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Autore: bookwormmpotterhead12    14/07/2019    0 recensioni
Genere: | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Piccoli e teneri (si fa per dire) - serie'
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Bill Weasley era uno spezzaincantesimi della Gringott. Era il maggiore i sette figli. Aveva combattuto la Seconda Guerra Magica, era stato attaccato da Fenris Greyback.

Ma, comunque, non pensava di poter sopravvivere alla sfuriata che la moglie gli stava riversando addosso in quel momento.

Tutto era cominciato con un paio di inglesine numero ventinove, che ora giacevano abbandonate ai piedi della strega intenta a sputare un effluvio di parole adirate condite di espressioni sicuramente poco gentili in francese.

«No, no e poi NO!» stava strillando -sottovoce, per non svegliare i bambini al piano di sopra- mentre indicava con aria disgustata il mucchietto i vestiti fra loro.

«Ma petit non metterà quell'orrida uniforme! Cosa avete voi anglesi contro i vestiti colorati?!

«E' così scuro e triste e...non lo metterà!»

Fleur prese fiato con le labbra serrate, sembrando intenzionata a scendere a toni più miti, ma poi riprese la sua tiritera.

«Già ho acconsentito che andasse a quell' ecòle terrible, ma non permetterò che vestano la mia bambina a quel modo orrible

Il suo inglese con gli anni era diventato praticamente perfetto, ma capitava che quando era particolarmente turbata o arrabbiata le scappassero delle parole in francese nel bel mezzo di una frase. Il povero Bill rimaneva puntualmente confuso come dopo un incanto Confundus, mentre la figlia maggiore riusciva a seguire tranquillamente i discorsi di entrambi i genitori e non aveva nessuna difficoltà neppure con quelli a lingua mista. Il padre si chiedeva come facesse.

Ma d'altronde, Victoire aveva parlato in una lingua tutta sua per almeno un anno e mezzo: doveva essere particolarmente portata.

Comunque in quel momento Bill aveva ben altro di cui preoccuparsi: la moglie lo stava guardando con uno sguardo così furente negli occhi azzurri che gli venne voglia di indietreggiare come mai gli era successo fronteggiando i Mangiamorte. Almeno però, era allenato.

Imponendosi mentalmente di non ricordare a Fleur che la divisa di Hogwarts era nera, visto che lei sembrava alterarsi ogni volta che il mago dava per scontato che i figli avrebbero frequentato quella scuola di magia, si chinò a raccogliere il mucchietto di vestiti scuri da terra. Lei li avrebbe voluti tutti e tre a Beauxbatons, i loro figli, perché lei ponsa che è meglio, ma ovviamente Bill riteneva che dovessero andare ad Hogwarts. Era una discussione che finiva in un vicolo cieco.

Sospirando piano, sbatté via la polvere da quella che poi altro non era se non la nuova divisa scolastica della figlia. Che a lui, tra l'altro, non era sembrata così male!

Un po' troppo grande per la sua piccina, forse, ma quando era andato a ritirarla la fornitrice gli aveva detto che era la misura più piccola che avesse. Vicky era così minuta... la sorellina, pur avendo tre anni di meno, le arrivava già oltre la spalla. E poi, quando stava vicino a Teddy -ovvero gran parte del tempo- appariva così piccola che era difficile credere che i due avessero solo due anni di differenza.

Comunque Bill non commentò. Se lui fosse stato meno pacato e giusto un pizzico più orgoglioso di quel che era, Villa Conchiglia avrebbe probabilmente risuonato di urla. Ma lui era anche cresciuto con sei fratellini, dopotutto, era temprato. E poi la amava così tanto... è che era un po' testarda, ecco tutto.

In ogni caso non la avrebbe mai convinta insistendo su quel piano. Era il momento di passare al piano B, la strategia sottile.

«Tesoro, scusami, non avevo capito avessi un problema con le divise...» buttò lì con aria allusiva« portavi la tua con tanta grazia... Ma forse è successo qualcosa e-»

«Io non ho proprio nessun problema con le divise!» lo interruppe seccamente Fleur «Soltanto, quella è veramente orrible e mia figlia non la metterà mai!»

Ottimo risultato della strategia sottile, c'era da dirlo. Era ora di passare al piano C. ma ne aveva uno?

Una vocetta argentina li interruppe e, per così dire, salvò il mago in extremis.

«Che cosa? Che cosa che cosa che cosa?»

Victoire scendeva allegramente le scale a balzelli, i ricci biondi e scarmigliati che le rimbalzavano sulle spalle e gli occhi brillanti per la novità. La sorellina Dominique le piangeva dietro dalla cima delle scale, che non aveva più voluto scendere da sola da quando era ruzzolata giù e ci aveva guadagnato uno spacco sanguinante sulle labbra e una bella selva di bernoccoli.

La maggiore si fermò un momento e si voltò per controllare che stesse bene, ma constatato che stava solo facendo una lagna scese gli ultimi gradini e si precipitò dal padre zompettando.

Per qualche attimo i genitori fissarono le due bambine come se fossero strane apparizioni, poi si riscossero. Fleur corse a consolare Domi prima che svegliasse con il pianto anche il figlio minore, mentre il marito si chinava per stare all'altezza di Vicky, che gli stava tirando insistentemente i pantaloni. Chissà da chi aveva preso quel vizio...

«Che succede papino?» gli chiese aggrappandosi al suo braccio con le manine. Era ancora in pigiama e le bretelline della camicia da notte a motivi di orsetti di pezza e dolci le cadevano continuamente dalle spalle, facendo scivolare ancora più in basso l'orlo che già le arrivava alle caviglie. Con quella indosso, i morbidi ricci biondissimi sparsi intorno alla testa come un'aureola e i segni delle lenzuola sul viso aveva un'aria alquanto buffa. Però era sveglissima, con gli occhioni grigi che lo scrutavano acuti e i piedini che battevano ininterrottamente sul pavimento, nudi.

Bill lanciò uno sguardo verso la moglie, che era occupata a cullare la figlioletta in lacrime, preda di un terribile capriccio mattutino.

Victoire lo notò e sembrò interpretarlo come un segno di preoccupazione nei riguardi della sorellina, perché scosse la testa con aria tragicamente esasperata e arricciò il nasino, rassicurandolo.

«Oh, non preoccuparti per Domi. Sta facendo un altro capriccio dei suoi...» fece, storcendo la bocca con aria confidenziale e ruotando gli occhi verso il soffitto in un'esasperazione della sua esasperazione.

Al padre venne da ridere. “Sapessi quanti ne facevi tu”, avrebbe voluto dirle, ma gli sembrava opportuno sfruttare quel momento in cui Fleur era occupata e non gli stava prestando attenzione. Se Dominique avesse avuto davvero qualcosa di grave, Bill sarebbe stato già sulla buona strada per il panico. La moglie lo prendeva sempre in giro dicendogli che era iperpreotettivo e chiedendogli come avrebbe fatto quando le figlie avrebbero cominciato a uscire con qualcuno. Meglio non pensarci, aveva ancora una ventina d'anni almeno per prepararsi.

Comunque quello era solo un normale capriccio di routine.

«Senti bene papà, Vicky» le disse guardandola negli occhi grigi, che ricambiavano curiosi «E rispondi sinceramente. Tu, alla scuola elementare ci vuoi davvero andare?»

Lei rimase chiaramente sbalordita dalla domanda e guardò il papà con la fronte corrugata: insomma, non si era parlato solo di quello da due settimane a quella parte? E non avevano convinto maman, alla fine, a farla andare a scuola?

Bill dovette accorgersi della sua perplessità, perché sorrise dolcemente e le passò una mano fra i ricci scompigliati, con uno sguardo di scuse.

«Lo so, lo so. Non abbiamo parlato d'altro, umh?»

La bimba annuì e il papà le sorrise ancora.

«Ultima volta» promise «Devi solo dirmi... tu ci vuoi davvero andare? Anche se potrebbero esserci cose della scuola che ti piacciono di meno? Anche cose che non ti piacciono per niente?»

Si preparò alla cascata di domande curiose della figlia.

Victoire invece alzò lo sguardo verso di lui e sollevò le sopracciglia.

«Sì, certo, ci va anche Teddy!»

Avrebbe dovuto aspettarselo.

Ridacchiando, Bill recuperò da una sedia la divisa nuova di zecca e la lisciò.

«Allora, vuoi vedere la tua nuova uniforme?»

Con un urletto acuto, Vicky ricominciò a saltellare sulle punte dei piedi e a tirargli i pantaloni, strillando di sì fino a forargli i timpani. Un po' frastornato, il mago spiegò l'uniforme tenendola in aria e attese.

Victoire si sollevò sulle punte dei piedi, sporgendosi leggermente in avanti, e si mise ad osservare con le palpebre socchiuse i vestiti tanto disprezzati da Fleur.

Erano molto simili a quelli di Teddy: una gonnellina nera a pieghe invece dei pantaloni eleganti -potendo scegliere fra i due, Bill aveva puntato sulla gonna- con delle calze e sopra camicetta e maglione. Tutti i capi erano o neri, oppure rossi e bordeaux, i colori della scuola. Le calze ad esempio erano di quei colori, a fantasia scozzese, e gliene avevano date tre paia, per ricambio. Anche i maglioni che, notò Vic, avevano lo scollo leggermente più a V rispetto a quelli di Teddy, erano uno blu con delle righe rosso scuro su polsini, vita e colletto e l'altro l'esatto opposto. La camicetta bianca aveva i bottoni a sinistra e polsini e colletto arricciati.

Quando Bill era andato a ritirare la divisa, aveva pensato che Harry avesse trovato davvero una bella scuola. Poi, subito dopo, che sicuramente la aveva trovata Hermione.

La sarta fornitrice lo aveva informato che per i primi due anni era possibile scegliere un fiocco, blu e bordeaux ovviamente, anziché la cravattina, ma lui nell'indecisione li aveva presi entrambi. La donna sembrava aver compassione di lui, in effetti.

Teneva sollevata l'uniforme da qualche minuto ormai, chiedendosi come Merlino facesse Vicky a starsene sulle punte a quel modo senza nemmeno tremare, e cominciavano a fargli male le braccia; per di più aveva l'impressione che di lì a qualche secondo le scarpine che stringeva con due dita sarebbero cadute a terra. Quelle erano l'unica cosa che fosse piaciuta a Fleur, perciò dovevano essere un tipo di calzatura abbastanza raffinato: la punta era rossa e la gomma sopra le suole blu, e ovviamente anche le stringhe erano dei colori della Regina Vittoria. A Bill pareva che la moglie le avesse chiamate inglesine.

Azzardò un'occhiata al viso della figlia da sopra i vestiti. Fissava col faccino corrucciato la sua nuova uniforme, sicuramente intenta a catalogarne ogni dettaglio per decidere se le piaceva oppure no. Il mago pregava ardentemente di sì.

Finalmente, la bambina si abbassò e batté le palpebre, alzando su lo sguardo verso il viso del padre. Bill prese un corto respiro, preparandosi ad una sfuriata o ad un interminabile discorso su pregi e difetti dell'uniforme, e abbassò le braccia.

«Può andare»

Per poco non gli caddero le braccia. Spalancò la bocca stordito: tutto quel tempo a scrutarla e tutto ciò che otteneva era un “può andare”? Oh, per Merlino e Morgana.

Victoire sorrise raggiante e si avviò saltellando verso la cucina. A metà strada, si fermò e si voltò verso il padre, con il sorriso che le si piegava in una smorfia furba.

«Se tieni la bocca così aperta ti ci entreranno le mosche, papino» fece candidamente, prima di correre in cucina gridando qualcosa alla mamma su quanto fosse entusiasta di cominciare la scuola e quanto adorasse la sua nuova uniforme.

Chiudendo lentamente le labbra, Bill scosse piano la testa.

«Mi faranno diventare matto!»

 

L'uniforme non causò problemi soltanto a Bill Weasley, quel giorno.

Harry James Potter, padre biologico di due figli e salvatore del mondo magico e bla bla bla, stava avendo seri problemi a trascinare il suo figlioccio per le strade della Londra babbana. Era un pomeriggio di fine estate e la città era piena di turisti e abitanti che si erano concessi un po' di tempo per andare a spasso e tutti, nessuno escluso, rivolgevano occhiate sconcertate al ragazzino dai frizzanti capelli color fiordaliso che puntava i piedi protestando a voce davvero troppo alta.

«Ma zio...»

«Ma niente, Teddy!» lo interruppe subito il mago, già esasperato «Se non vuoi che ogni singolo anno ti trascini alla sartoria, vedi di impegnarti a non distruggere ogni singola cosa che ti si mette addosso!»

«Non sono io che le distuggo!» esclamò Ted risentito «Solo loro che si strappano!»

Sbuffando, Harry riprese a camminare spedito, costringendo il figlioccio a stargli dietro.

“Come se ci servisse attirare ancora più attenzione!” borbottò mentalmente il mago, fin troppo spesso assalito da orde di giornalisti e fotografi e non sapeva più nemmeno cosa ogni volta che metteva il naso fuori dal suo ufficio. Proprio per tutti quei fastidi continui, lui e Ginny avevano deciso di non rimuovere l'ormai debole incanto Fidelius dal numero 12 di Grimmauld Place: se non altro, a casa potevano starsene in pace.

Teddy inciampò in avanti e quasi andò a sbattere contro una distinta signora che prese a strepitare di giovani ed educazione e non la smise, nonostante le scuse di Harry, finché non si furono allontanati di almeno dieci metri.

«Ted!» sbottò a quel punto Harry, alquanto stufo di dover tirare il bambino per tutta la strada fino alla scuola «Vorresti per favore smetterla?!»

«No!» rispose chiaramente quello, alzando il mento con ostinazione.

Harry sospirò. «Senti, Ometto, lo so che non ti piace portare la divisa della scuola, lo ho capito. Sfido chiunque a non averlo capito...»aggiunse fra i denti «Ma non è una cosa che puoi scegliere, no? È come il raffreddore, ci puoi solo convivere»

«Potrei sempre andare a scuola in pigiama» ribatté lui.

«Oh sì, quella sì che sarebbe una scelta di grande stile!» rise il padrino « Peccato che poi ti butterebbero fuori, e non devo essere io a ricordarti che quest'anno verrà anche Vicky, no?»

Forse non stava giocando troppo pulito, ma quella era la mossa della vittoria. Confermare a Teddy che la cugina si sarebbe finalmente unita a lui lo avrebbe dissuaso da qualsiasi fantasia di farsi cacciare per non dover portare più l'uniforme.

Infatti, gli occhi del ragazzino si illuminarono -e divennero letteralmente di colori più accesi- e gran parte della sua stizza svanì.

«Allora verrà davvero?» chiese speranzoso.

Harry annuì solennemente. « Umh-umh»

Ted fece un mezzo saltello di gioia, trascinato dall'euforia, poi si ricompose in quella che riteneva essere un'espressione noncurante.

«Beh, la ho già sopportata due anni...» buttò lì con aria casuale «Immagino di poter sopportare ancora»

«Sono pienamente d'accordo»

Zio e figlioccio si incamminarono di nuovo verso la Regina Vittoria, aperta proprio per chi aveva le loro stesse necessità. Teddy era cresciuto ancora dall'anno precedente, e per di più a giugno i capi della sua divisa erano tutti o dispersi o distrutti, perciò era necessario che lo accompagnassero -con suo grande dispiacere- alla sartoria della scuola per prendere una nuova uniforme. Nonna Meda non la finiva mai di ripetere che erano fortunati che la scuola fornisse una nuova divisa, se serviva, all'inizio di ogni anno scolastico: quelle del nipote non sopravvivevano mai integre più di tre mesi. La verità, che Teddy si guardava bene dal raccontare, era che lo avevano spedi

   
 
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