Aziraphale non saprebbe dire quando
tutto ha avuto inizio.
(Menzogna: lo sa benissimo. Ma
persino ad un angelo è
concesso cullarsi nell’illusione di essere cieco e sordo di
fronte all’evidenza.
Dio potrà anche giudicare e punire le azioni divine e
terrestri, ma i pensieri
sono fuori dal Suo dominio.)
Non si tratta di una scoperta
recente, questo è certo. Non è
stato il dolore nella voce di Crowley che gli accartocciava il volto
mentre
rivelava ad Aziraphale di aver perso il suo migliore amico,
né l’offerta di
ospitarlo nel suo appartamento quando entrambi avevano dato per
spacciata la
libreria, dopo l’Apocalisse Che Non Fu.
Non è stato durante quella
sera a Soho, nel ’67; il thermos
colmo di acqua santa che aveva consegnato a Crowley, con ben
centocinque anni di
ritardo dalla richiesta del demone, controvoglia e costretto dalle
circostanze,
perché le voci che aveva sentito in giro non gli davano pace. Una
rapina in chiesa? Aziraphale
era atterrito al solo pensiero. Non poteva perdere Crowley a causa di
una
missione suicida. Non poteva perderlo e basta.
E Crowley, colpito dal gesto, che per tutta risposta gli aveva proposto
di
dargli un passaggio “ovunque tu voglia, angelo”.
Aziraphale era stato capace di
rovinare -quasi- tutto (quasi definitivamente) rifugiandosi nella
propria
paura: “Corri troppo per me”, scendendo dalla
Bentley per rituffarsi nella
confusione vitale di Soho. Sapevano tutt’e due, senza
proferire parola, che non
si riferiva allo stile di guida di Crowley.
Sicuramente non è stato a
Parigi, quando il regime del Terrore
mieteva vittime anche tra le schiere degli innocenti -compreso un
angelo troppo
ghiotto e poco avveduto. Crowley, che casualmente si trovava da quelle
parti,
lo aveva liberato. Un ringraziamento era quantomeno
d’obbligo, agli occhi
riconoscenti di Aziraphale, ma l’altro lo aveva interrotto
con una certa stizza
perché se Belzebù e compagnia avessero scoperto
che aveva salvato la vita ad un
nemico le conseguenze sarebbero state senza dubbio spiacevoli per lui.
Eppure l’aveva fatto. Senza un secondo fine, senza nemmeno
rinfacciarglielo nei
secoli a venire, accettando un pugno di crêpe
(deliziose, per carità) in cambio.
Non è stato sotto i
bombardamenti a Londra, nell’anno del
Signore 1941, quando la comparsa di Crowley nella stessa chiesa dove
quelle
spie naziste avevano attirato in trappola Aziraphale aveva, per
l’ennesima
volta, impedito che l’angelo si discorporasse malamente.
Aveva calpestato il
suolo consacrato della navata saltellando e contorcendosi come un umano
avrebbe
fatto sui carboni ardenti, una smorfia di autentico fastidio sul viso,
una
semplice frase: “Non volevo vederti umiliato” con
cui aveva liquidato la cosa.
Poi, sopravvissuti (ovviamente) all’attacco che aveva
demolito la chiesa fino
alle fondamenta, il demone aveva materializzato la borsa con i
preziosissimi
volumi che Aziraphale aveva creduto persi per sempre e, sempre senza
accettare
un grazie in risposta, gli aveva chiesto: “Ti riporto a
casa?”
Forse non è stato neppure
seimila anni prima, mentre
assistevano impotenti alla cacciata di Adamo ed Eva dal Giardino
dell’Eden.
Crowley gli era strisciato accanto, un grosso serpente che in forma
umana aveva
ampie ali nere come la notte e come le sue vesti, lunghi riccioli rossi
abbondanti
e leggeri come la spuma del mare, la punta della lingua biforcuta che
rendeva
sibilanti le sue “s”. Crawly era il suo nome,
all’epoca, e i suoi occhi gialli
da rettile si erano spalancati, pieni di stupore infantile, venendo a
sapere
che l’angelo aveva regalato la sua spada infuocata ai due
fuggitivi. La sua
voce si era fatta suadente, in un certo senso confortante, nel dirgli:
“Sei un
angelo. Non credo che tu possa sbagliare”; il suo sorriso,
così simile ad una
risata, era sincero e privo di malizia.
Ad Aziraphale era sembrato naturale offrirgli riparo sotto la propria
ala
quando le prime gocce di pioggia avevano iniziato a bagnare la terra.
Il demone
si era accostato a lui tanto spontaneamente, quasi d’istinto,
come un cucciolo
con la madre.
Probabilmente non è stato
per via dell’accordo di vigilanza condivisa sull’Anticristo (errato, ahimè),
allevandolo in perfetto equilibrio
tra Bene e Male; tra gli amorevoli consigli di un rubizzo giardiniere
bonaccione
e le altrettanto amorevoli ninnenanne cantante a mezza voce da una tata
androgina
e dall’etica nichilista.
Non è stato durante i
momenti cruciali dell’Apocalisse Che Non
Fu, schierati di fianco al giovane Adam Young, mano nella mano con quel
bambino
spaventato ma risoluto, il solo in grado di respingere Satana e
riportare il
mondo alla normalità (nonché di rendere il
Mastino Infernale un innocuo, tenero
cagnolino di razza incerta).
È stato durante uno di
questi momenti -tra un battibecco e
una canzone dei Queen che riempiva l’abitacolo della Bentley,
una cena al Ritz
e una bottiglia di vino pregiato, i pantaloni sempre troppo stretti di
Crowley
e i suoi occhi nascosti da stupide lenti scure, la sua camminata
sinuosa da
serpente e le cosce divaricate a mo’ di invito, tra un
languorino e le briciole
di pane date alle anatre di St. James’ Park, deliranti
discussioni sui delfini
e le banane, tragedie shakespeariane non molto divertenti e piccoli
miracoli, tra
falliti giochi di prestigio e le accurate profezie di Agnes Nutter,
montagne di
scuse e recriminazioni e piante terrorizzate e dichiarazioni di
amicizia che in
realtà erano altro- sì, è stato
proprio durante uno di questi momenti che
Aziraphale si è innamorato di Anthony J. Crowley: angelo
Caduto, demone ruvido
e indisponente, gentile e sempre onesto con lui (come nessuno degli
altri
angeli è mai stato), amico fidato da oltre seimila anni.
Imperfetto, svogliato,
vanitoso, irascibile, melodrammatico come una primadonna, capace di grande
crudeltà e
ancor più grande slancio, fedele, a volte disperato, a volte
così atterrito
dall’eventualità di un rifiuto da mascherare la
propria delusione con una smorfia
sarcastica o un’alzata di spalle. Terribilmente umano.
Troppo spesso, da che si conoscono
(fraternizzano, lo
prenderebbe in giro Crowley scimmiottandolo), Aziraphale ha letto sul
volto dell’amico
tristezza e rimpianto. Troppo spesso la causa è stata una
sua risposta, un suo
diniego dettato dalla codardia, la sua ostinazione a non voler capire, non
voler
cedere e accettare la verità che si palesa davanti ai suoi
occhi miopi da centinaia
e centinaia di secoli.
È arrivato il momento
di porre fine a quel circolo
vizioso.
Se l’Apocalisse Che Non Fu
gli ha insegnato qualcosa, è che
non si ha mai abbastanza tempo. E che se lo si ha -vedi il caso di due
creature
sovrannaturali che non conoscono la morte- non si sa comunque
impiegarlo nel
modo migliore. Seimila anni, benedetto il Cielo. Non sono
l’eternità, ma la
storia del mondo e dell’uomo; non è poco. Come ha
fatto Crowley ad aspettarlo? Perché?
Perché ha scelto lui?
Aziraphale vuole conoscerne il
motivo. Vuole delle risposte.
Ma di una cosa è sicuro:
la prossima volta che il suo
demone gli offrirà un passaggio, lui accetterà.
Dicono che Alpha Centauri sia la
meta ideale per una coppia di innamorati (celesti,
s’intende).
Houston, abbiamo un problema.
Non è passata neanche una settimana da quando ho visto Good
Omens insieme
a Clò (<3), iniziando a delirare con Verona
(<3) su Facebook, che già
sono ridotta ad una massa singhiozzante, fangirlante e innamorata persa
degli
Ineffable Husbands -nonché di David Tennant, che per quanto
mi riguarda dovrebbe
portare i capelli lunghi, ramati e boccoluti anche nella vita reale.
Dopo aver postato questo word vomit introspettivo in cui non succede
una ciospa
credo che tornerò a leggere ficcy inglesi (quelle italiane
le ho finite in un
paio d’ore, accidenti) e piangere arcobaleni e
lamé sui fanvideo che popolano
Youtube.
Date un Nobel ad Amazon Prime, a Neil Gaiman, Terry Pratchett e Michael
Sheen
che shippa Aziraphale/Crowley forse più di tutto il fandom.
GRAZIE.
Una cliccatina è sempre
gradita: https://www.facebook.com/IlGeniodelMaleEFP/.
P.S. Il titolo è tratto da
Somebody to love dei
Queen. Potevo esimermi?