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Autore: Pareidolia    18/07/2019    0 recensioni
Il silenzio di una stazione spaziale, rotto da voci improvvise, da un canto per te innocuo. Osservi dall'interno di una lavanderia lo scontro tra queste voci e chi vuole fermarle, inerme, mentre le lacrime scorrono e il sangue riempie il pavimento.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Una canzone echeggia per il corridoio.
Il suo sguardo osserva il fondo del passaggio bianco, il più lungo nell’ala est del terzo piano. L’intera stazione spaziale S-01 sembra immobile mentre quelle parole, inizialmente solo un’eco lontanissimo, si fanno vicine.
È circondato dai suoi compagni, fermi e silenziosi come lui. Soltanto gli sguardi parlano, comunicando parole vuote e difficili da cogliere ma non per loro, che ormai conoscono a memoria ognuno di quegli occhi.
Mentre fuori da quelle mura bianche e metalliche Saturno è immerso in un’oscurità piatta, il gruppo di soldati allineati alla perfezione nel corridoio rimane in attesa. Si volta a guardare il gigantesco pianeta, le striature dell’anello, la luce pallida che emana. Le sue iridi scure, coperte dalla visiera del casco, si perdono nell’immensità dello spazio in cui lentamente si muove l’intera stazione e non riesce a fare a meno di domandarsi cosa ci faccia lì e come si sia arrivati a una simile situazione, quando sia iniziata quella caduta verso un baratro nero e senza fine.
Le parole del canto si fanno più forti. Si stanno avvicinando. Il comandante ordina di preparare le armi, tutti devono essere pronti a sparare al suo segnale.
Ma è giusto farlo? È giusto aprire il fuoco così, senza nemmeno sentire le ragioni dietro a quel canto? Come soldato non dovrebbe porsi domande, né a se stesso né all’esercito di cui fa parte e, tantomeno, ai dirigenti della stazione spaziale. Eppure non riesce a evitare di domandarsi i motivi che si nascondono dietro a tutto questo.
Ora il canto è vicino, appena dietro l’angolo. A separarlo dal gruppo di soldati ci sono solo alcuni metri in metallo dipinto di bianco. Sembra di stare in una distesa di neve artificiale e dura, ai cui lati si estende l’universo, infinito e spaventoso. La tensione si fa densa, riempie tutto lo spazio avvolgendo ogni membro del gruppo e lui, ancora perso nei suoi pensieri, non sa se desidera scappare o se vuole obbedire agli ordini del comandante. Ma in caso fuggisse che fine potrebbe mai fare? Se si recasse ai piani più alti della stazione verrebbe fermato ai controlli dell’identità e si ritroverebbe giustiziato per tradimento. Se scendesse verso i generatori, verrebbe sicuramente attaccato e ucciso dai rivoltosi nascosti in mezzo ai macchinari. Un sorriso amaro appare per qualche istante sulle sue labbra. Si arrende alle circostanze.
Eccoli, arrivano. La folla supera l’angolo, sbucando poco a poco nel corridoio. Tante figure armate di cartelli e parole. Gli occhi sono fissi sui soldati; sguardi stanchi e affamati, distrutti dalla fatica e dalla mancanza di sonno. Eppure nessuno si ferma. Uomini e donne di mezza età, ex-studenti, bambini e anziani. Ormai sono una massa spinta dalle parole di quella canzone rivolta verso i dirigenti della stazione spaziale, verso i soldati, verso l’intero universo. La rabbia è rivolta ad ogni cosa e si posa su tutto ciò che li circonda come tanti granelli di polvere tanto piccoli da risultare invisibili se separati ma che insieme appaiono come un enorme mantello grigio.
Io, in mezzo a quella folla, so bene di essere un solo granello ma unita agli altri da quella canzone mi sento forte e marcio verso i soldati, senza aver paura di morire.
Lui ci guarda come fosse la prima volta. Ha già affrontato situazioni simili in passato  ma non riesce mai ad abituarsi. Nonostante il fucile che stringe fra le mani gli infonda una forza e una sicurezza assolute non è ancora mai riuscito a guardare negli occhi uno di noi e a vederlo solo come un ammasso di carne. In tutti gli sguardi lui vede qualcuno. Vede pensieri, desideri, sogni simili ai suoi. È in questi momenti che i ricordi della vita sulla Terra tornano in mente ad ognuno, ricordi di lotte e urla, di sangue e pianti, di disperazione. La fuga nello spazio ha risolto molti problemi ma non certo le incomprensioni. Quelle continuano ad assordare, senza mai abbandonare nessuno degli abitanti della struttura dai muri bianchi.
Appena i metri che dividono tutta la folla dai soldati si fanno più stretti, il canto si intensifica, rimbombando come fosse il ruggito di una bestia imponente per tutto il piano.
La paura scompare del tutto, mentre le prime gocce di pioggia iniziano a farsi sentire. I proiettili irrompono nel corridoio come fossero una tempesta, uno tsunami che investe ogni cosa incurante di cosa abbia davanti mentre il vento imperversa, il cielo si fa grigio e i fulmini iniziano a mostrarsi fra le nuvole sempre più scure.
Il comandante urla ordini senza mai interrompersi, stringendo il fucile fra le mani avvolte dai guanti neri.
Lui ci osserva per un’ultima volta prima di unirsi ai suoi compagni e premere il grilletto. Prima di unirsi alla pioggia di colpi. Nella mente non ha più nessuna preoccupazione, nessuna domanda. Soltanto una scena. Avanza, lentamente, in una distesa buia in cui il pavimento è coperto da un liquido rosso e denso nel quale galleggiano numerosi scheletri. Le ossa bianche luccicano nella penombra
 
La nostra canzone echeggia nel corridoio.
Spesso mi è stato domandato come mai avessi preso una simile scelta. All’inizio la risposta sembra facile: mi esce dalle labbra con scioltezza, come fosse una cosa ovvia.
Non ti rendi conto del mondo in cui viviamo?
Ma, pensandoci, queste parole sono troppo semplici, troppo immediate. C’è molto di più, in realtà.
Ogni volta che affronto una conversazione non riesco ad esprimermi bene e le parole più adatte mi vengono in mente troppo tardi, quando la discussione non si può più tornare indietro. In quei momenti vengo investita da un’ondata di tristezza e l’unica cosa che mi fa sentire meglio è l’anello che circonda Saturno. Guardandolo mi rendo conto del fatto che sia l’ultima cosa bella che mi è rimasta. Lentamente ruota attorno al sole e noi, nella stazione, a nostra volta ruotiamo attorno al pianeta. Ogni tanto riesco a sentire quasi il suo sussurro, percepisco delle parole silenziose che si esprimono attraverso la sua luce pallida. Mi rassicura, dicendomi che tutto andrà bene
 Ma la fame, nonostante tutto questo, non smette di tormentarci tutti, segregati nei piani più bassi della stazione. Per questo dobbiamo lottare.
Qui i macchinari fanno rumore continuamente e ci impediscono di dormire. Come se le preoccupazioni non fossero abbastanza. Per questo dobbiamo lottare.
Perché lo fai? È pericoloso, non devi andarci. Continuano a ripetermelo ma io cosa posso fare? Se rimango ferma qua sotto non cambierà mai nulla e morirò comunque.
Là sopra morirò per i proiettili, qua sotto per la fame. Che differenza fa?
Ricordo ancora il giorno in cui, sette anni fa, salii insieme alla mia famiglia e molti altri sulla navetta. Eravamo diretti verso la stazione spaziale, colmi delle speranze che tutto il mondo aveva in quel momento. La prosperità, la nuova vita nello spazio e la futura colonizzazione dei pianeti.
Non credo riuscirò mai a capire fino in fondo perché i governi ci abbiano mentito così. Non capirò mai perché non abbiano posto davanti agli occhi di tutti i rischi e i pericoli di quella scelta. Allo stesso modo, però, non capirò mai la nostra ingenuità davanti alle loro affermazioni. Se c’è un colpevole, quindi, chi è?
Come fossimo un branco di pecore dietro a un pastore anziano, salimmo su quella navetta spoglia e un po’ triste, raggiungendo in una manciata di mesi la stazione spaziale.
Quanto furono belli i primi tempi lì. I muri bianchi sembravano pervasi da una strana magia. I miei occhi esploravano l’immensità dell’universo cercando continuamente di memorizzare la posizione di ogni singola stella presente e già a quel tempo la luce di Saturno mi provocava un violento tuffo al cuore, strozzandomi il respiro ogni volta.
Ora che marcio insieme ai miei compagni, ai miei fratelli, lungo i corridoi bianchi della stazione spaziale, intonando il nostro canto, finalmente capisco perché ho deciso di farlo. In onore dei miei ricordi, dei miei genitori che ormai non ci sono più, di tutti gli altri corpi senza vita abbandonati nelle stanze dei piani inferiori. Sono per loro queste parole che dalle mie labbra si diffondono nell’aria artificiale dell’ala est del terzo piano. Per tutto ciò che la stazione ci ha rubato.
 E mentre canto, avanzando nella processione insieme agli altri, non sono più il granello di polvere solo e confuso che sono sempre stata ma mi sento parte di un manto di stelle che brillerà per sempre, qualsiasi cosa accada.
Nonostante i proiettili ci piovano addosso, caldi e veloci, questa consapevolezza non abbandona il mio corpo mentre si raffredda. L’ultima cosa che vedo è la luce emanata da Saturno. Davanti alle striature del suo anello, mentre il mio spirito si all9ontana dal corpo galleggiando nell’aria, mi sento finalmente in pace.
 
La canzone echeggia, raggiungendo le tue orecchie.
La tua giornata è iniziata presto, a quella che dovrebbe essere l’alba sul pianeta da cui tutti noi proveniamo. Eppure, quando hai aperto gli occhi, ad accoglierti c’era solo un cielo nero pieno di minuscoli punti bianchi e un pianeta apparentemente immobile, il suo sguardo fisso su di te. Ancora non ti sei abituata a tutto questo, nonostante siano passati ormai cinque anni dal tuo arrivo alla S-01.
Dopo aver aperto gli occhi hai aspettato qualche secondo prima di sfidare le ombre nella stanza, le quali ti tenevano incatenata al letto ormai da giorni, incapace di fare qualsiasi cosa.
Nella penombra rischiarata appena dalla lampada sul comodino hai azzardato i primi passi, ti sei vestita con quel poco rimasto nell’armadio e, caricandoti sulle deboli braccia il peso dei sacchi pieni di abiti da lavare, hai iniziato il lento pellegrinaggio verso la lavanderia dell’ala est. Pochi minuti di viaggio che, però, ti sono sembrati un’eternità.
Attorno a te la vita nella stazione spaziale prosegue normalmente. Decine di persone percorrono i corridoi diretti ai propri posti di lavoro, un viavai interminabile di sguardi persi nel vuoto, di volti scavati e impauriti, consapevoli di cosa potrebbe accadere da un momento all’altro e pronti a un’eventuale fuga.
Ora alle tue spalle il suono ciclico della lavatrice spezza il silenzio della lavanderia e mentre i tuoi occhi osservano il mondo fuori dalla vetrina, la memoria rievoca immagini che credevi perdute. Al posto del corridoio bianco vedi una strada scura, illuminata solo da alti lampioni e popolata da un sottile strato di nebbia. Nella tua stanza la luce giallastra penetra senza svegliarti, evitando di interrompere il tuo vagare nel mondo dei sogni. Come fossi un’estranea vedi il tuo corpo steso sotto le coperte. È ancora lontano il giorno in cui dovrai abbandonare tutto questo.
-Non dovresti farlo, è pericoloso.- Dice una voce alle tue spalle, interrompendo i sogni e anche il flusso di ricordi. Davanti ai tuoi occhi torna il corridoio bianco, riportandoti alla terribile realtà.
-Come, scusi?- Ti volti, incrociando lo sguardo nascosto dietro agli spessi occhiali da sole del gestore della lavanderia. Un uomo sulla quarantina, dalla bocca sottile e ondulata, le guance leggermente gonfie e i lineamenti asiatici sui quali cala l’ombra del cappello calato fino a metà della fronte. Ti osserva stringendo in mano una lattina di birra giapponese. Guardandola resti allibita, pensavi non ne esistessero più in tutta la stazione. La sua camicia a maniche corte piena di pieghe ondeggia piano, mossa dall’aria condizionata alle sue spalle.
-Quello che stavi facendo è pericoloso. Il nostro sguardo dovrebbe essere rivolto al futuro, perdersi nei ricordi può essere fatale, di questi tempi. Un solo ricordo di troppo e si finisce con un proiettile in fronte, come quelli che cantano per i corridoi. I ricordi portano solo insoddisfazione e noi, i neutrali dei piani centrali della stazione, non possiamo permetterci di essere insoddisfatti.- La sua voce è chiara, spezzata da pause nette tra un punto e l’altro e densa di un accento asiatico particolarmente forte. Nonostante le lenti scure riesci a vedere i suoi occhi farsi sottili quando parla.
Dopo una breve pausa alza la lattina verso il soffitto grigiastro, sorridendo..
-Un brindisi ai ricordi!- Esclama appena prima di fare un lungo sorso. Inizi a pensare che sia ubriaco.
-Però, in questo mondo in cui le guerre si combattono su quel poco che rimane della rete e in cui il sangue riempie i corridoi della nostra amata S-01 i ricordi sono importanti, anche se pericolosi, vero? L’erba che riempie un campo deserto, il cinguettio di uccelli nascosti fra gli alberi di una foresta, l’orizzonte in cui il mare e il cielo sono una cosa sola, i vicoli che serpeggiano fra i giganteschi palazzi di Tokyo. Un altro brindisi ai ricordi, che durino per sempre!- E fa un altro lungo sorso, giungendo a metà della lattina.
-Dimmi, cosa vedi oltre quella vetrina? Quali altre scene la tua memoria rievoca?-
Ti volti, facendo vagare nuovamente lo sguardo oltre il vetro antiproiettile che hai davanti. Il bianco del corridoio svanisce, lasciando nuovamente spazio alla tua camera da letto, questa volta illuminata dalla lampada colorata sul comodino. Accanto a te c’è tua madre, giovane e bella come la ricordi, sorridente. Ti guarda negli occhi mentre canta una canzone dolce per aiutarti a dormire meglio e senti il tuo cuore battere forte per l’emozione. Tra tutti i ricordi che hai, quello è il più importante.
-Un bel ricordo, non c’è che dire. Vorrei averne anche io di simili ma tutto ciò che la mia memoria riesce a rievocare sono solo commenti su internet, sguardi persi nel vuoto e luci al neon. Ogni tanto appare il volto di una ragazza, altre volte il sorriso di un amico o il ritmo di una canzone ma sono solo ricordi sbiaditi. E quindi eccomi qui, in questa lavanderia protetta dalle regole della stazione spaziale, dove né i soldati né i manifestanti possono entrare, a bere l’ultima birra di un mondo che non ci appartiene più e a guardare tutti questi ricordi materializzati oltre la vetrina, come fosse lo schermo di un cinema privato. Ora che ci penso...un brindisi alle regole della S-01!- Un altro sorso, più lungo dei due precedenti e la lattina è ormai quasi finita.
Il ritmo ripetitivo della lavatrice continua a riempire tutta la lavanderia, ritrovandosi all’improvviso accompagnato dal suono di passi pesanti. Stivali che si muovono all’unisono lungo il corridoio, facendosi sempre più vicini.
-Un altro scontro, tanto per cambiare.- Mormora il gestore della lavanderia. La voce è diventata quasi un sussurro avvilito che evita il quarto brindisi.
Il gruppo di soldati si ferma poco prima della lavanderia. Sono abbastanza vicini da riuscire a vederli dalla vetrina. Prima di questo momento li avevi visti solo da lontano, a riposo. Vederli in formazione e pronti a sparare ti spaventa a tal punto che vorresti distogliere lo sguardo ma non riesci. Il tuo corpo si rifiuta di spostarsi dalla vetrina. Forse è la consapevolezza di essere al sicuro grazie a quello strato di vetro a renderlo immobile come una statua.
L’attesa dura solo pochi istanti, prima che le parole della canzone inizino a diffondersi nell’aria fino a giungere alle tue orecchie. Hai ormai perso il conto delle volte in cui quelle voci ti hanno svegliata nel pieno della notte, interrompendo il flusso dei sogni e allo stesso modo non ricordi più quante volte il suono degli spari, subito dopo, ti ha terrorizzata.
Gli occhi si fissano sui fucili resi luccicanti dalle luci al neon sul soffitto. Le voci ora sono vicine. Hanno appena svoltato l’angolo in fondo al corridoio, alla tua destra e ora la canzone è diventata un coro assoluto, che sovrasta ogni altro suono nell’aria.
Da qualche parte, nella notte, qualcuno sussurra dolcemente al suo amante
Da qualche parte, nella notte, qualcuno pensa di liberarsi con un proiettile
Uno studente ride mentre sfreccia con la sua bici alle 6 del pomeriggio
Probabilmente è diretto verso la casa della sua fidanzata
Da qualche parte, nella notte, qualcuno è perso e si domanda la propria identità
Da qualche parte, nella notte, qualcuno ha la sensazione di stare aspettando se stesso, girovagando per la strada
Da lontano sento le urla provenienti dalla scuola elementare
Mi svegliano dal mio riposo e le ascolto per molto tempo
Da qualche parte qualcuno è una vittima
Da qualche parte qualcuno è un carnefice
 
Parole simili a un torrente che sta per straripare e investire tutto ciò che si trova davanti. Nessuno di loro si fermerà. Andranno avanti a ripeterle fin quando sarà possibile e quando i loro volti ti appaiono davanti, oltre la vetrina lucida della lavanderia, comprendi quanto sia profondo il dolore che ancora scava nei corpi di tutte quelle persone. Stonate, piene di lividi su tutto il corpo, erose dalla fame.
Dal lato opposto i soldati sono ancora immobili. I loro occhi spuntano dall'ombra proiettata dai caschi, neri come la tenebra dell'universo. Non ci sono né calma né pace, in quei caschi. Soltanto dolore.
Il canto si intensifica. È diventato un miscuglio di grida spezzate dal pianto, disperate e in lingue diverse. Le stesse parole intonate da tutte le nazioni. Eppure non basta. Non importa come siano ridotti i loro corpi o quanto triste sia quel canto simile a un elogio funebre diretto al futuro, i colpi piovono comunque sulla carne. Il sangue si diffonde comunque lungo il corridoio e tu, che in silenzio osservi la scena, sai che il vuoto nel tuo spirito sta per allargarsi ancor più di prima.
Le voci diminuiscono. Da venti diventano dieci, poi cinque finché, solitario, non rimane che un unico sussurro che si diffonde fino alla vetrina. Per quanto flebile e lontano sia lo senti chiaramente e ti raggiunge il cuore, superando i vestiti e la carne più in fretta del freddo che regna nella lavanderia. Senti un brivido e distogli lo sguardo. I ricordi che fino a poco prima oltre quel vetro non tornano più ma vorresti lo facessero. Vorresti vedere ancora il viso di tua madre, ascoltare la voce di tuo padre, ripercorrere le stanze della tua scuola ma tutto questo ti è proibito. Il motivo non riesci in alcun modo a comprenderlo.
Rivolgi gli occhi verso Saturno, apparentemente immobile nella vasta oscurità che pare soltanto un foglio nero pieno di minuscoli puntini bianchi. Cerchi di ignorare il rantolo che ancora rompe il silenzio della Stazione. I soldati si rifiutano di toccare quel corpo ancora vivo.
Il gestore della lavanderia si alza, superando la scrivania dietro la quale stava seduto. La lattina di birra è ancora stretta nella sua mano. Ti si avvicina, facendo vagare lo sguardo sull’oblò oltre il quale si intravede la forma di Saturno e la sua luce pallida, raggiungendo con calma i corpi stesi a terra senza vita fino a fermarsi su quello ancora vivo, il cui rantolo è soffocato dal ritmo della lavatrice. Oltre gli occhiali da sole gli occhi dell’uomo sono tristi, fermi sul braccio insanguinato di quella figura che canta, spendendo le ultime energie che le rimangono.
Abbassando la testa e chiudendo gli occhi, l’uomo alza la lattina allungando tutto il braccio verso il soffitto.
-Anche se fra un’ora tutti si saranno dimenticati di questo avvenimento e torneranno alle proprie preoccupazioni quotidiane; anche se sulla Terra le lotte politiche e la speranza nella colonizzazione dello spazio continueranno a vivere, sempre più forti; anche se gli spietati fenomeni del mondo continueranno a ripetersi, la mia libido rinascerà. La vita va avanti, non si ferma davanti a nulla e nessuno. Allo stesso modo noi non possiamo fermarci. È un po’ come quando siamo in ritardo e l’autobus diretto verso la nostra destinazione ci passa accanto e ci supera. Non possiamo fingere di non averlo visto e aspettare il successivo; dobbiamo correre e superarlo, cercando di raggiungere per primi la fermata. Un ultimo brindisi...alle vittime di ieri, oggi e domani. Agli autobus persi, a quelli che ancora dobbiamo perdere e anche a quelli che non vedremo più, essendo lontani da casa.- L’ultimo sorso e, nello stesso momento, gli abiti nella lavatrice smettono di girare e un suono improvviso annuncia il termine del lavaggio.
 
   
 
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