Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel
Segui la storia  |       
Autore: echois    17/07/2019    1 recensioni
Dopo essere riuscito a organizzare un fortunato appuntamento per uno dei suoi migliori amici, Georg, ben presto si diffonde la voce che Bill sia diventato un organizzatore di incontri (ma c'è anche la versione che lo definisce organizzatore di scopate). Ma così impegnato a trovare per gli altri il vero amore, riuscirà a trovare il suo oppure dovranno intervenire i suoi migliori amici, Georg e Gustav?
[TomxBill]
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Tom Kaulitz
Note: Lemon, OOC | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
 

 
 
Capitolo 7.
Una nuova posizione nella gerarchia sociale.
 
 
 
 
 
Tom aprì la porta di casa sua con le chiavi e guardò il buio in cui era immersa: probabilmente i suoi genitori stavano già dormendo. Diede un’occhiata al suo orologio da polso e scoprì che era mezzanotte e mezza, eppure non era così tardi. 
 
“Seguimi” sussurrò Tom e prese la mano di Bill, quest’ultimo entrò in casa. Il rasta non voleva accendere la luce per non rischiare di svegliare i suoi, ma scoprì che questa era un’ottima scusa per prendere la mano del moro. Delle volte tratteneva il fiato mentre, con la mano di Bill ancora stretta nella sua, lo guidava verso camera sua. Era così bizzarro il fatto che al minimo contatto non riuscisse più a pensare: nonostante non avesse bevuto nulla fuorché acqua, si sentiva ubriaco e su di giri. La sua testa girava, al punto che dovette usare tutta la sua concentrazione per non cadere e far dunque scivolare anche Bill. Quest’ultimo aveva accettato la mano di Tom e non aveva pensato nemmeno per un secondo che fosse una scusa, ma d’altronde il suo cuore non batteva forte come quello di Tom, non si sentiva nervoso come Tom in quel momento.
 
Sembrò un’eternità, ma i due raggiunsero finalmente la camera di Tom. Quest’ultimo aprì la porta e accese finalmente la luce; gli occhi di Bill, abituati all’oscurità, quasi bruciarono alla vista di quella fioca luce. Tom decise che non poteva continuare a tenere la sua mano senza che sembrasse strano, quindi a malincuore la lasciò. Nonostante questo il suo cuore non riprese a battere a una velocità normale, anzi, la sua mente divenne un posto ancora più confuso quando si rese conto che lui e Bill erano nella sua stanza, nella quale c’era un letto, ed erano soli. Scosse il capo come per scacciare qualsiasi pensiero di quel tipo, perché non voleva saltare addosso a Bill al primo appuntamento. Non che non ne avesse voglia, ma voleva andarci piano ed evitare che lui scappasse via da lui spaventato. Inoltre non era del tutto sicuro che il ragazzo avesse ben compreso che fosse un vero appuntamento e non uno scherzo.
 
“Questa è la mia magione” disse Tom con tono scherzoso facendosi da parte per far vedere a Bill la sua camera. Il ragazzo entrò e si ritrovò in una stanza grande – era più grande della sua, ma qualsiasi altra stanza del mondo sarebbe stata più grande – e finemente arredata. Al centro della stanza, contro il muro, troneggiava un letto da una piazza e mezzo e Bill ci si andò a sedere. Guardò la libreria del ragazzo, piena di libri la maggior parte dei quali con la copertina gialla, e riuscì a leggere il nome di Agatha Christie, inarcò le sopracciglia perché anche lui adorava la famosissima scrittrice di gialli. Se la libreria era molto ordinata nonostante fosse ricolma, non si poteva dire lo stesso della scrivania, occupata da libri, da quaderni e da un computer.
 
“Questa camera è enorme!” esclamò Bill dalla sua posizione sul letto, fece penzolare le gambe mentre Tom si chiudeva la porta alle spalle e si avvicinava alla sua scrivania.
 
“Già, era la camera da letto dei miei genitori, ma li ho convinti a fare cambio” disse mentre cercava qualcosa su alcune mensole posizionate sopra la scrivania, occupata da vari oggetti e delle foto.
 
“Davvero?” chiese il moro inarcando le sopracciglia e guardando il ragazzo.
 
Tom riuscì a trovare la macchinina di cui gli aveva parlato il moro e la prese, si girò e si avvicinò a lui, gliela porse. “No, ma mi piace prenderti in giro” disse e gli sorrise, Bill gli mandò un’occhiataccia prima di accettare il giocattolo che gli veniva porto.
 
“Grazie per questa” disse e alzò la macchinina, Tom si andò a sedere accanto a lui. Non sapeva come riuscisse a mantenere un’apparenza tranquilla, dato che il suo cervello era ufficialmente andato in fumo a causa del fatto che erano entrambi effettivamente seduti sul letto – dove avrebbe voluto che fossero, ma per fare altre cose per cui le parole a poco servivano. Il rasta lo guardò e sembrò che anche Bill, ufficiosamente, fosse normale, semplicemente perché lui non riusciva a provare lo stesso nervosismo del rasta. “Suppongo che il nostro odio secolare termini qui”
 
“Lo spero” esclamò Tom con un sorriso, osservò il viso di Bill, così vicino al suo. Le sue labbra carnose erano irresistibili e qualsiasi dettaglio del suo volto, dagli occhi così profondi al piccolo naso all’insù,  era per lui affascinante. Era come se avesse acquistato un’incredibile opera d’arte: riusciva a vederla sempre, ma riusciva comunque a rimanere incantato dalla sua bellezza. Tom vedeva Bill quasi tutti i giorni da anni, eppure ancora non era immune da quel suo fascino: non solo era, per lui, la persona più bella che esistesse, quasi fosse una divinità dalla bellezza sovrannaturale, ma lui lo faceva ridere, lo faceva stare bene, era divertente stare in sua compagnia. Gran parte del nervosismo di Tom non era causato da ciò che presumibilmente potesse accadere – fare quel tipo di cose con lui non lo spaventava, anzi, fremeva al pensiero – ma dal fatto che Bill era un ragazzo e lui, essendo la prima volta che provava quelle sensazioni non solo nei confronti di un ragazzo, ma in assoluto, non sapeva cosa potesse succedere dopo. Il suo cervello era andato in fumo al minimo contatto con la mano dell’altro (non avevano incrociato nemmeno le dita, ma avevano solo stretto le mani in una presa): che cosa succederebbe se lo accarezzasse? Cosa gli accadrebbe se toccasse il suo corpo, avvicinasse le labbra alle sue, chiudesse gli occhi per sentire quel morbido tocco? Tom aveva paura di tutte le possibilità che gli si presentavano davanti, ma era pronto a sperimentarle tutte. Aveva fantasticato troppo sul ragazzo perché adesso, a un passo da realizzare tali fantasticheria, s’interrompesse. Quando Bill parlò Tom si risvegliò improvvisamente dai suoi pensieri e si rese conto che il suo viso era molto più vicino di quanto si ricordasse: sognando si era lentamente e inconsciamente avvicinato a lui, ma era un movimento così lento e implicito che lo stesso Bill non si era accorto di nulla.
 
“Beh, ti dirò la verità, Tom: ho smesso di odiarti la settimana scorsa” gli rivelò e lo guardò dopo un po’. Improvvisamente si rabbuiò, perché si rese conto dello scenario in cui si trovava: c’erano lui e Tom su un letto, chiusi in una stanza, e nel resto della casa non si sentiva anima viva.  Lui sapeva di desiderarlo, ma doveva tenere in considerazione due punti: da una parte, quello era un primo appuntamento e Bill era già andato oltre i suoi limiti accettando l’invito di Tom di andare a casa sua; dall’altra parte, sapeva che quello era uno scherzo nonostante Tom gli avesse invano spiegato che non lo era, quindi il ragazzo non ci sarebbe mai stato.
 
“A che cosa devo questo onore?” gli chiese il rasta.
 
“Ho notato che sei anche tu un idiota come i miei due migliori amici e non volevo fare nessun favoritismo.  Ho finto di continuare a odiarti per riavere indietro la mia macchinina preferita. Si chiamava Fulmine” Il moro portò il giocattolo di fronte ai suoi occhi e la rigirò: era esattamente come se la ricordava, anche se uno degli adesivi sulla portiera era stato barbaramente strappato via.
 
“Suppongo che volente o nolente riceverò comunque insulti gratuiti da te” disse il ragazzo, ma sul suo volto sembrava esserci un sorriso. Il moro staccò gli occhi dalla macchinina per posizionarli su di lui. “D’altronde gli insulti che mi rivolgi possono sembrare carini in confronto a quelli che dici a Georg e a Gustav”
 
“Oh, mio dolce e caro Tom,” Bill posò accanto a sé il giocattolo e prese le mani di Tom tra le sue, lo guardò in apprensione. “Vuoi che ti chiami fiorellino di campo? Oppure preferisci cuore di zucchero?”
 
“Mi accontenterò di fiorellino di campo” Tom si sforzò di ridere, ma il suo cuore – che solamente poco tempo prima aveva ripreso a battere a un ritmo non accelerato – fece letteralmente un salto. Il silenzio in cui si erano immersi gli permetteva di sentirlo battere velocemente nelle sue orecchie e nel suo petto come un tamburo; era così strano che Bill non si rendesse conto di tutti i suoi cambiamenti: si era irrigidito, il suo viso era leggermente colorato di rosso e sembrava parecchio nervoso. Tutto ciò che voleva fare era portare le mani di Bill alla sua bocca, baciare ogni dito; oppure liberarsi da queste e poggiare le sue mani sul suo viso, attrarlo a sé e baciarlo, poggiare le sue labbra su quelle di Bill, buttarlo sul letto e stendersi su di lui – sentire il suo corpo contro il suo, anche se questo voleva dire solo un contatto di tessuti e non di pelle nuda, ma voleva sentirlo sotto di sé, imprigionarlo con il suo corpo, fare a Bill tutto ciò che aveva sognato di fare e sperare che Bill se lo facesse fare. Ma tutto ciò che fece fu dire: “Ti va del gelato?”.
 
Entrambi furono stupiti da quella domanda, Tom in primis, ma a Bill stava piacendo il modo in cui stava andando quel falso appuntamento. Mangiare era qualcosa molto vicina al sesso ed era questo quello che aveva fatto in quei mesi di astinenza. Ovviamente avrebbe preferito fare altro, anche perché aveva dovuto rimediare a quelle abbuffate con pesanti allenamenti. Ma dato che da quel falso appuntamento non poteva ricavare nulla, il gelato andava benissimo.
 
“Io adoro il gelato” disse Bill e Tom lo guardò, annuì e si alzò.
 
“Ti va di mangiarlo in giardino?” gli chiese e il moro lo imitò.
 
“Hai un giardino?” esclamò e lo seguì fuori dalla sua stanza. A causa del buio non era riuscito a vedere l’interno della casa, ma a vederla dall’esterno doveva essere enorme, al punto che si estendeva per due piani: a Bill era sembrata una reggia. Gli sarebbe piaciuto vedere il modo in cui era decorata, riusciva però a vedere solo qualche particolare illuminato dalla luce della luna o delle stelle. Una statua in marmo raffigurante un busto femminile dall’opulente seno, senza braccia né testa, lo aveva colpito particolarmente mentre Tom lo trascinava in camera sua e si era lasciato catturare dalle venature del marmo. Mentre seguiva il rasta – questa volta non gli aveva preso la mano, perché non avrebbe retto tutte le conseguenze dell’ennesimo contatto con lui – ebbe la possibilità di guardarsi intorno, riusciva a capire di trovarsi in un ambiente quasi regale. “Come vorrei poter accendere la luce!” pensò guardandosi intorno.
 
Quando arrivarono in cucina Tom accese finalmente la luce, che andò a illuminare un ampio spazio. Bill inarcò le sopracciglia a vedere quei banconi in marmo bianco e quell’ambiente così ordinato. “Oh, Dio, ha una pulizia quasi maniacale” disse mentre si avvicinava al piano cottura, Tom lo guardò e sghignazzò, aprì il congelatore per prendere il gelato al cioccolato. “È così pulito che sembra che qui sia stato ucciso qualcuno! D’altronde, Tom, tu hai tutta l’aria di essere un assassino” Bill s’interruppe e poi si girò, i loro sguardi si incontrarono. “Scusa, volevo chiamarti fiorellino di campo”
 
“Idiota” disse Tom con un sorriso mentre chiudeva il congelatore con un gesto.
 
“Guarda che se io non insulto te, tu non puoi insultare me!” esclamò seguendo con lo sguardo i suoi movimenti. Tom si avvicinò a lui e prese due coppette in ceramica, dipinte a mano con delle scintille blu su uno sfondo bianco.
 
“Mi sono reso conto che è impossibile non offenderti” disse Tom e lo guardò, gli sorrise quando vide la sua aria imbronciata. Si fermò a guardarlo, erano l’uno vicino all’altro, spalla contro spalla e si guardavano negli occhi. Sembrava che nessuno volesse fare per primo nessun movimento, non si avvicinavano ma nemmeno si allontanavano, era come se l’uno stesse aspettando l’altro, oppure come se si scrutassero e si studiassero. Bill sapeva che se ci fosse stato un primo bacio questo non sarebbe mai partito da lui; Tom era troppo confuso per capire che cosa fare: era il momento giusto? Doveva baciarlo? Bill lo voleva? Come diavolo funzionavano i rapporti omosessuali? Chi doveva baciare chi? Chi era il maschio? Era troppo confuso per riuscire a venire a capo di quei numerosi quesiti, quindi interruppe quel gioco di sguardi e mise del gelato nelle due coppette. “Comunque ti do ragione, è una cucina super pulita. Mamma ha cambiato ultimamente domestica: deve aver fatto un buon lavoro nello sceglierla”
 
Bill corrugò la fronte molto stupito del fatto che Tom non lo avesse baciato, ma poi fece risuonare quelle parole nella sua testa. “Hai una domestica?” chiese osservando i movimenti quasi meccanici di Tom.
 
“Tu no?”
 
“Non farmi questa domanda come se avere una domestica fosse la normalità!”
 
“Beh, è una casa grande” disse Tom e chiuse il barattolo di gelato, guardò Bill che era ancora troppo scandalizzato dal rispondere, sorrise. “Bill, non è un fatto così sconvolgente! Tieni, puoi leccare il cucchiaio” Gli diede il cucchiaio in mano e poi andò a riporre il gelato nel congelatore.
 
Bill, col cucchiaio parzialmente in bocca, si girò per guardarlo. “Tom, quanti soldi hai?” gli chiese e sentì il ragazzo ridere.
 
“Ritorniamo alla mia affermazione di prima: è proprio impossibile evitare di insultarti” gli disse con un sorriso, prese un cucchiaino e lo posò in una coppetta, le prese entrambe. “Andiamo in giardino?” gli chiese, ma era più un’affermazione che una domanda. Uscì fuori dalla porta posteriore che collegava la casa col giardino seguito da Bill. Il giardino era ovviamente ben curato – il moro non si sarebbe stupito se avesse saputo che avevano anche un giardiniere – e pieno di fiori, prevalentemente gigli bianchi e rose rosse. Vi erano un dondolo e  un adorabile tavolo in vimini accompagnato da sei sedie e il ragazzo pensò che si sarebbero diretti lì, ma Tom si andò a sedere sul prato. Quando Bill lo raggiunse gli porse la sua coppetta di gelato, quella senza cucchiaio.
 
“Credo che dopo aver visto casa tua non ti farò mai vedere casa mia. È sempre costantemente in disordine perché siamo uno più disordinato dell’altro e ovviamente non possiamo permetterci qualcuno che venga a fare le pulizie. Sì, se venisse qualcuno dovrebbe venire giornalmente: siamo davvero troppo disordinati per accontentarci di qualche giorno a settimana” disse Bill mentre iniziava a mangiare il suo gelato. “Avete anche dei cuochi?”
 
Tom lo guardò e fece spallucce. “Beh, sì, a mamma non piace cucinare”
 
“Oh, Dio!” esclamò Bill e strabuzzò gli occhi. “Anche mia madre odia cucinare, ma—” S’interruppe. Come mai sapeva solo ora di quanto Tom fosse ricco? Ma soprattutto, perché lui aveva scelto come migliori amici Georg e Gustav, poveri come lui? Se avesse fatto le scelte giuste da ragazzino, avrebbe scelto Tom e quindi magari adesso si troverebbe a bordo piscina a godersi il sole in qualche isola esotica. Anche se ormai lui, Georg e Gustav si conoscevano da molti anni, avevano condiviso molte esperienze insieme e avevano iniziato a stargli anche un po’ simpatici – non avrebbe mai avuto il coraggio di abbandonarli tutt’e due per Tom. Sostituire entrambi avrebbe significato che Bill doveva insegnare a qualcun altro il suo carattere, la sua personalità, ciò che gli piaceva e ciò che non gli piaceva e lui davvero non aveva voglia. Mantenere Georg e Gustav nella loro posizione di migliori amici avrebbe invece fatto risparmiare molti mesi, se non addirittura anni.
 
“Bill, riesco a vedere che la tua mente sta galoppando troppo in fretta: smettila. Non partorisci mai buone idee quando lo fai” lo prese in giro il ragazzo facendolo risvegliare dai suoi pensieri, Bill gli diede uno schiaffo sul braccio e Tom rise. “A cosa stai pensando, comunque?”
 
“Tom, ho ragionato molto sul nostro rapporto” iniziò Bill e posò il suo cucchiaio nella coppetta di gelato; non ne aveva preso che poche cucchiaiate. Tom sussultò e lo guardò per un momento, poi cercò di guardare dappertutto tranne che nei suoi occhi. Forse finalmente Bill aveva capito che lui voleva qualcosa di più che un semplice rapporto superficiale, forse finalmente aveva capito che quello era un vero appuntamento. Strabuzzò gli occhi e arrossì quando si rese conto che ciò che aveva a lungo anelato, ovvero un bacio da parte di Bill, stava per arrivare: solo così potevano sugellare la loro nuova relazione, no?
 
“Uhm, sì?” balbettò il ragazzo e ritornò a guardarlo.
 
“Sì” Bill posò la coppetta nell’erba, Tom, con grande impaccio, lo imitò. Si leccò le labbra per prepararsi al bacio imminente, il suo cuore sembrava letteralmente uscito fuori dalla sua gabbia toracica. “Ho pensato che il posto da mio migliore amico è già occupato, quindi posso toglierti dal posto del mio peggior nemico e metterti nel posto di amico. Stai—Stai bene?” Bill mise una mano sulla spalla di Tom mentre lui si strozzava con la sua stessa saliva.
 
“Sì, sì, sto bene” disse Tom riprendendosi. Sospirò, ancora non aveva capito i suoi sentimenti. Tuttavia, rivelarglieli adesso sarebbe stato inconcludente: era ovvio che Bill non ricambiava il suo amore, avrebbe solo rischiato di perderlo. In compenso poteva approfittare del nuovo ruolo di amico del ragazzo per farlo cadere lentamente nella sua trappola. Era vero, si era sentito male quando si era reso conto che ancora Bill non capiva il suo amore, ma adesso si sentiva parecchio positivo al riguardo. Guardò gli incantevoli tratti di Bill, con la sua fronte un po’ aggrottata per la preoccupazione che il suo nuovo amico gli aveva arrecato, e poi gli sorrise. “Bill, ti farò innamorare di me” pensò, ma a voce alta disse: “Per me sarebbe un onore essere suo amico, sua maestà”
 
Bill si aprì in un luminoso sorriso. “Perfetto! Quando arrivo a casa aggiorno i registri” Tom corrugò la fronte e inclinò il capo, non aveva ben capito l’ultima frase di Bill. “Ah, Tom, se partirai per qualche isola esotica non dimenticare di invitarmi”
 
 
 

 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Tokio Hotel / Vai alla pagina dell'autore: echois