guardava i capelli dell’amico, quel ciuffo che ogni tanto impediva la visuale del detective e lui con un soffio lo mandava via; osservava le sue labbra che da qualche mese sognava sulle sue… “ho trovato!” Disse entusiasta, John si svegliò, non accorgendosi che si era assopito. “cosa?” Chiese con un colpo di tosse. “andiamo”. Disse avviandosi verso la porta. Guardò l’orologio: erano le tre. “Sherlock, sono le tre di notte”. Ma l’amico era già uscito. Con un’imprecazione John lo seguì.

Il taxi li portò alla stazione di Kindcross. “dobbiamo prendere il treno?” “no…” disse Sherlock pensieroso. “eppure le tracce portavano qua… è impossibile che mi sia sbagliato!” Disse frustrato. “Sherlock” “no John, perché? Non capisco”. Andava su e giù nervosamente. “entriamo, magari non è cui quello che stai cercando, qualsiasi cosa sia” “ma certo John!” Disse abbracciandomi, dopo qualche secondo arrossì e non capivo il motivo. “…bene allora, andiamo”. “niente!” Mi guardò come se fosse mia la colpa. “sherlock…guarda” dissi spaventato, vedendo una barra in fondo, tra i binari nove e dieci. “prima non c’era”. “fantastico” disse il mio amico entusiasta, avvicinandosi alla barra. 

Non so come, ci trovammo davanti ad un bar e Sherlock lo prese ad analizzare minuziosamente, a quanto pare doveva avere qualcosa di speciale. “Sherlock” non mi ascoltava. Intanto Sherlock si stava chiedendo come sia possibile e dove si trovassero. Quel bar era molto strano. Aveva visto uscire un uomo che aveva una tunica molto lunga. “John entriamo”.

“Buona sera, o dovrei dire buon giorno” disse l’uomo sorridendo “con cosa vi posso servire?” “Dove siamo?” Chiese Sherlock non rispondendo alla domanda. “oh, ad un bar. Mi chiamo Tom” “Non sono stupido. Dove siamo? È strano questo posto, siamo entrati da un binario e non si sa come siamo finiti qui”. “oh, cosa? Avete visto male. Sì, il bar è nella stazione, ma siete entrati dalla porta, non dal binario. Avete visto male” disse l’uomo con un sorriso nervoso. Il detective lo guardò con un’occhiata umicida. “Non mi piace quando qualcuno mi prende per stupido, sa è il mio unico difetto; perciò, ora mi racconta tutto”. “Sherlock…” cercai di calmarlo - anche se in realtà era fermo; beh, avete capito quello che volevo dire.

Tom deglutì “bene allora” e cominciò a raccontare del mondo magico, della scuola magica. “bellissimo!” Esclamai io meravigliato. “Impossibile. Questa la racconti a qualcun’altra. Ripeto, voglio la verità” “questa è la verità” “no” rispose Holmes con un ringhio basso. “Sherlock, pensaci. Dimmi perché non gli credi” intervenni io. “No John, deve esserci qualche trucco. Dobbiamo visitare questo bar e questo posto”.

Dopo mezz’ora di indagini, per così dire - Holmes guardava e rifletteva - la porta del bar si aprì con un leggero tintinnio. “Sembra uno di quei maghi che piacciono tanto a te John” mi disse sottovoce. “Perché indossa una tunica?” Il mago guardò il barista e quello lo ricambiò con un’occhiata di scuse; il mago capì. Alzò la bacchetta, ma Watson si mise in mezzo, storcendogli il braccio sotto la schiena. “tranquillo John, ha un bastoncino di legno. Non credo che mi potrebbe far male con quello” disse sorridendo divertito. “cosa?” Lo guardai meglio e la mia bocca formò una perfetta Oh. “Sei un mago”. Questa volta il mio amico non replicò, probabilmente la sua scetticità stava cedendo.

Watson lasciò andare la mano del mago, ma prendendo la bacchetta perché, non si sa mai. “chi sei?” “sono Albus Silente, il preside della scuola di magia e stregoneria di Hogwarts”, “Non esiste la magia, dimmi qual è il trucco?” “siete tutti uguali, la magia esiste. Siete voi che non la vedete. In pochi sono che riescono a farlo”. “non hai risposto alla mia domanda, qual è il trucco?” “se dici al tuo amico di darmi la bacchetta, te lo farò vedere”. “bene John, dagliela. Al massimo potrebbe lanciarmela”. Una volta restituita al proprietario, lui con un movimento di quest’ultima fece apparire un violino. Sherlock lo prese in mano e cominciò a suonare incredulo. “no… questo va oltre la mia capacità di capire”. “la magia non si deve capire, la magia non è razionale” disse Silente dolcemente. Alla fine Sherlock si convinse della veridicità delle parole del preside, anche se il suo cervello gli diceva che era impossibile.

“bene allora Tom, tre burro-birre per i nostri ospiti”. “C-cosa?” Chiesi io a fatica trovando la parola.

Tom ci consegnò le nostre burro-birre. “Bene signor Holmes, vi ho contattato per chiedervi se poteste avvicinarvi all’ufficio misteri per prendere una profezia che mi riguarda; sa, vorrei metterla nel mio ufficio. Non che l’ufficio misteri non sia sicuro, ma sa com’è? A casa sta sempre meglio. So anche che due babbani, cioè persone magiche, non potrebbero entrarci, ma c’è sempre un’eccezione, no?” “C-cosa? Come fa… Albus Silente? Ma lei è il preside di…. Harry Potter…” Decisamente stavo sognando, mentre Holmes cominciando a credere a tutto ciò, io facevo il contrario. “Sì dottor Watson. Vi conosco perché io ho fatto sparire i due sposi. Tranquilli, che adesso sono a casa loro e non ricordano niente.” “Era solo una trappola quindi” disse Sherlock con il suo tono sicuro, ma dai occhi si vedeva che non riusciva ad accettare un qualcosa che per lui era impossibile. “bene, ora vi istruirò. Starete cui per tre anni, è necessario che voi siate preparati”. “Ma, come ha ribadito lei, noi non abbiamo poteri magici…” “immagino che quelle due fialette provveda a darceli momentarianente. Dico bene preside?” Disse Holmes “bene, saresti un ottimo Corvonero” disse Silente complimentandosi con lui “Secondo me sarebbe un Serpeverde” dissi senza pensare, poi un rossore venne sulle mie guance. Silente rise bonariamente.

Avevo ragione io. Sherlock era stato smistato in serpe-verde, mentre io in Grifondoro. Sherlock è stato molto veloce ad imparare come funziona il mondo magico, mentre io facevo ancora fatica a capire la piantina della scuola. Ovviamente grazie a quelle pozioni, avevamo diciassette anni e per tre anni i poteri magici, voglio dire, l’aspetto di diciassettenni.

I tre anni passarono velocemente - ovviamente non avevamo dimenticato la nostra missione - e un giovedì sera, ci ritrovammo nell’ufficio misteri.

“Sherlock, questo è il nostro ultimo giorno magico…” “Tranquillo Jawn, ho pianificato tutto nei minimi dettagli.” Aprimmo la porta e non appena entrammo nella stanza circolare, la stanza cominciò a girare e non sapevo più quale fosse la porta d’entrata. “tranquillo, guarda” Mi indicò Sherlock una croce luminosa su una delle porte. “Sei fantastico!” Sherlock sorrise e disse solo: andiamo.

Dopo vari tentativi, io trovai una porta che non riuscivo ad aprire. “Sherlock, hai qualcosa per aprirla? Non si apre neanche con l’aloomora”. Allora Sherlock si avvicinò e prese un coltellino, ma non appena toccò l’interno della serratura, la lama si sciolse come neve al sole. “non è qui.” Disse Sherlock infastidito, più che altro perché non riusciva ad aprire la porta. Non so come entrambi mettemmo la mano sulla maniglia, abbassandola, e la porta si aprì. “ma cosa? come?” Sussurrammo entrambi sorpresi. Una voce, che non si riusciva a capire la provenienza, parlò con voce limpida: “questo è il vero amore. Molti hanno cercato di aprire questa porta, ma in pochi ci sono riusciti. In molti si sono chiesti quale mistero, quale magia, nascondesse questa porta, ma non sono riusciti ad aprirla; perché in questa magia non esiste l’oscuro, non esiste il male, non esiste il nero.” Entrambi i ragazzi rimasero stupefatti e si inginocchiarono a quella voce divina.

John aprì bocca, ma non riusciva a parlare, non voleva rovinare il momento con la sua voce; Sherlock non parlava per lo stesso motivo. Allora, per far capire ciò che volevano dire, si avvicinarono uno all’altro e le loro labbra si sfiorarono dolcemente: una, due, tre volte.

“Sherlock! Si è svegliato”. Il detective si guardò intorno e ci mise cinque secondi, più del solito, a capire che era in una stanza d’ospedale con una flebo attaccata al braccio e la mascherina sul naso e bocca. “cos’è successo?” Chiese con voce Rauca. “Ti ha sparato. Quel Riddle! Se gli metto le mani al collo, lo ammazzo” disse John, Sherlock sorrise. “John…” “ssssh, riposati, poi ti racconterò tutto.” “no, me lo racconti adesso. Voglio sapere Watson”. “bene. Si ricorda che ha aperto la cassa?” Holmes annuì “bene. Non appena ha preso il diamante in mano, Riddle l’ha sparato. Volevo proteggerla, ma se mi avrebbe sparato, saremmo entrambi morti. Così, mentre lui ha sparato, io ho chiamato l’ispettore Lestrade. Suo fratello l’ha portata qui ed è incosciente da tre ore. Menomale che si è svegliato!” Sherlock era meravigliato e si chiedeva se stava sognando oppure no. Guardò alla sinistra di John e vide Mary che teneva la sua mano tra le sue; capì che il bacio e la magia era solo un sogno.

Watson vide negli occhi del detective terrore, rabbia e rassegnazione; ma passarono così in fretta che non sapeva se fossero reali. Il detective sorrise. “sono stato fin troppo qui” si alzò con eleganza, come se stesse benissimo. Watson, dopo qualche insistenza, lo aiutò a togliersi tutti quei macchinari e lo accompagnò a Baker Street. “Ci vediamo Mister Holmes” disse Mary sorridendogli e Holmes pensò che sarebbe stato meglio se non si fosse svegliato.

   
 
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