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Autore: Jordan Hemingway    16/07/2019    6 recensioni
Francia 1918: durante le fasi finali della Prima Guerra Mondiale la fede - la mancanza di fede - del colonnello Dubois viene messa alla prova dal contingente del Regno del Siam, giunto in supporto alle truppe francesi.
Questa storia partecipa al contest "A zonzo nel tempo" indetto da _Vintage_ sul Forum di EFP
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Guerre mondiali
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Il Santuario degli Elefanti

 

 

Come tutte le cose importanti, anche la fede è un affare complicato.

 

Il colonnello Dubois quindi le riservava lo stesso trattamento che adottava nei confronti di tutto quello che, secondo lui, era troppo complicato, in altre parole la accantonava in un angolo e cercava di dimenticarsene il prima possibile.

La Guerra ovviamente rendeva il compito più difficile: negli ultimi due anni Dubois si era ritrovato spesso a chiedersi, mentre strisciava nel fango accanto a pezzi di commilitoni che avevano incrociato una granata oppure seduto su una branda nell’ospedale da campo ad assistere uomini i cui polmoni annegavano nel muco e nel sangue, se quel Dio, quello che le vecchie bretoni dalle grandi cuffie immacolate che popolavano i suoi ricordi di infanzia difendevano a suon di giaculatorie, fosse lo stesso Dio che gestiva le trincee francesi o se ci fosse stato un cambiamento nella direzione e, come nelle migliori tradizioni rivoluzionarie, i piani bassi fossero passati al comando.

Oppure aveva ragione la buonanima di suo nonno, nato, vissuto e morto anti-bonapartista e anti-clericale: Dio non esisteva e l’inferno lo stavano creando da soli, quindi basta con quei pensieri da donnetta perché la Francia non si sarebbe salvata per miracolo.

 

“Colonnello Dubois: ci sono problemi con il nuovo contingente.”

O forse sarebbe davvero servito un miracolo, tutto considerato.

“Capitano De Croix,” il colonnello posò entrambe le mani sul tavolo da campo, sopra una mappa sgualcita che lo stato maggiore aveva analizzato senza sosta nelle ultime venti ore, “come lei sa bene, non voglio saperne nulla.”

“Ma signore, il generale...”

“De Croix, dall’inizio di questa guerra il generale comanda e noi eseguiamo, e continueremo fino a quando l’ultimo dannato tedesco sarà gettato di nuovo oltre i nostri confini. Questo non significa che io creda che tutto quello che il generale, lo stato maggiorie o il governo ordina abbia un senso logico.”

Così dicendo si alzò e scostò un lembo della tenda.

 

La cacofonia che lo accolse bastò a farlo retrocedere verso De Croix.

“Phạn xek reā t̂xng khuy kạn”

Alcune decine di uomini dalla pelle ambrata, occhi allungati e lineamenti da bambino stazionavano davanti alla tenda, emettendo un’alternanza di suoni acuti e sordi che superava per intensità il rumore delle esplosioni.

“Phạn xek” Il capo del contingente – a detta del generale, Dubois era scettico nel credere che quel bambino in divisa kaki potesse comandare qualcosa di più impegnativo di un gregge di pecore – si avvicinò accompagnato dall’interprete, un ex-missionario che lo stato maggiore aveva raccattato chissà dove e che riusciva ad essere irritante quanto un paio di stivali bagnati.

“Il comandante Chandrarapattyal vorrebbe parlare con lei, colonnello.”

“A quale proposito, signor Pontiac?”

“I suoi uomini chiedono ancora di poter combattere assieme ai soldati francesi nella prossima offensiva.”

“Credevo di averle già spiegato, signor Pontiac, che fino a quando gli uomini del signor Cha-cha-rapatà non saranno pronti non potranno partecipare a nessuna azione.”

“Con tutto il rispetto, colonnello, sono più di due mesi che sono stanziati con noi: vi potrebbero essere di grande aiuto... ”

“Non sta a lei decidere la strategia militare di questo campo, Pontiac.” Sotto lo sguardo gelido del colonnello l’interprete ammutolì. “E non intendo mettere a rischio i miei soldati e la sorte della battaglia di domani impiegando dei bambini che oltre a non parlare francese non sanno nemmeno impugnare uno schioppo.”

“Schioppo!” Il comandante Chandrarapattyal si illuminò. “Noi… avere schioppo.” Pronunciò qualche parola nella sua lingua e i suoi compatrioti iniziarono a vociferare con tono se possibile più alto: alcuni di loro corsero verso le retrovie, tornando quasi subito con un lungo oggetto cilindrico, montato su un palo che di sicuro risaliva almeno ai tempi di Bonaparte.

“De Croix, ” esalò Dubois, “che cos’è quello?”

“Schioppo!” Esultavano i soldati siamesi.

“Credo sia uno schioppo, colonnello. Non un fucile, ” si affrettò ad aggiungere De Croix di fronte all’occhiata del suo superiore, “uno di quei vecchi cannoni che venivano usati dalla fanteria durante le guerre di ventura.”

“Le guerre di ventura risalgono a più di due secoli fa.”

“Lo dica al re del Siam.”

“Pontiac, ” Dubois si rivolse all’interprete, “dica a questi mangia riso che non possono portare questo… attrezzo sul campo di battaglia, né domani né mai. E che fino a quando non capiranno il francese abbastanza da poter eseguire gli ordini dovranno rimanere nelle retrovie come osservatori. Nell’attesa che i gas tedeschi ci uccidano tutti potranno mangiarsi quelle razioni di riso senza sale che il loro sovrano ha tanto insistito perché avessero.”

 

Il comandante Chandrarapattyal alzò una mano e il suo contingente si zittì. “Col-onnello Du-bois,” cominciò con fatica, indicando sé e gli altri, “noi….soldati. Soldati di re. Combattere molto, vincere molto. Noi domani aiutare voi: schioppo arma sacra, arma...” parlottò con alcuni dei suoi, “arma che Dio degli Elefanti dare suoi figli. Noi usare schioppo, Dio aiuta noi.”

Dubois sentì risalire l’emicrania che lo tormentava da anni.

“Il dio degli elefanti. Questa mancava al repertorio.” Chiuse gli occhi per qualche istante. Le immagini delle trincee subito corsero dietro le sue palpebre serrate, come lampi: riaprì gli occhi. “Molto bene. Se volete morire, non sarò io a impedirvelo. Dovrete eseguire i miei ordini, Chachatà, avete capito?”

Troppi erano già morti, troppi uomini, giovani, bambini che avevano impugnato un’arma per il bene della Francia: se quei ragazzini usciti dalla giungla volevano aiutare, che lo facessero, a condizione che fossero in grado di eseguire degli ordini. Almeno in quel modo avrebbero evitato la morte di soldati più esperti.

“Tu... Non ha fede.” Chandrarapattyal stava ancora parlando. “Ma presto… anche tu vedere.”

“Vedrò cosa? Un elefante che scenderà tra le trincee per salvarci?”

Il siamese si rivolse a Pontiac nella propria lingua. “Dice che il suo dio li protegge, e proteggerà anche noi. Il suo dio creerà… un santuario, nel quale saremo al sicuro. Perché al dio elefante piacciono i miscredenti come lei, colonnello.”

“Basta così.” Dubois ne aveva abbastanza. “Pontiac, riceverete le istruzioni per la battaglia di domani e le tradurrete a costoro. Dite loro di pregare la loro divinità stanotte: nessun dio ci seguirà nelle trincee.”

Rientrò nella tenda, sentendo su di sé lo sguardo penetrante del comandante straniero.

 

 

Dubois strisciava nel fango, respirando l’aria satura di polvere da sparo. Le dita rigide attorno al fucile, avanzava puntando i gomiti, centimetro dopo centimetro, trascinandosi dietro la gamba sinistra, colpita da un frammento della granata che aveva ucciso De Croix poco prima.

 

Non avrebbe dovuto essere lì, né lui né De Croix, ma il tracollo delle loro linee aveva permesso ai tedeschi di penetrare sul loro fianco come un coltello in una ferita aperta. Ignorava dove fossero gli altri componenti del suo reparto, l’unica cosa che contava ora era avanzare, sopravvivere fino a mettersi al riparo dalla pioggia di granate e pregare di non sentire all’improvviso i polmoni bruciare.

 

Pregare.

Si ritrovò a sogghignare isterico: chissà se il Dio Elefante dei soldati siamesi li aveva seguiti in quell’inferno. L’immagine di un pachiderma steso nel fango, la testa coperta da un elmetto arrugginito lo distrasse e una pallottola gli sibilò accanto.

Si gettò di lato, urtando un traliccio di filo spinato che gli lacerò la schiena, e sparò a sua volta: non ci furono più reazioni, per cui riprese a strisciare.

 

Sarebbero morti tutti, in quel calderone di sangue e di fango, immersi nella propria merda, tedeschi e francesi, nessuno avrebbe vinto, tranne la morte. Nessun dio poteva fermare la morte.

Sentì un altro sibilo, ma questa volta fu troppo lento: una fitta di dolore gli trapassò la spalla e capì che quella era la fine. Non aveva senso opporsi ancora-

 

Venne gettato all’indietro da una spinta potente: un boato e una cortina di fumo nero, nel quale la faccia scura del comandante Chandrarapattyal sembrava bianca come il sole.

“Reā phb khuṇ, colonnello.” Nel luogo dove Dubois si era trovato appena due secondi prima ora c’era un cratere fumante. Le pallottole continuavano a volare sulle loro teste.

L’asiatico urlò ancora nella sua lingua: per un folle momento a Dubois sembrò di vedere una proboscide comparire tra le onde di fumo, poi si accorse che si trattava di quel dannato schioppo siamese.

“Fermatevi...” Era troppo debole per alzare la voce. “Quell’affare scoppierà e finirà il lavoro per i tedeschi.” Questo era quello che avrebbe voluto dire, ma dalla sua gola uscivano solo rantoli affannati.

Il comandante siamese però sembrava capire, perché gli fece cenno di tacere e sorrise.

Uno dei soldati accese la miccia: il colpo fu assordante, Dubois lo sentì vibrare nelle ossa.

Appena anche quella nuova nuvola di fumo si fu diradata il colonnello vide che lo schioppo era ancora in piedi.

Il fuoco nemico era cessato.

“Com’è possi...bile?”

“Tu guardare. Guardare bene.”

Dubois alzò gli occhi.

 

Non avrebbe perso la gamba, sarebbe stato ricoverato quella notte stessa, al termine dell’offensiva: solo la spalla gli avrebbe causato fastidi negli anni a venire, con una tendenza a infiammarsi poco prima dei temporali – al punto che sua moglie e tutto il paese avrebbero prestato più fede a lui che al barometro.

Quando gli avrebbero chiesto della guerra avrebbe glissato sul fango e sui cadaveri – sarebbero rimasti in un angolo segreto della sua mente, dove si rinchiudono gli incubi di cui si ha troppa paura – avrebbe invece parlato del coraggio dei soldati francesi, che da quel settembre avrebbero iniziato a respingere i tedeschi sulle Argonne e sulla Mosa. E avrebbe parlato di quei buffi soldati siamesi, sempre sorridenti e uguali l’uno all’altro.

Ma non avrebbe parlato di quel che credeva di vedere in quel momento: sopra la sua testa, sotto il cielo plumbeo le spire di fumo residue formavano centinaia di elefanti d’ombra che avanzavano tra le trincee assieme ai soldati del Siam, che correvano avanti numerosi senza timore del nemico.

I lampi dei combattimenti erano le loro zanne, i loro occhi erano le pallottole dei cecchini.

“Il santuario degli elefanti” mormorò Dubois.

Chandrarapattyal gli strinse una mano e lo aiutò a rialzarsi.

“Ora tu… credere?”


 


 


 

N.d.A.

La battaglia delle Argonne durò dal settembre al novembre del 1918. Ad essa parteciparono anche 850 soldati del regno del Siam, arruolatisi volontari all’entrata del regno nel conflitto mondiale. La Francia impose che fossero tutti soldati di professione, anche se volontari, e fornì loro uniformi e razioni di riso da aggiungere al loro rancio.

Alla fine della Prima Guerra Mondiale i loro caduti ammontavano a soli 19 soldati: a molti dei sopravvissuti di loro furono date onorificenze francesi e siamesi per il coraggio dimostrato nelle azioni belliche.

Lo schioppo è un’arma creata nel Trecento circa: si compone di un piccolo cannone legato a un palo che consentiva il suo trasporto sui campi di battaglia. Inventato in Cina, si diffuse in Asia e Europa e smise di essere usato nel Seicento. Il nome resta per i fucili a schioppo e in generale per i fucili vecchia maniera.

  
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