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Autore: Elef    14/07/2019    0 recensioni
Nord America, 1784
***
"Si risvegliò di soprassalto, il respiro affannoso, la gola secca e la vista appannata.
«Madre...» biascicò nel suo stordimento.
Percepì un panno bagnato appoggiato sulla sua fronte e poi una forma non definita – ma indubbiamente umana – entrò nel suo campo visivo.
«Madre, sono qui…!» ripeté, allungando un braccio verso di essa. La figura prese l’arto e lo poggiò delicatamente sulla superficie su cui era coricato.
«Tranquillo, va tutto bene.» gli rispose una voce morbida. «Dormi.»
Connor lasciò che quelle parole lo guidassero in un sonno stavolta privo di incubi."
Genere: Hurt/Comfort, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Connor Kenway, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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CAPITOLO 4

TEMPO DI PACE

 


 

Un vento mite soffiava gentilmente quel giorno di giugno, scompigliando le chiome del bosco di sempreverdi. Dopo quei due violenti acquazzoni che c'erano stati quella settimana, il tempo stava tornando ad essere clemente. Sul sentiero fangoso che si inerpicava sulle colline verdeggianti di un bosco, affondavano a rimo alterno gli zoccoli di un cavallo pezzato. Connor, sul suo dorso, gettò un'occhiata ai dintorni per capire se era sulla strada giusta: riconobbe il punto in cui, più di due anni prima, aveva salvato la vita ad Atená:ti.

Più di due anni prima.

Gli sembrava incredibile ma era proprio così, erano passati due anni e qualche mese da allora. Aveva avuto così tanto da fare che a malapena se ne era reso conto.

Mentre il suo destriero procedeva lungo il cammino, gli venne da ripensare al villaggio dove era stato accolto e assistito con premura per circa un mese. Era stato un arco di tempo non molto lungo, ma gli era bastato per stringere una buona amicizia con Arahkwenhá:wi e capire che si era innamorato di Otsísto. La giovane indigena dai lunghissimi capelli corvini si era rivelata essere un'inaspettata quanto piacevole svolta della sua vita. Non solo aveva curato con maestria le sue ferite fisiche, ma era riuscita anche a lenire, per quanto possibile, quelle derivate dai numerosi e tristi ricordi che costellavano la sua giovinezza. Con la delicatezza dei suoi modi e la totale assenza di giudizi rispetto ad alcune sue scelte, come ad esempio quella di uccidere il suo stesso padre, era stata un balsamo per il suo animo tormentato. Connor aveva sentito fin da subito la mancanza della sua presenza quando era partito alla volta della Tenuta di Davenport.

Sul suo volto in ombra, fiorì un lieve sorriso al pensiero del momento più importante che lui e la sua amica avevano vissuto.

Fu in una sera come altre, qualche giorno prima che se ne andasse. La cena era già stata consumata, lui era steso sul suo giaciglio e lei, come fin lì aveva sempre fatto, stava spalmando l'impacco di erbe sulle ferite ormai quasi completamente rimarginate. Le sue dita esperte, per un attimo, si soffermarono su un'evidente cicatrice rossastra di forma vagamente ovale sul lato destro del suo costato. Non era la prima volta che lo faceva e ogni volta l’espressione le si faceva accigliata. Ma fin lì non gli aveva mai chiesto nulla, forse per non risultare troppo invadente. Quella sera, decise che avevano abbastanza confidenza per parlarne.

«Questa deve essere stata dura da superare.» cominciò indicando lo sfregio.

«È successo due anni or sono, mentre inseguivo Charles Lee.» spiegò lui. «Eravamo su una nave in via di costruzione e ad un certo punto il pavimento ha ceduto e siamo precipitati al piano inferiore. Un piccolo palo di legno mi si è conficcato proprio lì. Nonostante ciò, ho deciso di portare a termine la mia missione. Il Dottor Lyle era preoccupato oltre ogni limite quando mi sono presentato a casa sua più morto che vivo.»

«Penso che nessuno lo capisca meglio di me.» rispose lei, facendo cenno alle cicatrici più recenti su cui stava spalmando l’impacco. Poi, inaspettatamente ma con educata delicatezza, appoggiò una sua mano fresca su quella più grande e calda di lui e gliela strinse.

«Gli spiriti siano ringraziati per la bravura del dottore, ma anche per la tua enorme forza, Ratonhnhaké:ton. Da non credere, pare che tu ne abbia più di quella di due dei nostri guerrieri messi assieme. Sono contenta che tu non l’abbia mai abbandonata e che lei non abbia abbandonato te, specialmente nei momenti più difficili. Tua madre sarebbe sicuramente fiera dell'uomo che sei.»

Quelle parole… Erano tra le più belle che avesse mai sentito in vita sua.

Connor si mise a sedere, immergendosi in quegli occhi scuri che al debole chiarore del falò brillavano come stelle. La sua mente e il suo cuore per un attimo litigarono ma le emozioni che in quel momento stava provando erano troppo forti per essere represse dalla ragione. Fu così che si ritrovò ad allungare una mano per sistemarle una ciocca ribelle dietro l'orecchio; un gesto semplice, reso significativo dall'intesa presente nei loro sguardi.

Era la prima volta che si comportava in quel modo con una donna. Tuttavia, per lui Otsísto non era una donna qualunque. Evidentemente nemmeno lui era un uomo qualunque per lei, o non avrebbe pronunciato quelle frasi né si sarebbe sporta in avanti per posare le labbra sulla sua guancia qualche istante dopo. Un contatto che durò solo pochi istanti, ma che fu indubbiamente di grande valore per entrambi. In quel preciso momento, il giovane seppe che, non appena gli fosse stato possibile, sarebbe tornato da lei.

Mentre avanzava sul sentiero, notò il primo gruppetto di cacciatori aggirarsi per la foresta, sul lato sinistro. Uno di loro udì il sonoro sbuffo del suo cavallo e si voltò allarmato. Connor lo tranquillizzò sollevando una mano per farsi riconoscere e l'altro ricambiò, entusiasta di rivederlo.

Gli abitanti del villaggio si erano dimostrati perlopiù accoglienti nei suoi confronti e questo non aveva fatto altro che incrementare la sua voglia di tornare. Si ricordò di quanto gli fosse dispiaciuto quando aveva dovuto dire temporaneamente addio alle persone che aveva conosciuto meglio. I fischi amichevoli e gli auguri da parte dei presenti lo accompagnarono fino alla soglia della palizzata. Lì, vi trovò Arakhwenhá:wi e Atená:ti, i quali lo salutarono con una fraterna stretta del braccio e gli porsero ancora una volta i loro ringraziamenti più sinceri. Di fianco ai due fratelli, la Madre del Clan si aprì in uno di quei suoi sorrisi in cui i piccoli occhi neri sembravano per un attimo sparire dal suo viso tondo.

«Il nostro villaggio sarà pronto ad accoglierti, in qualsiasi momento tu volessi ripresentarti. Ó:nen ki' wáhi, Ratonhnhaké:ton.» gli disse mentre anch’ella gli stringeva il braccio, per poi dargli un’amichevole pacca sulla spalla. Non un addio, un arrivederci. Lui le sorrise in risposta.

Infine ci fu lei, Otsísto. Quando i loro occhi si incrociarono, il giovane sentì la forte tentazione di rimanere esattamente lì dov’era. Ma, per l'ennesima volta, si impose di pensare per prima cosa ai suoi doveri.

«Mi prometti che ritornerai?» gli mormorò lei, in modo più discreto possibile, un'implorazione malcelata negli occhi scuri.

«Te lo prometto.» confermò lui, sicuro. «Però non so con certezza quando.»

«Non importa, ti aspetterò quanto sarà necessario. Quando lo farai, dirigiti al grande ceppo.»

Connor annuì, cercando di ignorare gli sguardi curiosi e confusi fissi su di loro.

«Buon viaggio, ontiatén:ro. (*) Che gli spiriti veglino su di te.»

«E su voi tutti.» rispose lui con un sorriso, stringendole il braccio.

Quel ricordo lo guidò ad addentrarsi nella foresta con il suo destriero. Sulla sinistra, vide l'albero tagliato per metà da un fulmine, su cui lui e Otsísto si erano seduti durante una delle loro numerose escursioni fuori dal villaggio. Quel giorno, aveva deciso che poteva fidarsi completamente di lei e, su quel tronco piegato dalle intemperie, le aveva raccontato la storia della sua vita, partendo dalle sue memorie più remote. Le disse dei suoi genitori, del suo addestramento con Achille, degli anni che aveva passato a braccare i Templari in giro per le Colonie inglesi e della comunità a cui aveva dato vita alla Tenuta di Davenport. Le raccontò anche alcune delle avventure che aveva vissuto per mare e questo non fece che incrementare in lei la curiosità di vedere la sua nave. Alla fine della narrazione, costellata qua e là da pause contemplative e timidi commenti da parte di Otsísto, quello che disse lei fu semplicemente: «Io comprendo e ti rispetto.»

A lui bastarono quelle poche parole per capire che aveva trovato in quella giovane donna una confidente senza pari. Non come Myriam o Ellen le quali, per quanto fosse loro affezionato, non avevano mai condiviso con lui quell'intesa particolare. Nemmeno con la sua recluta e consorella Dobby era mai successo di ritrovarsi in quella situazione sebbene – col tempo lo aveva capito – lei per lui provava un profondo interesse. Con Aveline ci era andato vicino, ma i loro caratteri e le loro strade si erano dimostrati essere troppo differenti per essere compatibili. Di altre donne che aveva conosciuto in vita sua, non ne aveva mai presa in considerazione nemmeno una, semplicemente perché nessuna lo aveva attratto a tal punto da sconvolgere l’ordine delle sue priorità.

Sapeva, tuttavia, perché si era innamorato di Otsísto. Oltre che essere amabile già di suo, era uno specchio perfetto dei principi che lui stesso aveva sempre sostenuto, anzi, era anche più di un semplice specchio. Il suo rispetto per la vita e l’amore per il mondo che li circondava, erano stati di grande aiuto per uscire da quel pantano di amarezza in cui era lentamente scivolato negli ultimi anni. In quei ventisei mesi di separazione da lei, aveva avuto il tempo per ponderare su ciò che gli aveva trasmesso. Il preciso momento in cui capì che il suo sostegno era stato rilevante fu in un’afosa sera di fine estate.

Era nella cabina del capitano dell’Aquila durante un lungo viaggio in mare. Mentre sentiva la ciurma intonare la malinconica melodia di Stormalong John (*), l’occhio gli cadde sul diario di suo padre. Lo aveva letto almeno cinque volte da quando ce l’aveva. L’ultima insieme ad Otsísto, dopo che lei si fu dimostrata interessata.

«Tuo padre non era l’uomo che tu credevi che fosse, certo.» gli aveva detto dopo aver confrontato entrambi i punti di vista.

«Forse avresti dovuto ascoltarlo e forse lui avrebbe dovuto parlartene prima che fosse troppo tardi. Fatto sta che è inutile pensare ora a quello che avrebbe dovuto essere. Lasciarti sopraffare dai tuoi rimpianti non ti aiuterà a vivere in pace. Trovare il modo di conviverci sì. Tuo padre ha vissuto appieno la sua vita, con i suoi tormenti e i suoi successi, e in fondo ciò che voleva davvero era che lo facessi anche tu. Pensa a questo quando ti ricorderai di lui.»

Erano frasi su cui aveva già riflettuto parecchio anche Connor, tuttavia sentirle essere pronunciate da un’altra bocca senza che lui ne avesse mai fatto cenno lo rassicurarono e gli diedero la forza di superare il rimorso, oltre che il dubbio per la causa che sosteneva. Quella sera, mentre solcava le onde smeraldine del Mare dei Caraibi, decise che avrebbe scritto il suo punto di vista sul diario di Haytham Kenway, Gran Maestro dei Templari, suo padre e sua vittima più compianta. Era giunto il momento di liberarsi di quel sentimento malsano e di ripudiare una volta per tutte quel pensiero mesto che gli ronzava nella testa come un insetto molesto.

La libertà non è pace.”

Non era vero, non per lui. Da quando aveva letto per la prima volta quelle memorie non ne era stato più tanto certo ma ora lo era, forse addirittura più di un tempo.

Con un sospiro, si sedette allo scrittoio e intinse la piuma d’aquila nel calamaio. Rilesse ancora una volta le ultime parole lasciate da Haytham nella sua calligrafia elegante.

Ti offro la verità, Connor, e tu fanne ciò che vuoi.”

Poi voltò pagina e cominciò a stilare le sue. Non si era mai sentito particolarmente portato per la scrittura ma descrivere quei ricordi lo rilassò immediatamente: ben presto, sulle ultime pagine gialle e macchiate di quel diario, si depositarono i racconti dettagliati dello scontro con suo padre, dell’inseguimento di Charles Lee e del suo ritorno al villaggio, corredati attentamente con le date scolpite nella sua memoria come su pietra. L’ultima narrazione, comprendeva le frasi che aveva rivolto ai suoi genitori sulla tomba di Connor Davenport, quando aveva seppellito l’amuleto come Giunone gli aveva detto di fare. In realtà, non aveva pronunciato quelle parole, ci aveva solamente rimuginato sopra mentre scavava. Ma quando venne il momento di scriverle, pensò che fosse doveroso inserirle sotto forma di un discorso che avrebbe voluto fare.

Ora, nella foresta, mentre il cuore gli saliva in gola scorgendo la figura familiare di Otsísto seduta a gambe incrociate sul suo caro ceppo, gli sovvennero quei pensieri che aveva ormai imparato a memoria a forza di rileggerli e correggerli.

Madre. Padre. Mi dispiace. Vi ho delusi entrambi.”

Mancavano ancora una cinquantina di metri alla sua meta. Decise di scendere dal suo cavallo pezzato e, dopo avergli tolto redini e briglie, gli diede qualche amichevole pacca sul collo possente, lasciandolo libero di brucare. Poi procedette silenziosamente tra le frasche del sottobosco.

Avevo promesso di proteggere la nostra gente, madre. Avevo pensato che se avessi fermato i Templari, se avessi potuto evitare che influenzassero la Rivoluzione, allora coloro che appoggiavo avrebbero fatto ciò che era giusto. L’hanno fatto, immagino. Hanno fatto ciò che era giusto, ciò che era giusto per loro.”

Dalla radura, avvertì la calda risata che conosceva bene e un cane fare dei versi compiaciuti. No, non un cane, aveva un latrato diverso. Era un lupo.

Per quanto riguarda voi, padre: avevo pensato che sarei riuscito a unirci, che avremmo dimenticato il passato e, insieme, avremmo creato un futuro migliore. Avevo creduto che, col tempo, sarei riuscito a farvi vedere il mondo come lo vedo io, che avreste compreso… Ma è stato solamente un sogno. Anche questo, avrei dovuto saperlo.”

Connor si fermò un attimo e spostò lo sguardo sul suo braccio sinistro, osservando il lungo bracciale di cuoio che il suo mentore gli aveva dato quella che gli sembrava una vita prima. Con un lieve movimento della mano, fece scattare la lama celata. L’acciaio affilato scintillò minacciosamente al contatto con i raggi del sole che filtravano tra le chiome degli alberi.

Non è dunque il nostro scopo quello di vivere in pace? È così? Siamo nati per litigare? Per combattere tra di noi? Così tante voci, e ognuna pretende una cosa diversa… A volte è stata dura, ma mai come oggi. Vedere tutto ciò per cui mi ero impegnato corrotto, scartato, dimenticato.

Quasi non si accorse di aver stretto forte il pugno. Lo rilasciò, concentrando piuttosto la sua attenzione sulle parole arabe incise sul piatto della lama.

Voi direste che ho appena descritto l’intera storia umana, padre. Dunque state sorridendo, ora? Sperando che io pronunci le parole che volevi sentire da tempo? Per confermarvi? Per dire che avevate sempre avuto ragione?”

Quando era ancora un ragazzino assetato di vendetta, Achille gli aveva detto che cosa volevano dire quelle parole a lui totalmente sconosciute. “Nulla è reale, tutto è lecito.” Non aveva compreso davvero il senso di quel motto fino a quando non si era trovato a dover conficcare la lama nel collo della sua prima vittima, William Johnson. Libertà significava pace, ma pace significava trovare il modo di convivere ogni giorno con le conseguenze delle proprie azioni, proprio come gli aveva detto anche Otsísto.

Non lo farò.”

Con un sospiro, rinfoderò l’arma.

Persino ora, di fronte alla verità delle vostre fredde parole, mi rifiuto di farlo, perché credo ancora che le cose possano essere cambiate. Forse non ci riuscirò mai. Gli Assassini potrebbero combattere per altri mille anni invano. Ma non ci fermeremo!”

Sentendo il fruscio dei suoi passi su alcune foglie secche, il lupo gli andò incontro cautamente e gli mostrò le zanne bianche come avvertimento.

Giungere a compromessi. È su questo che tutti hanno insistito. E così ho imparato la lezione, ma in modo differente rispetto alla maggioranza, credo.”

La belva abbaiò un paio di volte mentre Connor si avvicinava e si preparò ad attaccarlo.

«Satoríshen tsi sahní:hen! (*)» lo rimproverò una voce morbida. Il lupo smise di ringhiare ma rimase in allerta, gli occhi gialli puntati sulla figura incappucciata.

Mi rendo conto, ora, che servirà tempo, che la strada davanti a me è lunga e avvolta nelle tenebre. È una strada che non mi porterà sempre dove vorrò andare e dubito che vivrò per vederne la fine. Ma la seguirò comunque.”

Dietro l’animale, comparve la figura sottile della sua amica. Non era per niente cambiata. Aveva solamente i capelli raccolti in due lunghissime trecce. Gli ricordava un po’ sua madre, come l’aveva vista l’ultima volta che l’aveva incontrata, in quella realtà sprigionata dal contatto di Washington con la Mela dell’Eden. Guardandola, si sentì a casa.

Poiché al mio fianco cammina la speranza.”

«Te lo giuro, anche se brontola tanto, questo sciocchino è molto affettuoso.»

Mentre gli rivolgeva quelle prime scherzose parole dopo due anni, il giovane notò che Otsísto faticava a trattenere l’emozione, accarezzando la testa del lupo. Un ampio sorriso le si era aperto sul volto nel momento in cui l’aveva visto e lui le aveva immediatamente risposto distendendo le labbra come non faceva da tempo. Si chiese se anche lei aveva le gambe molli quanto lui.

«Vai, piccolo, annusalo. Non lo riconosci? Ha salvato la vita tua e di tua sorella quando ne avevate più bisogno.»

Come se il lupo capisse tutto ciò che lei diceva – e forse era davvero così – separò quei pochi metri di distanza dall’assassino e strusciò il naso sui suoi mocassini per poi voltarsi e tornare al ceppo soddisfatto.

«E ora è ritornato.»

La giovane si avvicinò a lui e con la sua solita, educata delicatezza, allungò le mani per togliergli il cappuccio ancora calato sul viso.

«Te l’avevo detto che l’avrei fatto.» mormorò lui.

«Hen. E io ti avevo detto che ti avrei aspettato.» sorrise lei. Quanto gli era mancato quel barlume nei suoi occhi scuri.

Connor si lasciò avvolgere in un abbraccio caloroso, o meglio, fu lui che avvolse lei. Sentì odore di pelle di cervo, di muschio, di erbe aromatiche e di incenso. Odori di casa. Odori di pace.

Nel momento in cui chinò la testa per posare le labbra sulle sue, lei sussultò appena per la sorpresa e lui sperò con tutto il cuore che non avesse sbagliato qualcosa. In fondo, era il suo primo vero bacio. Ma lei dissolse ogni dubbio quando schiuse le sue per assecondarlo. Si allontanarono dopo qualche istante, tuttavia rimasero aggomitolati in quell’abbraccio per un po’. Nessuno dei due sembrava volersi separare. La prima a farlo, alla fine, fu lei.

«Vieni, andiamo al villaggio. Ti staranno tutti aspettando.» gli disse, conducendolo sul sentiero.

«Sei sicura che Oiá:ner sarà contenta di vederci tornare assieme?» chiese il giovane, vagamente divertito.

«Vorrai scherzare! Ha un’adorazione per te. Non vedeva l’ora che tornassi proprio per rivederci l’uno accanto all’altra. In questi due anni non ha praticamente fatto altro che alternare pareri sui preparativi del matrimonio a domande su di te.»

Connor alzò un sopracciglio. «Come sapeva che…?»

«Temo di averle accennato per sbaglio che sei stato il primo uomo davvero interessante che ho incontrato.» Otsísto scosse la testa ma stava sorridendo.

«È così, dunque?» la stuzzicò lui.

«Certo che è così. Però se le avessi detto tutto il resto – ossia che ti ammiro, che ti rispetto e che non sarebbe male passare il resto della mia vita con te – credo che sarebbe andata a cercarti di persona per portarti qui e celebrare direttamente il matrimonio.»

Entrambi ridacchiarono a quelle ultime parole spiritose. Quando tornarono seri, il giovane prese la parola, tormentato da un unico pensiero.

«Otsísto...» cominciò, fermandosi e prendendole entrambe le mani. «Io sarei più che onorato se tu e tua madre mi concedeste di essere tuo marito. (*) Però voglio dirtelo subito: io ricopro un ruolo fondamentale per la Confraternita degli Assassini e anche per la mia nave, essendo io il suo capitano. Non posso permettermi, ora come ora, di mettere da parte quei ruoli. In questi anni, le mie assenze potrebbero essere frequenti e in alcuni casi anche lunghe.»

«Ratonhnhaké:ton, so a cosa vado incontro. Non ho atteso due anni per nulla.» replicò lei, con un sorriso di comprensione. «Non sarò io a chiederti di lasciare quei compiti, sarai tu a farlo quando ti sentirai pronto. A me non importa se ti dovrai allontanare spesso, voglio solo che tu ti senta a tuo agio quando sei con me e che sia sincero nei miei confronti. È così che dovrebbe essere tra due persone che si vogliono bene, no?.»

«Hen, mai stato più d’accordo.» annuì lui. Ormai non avrebbe dovuto essere meravigliato più di tanto dalla sensibilità di quella donna, eppure ogni volta lei riusciva a farlo rimanere di sasso in qualche modo. Era giunto il momento di dichiararle l’effetto che aveva su di lui quella sensibilità.

«Konnorónhkhwa.» (*)

Non l’aveva mai detto a nessun altro al di fuori di lei e dubitava che avrebbe potuto trovare un’altra donna a cui dirlo.

«Keninorónhkhwa, Ratonhnhaké:ton.» (*) sorrise lei, posandogli una mano sulla guancia. Come a dare una chiusura ufficiale di quella conversazione, si alzò in punta di piedi e gli diede un bacio a stampo.

Poi, si incamminarono sul sentiero, mano nella mano. Il lupo, dietro di loro, li seguì furtivamente mentre andavano incontro al loro futuro.

A dispetto di chi insiste a che io torni sui miei passi, io proseguo. Questo è il mio compromesso.”


 


 


 


 

ANGOLO DELL’AUTRICE

**Si alza dalle ceneri stile Mushu di Mulan** Sooooono viiiiva!

Chiedo umilmente perdono, è stato un periodo un po’ intenso. In più, come sempre, non ero mai soddisfatta di quello che stavo scrivendo, il che non ha fatto altro che peggiorare la situazione. Ma ritornando a noi…

Come credo si sia capito, ho preso in prestito qualche pezzo dal libro “Assassin’s Creed Forsaken” (scritto da Oliver Bowden, ndr) che – me ne vergogno – non ho ancora avuto il tempo di leggere, seppure so già di cosa parla. Spero solo che sia venuta bene la fusione tra citazioni canoniche e scene inventate.

Detto questo, scusate il sentimentalismo ma dato che dal gioco sembra che il finale di Connor non sia particolarmente felice, dopo tutto ciò che ha passato gliene volevo dare uno. A proposito, abbiate fede, prima o poi arriverà l’ultimo capitolo.

Un saluto a tutti!


 

(*) Note

- Stormalong John è uno dei brani cantati dalla ciurma della Jackdaw in Black Flag, nonché uno dei miei preferiti.

- Da quello che ho capito, una coppia Mohawk per sposarsi deve avere il consenso delle madri. Sorvoliamo su Connor perché non so che cosa succeda nel caso uno dei due sposi sia orfano


 

(*) Parole in Mohawk

Ontiatén:ro (pr. Un-tia-tán-ro) = amico

Satoríshen tsi sahní:hen (pr. Sa-to-rí-shan, zi, sah-ní-han) = smettila di abbaiare (lo ammetto, prima ho trovato questa frase e solo dopo ci ho ricamato sopra la scena, ndr)

Konnorónhkhwa (pr. Kon-no-rún-qua) = ti amo

Keninorónhkhwa (pr. Ke-ni-no-rún-qua) = ti amo anch’io

  
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