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Autore: _aivy_demi_    17/07/2019    20 recensioni
Non possono smettere di guardarsi, ma non possono nemmeno avvicinarsi.
[SasuNaru] - [Ancient!AU]
Questa storia partecipa alla Soulmates Challenge del gruppo del Giardino di EFP
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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Questa storia partecipa alla Soulmates Challenge
indetta dal gruppo Fb
Il Giardino di EFP

Prompt n°31:
Non possono smettere di guardarsi, ma non possono nemmeno avvicinarsi.




I see you, I want you
1. I’m lookin’ for you from afar



Fandom: Naruto
Pairing: Sasuke x Naruto




Gli alberi ricchi di foglie splendenti e basi radicate e profonde ballavano alla spinta del vento primaverile. La voce entusiasta degli uccelli dalle ali spiegate si diffondeva a macchia sui campi e tra i fiori, riempiendo l’assoluto silenzio diffuso nella vallata.
I rari carretti percorrevano con placida lentezza i sentieri sterrati calpestati dagli stessi uomini che giorno per giorno, stagione dopo stagione, camminavano e battevano, calpestavano e compattavano il terreno creando linee precise per mete definite. Scalpiccìo di zoccoli, qualche parola in perduto dialetto, ed i venditori tornavano con le assi leggere, in tasca qualche spicciolo, la nuca arsa da sole del lungo viaggio.
Un ragazzo camminava stancamente sul far del tramonto portando appresso gli attrezzi da lavoro; due braccia forti, scure, abituate al lavoro di fatica, due occhi lucenti del color del cielo all’orizzonte, schiena ritta e solida. Canticchiava tra sé alcune parole ormai prive di significato, figlie di una lingua che non conosceva più nessuno; una nenia, un antico lascito di un’anziana che ne aveva viste di cose, ma ormai non parlava più. Scuoteva la testa a tempo, dondolandola di qua e di là sorridendo, dimenticando le ginocchia stanche e le braccia sfiancate dal lavoro che portava avanti da anni che non riusciva già più a quantificare.
Naruto il suo nome: Naruto il tuttofare. Un cognome non ce l’aveva, sua madre non s’era mai soffermata all’assenza del padre; che fosse morto o semplice sconosciuto non gli importava affatto, finché aveva del riso e del pesce per sé e per la donna che gli aveva donato la vita. Pensava a quanto potesse essere fortunato ad essere nato in un luogo tranquillo, lontano dal mondo, tra le coltivazioni di riso e la pesca d’acqua dolce. Non aveva mai preteso nulla più di ciò che poteva permettersi, neppure una vita migliore, semplicemente perché nessuno sapeva cosa significasse poter vivere meglio di così. Ciò che serviva si barattava, e le curatrici del villaggio, anziane canute dalle lunghe dita esperte che profumavano di erbe e spezie, vivevano al limitare del bosco, pronte ad alleviare dolori e sofferenze.
Un luogo tranquillo, una vita semplice.
Eppure, a pochi passi dalla meta, stremato e ciondolante ormai, si voltava ogni sera: si sentiva osservato, come se due iridi lo stessero cercando e trovando per poi trapassarlo e rapire poco a poco ogni particella del suo corpo. Non percepiva disagio, soltanto curiosità. Non vedeva nulla, non c’era nessuno, solo la strada di terra battuta che costeggiava il fiume da una parte, e che saliva ripida sulla collina dall’altra. Puntava il suo sguardo lassù, su una costruzione isolata dalle altre, protetta da alberi secolari e da un muraglione in pietra.
«Anche stasera,» ripeteva tra sé rientrando in casa, «sono sicuro di averlo sentito. È lui, Uchiha Sasuke

La longeva famiglia Uchiha s’era stabilita qualche generazione prima sull’altura occidentale sovrastante il fiume. Padri austeri e tradizionali, chiusi nel loro lignaggio, gelosi del proprio sangue, seppur scarlatto come quello di tutti gli altri; figli cresciuti in solitudine, educati alla vita di corte, alle lettere ed alla scrittura, alla matematica ed alle scienze. Ritmi giornalieri prestabiliti, orari da rispettare come di consueto, controllo totale sull’infanzia e nell’adolescenza. Tutori, insegnanti, servitù: questa l’assidua e distaccata compagnia di Sasuke, erede della famiglia che di nobile aveva solo la fama, nient’altro. Bimbo solo e interessato, cresciuto avvolto dalle spire strette di un padre chiuso ed iperprotettivo, che non permetteva alcun contatto con quella “gentaglia dalla pelle arsa” come chiamava sovente gli abitanti delle abitazioni sottostanti. Non amava la loro vista, gli ricordava quanto in basso sarebbe potuto cadere suo figlio se mai avesse fatto scelte sbagliate, cosa che mai avrebbe potuto permettere.
Una sera Sasuke abbassò lo sguardo in direzione della riva del fiume: il gorgoglìo scrosciante dell’acqua cristallina gli teneva spesso compagnia in quelle silenziose sere passate in completa solitudine, cercando unico diletto nei libri e nelle pitture su pergamena di cui s’era tanto appassionato da piccolo. Gli eleganti ideogrammi scendevano uno verso l’altro parlando di amori e guerra, di sangue e d’odio, trattando di vicende senza tempo e di uomini che sarebbero stati ricordati dalla storia. Interessanti certo, ma pressanti e a volte nauseanti. Per quello ricercava una pausa, un respiro dalla lettura.
E fu lì che si accorse di lui.
Un ragazzo di altro lignaggio, uno di quelli che il padre con severità avrebbe proibito di vedere, un giovane che aveva tutta un’altra vita sulle spalle, altri doveri, altre storie da raccontare. Qualcuno diverso da lui, da loro.
La prima volta lo spiò con curiosità moderata, sporgendosi di poco dalla finestra ed osservandolo tentando di celarsi; era bello, dai capelli chiari che tanto gli ricordavano il sole. Era bello per la pelle abbronzata dalle lunghe giornate passate con la schiena curva, ed era così diverso da lui, così lontano da ciò che era abituato a vedere, a desiderare.
La prima volta si sporse poco nel poterlo osservare, la seconda si spinse più in là verso l’esterno, e così la terza.
Ogni sera ormai lo cercava, mentre ad ogni nuovo incontro da lontano si sporgeva sempre più, rischiando sì d’esser visto, ma bramando quegli occhi dal riflesso dorato del tramonto del sole. Lo vedeva muoversi lento calpestando stancamente quelle strade spoglie, gli attrezzi con sé poggiati alla spalla, un motivetto tra le labbra; sempre la stessa melodia, sempre le stesse candide sconosciute parole. Oramai l’aveva imparata quella canzone, la lirica incompresa si ripeteva nella mente e passava sottovoce alla lingua ed alla bocca, per poi disperdersi in quell’enorme, cupa stanza arredata di tutto punto, eppure così vuota. Lo osservava rapito, perso in quella figura forte, sicura, agile. Lo guardava quasi senza sbattere le palpebre per paura di vederlo sparire da un momento all’altro, quasi fosse un sogno o un’allucinazione.
Il tragitto breve terminava all’ansa del fiume, raggiunti i primi fusti al limitare del piccolo bosco: una modesta abitazione dalle linee semplici, un piccolo spazio familiare e raccolto. S’era immaginato più volte quanto potesse essere caldo quello stanzino, il focolare al centro, un tegame contenente la cena, una madre che attendeva con ansia il ritorno del figlio.
Una famiglia amorevole.
Un desiderio di chiunque.
Quando ormai il misterioso ragazzo dal volto e nome celati varcava la soglia, Sasuke staccava lo sguardo a malincuore da quel piccolo squarcio di vita vera, la vita fuori, dove il mondo andava avanti anche senza di lui, senza il suo maledetto sangue nobile. Si alzava con una morsa di malinconia al cuore spostandosi verso la meravigliosa specchiera dono di compleanno di qualche zia oramai dimenticata; si osservava sfiorandosi il volto con rammarico, confrontando la pelle lattea incredibilmente chiara su cui spiccavano gli occhi scuri dal riflesso color rubino con quella color ambra dello sconosciuto. I capelli corvini incorniciavano il volto femmineo, scendendo sulle spalle e adagiandosi sull’abito di seta pregiata che racchiudeva le braccia magre e la vita esile con un nastro raffinato.
Così diverso da lui.
Totalmente l’opposto.
La notte s’addormentava tra morbide lenzuola, collassava mollemente sul cuscino pensando a quanto sarebbe potuta essere diversa la sua vita se fosse appartenuto allo stesso mondo di lui. Le palpebre stanche si chiudevano su occhi annoiati, negando nell’oblio del sonno l’appartenenza ad una gabbia senza chiave, chiamata casa.
Sognava capelli color del grano, cantava una canzone. Correva in prati ricoperti di fiori dai profumi profondi e maliziosi, immergeva le pallide gambe in gelide correnti di campagna, asciugava le membra al sole tiepido del pomeriggio per poi stendersi e chiudere gli occhi sospirando. Voltava il viso all’ombra di un alto arbusto, incontrando pupille ridenti: le sue.









Nota dell’autrice (sono tornata, tremate muahahahahah!)
Una soulmate: mmmmmh una soulmate! Mi sto sfiziando al solo pensiero di scrivere una storia dedicata alle anime gemelle: ho letto fanfiction su di esse, e mi hanno sempre affascinata, ma non ho mai trovato il coraggio di dedicarmici con impegno. Ho deciso di scriverla pensando ad una delle mie OTP, la SasuNaru. Mi auguro sia all’altezza delle aspettative, pure delle mie visto che sono criticissima in questo periodo. Vorrei poter sottolineare quanto il loro amore possa essere travagliato, ricercato, sincero.
Torno dunque con piacere nel fandom di Naruto, perché mi mancava parecchio! Spero sia stata una lettura piacevole e coinvolgente, e come sempre ringrazio ognuno di voi per la presenza, le parole, le letture: grazie mille!
Alla prossima!
-Stefy-
 





   
 
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