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Autore: RedCrimson    15/07/2019    0 recensioni
A Giò non interessava la magia. Certo, non le sarebbe dispiaciuto conoscere qualche incantesimo, avere una bella bacchetta fatta di un qualche legno pregiato da agitare con grazia in aria, biascicando qualcosa, e puf! Ricci perfetti e look impeccabile. Ecco, se proprio doveva andarsi a incasinare la vita con la magia che almeno le insegnassero trucchetti utili, pratici e pure di stile. O che almeno potesse avere un animaletto carino e intelligente come mascotte, un bel micino tenerino! Ma anche un criceto sarebbe andato bene o, chessò, una tartaruga! Perché proprio un cellulare uscito dagli anni '90 le doveva capitare? Farsi vedere con quel coso in mano era imbarazzante...
Storiella non troppo lunga e leggera, genere più sul comico e fantastico che fantasy.
Genere: Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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cap2 CAPITOLO II:
Magic Nik



«E tu saresti un cellulare parlante??»
«Sì, qualcosa di simile. In realtà la questione è un po’ più complessa.»
«Ma per favore! Senti, basta con questo scherzo, chiudi la telefonata e lasciami in pace!»
«Certo che sei cocciuta, eh? Sei quasi peggio della vecchia!»
Ormai era da cinque minuti che urlavo contro quel cellulare che affermava di avere vita propria. Per fortuna che quella mattina non c’era molta gente al cimitero o mi avrebbero preso per matta… E forse matta lo ero veramente visto che iniziavo a credere alle assurdità che Machia mi diceva. Vivo o meno, quel cellulare aveva sicuramente qualcosa di strano. Non solo non potevo spegnerlo, ma, quando lo aprii per provare a togliergli la batteria, scoprii che non ve n’era alcuna. Al suo interno c’era solamente quella che sembrava essere una SIM senza numero e con sopra disegnato un cuore. Assolutamente irremovibile (sì, nonostante il disegnino e le proteste del mio interlocutore, tentai subito di rimuoverla ma senza successo).
Disperata, decisi di arrendermi (per il momento) e sentire quello che aveva da dire.
«Va bene, Machia, facciamo finta che io ti creda. Che diavolo ci faceva un cellulare magico nel salotto della signora Corvetti?»
« Eh, me lo sono chiesto anch’io per molti anni…» fece il cellulare esalando quello che aveva tutta l’aria di essere un sospiro «È stato il mio padrone a consegnarmi alla vecchia.»
«Il tuo padrone…?».
«Sì, l’uomo che possiede il mio spirito. Quello a cui è intesta la cosa che tu hai chiamato “SIM”.»
In pratica stava parlando dell’uomo che pagava messaggi, chiamate e forse i giga di internet (ma dubitavo fortemente che quel coso che sembrava uscito alla fine dagli anni ‘90 avesse la connessioni dati).
«E chi sarebbe?».
«Un mago.»
Logico. C’era da immaginarselo. A chi poteva appartenere un cellulare parlante se non a un mago?
«E perché questo mago ti avrebbe consegnato alla signora Corvetti?»
«Perché quel vecchio pazzo voleva che l’altra pazzoide potesse essere sempre in contatto con lui.»
«Ma è un suo parente?»
«Oh no, no di certo.»
Ah! Uno spasimante!
«È suo marito??»
Il cellulare scoppiò in una fragorosa risata.
«Seee, certo! Al vecchio pazzo sarebbe piaciuto!»
Ok, probabilmente Machia non era un cellulare dallo spiccato spirito romantico e io fantasticavo troppo.
«Comunque,» riprese a parlare una volta terminato l’attacco di ilarità « non è che potresti riportarmi dal mio padrone?»
Seguire le indicazioni date da un cellulare vivo per incontrare il suo padrone mago? Mi avrebbe portata sicuramente in un Centro di Salute Mentale… e quella era l’ipotesi migliore. Non era ancora da escludere l’altra del serial killer psicopatico che lasciava in giro strani telefoni e poi chiamava le sue vittime inventandosi strane storie con lo scopo di incontrarle in un qualche edificio isolato, stuprarle e ammazzarle. Certo, c’era anche l’ipotesi più ottimistica, fantasiosa e assai meno probabile di conoscere un vero mago. Chissà se sarebbe stato un tipo più alla Harry Potter oppure alla Gandalf o Merlino… Da come parlava di lui Machia, era più probabile che assomigliasse a quest’ultimo. Versione disneyana, non quella della BBC.
«Allora, mi riporti o no da lui?» tornò a brontolare il telefono « Adesso che la vecchiaccia è morta, il mio compito qui è finito!»
Vecchiaccia... che cosa poco carina da dire al suo funerale... A proposito! Il funerale! Da quanto tempo mi ero assentata??
«Senti, adesso devo ritornare dagli altri ad ascoltare la fine dell’orazione. Tu sta zitto per un’ora o due e poi torneremo a parlare del tuo mago, ok?»
Lo sentii sbuffare poi mugugnò un “d’accordo” e si spense.
In generale non ho mai avuto un gran bel rapporto con la tecnologia, sapevo cavarmela discretamente con i computer ma con i cellulari era un altro paio di maniche. Dalla prima media ne ho avuti diversi, con alcuni c’è stato un certo feeling mentre con altri ho avuto una relazione un po’ più burrascosa ma mai avrei immaginato che sarei arrivata al punto di fare delle vere discussioni verbali, con tanto di compromessi, con uno di loro.
La situazione si stava facendo sempre più assurda.
Ma non potevo trovare un ipod o un ereader parlante? Mi sarebbero stati sicuramente più simpatici.




Giovedì 11 febbraio 2016, ore 17:24
Pieveottoville, Parma


Dopo aver convinto la mia adorata sorella maggiore a farsi un’ora di macchina per arrivare a un paesino disperso in mezzo alla campagna, arrivai nel luogo dove avrei conosciuto il mago: la Casa di Riposo Villa Principe.
Le probabilità di trovarsi davanti a un serial killer si erano ridotte notevolmente, in compenso si erano drasticamente alzate quelle di incontrare un vecchio rimbambito.
«Ma che ci vai a fare in una casa di riposo? Ti vuoi mettere avanti?» mi chiese Sara mentre scendevo dalla macchina.
«Ho promesso a un’amica che l’avrei accompagnata a trovare suo nonno» inventai di sana pianta.
«Tu hai degli amici??!»
Non sapevo se sentirmi offesa da quella domanda e dalla sua espressione stupefatta.
«Certo, Sara, anch’io ho degli amici» risposi in tono piatto con un sorriso falsissimo in faccia.
«Bah! Io non ti vedo mai uscire dalla tua stanza! Credevo che la tua unica amica fosse la vicina!»
“Cara sorella, ma perché non ti fai un po’ i cazzi tuoi? Io non ti rompo le scatole contando i tuoi ragazzi...” fortunatamente lo pensai e basta, se no sarei dovuta tornare a casa a piedi.
«Come vedi le tue preoccupazioni sono infondate, adesso sono fuori dalla mia stanza e sto per incontrare un’amica
«Sì, proprio il giorno del funerale della vicina. Meno male, così non resti sola.»
Appena avrò diciott’anni prenderò la patente.
«Te adesso che fai?» cambiai argomento prima che iniziasse ad uscirmi fumo dalle orecchie «Io dovrei essere pronta per tornare a casa tra un’ora, massimo due.»
«Qui vicino abita un mio amico, l’ho già sentito, andiamo a bere qualcosa da qualche parte.»
Come no. A bere la saliva l’uno dell’altra.
«Allora ti mando un messaggio quando ci sono.»
«Ok, ma non fare troppo tardi che tu domani hai scuola e io lezione.»
Tardi...? Ottimo, mi sarebbe toccato aspettare un’eternità.
«Veramente io pensavo di tornare a casa per cena.»
«Ah!» la vidi aggrottare la fronte con aria pensierosa, probabilmente si stava facendo un paio di conti «Va bene, va bene, allora per massimo le sette e mezza sono qui.»
Dopo un saluto veloce con la mano, rimise in moto la macchina. Speravo vivamente che questo suo amico non le interessasse più di tanto, non avevo idea di quanto ci avrei messo a parlare con il mago, ma dubitavo di avere molti argomenti di conversazione con un anziano in una casa di riposo.
«Oh, era ora che se ne andasse!» sbottò Machia dalla tasca dei jeans « Prima quella musica orrenda in macchina e adesso questa stupida conversazione, su dai, andiamo!»
Era davvero un cellulare insofferente.

Entrata nell’edificio, mi diressi subito alla reception.
«Buonasera, come ti posso aiutare, cara?» mi chiese cordiale la donna in piedi dietro al bancone.
«Salve, sono venuta a trovare uno degli anziani che tenete qui.»
La donna mi guardò perplessa. Ok, forse non mi ero espressa proprio benissimo.
«Come si chiama?»
«Giò Rossini.»
«Ok, fammi un attimo controllare se abbiamo qualche ospite che si chiama Rossini...»
«Ah no, Rossini è il mio cognome.»
Quanto odio dover parlare con gente alla reception. Perché mi doveva dare del “tu”?? Vado al liceo, ho sedici anni, ho diritto al “lei”!
«Allora mi potresti dire il nome del signore che stai cercando?»
«Ehm...»
Accidenti. Non lo sapevo. Effettivamente quella era una cosa abbastanza essenziale da chiedere al cellulare parlante.
Lo presi in mano e vidi che sullo schermo erano apparse delle lettere.
«Nik» lessi.
«Nik? Sta per Nicola?»
«Sì» confermai senza averne idea.
«Bene, di cognome come fa?»
Riabbassai lo sguardo sul cellulare.
«Boh.»
Ma che diavolo scriveva quel coso??!
«Come “boh”? Non sai il suo cognome?»
«Mi scusi un attimo.»
Mi allontanai dal bancone e mi portai il cellulare all’orecchio.
«Che vuol dire “boh”??!»
«Ecco, attualmente mi sfugge il suo cognome. È da un po’ che non lo sento.»
«Allora, razza di rudere tecnologico, adesso tu mi devi dire come si chiama il tuo padrone, nome e cognome, se no come cavolo faccio a trovarlo!»
Non potevo di certo andare da ogni anziano di quel posto chiedendo: “Mi scusi è suo questo cellulare? Non è che per caso lei è un mago?”. Non potevo e non lo volevo fare. Per quel giorno avevo esaurito le figure di merda.
«Scusa, bambina...?» fece una signora che mi si era avvicinata.
Portava un paio di occhiali dalle lenti tonde e montatura dorata, i capelli erano corti e grigi con qualche ciuffo più bianco. Doveva avere qualche anno in meno della signora Corvetti, forse addirittura dieci, ma era probabile che fosse una delle ospiti di quel posto.
«Mi è sembrato di sentire che stai cercando un certo Nik.»
«Sì.»
Anziana o no, la signora ci sentiva ancora bene.
«Non è che per caso cerchi il mago?»
...cosa?
«Ehm... sì.»
«Allora seguimi, cara.» disse sorridendomi cordiale «Si sta esibendo proprio adesso in quella stanza laggiù.»

La signora mi accompagnò davanti a una porta su cui era stato attaccato un cartello con sopra disegnato (in maniera abbastanza oscena) un cilindro, una bacchetta e due colombe. Tale accozzaglia di oggetti e volatili faceva da sfondo alla scritta “Magic Nik”.
La mia mente non riuscì a fare a meno (purtroppo) di immaginarsi un uomo sull’ottantina abbondante ma pompato come il peggior tamarro visto in palestra, a petto nudo con una cravatta che mette bene in mostra i pettorali incartapecoriti. Un canuto Babbo Natale “infisicato” con un cilindro in testa. Eew.
«È molto bravo, sai?» richiamò la mia attenzione l’anziana «Fa certi trucchi con quella bacchetta!»
La prego, signora...
Il cellulare iniziò a vibrarmi nella tasca. Machia era impaziente.
Entrai nella stanza e mi sedetti nella prima sedia libera che vidi. C’era un discreto pubblico: più di dodici sedie occupate, senza contare poi le carrozzine. Naturalmente l’età media si aggirava sui settanta-ottanta.
«Signore e i signori!» parlò un uomo dall’altro capo della stanza «Siete pronti per una nuova magia?»
Eccolo là. Magic Nik. Un ometto dai folti capelli grigi, vestito di tutto punto con frac, guanti e cilindro. Fortunatamente non assomigliava affatto all’immagine mentale che mi ero fatta. Anzi, era quasi l’opposto: bassettino e un po’ gracile.
L’ometto mostrò al pubblico un mazzo da gioco che teneva in mano, lo aprì e, invece di tirare fuori delle carte, ne estrasse la già decantata bacchetta. Nella sala stavano già battendo le mani.
La fece roteare velocemente tra le dita, passandola dalla mano sinistra a quella destra e viceversa. Poi, all’improvviso la bacchetta sparì sostituita da un fazzoletto rosso comparso da chissà dove (probabilmente dalla manica, posto dove anche doveva essere finita la bacchetta) e iniziò ad agitarlo, facendo ricomparire e sparire la bacchetta per circa un minuto. L’applauso diventava sempre più scrosciante.
Nik si fermò, accennò a un rapido inchino e, con un gesto della mano sinistra, invitò il pubblico al silenzio. Una volta tornata la calma, il mago prese il cilindro con la mano sinistra.
«Allora, signore e signori, cosa facciamo uscire questa volta dal cilindro?»
«Un coniglio!»
«Un fagiano!»
«Una bella tettona!»
Le richieste erano molteplici (e alcune di dubbio gusto).
«Lei, signore!» esclamò infine il mago indicando un uomo in seconda fila «Ci conosciamo?»
«Ma certo, Nik, ci conosciamo da anni!» rispose quello visibilmente confuso.
«Sì, lo so, Gianni... Ma ti ricordi cosa ripeto sempre prima di iniziare lo spettacolo? Come dovete rispondere voi del pubblico quando faccio questa domanda...?»
«Ah!» la bocca del signor Gianni si spalancò e gli occhi parvero avere un lampo di intuizione «No, no, Nik, io non la conosco, mai visti prima!» il tono era falsissimo.
«Benissimo... quindi è impossibile che io e lei ci siamo messi d’accordo prima dello spettacolo, giusto?»
«Giustissimo, impossibile! E questo è vero!»
«Ottimo. Allora, signore, cosa vuole che faccia uscire dal cilindro?»
L’uomo alzò lo sguardo e si portò una mano al mento, pensieroso, mentre tutt’intorno arrivavano suggerimenti. In mezzo a quel vociare, riuscivo a captare distintamente il consiglio “una bella figliola” di un qualche anziano furbacchione.
«Va bene, ho deciso!» sbottò dopo quasi un minuto «Voglio Marilyn Monroe!»
Silenzio in sala.
«Perfetto!» replicò il mago senza battere ciglio.
Stranamente, ero davvero curiosa di vedere cosa si sarebbe inventato.
Nik iniziò ad agitare la bacchetta sopra il cappello, tracciando in aria una spirale discendente.
«Il reclamo è stato detto, ora esci da cilindretto! Né rossa né mora gradisce, ma la bionda il signore preferisce! Guardate bene questa magia, stasera la bella Marilyn vi terrà compagnia!»
E dopo quel farneticare insensato, il mago sollevò lentamente la bacchetta. Sulla punta vi era appeso qualcosa... un dvd.
«Ecco a voi Marilyn Monroe nel suo famoso film “Gli uomini preferiscono le bionde”! Siete liberi di guardarlo dopo cena!»
Il pubblico era in visibilio.
Nik passò il dvd a una signora nella prima fila poi tornò a ricevere i meritati applausi facendo un inchino.
«E anche per questa sera lo spettacolo è concluso...»
«No, no, un altro!»
«Un’altra magia!»
«Bis!!»
Oh, questo Nik piaceva molto.
«E va bene, va bene.» concesse loro il mago portando le mani avanti per quietarli «Ma solo una! Che ne dite di un po’ di mentalismo?»
Si levò un coro di “sì”.
«Ottimo, allora mi serve un volontario.»
Il suo indice si mosse più volte da sinistra a destra, scorrendo sui possibili candidati, finché non si fermò nella mia direzione.
«Lei, la signorina in un’ultima fila. Si avvicini.»
«Io?»
Era ovvio che si riferisse a me, aveva detto “signorina”...
«Sì, sì, venga qui.»
Titubante mi alzai dalla sedia e camminai verso il mago. Odiavo quel genere di cose, mi sentivo osservata da troppa gente.
«Allora, proporrei un giochetto con le carte...» iniziò a dire estraendo un mazzo dalla giacca «Una cosa semplice semplice...»
«Nik, Nik, le domande! Non le hai fatto le domande!» urlò qualcuno dal pubblico. Forse il signor Gianni.
«Giusto, giusto... Mi scusi, signorina, come si chiama?»
«Giò.»
«Piacere, Giò. Lei mi conosce?»
«No.»
«Ci siamo mai visti prima?»
«No.»
«Perfetto, procediamo!»
L’ometto mescolò le carte con una certa abilità (di sicuro non soffriva di artrite) poi me le passò.
«Ora guardate bene questa busta!»
Tirò fuori dalla giacca (chissà se c’era altra roba lì dentro) una busta gialla, la sollevò in alto e la rigirò in aria davanti alla platea.
«Qui dentro è contenuta una carta misteriosa che riveleremo a breve... ma, nel frattempo, la tenga lei signora Rita.»
Detto ciò, la consegnò a una vecchietta in prima fila che se la strinse in grembo come se si trattasse di un tesoro. Dal suo sguardo sembrava pronta a difenderla a costo della vita.
«Ora, Giò, dividi a metà il mazzo e consegnami i due mazzetti.»
Feci quello che mi aveva chiesto, cercando di beccare la metà precisa, e glieli ripassai.
«Adesso scegli uno dei due mazzi.»
Indicai quello a sinistra. Lui me lo ridiede in mano e si mise in tasca il mazzetto destro.
«Ottimo, rifai la stessa cosa.»
Ripetemmo il procedimento finché non mi ritrovai in mano solo due carte (in qualche passaggio non dovevo aver diviso benissimo).
«Bene, Giò. Adesso guarda le due carte e scegline una, l’altra ridammela pure.»
Me le portai davanti agli occhi, stando attenta a che nessun altro le vedesse. Erano due regine, quella di quadri e quella di cuori.
Col cavolo che avrei scelto quella di cuori.
Mi tenni quella di quadri e riconsegnai l’altra al mago che se la mise in tasca insieme alle altre.
«Ora è giunto il momento di scoprire insieme la carta misteriosa! Signora Rita, potrebbe aprire la busta e mostrare la carta a tutti?»
La signora Rita non se lo fece ripetere due volte. Un istante dopo sventolava in aria la regina di cuori.
Ah! Fregato!
«E adesso vediamo un po’, cosa mai avrà scelto Giò! Un asso, un due o un tre, oppure un dieci o un re? Chissà se saranno picche o fiori, o forse proprio la regina di cuori!»
Ma che era quella cantilena? Non ci badai molto e girai tutta soddisfatta la mia carta.
Era la regina di cuori.
Il pubblico impazzì.
Io rimasi lì imbambolata con in mano una carta che in mano non ci doveva essere.
Come diavolo era possibile?
C’ero stata attenta! Io quella carta l’avevo vista bene! E non era la regina di cuori!
«E anche l’ultima magia è stata fatta!» riprese parola Nik «Bene, signore e signori, io vi saluto. Il vostro Magic Nik ritorna la prossima settimana!»
Piano piano (perché i legamenti delle ginocchia non erano più quelli di un tempo) le persone abbandonarono la stanza, lasciandomi da sola con il mago.
«Piaciuto lo spettacolo?» mi chiese con un ampio sorriso che metteva in mostra la dentiera perfetta «Posso esserti di aiuto, signorina?»
«Sì, ecco, io...»
«Nik, Nik! Come hai potuto abbandonarmi per più di quindici anni??!»
«Oh, Machia, sei proprio tu! Allora, ci avevo visto bene!»
Beh, almeno mi ero risparmiata domande imbarazzanti del tipo “conosce questo cellulare?”
«Perché non sei mai tornato a riprendermi??»
«Suvvia, non parliamone qui. Andiamo nella mia stanza che tra poco dovrebbero entrare per sistemare le sedie.»

Dopo aver girato un po’ all’interno della villa, mi fece accomodare in quella che doveva essere la sua camera.
«Allora, signorina, prima di tutto le presentazioni.» disse porgendomi la mano «Mi chiamo Niccolò.»
«Piacere.» risposi stringendogliela «Non mi dica che di cognome fa Machiavelli.»
«No, no, quello è il nome che ho dato al mio famiglio...»
«Il qui presente! E gradirebbe essere tolto dalla tasca! È stretta!»
«Il mio cognome è Cosini, Niccolò Cosini. E invece “Giò” per cosa sta?»
«Giusto, qual è il tuo nome per intero?»
Oh no...
«È Giò. Solo Giò.»
«Oh, andiamo, sarà sicuramente l’abbreviazione di qualcosa!»
«Posso provare a indovinare?» chiese l’ometto appoggiando il frac su una sedia.
«Guardi, lasci stare...»
«Facciamo che se indovino inizi a darmi del "tu". Io dico che “Giò” sta per...»
«Ma dai, sarà qualcosa con “Giorgia”, magari “Giorgina”!»
Il mago non gli diede ascolto, chiuse gli occhi e si portò le dita alle tempie.
«Gioacchina!»
«Pff! Stavolta l’hai sparata grossa!»
No. Impossibile.
«Come lo sa?» gli chiesi in tono funebre.
«Oh per Giove, è vero!»
«Be’, sono un mago, ho una dote per queste cose. In più, qualche giorno fa, ho ricevuto un messaggio dove mi informavano che il mio vecchio famiglio era passato di proprietà a una certa Gioacchina Rossini.»
«Gioacchina...accidenti, mi dispiace.»
Disse Machiavelli...
«Beh, non è mica così male, invece!» fece Nik mettendosi a sedere sul letto e sistemandosi i polsini della camicia «Gioacchina Rossini!» esclamò meditabondo.
«La prego, non lo dica più per intero. “Giò” basta e avanza.»
«Mai pensato di fare il conservatorio?»
«No
Ma perché mamma si era impuntata nel voler dare il nome dei nonni morti ai figli? Sara se nasceva femmina e Gioacchino se maschio. Peccato che abbia avuto due bambine... E sua sorella è stata la prima. Maledetta fortunata.
«Comunque, dimmi un po’, Giò,» riprese a parlare sorridendomi affabile «devi essere qui per tua madre, vero? Le assomigli così tanto!»
«Non credo lei possa conoscere mia madre...»
«Ah no? Marcella non è tua mamma?» lo sguardo dell’ometto si fece più indagatore «Mmm, quanti anni hai?»
«Sedici.»
«Allora potresti...?!»
Qualsiasi cosa volesse dire, le possibili implicazioni mi facevano rabbrividire.
«Ripeto che la signora Marcella non è mia madre. E conosco bene anche mio padre.»
«Ah, bene bene, allora devi essere sua nipote.»
«La signora era una mia vicina.»
«Eppure le assomigli tanto!»
«Sinceramente spero di no.»
La signora Corvetti non era proprio una bella donna. Ok che i suoi anni d’oro erano belli che passati, ma mi era difficile da credere che la si potesse anche solo vagamente considerare attraente da giovane. Forse c’era stato un tempo in cui era un po’ meno larga che alta.
«Eh, aveva i tuoi stessi capelli rossi e il tuo nasino a patata!»
«Ma lei è sicuro di ricordarsi la signora Marcella?»
Perché non sembrava proprio. La vecchietta aveva capelli corti e bianchi che tanti anni prima erano stati neri, mentre il naso era sempre stato adunco.
«Forse la sua immagine si è sfumata un po’ nella mia mente...» disse sospirando «Sai, l’ho conosciuta vent’anni fa, era favolosa...»
Facendo un paio di conti, lei doveva avere sessantasette anni. Favolosa e già diversamente giovane. E probabilmente la sua forma si stava già avvicinando a quella di un barile.
«...ci innamorammo perdutamente. La portai a Parigi, le gite in barca sulla Senna... Eh, dopo solo quattro anni la dovetti lasciare, diceva che il suo cuore non voleva catene e non si voleva impegnare.»
La signora Corvetti? A quasi settant’anni non voleva impegnarsi? Forse era più probabile che non volesse questo tipo attorno.
«Però le lasciai Machia. Lo avevo appena trasferito in un cellulare di nuovissima generazione.»
«Infame.»
«Ehi, a quei tempi anche tu eri d’accordo. Che fine ha fatto quel bel telefono fisso che ti piaceva tanto?»
«Monique! Ah, Monique... aveva la più bella cornetta che avessi mai visto. Un così bel filo arricciato, il disco con i numerini dentro...»
«Che ne è stato?»
Dal cellulare iniziarono ad uscire suoni molto simili a lamenti disperati e singhiozzi.
«Una notte... Lei-lei smise di funzionare bene... Soffriva, si sentiva un fischio continuo nella sua cornetta... E così...co-così... due uomini la portarono via! Al suo posto misero un... un coso nero cordless senz’anima! Oh Monique, non incontrerò più nessuna come te!»
«Su su, vedrai che ne troverai un’altra! Hai visto i nuovi modelli di cellulare che girano? Visto questi iphone?»
«Non voglio avere niente a che farci con quelle lì!» sentenziò categorico «Piuttosto, perché tu in quindici anni non ti sei mai fatto vedere?!»
«Beh, ho provato a chiamare ma eri sempre spento. Poi non ricordavo né l’indirizzo né il cognome di Marcella. Era un po’ difficile rintracciarla.»
«Potevi usare qualche magia!»
«E tu perché non hai mai chiamato?»
«Perché la maledetta strega non mi ha mai messo in carica!»
«Suvvia, “strega”! Mi pare fosse una maga.»
«A me basta anche poca, pochissima energia, ma lei niente! Neanche una caricatina in quindici-sedici anni! Ho dovuto mettermi in una sorta di standby!»
«Ahem!» provai a schiarirmi la gola. Sembravano essersi totalmente dimenticati della mia presenza.
«Oh, scusa, Giò!» disse Nik tornando a guardare me e non il cellulare che tenevo in mano «Stavamo parlando della cara Marcella... A proposito, come sta?»
«È morta lunedì.»
«Oh.»
Forse avrei dovuto usare più tatto.
«Che cosa l’è capitato? Un incidente?» chiese incupendosi «O forse qualche brutto malanno se l’è portata via prima del tempo?»
«Sembra sia morta soffocata dalle sue risate dopo essersi vista allo specchio truccata da clown.»
«Ha senso.»
Ah sì?
«È sempre stata una mattacchiona, la mia dolce Marcella.» disse accennando a un sorriso «L’è sempre piaciuto far ridere la gente, per una volta avrà voluto far ridere se stessa.»
«E l’è stato fatale.»
«Forse n’è valsa la pena... Ti è sembrata felice quando l’hai vista, Giò?»
«Non me l’hanno fatta vedere.»
E nemmeno l’avrei voluta vedere. Il cadavere di una signora anziana con la faccia pitturata da clown? Sarebbero stati incubi assicurati per anni.
«Va beh, così va la vita.» decretò per poi sospirare «Il fatto che sia morta, spiega in parte anche perché Machia sia passato a te e io non me lo possa riprendere.»
«Cosa?!?!»
«Già, dal messaggio che ho ricevuto sembra che Marcella ti abbia ceduto alla nostra Giò.»
«Poteva farlo?!»
«Beh, io ti avevo regalato, per MagicWorld è come se d’allora tu fossi appartenuto a lei, quindi sì. E adesso sei il famiglio di Giò.»
«Ma lei non è né una maga né una strega, non può avere un famiglio!»
«Infatti. È per questo che credo che lei abbia passato alla ragazza anche il suo contratto magico.»
«Scusate, la ragazza vorrebbe capire di che state parlando.»
Che contratto? Anche la vecchia signora Corvetti era una maga?
Nik mi rivolse un sorriso smagliante (e anche leggermente inquietante).
«Congratulazioni, Giò, probabilmente sei diventata una maga.»




  
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