«Vuoi
salire?» chiese Ninomiya, appena usciti dal ristorante sotto
casa sua. Lui e
quella che ormai era diventata la sua band si erano conosciuti
solamente
qualche mese prima, debuttando insieme a Honolulu. Il più
grande era stato
scelto come leader quel giorno stesso e aveva dunque offerto la cena a
tutti.
La serata fu intensa, ma intorno a mezzanotte tutti vollero rincasare
per poter
riposare: nonostante l’impegno, davanti ai cinque giovani si
prospettava un
futuro colmo di successo.
«Se
vado a dormire fra mezz’ora, il tempo di arrivare a casa, mi
rimangono sei ore
di sonno» aveva calcolato velocemente Ohno, immobile davanti
al portone del
palazzo del più giovane, controllando l’orologio
annodato al polso.
«Puoi
dormire da me» si affrettò a dire Nino. Per
qualche motivo detestava restare da
solo durante la notte. Nonostante fosse ormai totalmente buio, il
più giovane
poteva chiaramente sentire lo sguardo bruciante dell’altro su
di sé, seguito
poi da un lieve cenno d’assenso che poté percepire
all’ombra del suo profilo. Salirono
le scale in silenzio, raggiungendo l’appartamento al terzo
piano dell’edificio.
«Mi
servirà della biancheria pulita» disse Ohno
poggiando la propria roba sul
piccolo divano nel salotto. «Quella non ti
servirà» si lasciò sfuggire il
sedicenne
in un mormorio. Un silenzio imbarazzante avvolse i due ragazzi per
qualche
istante, permettendo al più giovane di sgattaiolare in
camera da letto, quasi
come a nascondersi, seguito poi dal compagno.
Ninomiya
si sedette sul bordo del letto a testa bassa, imitato
dall’altro che, con passi
furtivi, prese posto accanto a lui, sollevandogli il mento con
l’indice.
«Non
ci credo» mormorò Nino, «davvero non lo
avevi capito?» continuò. I loro sguardi
si incrociarono per qualche istante. Satoshi ebbe la fugace impressione
di aver
notato un velo di lacrime negli occhi del ragazzo.
«Non
lo so…» rispose con aria assorta, sdraiandosi sul
letto, incrociando le braccia
dietro il capo, «forse» Il più giovane
si voltò verso di lui, prima guardandolo
in viso, poi scorrendo con lo sguardo sul suo corpo, osservandone
attentamente l’addome
disegnato dalla maglietta semiaderente, l’ombelico che si
intravedeva dal bordo
dei pantaloni, un incavo minuscolo in mezzo a un deserto di pelle
liscia e abbronzata.
Di
nuovo, il silenzio si impadronì della stanza. Poi il
più grande si alzò di
colpo, togliendosi la maglia, lasciando intravedere la vita stretta e i
capezzoli scuri sul petto, facendo per togliersi anche i pantaloni,
quando
l’altro lo fermò.
«Cosa
stai facendo, Ohno Satoshi?» chiese Nino allarmato, tirandosi
in piedi di
scatto. Il più grande fremette a sentire pronunciare il
proprio nome per
intero. Non aveva memoria di nessun altro che lo avesse fatto, se non i
professori a scuola e sua madre quando era particolarmente nervosa.
«Ho bisogno
di farmi una doccia e prepararmi per la notte» rispose
noncurante il ragazzo,
levandosi i pantaloni.
Nino
non poté impedirsi di far scivolare lo sguardo: un paio di
boxer neri col bordo
grigio campeggiavano dinanzi a lui, mettendo particolarmente in risalto
il
fondoschiena del ragazzo. Nino si passò una mano sul volto,
deciso ad andare in
cucina a bere un bicchier d’acqua, ma non fece in tempo a
pensarlo che l’altro
gli si avvicinò, premendo il proprio corpo contro il suo,
abbracciandolo teneramente.
Un
capogiro raggiunse il più giovane, stretto tra le braccia
del compagno.
Raramente era stato abbracciato in quel modo nella propria vita.
Stringendolo
di rimando, fece scorrere una mano lungo la schiena, assaporandone ogni
angolo.
Poteva sentire il profumo della sua pelle nuda, levigata sotto il suo
tocco
fugace. Ohno piegò leggermente la testa nella sua direzione,
respirando sulle
guance del più giovane, per poi sfiorargli le labbra con
dolcezza.
Un
bacio casto, sincero, a cui ne seguirono altri cento, intimi e
passionali,
nascosti nel buio della notte.
˜
Il
pranzo di Nino era rimasto sul tavolino, intatto. Quando
tornò a casa quella
sera, si sedette sul divano, senza sapere bene come spiegarsi
ciò che sentiva.
Di certo non era raggiante, ma non poteva definirsi nemmeno afflitto;
conosceva
bene anche lui le sensazioni che doveva provare Satoshi in quel
periodo, sapeva
bene che i suoi desideri non erano quelli di continuare a esibirsi per
Johnny².
La
fama li aveva lentamente distrutti, anche se nessuno di loro lo voleva
ammettere realmente. Nonostante i compagni non avessero accolto la
notizia con
allegria, Nino sapeva che in fondo non erano angosciati.
All’inizio il successo
sembrava un sogno divenuto reale e Ninomiya stesso si reputava il
ragazzo più
fortunato al mondo.
Debuttare
a soli sedici anni come idol, farsi applaudire per qualsiasi cosa
facesse,
guadagnare tanto denaro era ciò che aveva sempre reputato
una bella vita. Col
tempo però, si accorse che tutto ciò portava con
sé anche diversi lati
negativi: la quasi totale assenza di una vita sentimentale normale, non
solo a
causa della propria omosessualità, ma soprattutto a causa
del suo lavoro.
Non
era possibile nemmeno comprare un pezzo di pane senza essere pedinati e
fotografati da chiunque. Spesso era costretto a mascherarsi
meticolosamente
prima di uscire, per nascondere accuratamente il proprio viso in modo
da
renderlo irriconoscibile.
Sapeva
che se lui soffriva per questi motivi, Ohno ne risentiva ancora di
più. Sapeva
di non poter fare altro che accettare la sua decisione. Gli Arashi si
sarebbero
presto sciolti, ma era sicuro che sarebbero rimasti in qualche maniera
uniti, nonostante
la frenesia della vita. Forse avrebbe avuto la possibilità
di ricostruire un
qualche tipo di vita privata con Satoshi, o forse no.
Solo
il tempo avrebbe potuto trarre le proprie conclusioni.
˜
Erano
passati alcuni mesi da quando la sua relazione con Ohno aveva avuto
inizio e dopo
aver letto i giornali quel giorno, su cui campeggiava una foto del
ragazzo con
un paio di adolescenti seminude, lo aveva chiamato chiedendogli
spiegazioni,
accettando poi l’invito dell’altro ad una gita su
un lago, noleggiando una
barca per andare a pescare.
«Pensavo
stessimo insieme» si lasciò sfuggire il
più giovane, pentendosene nello stesso
istante in cui lo disse, «hai letto i giornali questa
mattina?» proseguì. Ohno
si voltò con aria cupa, per poi posare lo sguardo nuovamente
sulla canna da
pesca. «Dobbiamo concentrarci sul lavoro adesso. Dobbiamo
creare una tempesta
in tutto il mondo³».
Un
lieve sorriso gli si dipinse sulle labbra e Nino si chiese per un
istante se
avesse realmente sentito ciò che gli aveva chiesto. Ohno non
era così stupido
come voleva far credere. Non era neanche particolarmente buono come
appariva.
Con
questi pensieri, il cantante si voltò verso il lago,
osservando la distesa blu
illuminata qua e là da piccole stelle luccicanti come pietre
incastonate
nell’acqua. Pensò che in fondo il più
grande aveva ragione, il lavoro era il
loro primo obiettivo, come si erano sempre promessi fin dal loro
debutto, quasi
un anno prima. Si voltò verso il ragazzo accanto a lui,
osservandone
attentamente il profilo, notando un giovane uomo, forse sciocco o forse
solo
agli albori della vita per poter realmente comprendere i propri
desideri. Vide
un uomo dal naso leggermente aquilino che si godeva ogni minuto della
propria
esistenza, prendendolo un po’ come veniva, accettandone le
conseguenze.
E
decise di voler fare lo stesso: mordere la vita, masticarla fino a
quando non
si sarebbe stancato, per poi sputarla via come una vecchia gomma e
tentare di eliminarne
l’amaro sapore trangugiando un bicchier d’acqua.
²
Johnny: Johnny
Hiromu Kitagawa, il fondatore dell’agenzia
scopritrice di talenti Johnny
& Associates,
che nella sua carriera ha prodotto numerosi gruppi
musicali J-pop, tra cui gli Arashi.
³
“Creare una tempesta in tutto il mondo”:
l’obiettivo della band secondo
l’agenzia di talenti Johnny’s, che per questo
motivo scelse il nome Arashi 嵐,
ossia “tempesta”.