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Autore: Iryael    20/07/2019    2 recensioni
6 Giugno 5402-PF, Galassia Solana, Marcadia.
Indigo Blackeye, il vertice della più grande associazione criminale della Federazione, ha un piano che coinvolge Capital City e la sua Accademia della Flotta. Sono mesi che lo progetta e finalmente è ora di metterlo in pratica.
Jack, Linda, Nirmun, Reshan e Ulysses sono allievi come tanti altri, e come tutti gli altri finiscono loro malgrado coinvolti in quello che sarà un battesimo del fuoco brutale e sanguinario. Con una variante, però: quella di finire fra gli ingranaggi del piano di Indigo.
Il giovane Blackeye ha ragione: il 6 giugno aprirà un nuovo capitolo nelle vite di molte persone. Quel che non può prevedere è chi si metterà sulla sua strada.
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[Galassie Unite | Arco I | Schieramento]
[Personaggi: Nuovo Personaggio (Altri, Indigo Blackeye, Nirmun Tetraciel, Reshan Jure, Ulysses Yale)]
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ratchet & Clank - Avventure nelle Galassie Unite'
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[ 04 ]
La squadra migliore
Sempre 4 Giugno 5402-PF,
ore 13:55
 
Ci voleva tutta perché Reshan passasse dalla modalità “bravo ragazzo/studente modello” alla “mina vagante”; quando accadeva, però, i danni collaterali erano imprevedibili. Ulysses lo sapeva bene: la prima volta che l’aveva visto era stato lui a portarcelo. Era successo alla fine del primo anno, dopo mesi di dispetti per i quali aveva dato fondo a tutto il suo genio malvagio. E il danno collaterale era stato l’essere messo in camera proprio con lo xarthar.
Poi in altri tre anni di corso era successo solo una volta, ma con un doppio danno collaterale. Il primo: durante la fase “mina vagante” c’era stato un incidente in uno dei laboratori e le Ispettrici lo avevano dichiarato inagibile per diverse settimane. Il secondo: Thallia si era convinta che il responsabile fosse Ulysses, e per tutto il mese successivo gli era stata addosso come un mastino.
Se ci ripensava – se ripensava a tutto quel rigore, alle critiche aspre, al guinzaglio che si era sentito addosso – avvertiva la smania di fermarlo. Non poteva assolutamente permettergli di fare alcunché con la faccia da mina vagante!
Trangugiò il resto del pranzo e schizzò fuori, dove si guardò velocemente intorno. Troppo tardi. Allora allargò la mente per richiamarlo, e per fare prima la espanse subito alla distanza massima. Avvertì Nirmun e alcune sue compagne di corso, percepì Jack e Linda, captò Gregé col referente di classe e beccò i fratelli Jensen assieme a Genedo, ma di Reshan niente. Lo xarthar era diventato invisibile al suo radar telepatico.
Preso in contropiede, il lombax abbassò le orecchie. Conosceva esattamente le cause del silenzio completo, e tutte gli parevano equamente improbabili.
Kaputt fisico? Lo escludo a prescindere.
Che fosse fuori dalla sua portata? Allora dev’essere volato a uno dei campi addestramento. Ma da solo e senza lezione in vista? Non ci credo manco se lo vedo. E poi i rumori di stanotte erano molto più vicini.
Rimaneva solo che fosse nei pressi di un emettitore di onde tachys. Ecco, questa ha senso.
C’erano molti ambienti dov’erano installati degli emettitori, e gran parte si trovava nell’edificio cruciforme. Non gli era rimasta che la ricerca alla vecchia maniera, ma almeno aveva un punto di partenza. Quel vello dal terribile rosso acceso si sarebbe rivelato utile per una volta, no?
* * * * * *
Aggirò il grande edificio centrale e raggiunse l’angolo che avevano ispezionato quella mattina. Mentre si avvicinava le parole si accumulavano sulla lingua: non ci provare, questa volta andiamo dritti da Thallia! So che i misteri ti piacciono ma se volevi una settimana tranquilla la faccia da mina vagante la devi fare in un altro momento!
Ecco, sì, questa qui mi piace. Bisogna che gliela dica così, secca in faccia!
Ma, oltrepassando l’ultima fronda di palma, divenne evidente che lì non c’era alcuna faccia su cui sbattere la frase. Deluso, lanciò una seconda ricerca. Di nuovo niente. La coda, di riflesso, spazzò l’aria con un movimento brusco.
A quel punto portò le mani sui fianchi e si costrinse a rimanere concentrato.
E se fosse tornato all’ospedale? Anche là ci sono zone tachys.
Sbuffando per la prospettiva noiosa, si guardò intorno un’ultima volta; quasi aspettandosi che Reshan comparisse da dietro un velo invisibile. Magari quello di cui gli aveva parlato dopo essere tornato dal magazzino dei prototipi col Sacco. Se fosse stato lui al posto di Reshan avrebbe sfruttato tutto quello su cui fosse riuscito a mettere le mani. Ma Reshan era Reshan e le regole le seguiva alla lettera, per cui niente velo invisibile. Meglio passare oltre, si disse uscendo dall’aiuola.
Alzò lo sguardo verso nord-est, dove in lontananza sorgeva l’edificio ospedaliero. L’idea di attraversare di corsa tutto il complesso non lo affascinava per nulla. Ma che alternative aveva?
Aspetta, aspetta un attimo. E se mi fossi fatto tutto un palco di seghe mentali? E se voleva controllare qualcosa sul lavoro? Sì, ma la faccia da Mina Vagante allora?
Ah, che palle! Quando lo trovo gliene dico quattro!
Promessosi quello, prese a correre.
* * * * * *
Entrò nel reparto di ortopedia solo dopo aver ripreso una respirazione normale. Tirò dritto al bancone in mezzo al corridoio e vi trovò una robot-segretaria dai vividi occhi verdi.
«Buongiorno!» esordì, appoggiandosi al ripiano.
«Buongiorno allievo. Come posso aiutarti?»
«Sto cercando Reshan Jure. Non so la matricola ma è un allievo medico del quarto anno. Ha già preso servizio?»
La robot digitò qualcosa al terminale del bancone e scosse la testa. «Non ancora.»
Il lombax schioccò la lingua, ora seccato. Non è neanche qui... ma dov’è finito?
«Se dovessi trovarlo potresti riferirgli che anche la signora Donno è venuta a cercarlo?»
Le orecchie dell’allievo tentennarono leggermente. «La Donno?» domandò stranito.
«È passata circa quindici minuti fa.» confermò l’androide. «Ha parlato di un mancato rapporto.»
Il ragazzo non riuscì a nascondere lo stupore. Fare rapporto all’istruttrice? Reshan?
«Va...va bene. Arrivederci.»
Aveva preso appuntamento per parlargli di ieri sera? Ma allora ha trovato qualcosa!
Eh! Però allora dovrei raggiungerlo con la telepatia. Perché non ci riesco?
 
Fu con quella domanda che tornò al pian terreno. Dribblò un gruppo di persone e, subito dopo, una voce familiare lo raggiunse: «Ohi, Yale!»
Il lombax tornò subito coi piedi per terra. Ferma a due passi da lui, Nirmun lo guardava con aria incuriosita.
«Sei venuto anche tu per S’luc?» domandò, gioviale.
«No.» A dire il vero si era scordato del nabla. «Hai mica visto Reshan?»
«A tavola, prima, con te.»
Ulysses si passò una mano dietro la nuca. Intuendo che qualcosa non andava, la xarthar si affrettò a chiedere: «Che è successo?»
«Ha detto che controllava una cosa ed è sparito. Non lo trovo da nessuna parte.»
Nirmun alzò un sopracciglio.
«La telepatia no, eh?»
A quella domanda Ulysses alzò le mani al cielo.
«Galassia, come ho fatto a non pensarci prima!» esclamò, sarcastico. Poi guardò Nirmun e abbandonò l’ironia: «Certo che l’ho usata; è proprio perché non lo trovo con quella che sto girando per l’Accademia. Però... è strano... sai che aveva un appuntamento con la Donno e non si è presentato?»
Quello accese una lampadina nella mente della xarthar, e tutti i suoi lineamenti si aprirono.
«Ah, è vero... Vedrai che è dalla prof. Magari era solo in ritardo.»
«Non gli ho mai visto fare un minuto di ritardo da quando lo conosco.» rimbeccò. «La Donno, poi, è passata a cercarlo qui.»
Nirmun inarcò le sopracciglia, sorpresa. «È venuta lei di persona?»
L’altro fece spallucce. «Così dice la robo-infermiera.»
La coniglia spostò lo sguardo su una barella in fondo al corridoio, pensando tutt’altro. «Allora a maggior ragione direi che tutto il problema stava nel ritardo. Ha controllato quel qualcosa e ha fatto tardi. La prof è venuta qui e non l’ha trovato, poi è tornata indietro e l’ha trovato al suo ufficio, che ti ricordo è zona tachys. E intanto tu ti preoccupi per niente.»
Ah, se solo avesse saputo della Mina Vagante... ma quello era meglio non dirlo in giro. Meglio per la sua copertura che tutti lo credessero il solito bravo ragazzo onesto senza speranza. Piuttosto c’era un’altra cosa che lo pungolava. «Perché sei così convinta che sia dalla Donno?»
«Non lo sai? Si vedono tutte le settimane.»
Le orecchie di Ulysses sobbalzarono; gli occhi si spalancarono. «Tutte le settimane???»
La ragazza ridacchiò; un suono leggero e pieno di soddisfazione. «Finalmente so qualcosa che non sai!»
Il lombax l’afferrò per un braccio. «Dettagli! Ora! Subito!»
Nirmun percepì tutto il suo vantaggio e decise di fargliela sudare un po’. Si distaccò da lui con espressione sorniona e incrociò le braccia. «Eh, magari con un “per favore”...»
«Non c’è tempo per quello!»
«Ah, allora puoi chiedere all’ispettrice Yttria.»
«Gah!»
Come sempre bastò il suono di quel titolo, ispettrice, perché gli venissero le fascicolazioni alle mani. Che poi che diamine c’entrava un’ispettrice?
«Oppure posso bypassare la bocca e chiederlo direttamente alla tua memoria.» propose. «Se non l’ho ancora fatto è perché sono una brava persona. Come la mettiamo?»
«No, Yale, non l’hai fatto – e non lo farai nemmeno – perché sai che sennò ti ridurrei a un cumulo di ossa rotte.» lo corresse lei. «Aspetto le paroline magiche. In alternativa c’è Yttria. O l’ignoranza.»
Capitolò. Ma, per non darle ulteriori soddisfazioni, trasmise le due parole per telepatia. Nirmun, contenta del risultato, gli rivolse un sorriso radioso e spiegò: «Hai presente che l’altra settimana è venuto a portarci quell’impiastro curativo fuori dai poligoni? Yttria, l’ispettrice del nostro piano, ci ha visti parlare. Quella sera mi ha chiesto se lo conosco, perché era curiosa di sapere come mai tutti i venerdì si vede con la Donno.»
«Ah, tutti i venerdì!»
Conosceva a menadito il programma del venerdì del suo socio, e incontrare Rita Donno era un particolare che non figurava da nessuna parte. Era oltraggioso che non glielo avesse confidato!
«Sono tutti incontri brevi. Quindici-venti minuti, poi Jure se ne va.»
«Il tempo di fare rapporto.» rifletté il lombax, ricordandosi dell’esatta parola utilizzata dalla robot infermiera. Ma rapporto su cosa? Tutte le settimane è roba seria!
Nirmun gli poggiò una mano sulla spalla. «Dai, andiamo a lezione. Di certo non è andato a farsi ammazzare!»
* * * * * *
Un’ora dopo (15:15)
 
Rita Donno, l’umana più terribile dell’Accademia, osservava con un ghigno i suoi allievi che correvano. Agghindati nelle loro tute, i piloti si distinguevano dai soldati per le tenute arancioni, che per gli altri erano nere. Alle braccia di tutti, la polsiera di tela miniaturizzante, il clou del corredo.
Ordinati, i soldati correvano come un unico serpente affiancati dai piloti. In testa, a comandare i movimenti di quell’unico corpo compatto, c’erano Nirmun Tetraciel e Ulysses Yale.
Giunti in fondo al loro ultimo giro di riscaldamento, i due in testa sporsero il braccio esterno all’infuori, il segnale per indicare il cambio d’andatura per riequilibrare il fiato.
Senza dire una parola, obbedienti, le colonne rallentarono progressivamente fino a camminare a passo marziale, e quando i due capofila alzarono il pugno chiuso, il segnale che l’esercizio era terminato, Rita Donno si avvicinò loro.
«Braccia! Piegamenti!» gridò. E gli allievi ubbidirono, rapidi e precisi.
Mentre svolgevano l’esercizio, in fila davanti a lei, lei fece avanti e indietro due volte. Soddisfatta di ciò che aveva visto, si fermò al centro esatto, a gambe divaricate e mani dietro la schiena.
«Allievi! Ai poligoni! Squadre di due, tiri di precisione!»
Non appena terminarono l’esercizio, i cadetti si alzarono e si avviarono ai piani interrati sotto l’arena. Prima di tutto rientrarono nello stabile; poi presero la direzione opposta a quella degli spogliatoi. Ben presto si ritrovarono a scendere una lunghissima serie di gradini bassi, bordati con strisce di luci d’emergenza.
«Ci fa preparare...» mormorò Ulysses, scendendo le scale. «Pensavo ci mandasse subito al campo.»
«Questo significa che l’esercitazione dura più di tre ore.» rispose Nirmun.
«Ammesso e non concesso che tu abbia sentito bene.»
La xarthar lo guardò di sbieco.
«Guarda che non ho le orecchie così grosse solo per farmi prendere in giro!» sbottò, secca. Ulysses ebbe l’impressione di aver già sentito quella frase, e poco dopo si ricordò che a pronunciarla era stato Reshan.
«Cos’è, un motto di voi xarthar?» chiese ironicamente. «Me l’ha detto anche Re ieri sera, con le stesse parole.»
«È perfettamente inutile parlare di certe cose a uno come te. Sei di mente troppo limitata.»
«Mente limitata io? Fatti un giro coi miei fratelli e poi ne riparliamo, Tetraciel.»
Arrivarono in fondo senza dirsi più nulla. Nirmun lanciò un paio di occhiate al suo compagno di squadra: teneva la fronte leggermente corrugata, cosa che non faceva mai. Anche l’andatura si era fatta più rigida.
Svoltarono in un corridoio secondario, che si immetteva in una delle enormi sale attrezzate con i bersagli, e anche lì la xarthar ne approfittò per osservare come l’altro fosse inquieto. Una volta dentro gli allievi si disposero a coppie; una per bersaglio. L’istruttrice controllò che fossero tutti a posto, poi inserì il codice di autorizzazione a sbloccare le polsiere. Entro breve ogni allievo impugnò la propria arma ed effettuò i controlli prima di cominciare a sparare. Nella corsia dov’erano Nirmun e Ulysses il primo a salire in pedana fu il lombax: richiamò una viper, alzò il braccio, prese brevemente la mira e premette il grilletto: il proiettile laser lasciò la canna, e l’ormai consueto contraccolpo vibrò fino alla spalla.
A cinquanta metri di distanza, sul bersaglio olografico, dei cerchi concentrici sul petto brillò il più piccolo. Centro perfetto, dieci punti.
«Ancora preoccupato?» chiese, di punto in bianco, quando Ulysses le lasciò il posto.
«Non sono preoccupato.»
«Balle... e di solito le racconti meglio di così.» cantilenò lei, scoccandogli un’occhiataccia. Ripeté i gesti del lombax nella corsia di tiro: centro perfetto anche per lei. «Sai com’è, dopo devo salire sulla Comet con te... vorrei sapere in anticipo se farmi sostituire con qualcun altro.» replicò non appena si scambiarono ancora. Ulysses non rispose fino allo scambio successivo.
«Se non ti fidi del migliore, allora di chi ti fidi?»
«Di quello che a me sembra migliore.» rimbeccò aspramente. «Non voglio schiantarmi al suolo perché tu hai la testa sulle nuvole.»
Dopo dieci tiri il bersaglio fu spostato a settantacinque metri dai tiratori, e quella volta le figure olografiche cominciarono a cambiare razza ad ogni colpo.
«La Donno è qui, ma quell’idiota è ancora introvabile.» borbottò Ulysses, dopo aver centrato il suo primo bersaglio.
«Jure?» chiese Nirmun, prima di salire sulla pedana. Il lombax attese che tornasse per rispondere.
«È come se avesse chiuso del tutto la men–»
«ALLIEVI!»
L’urlo dell’istruttrice li colse di sorpresa, facendoli sobbalzare. Si voltarono immediatamente, gridando all’unisono: «Sissignora!»
Rita Donno li guardò con aria torva.
«Cosa sono queste chiacchiere?! L’unico rumore che si deve sentire è quello delle pistole!»
«Sissignora!» risposero, di nuovo, in coro. L’istruttrice passò lo sguardo da uno all’altra, quindi se ne andò con la stessa silenziosità con cui era arrivata.
Nirmun e Ulysses si scambiarono un’occhiata.
«Ti spiego dopo.» disse solamente lui. La xarthar annuì, e ripresero a svuotare i caricatori sui bersagli.
 
A esercizio terminato, per ogni corsia si attivò un oloschermo con sopra segnati i punteggi di ciascun allievo. Nella loro corsia, Ulysses e Nirmun attesero con i nasi all’aria. Dapprima si formò la scritta Punteggi totali delle sessioni di tiro, poi le foto degli allievi si svelarono ruotando su se stesse, infine seguirono i nomi e i punteggi.
 
Tetraciel Nirmun: p.ti totali 394/400
Sessione 1; distanza bersaglio: 50 m – p.ti 100/100
Sessione 2; distanza bersaglio: 75 m – p.ti 98/100
Sessione 3; distanza bersaglio: 100 m – p.ti 98/100
Sessione 4; distanza bersaglio: 150 m – p.ti 98/100
 
Yale Ulysses: p.ti totali 392/400
Sessione 1; distanza bersaglio: 50 m – p.ti 100/100
Sessione 2; distanza bersaglio: 75 m – p.ti 100/100
Sessione 3; distanza bersaglio: 100 m – p.ti 98/100
Sessione 4; distanza bersaglio: 150 m – p.ti 94/100
 
«Ah, diavolo!» commentò il lombax. «Per due schifosissimi punti!»
Nirmun non riuscì a trattenere un sorriso da orecchio ad orecchio.
«E anche oggi segno una vittoria!» disse, tutta contenta. «Rassegnati, Yale, non azzererai mai il divario!»
«Guarda che sono otto punti, non ottomila.» le ricordò Ulysses. «Posso recuperarli quando voglio.»
«Ceeerto. Lo hai detto anche l’altra volta, se non ricordo male...»
«Dopo averti battuto di ben dieci punti Tetraciel, come sicuramente ricorderai.» ribatté in tono amabile. «Piuttosto, che sono quegli errori nei settantacinque e nei cento? Hai bisogno di occhiali?»
«Distrazioni.» replicò secca, alzando velocemente le spalle. «E i tuoi nei centocinquanta?»
«Distrazioni.» rispose lui di rimando.
«Bene, le tue distrazioni ti costano otto punti da recuperare e...»
Nirmun non finì la frase, interrotta da un commento di uno degli allievi che si erano allenati nelle corsie di fianco.
«Stragalassia! Ma cosa mangiate voi?» gridò meravigliato quello, indicando l’oloschermo. Aveva intenzione di vantarsi del suo 310, ma al confronto era un punteggio orribile.
Il lombax e la xarthar si voltarono di scatto, guardandolo con una faccia che diceva chiaramente: e tu che vuoi?
«Siete sopra i 390! Come fate per avere un mirino al posto degli occhi?»
«Che domande!» rispose Ulysses di getto, con un’espressione seria. «Maciniamo le ottiche dei fluxer e ci facciamo un frullato!»
Nirmun, che stava per assentire, gli lanciò un’occhiata allibita e subito dopo gli rifilò un sonoro coppino.
«Ma che dici?! Sei scemo?!» sbraitò. Ulysses si portò una mano sotto la nuca, là dove sentiva bruciare, e prese a massaggiare delicatamente la zona.
«Tu sei scema!» sbottò a denti stretti. «Come ti salta in mente di–?!»
«Lo sanno tutti che bisogna fare frullato dei mirini di armi a gittata più lunga!»
A quella frase il lombax spalancò gli occhi, stupito. Lo stupore però lasciò quasi subito il posto all’irritazione.
Calò il silenzio. Nirmun e Ulysses rimasero a fissarsi per qualche secondo, lei sorridente e lui contrariato. L’allievo che aveva osato porre la domanda, imbarazzato per quella risposta impossibile, dopo un attimo si ritirò discretamente con un nervoso: «Ah, be’, se dite così...»
A quel punto la xarthar si accertò che l’altro fosse davvero sparito oltre il divisorio di corsia, prima di rivolgersi al pilota.
«Scusa, spero di non averti fatto troppo male...»
«Se volevi sfondarmi il cranio eri sulla strada buona.» replicò lui, continuando a massaggiare la cute.
«Ma dai! Con la tua testaccia dura?» ribatté, agitando la mano dall’alto verso il basso senza alcun senso di colpa. «Piuttosto, secondo te se l’è bevuta?»
«Chi, quello? Tetraciel, una storia del genere non regge nemmeno se la racconta Re. Tutt’al più ci ha presi per pazzi.»
«Be’, così non ci interrompe più.» ragionò la xarthar, sorridendo. «Come stavo dicendo: le tue distrazioni ti costano otto punti da recuperare e–»
«ALLIEVI!»
Di nuovo i due sobbalzarono. Di nuovo si trovarono di fronte la Donno.
Due richiami in una lezione. Stavolta ci massacra, pensò Ulysses.
Ma l’umana, contro il pronostico, gli rifilò una semplice occhiataccia.
«Agli hangar, adesso.» grugnì, prima di voltare le spalle ai due e andarsene.
Gli allievi preferirono non irritarla oltre e si affrettarono a seguirla. Tuttavia, mentre si dirigevano al campo, il lombax aprì la mente in direzione di Nirmun.
«Hai ragione a dire che sono preoccupato.»
La xarthar percepì un microscopico ago passarle attraverso la testa, e come ogni volta mostrò una smorfia. Per quanto si fosse sforzata, non era ancora abituata a quel genere di dialogo.
Fu questione di pochi attimi, prima che la sensazione disagevole svanisse. Subito dopo gli scoccò un’occhiata incuriosita. Il lombax non ammetteva mai una debolezza, soprattutto con lei. Cavargliele dai denti era parte del loro rapporto. Per questo l’ammissione spontanea la incuriosì.
Ulysses ignorò in toto la sua reazione, preso dal non far passare l’inquietudine nel flusso della conversazione.
«Ricordi come funziona la telepatia?»
«So solo che la usi per le chiacchiere e per trovare la gente.»
«Bene. La prima cosa da sapere è che un telepate non può leggere involontariamente il pensiero altrui, tranne che in due casi: quando è l’oggetto di quel pensiero e quando è talmente intenso da non riuscire a evitarlo. Basta anche una delle due perché ti legga senza volere.»
«Interessante. Ma perché mi racconti queste cose? Potrei usarle contro di te, un giorno.»
«Perché così la pianti di dire a tutti che sono un ficcanaso rompiscatole!»
Nirmun decise di non dare corda alle sue lamentele autocommiserative. «L’altra cosa?»
«L’altra cosa è che la chiusura totale della mente è difficile per un telepate, e per un non-telepate è quasi impossibile. Per fare un esempio: io riesco a chiudere un buon 60 percento della mente, ma sono un telepate e sono indiscutibilmente bravo. Per raggiungere il mio livello di adesso a te ci vorrebbero quaranta o cinquant’anni.»
«Come fai a dirlo con certezza? E se fossi un genio della chiusura mentale?» obiettò lei.
«Non esistono geni di questo tipo!»
«Okay, quindi?»
«Finché la mente rimane minimamente aperta ed è nel mio raggio d’azione ho la possibilità di rintracciarla, ma quando è completamente chiusa è come se la persona sparisse dal mio radar...»
«E Jure l’ha fatto, giusto?»
«Già. Ho provato a rintracciarlo da quando è arrivata la Donno alla fine della corsa, ma Re è rimasto comunque impossibile da rintracciare. Rimangono quattro alternative: lontananza, onde tachys, svenimento e morte.»
«Uh galassia. Una peggio dell’altra.»
«Inoltre c’è che stanotte siamo usciti dalla biblioteca e abbiamo sentito un rumore sospetto. Vicino all’accademia c’era qualcuno, ma non era né allievo né insegnante. Parlava di esplosioni, cadaveri, e qualcosa che deve funzionare dopodomani.»
La xarthar si fece seria. «A quel punto cos’avete fatto?»
«Re è diventato nervoso e mi ha trascinato nel dormitorio facendo il giro largo. Io non ho sentito quelle frasi e mi sono fidato di lui.»
«È stata una buona decisione. Ma tu perché non hai investigato?»
«Aveva un emettitore tachys.»
«Ah.»
«Stamani siamo tornati a cercare qualche traccia, ma non abbiamo trovato un granché. Solo una valvola di non ritorno. Per me la questione era da considerarsi chiusa, ma per Re no. A pranzo è scappato dicendo che doveva controllare una cosa. E poco dopo ne ho perso le tracce.»
«Ho capito. Vorrà dire che ti aiuterò a cercarlo a fine lezione.»
Stavolta Nirmun percepì sincero stupore. Gli lanciò un’occhiata di sottecchi e si stupì a sua volta di come non lasciasse trapelare nulla nell’espressione. Così rintuzzò: «Di’, pensi sul serio di evadere dopo due richiami?»
A quelle parole la mascella del lombax s’irrigidì per la paura.
«Ah...be’...no.»
«Dobbiamo chiudere presto l’esercitazione, allora. Fa’ del tuo meglio, pilota.»
«E tu falli secchi, soldato.» concluse Ulysses, terminando così il discorso e quella particolare frase di rito che usavano dirsi prima di darsi alle esercitazioni.
Poco lontano si vedevano i cancelli degli hangar, e dietro di loro le figure familiari delle Comet. Quando l’ebbero raggiunte, gli allievi serrarono i ranghi in attesa delle istruzioni dalla Donno, istruzioni che non tardarono ad arrivare.
«Ascoltatemi bene, allievi! Oggi simuleremo una battaglia terra-aria. Vi dividerete in due squadre di egual numero, entrambe formate da una divisione di terra e una d’aria. Una volta prese le Comet vi dirigerete nel campo d’addestramento a nord dei dormitori. Lì sono state predisposte cinque basi per ogni gruppo: coloro che alla fine della lezione avranno sotto il loro controllo il maggior numero di basi saranno proclamati vincitori! Caricate le munizioni stordenti di classe A! Che le Comet montino proiettili ad antimateria!»
A quelle parole Ulysses e Nirmun si scambiarono un’occhiata perplessa, e non furono i soli. Non avevano mai caricato proiettili di quel tipo. Per le armi di piccolo calibro, dopo le munizioni stordenti di classe A c’erano solo le munizioni vere. Inoltre, colpire una Comet con un proiettile ad antimateria significava disattivare all’istante tutti i sistemi principali.
«Che diavolo sono quelle facce?!» gridò l’istruttrice. «Fuori le palle, allievi! Il tempo dei giochi è finito, e fuori di qui vi aspettano campi ben più duri di quello che ho fatto allestire!»
Uno dei soldati, un cazar dal pelo biondo di nome Atrèl Skyreas, chiese la parola. Il gesto attirò qualche sguardo tra gli allievi, perché il cazar non era noto per la loquacità. L’istruttrice, invece, lo fissò come un ostacolo da incenerire.
«Siamo allievi dell’ultimo anno, e fino ad ora non abbiamo mai fatto una cosa del genere a questi livelli. Quindi vorrei sapere: quali saranno le posizioni dei due istruttori?»
Rita Donno incurvò appena un angolo della bocca. Un gesto che, per lei, si poteva considerare un sorriso.
«Domanda intelligente, te lo concedo.» rispose. «La risposta è semplice: noi due cercheremo di abbattere quanti più di voi ci riesce.»
Di nuovo gli allievi sgranarono gli occhi.
«Indistintamente?» chiese ancora Atrèl.
«Certo.» rispose l’umana, rivelando un sorriso feroce. «Indistintamente

 

   
 
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