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Autore: Ryo13    20/07/2019    3 recensioni
Francia, regione della Bretagna, 1889.
Aurélie è una giovane donna che rifiuta l'idea del matrimonio: la sua famiglia ignora le sue aspirazioni e il difficile rapporto col padre la porta a pensare che nessun uomo sia capace di amare senza esercitare una buona dose di prepotenza. Un giorno, fa un incontro assolutamente eccezionale tra gli scogli della spiaggia di Kercambre, che la condurrà per un sentiero ignoto e verso la scoperta di un amore che non limita, ma che anzi è disposto a offrire sostegno ai suoi sogni.
❈❈❈Seconda classificata al Contest "A zonzo nel tempo!" indetto da _Vintage_ sul forum di EFP.❈❈❈
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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CAPITOLO 03

Su l’assenza che non chiede
Su la nuda solitudine
Su i gradini della morte
Scrivo il tuo nome


Sul vigore ritornato
Sul pericolo svanito
Su l’immemore speranza
Scrivo il tuo nome


E in virtù d’una Parola
Ricomincio la mia vita
Sono nato per conoscerti
Per chiamarti


Libertà.

Paul Éluard ∽

 
  

Victoire bussò alla porta della camera di Aurélie. Entrò senza attendere risposta, com’era sua abitudine, e con uno svolazzo di gonne informò la figlia che quella sera avrebbero avuto ospiti a cena.

Aurélie stava pettinando i capelli ancora umidi dal bagno e prestò poca attenzione alle parole della madre, almeno fino a quando una parola non catturò la sua attenzione: Duval.

«Cosa hai detto, mamma?»

La donna, accigliata, ripeté: «Ho detto che farò servire le portate di pesce, Aurélie! Ultimamente vai sempre a pescare la mattina prima di precipitarti dal tuo fidanzato, portando con te qualsiasi cosa tu abbia preso. Non sono poi così sciocca, sai? Ci vuole poco a capire che quella famiglia ama molto il pesce se gliene porti ogni giorno. Non so come tu abbia fatto a scoprire questa preferenza, né mi spiego perché tu debba portare loro qualcosa ogni volta che vai in visita, ma questo...»

«No, mamma, aspetta… volevo dire… hai detto di avere invitato a cena i Duval?!»

«Ma certo, cara, è ovvio! Ora che hai finalmente accettato il fidanzamento non ha più senso rimandare un incontro ufficiale tra le nostre famiglie! Madame Duval si è espressa molto positivamente al riguardo quando le ho spedito l’invito giorni fa.»

«Io avrei accettato il fidanzamento…?» sussurrò confusa la ragazza.

Ma la madre non la stava più ascoltando: si era lanciata con entusiasmo in un accurato vaglio del guardaroba di Aurélie, giudicando quel capo troppo frivolo, l’altro troppo colorato. Chiamando a gran voce Agnés, ciarlò fino a trovare un vestito che era la perfetta combinazione tra pudico e sbarazzino a suo insindacabile giudizio, e che esprimeva una certa qual eleganza che denunciava apertamente la loro discendenza nobiliare.

Aurélie si era completamente estraniata: paralizzata dalle incaute parole materne, si era resa conto con ritardo che, mentre la sua mente era stata impegnata dal pensiero della guarigione di Liberté, il mondo attorno a lei non solo era giunto a conclusioni errate, ma la stava persino muovendo contro la sua volontà.

Iniziò a sudare freddo, sentendosi chiudere addosso una trappola molto più grande di lei: il suo primo istinto fu quello di scappare per rifugiarsi nel contatto con la natura, dove il mormorio degli abitanti del sottobosco l’avrebbe aiutata a placare la paura fino a tornare a respirare. Ma lei era aggrappata al tavolino da toilette e Agnés stava acconciando i suoi capelli in silenzio.

Quando Victoire lasciò la stanza per supervisionare i lavori di casa in vista della cena, la donna più anziana si interruppe e strinse saldamente la spalla della ragazza.

«Mademoiselle Aurélie, cara… state tremando.»

Agnés sedette sulla panca, accanto a lei, e le prese il viso pallido tra le mani sciupate dall’umile lavoro. «Parlatemi, mademoiselle… ditemi cosa vi succede.»

Il tono materno e l’innata fiducia che ispirava, fecero riempire gli occhi di Aurélie di lacrime non più trattenute. «Non sono fidanzata, nounou1. Non voglio esserlo!»

«Oh… bambina», sospirò, stringendosela al petto. «Avete sempre avuto troppa paura per fidarvi di qualsiasi persona… e certo, il pensiero di un marito deve molto intimidirvi, giovane come siete, però… Non avete nulla da temere, sapete?»

Stretta sotto il collo della vecchia balia, Aurélie desiderò poter tornare bambina in un istante, per allontanare tutto ciò che la spaventava e che non poteva controllare.

«Sarò infelice…», gemette.

«Ma cosa dite? Voi che sapete trarre gioia dalla creatura più minuta, non sarete forse capace di farvi amare da monsieur Duval? Fosse anche un orco, io vi dico che si scioglierebbe davanti al vostro buon cuore!»

«Fosse semplice come dici! Ma gli uomini non si piegano, mai! Fanno solo finta di farlo, ma poi perseguono quello che vogliono a prescindere dalla sofferenza che infliggono…»

«Perché pensate questo?», chiese mortificata la donna.

«E come potrei non pensarlo? Quando non ho mai ottenuto che rifiuti da mio padre, il primo uomo che avrebbe dovuto avermi a cuore?!»

«Ah… monsieur Lacroix, lui… monsieur non è una persona facile, certo… ma non ha mai voluto farvi del male, mademoiselle, dovete crederlo.»

«Non importa quali fossero le sue intenzioni, Agnés: non ha mai risparmiato di ferirmi, costringendomi a fare come voleva, a prescindere dai miei desideri. Mi ha vietato di esprimere chi fossi, preferendo avere e dare agli altri un’immagine fittizia, pur di non prendersi la briga di conoscere la vera me: e anzi, ogni volta che l’ho mostrata, non ne ha avuto che disgusto perché non sono quel modello di educazione e nobile contegno che desidera da una figlia.»

Innervosita, Aurélie si alzò, asciugandosi gli occhi. Fissò allo specchio la sua immagine: era quella di una giovane a modo, perfettamente vestita e acconciata, proprio come la voleva la società; unico segno rivelatore della sua sofferenza erano gli occhi arrossati e le palpebre gonfie di pianto.

«Vedo che avete finito di sistemarmi. Se non ti spiace, adesso vado in giardino… ho bisogno di rimanere un po’ da sola.»

«Ma mademoiselle! La cena. Non potete…»

«Non fuggirò, Agnés, te lo prometto. Dio solo sa che è tardi per questo. Devo solo ritrovare la calma, ma non posso riuscirci qui dentro.»

Ciò detto, si lasciò alle spalle la balia che la vide andare alla porta con sguardo costernato.

«Oh, Dieu… come faremo? C 'est n'importe quoi!»2

⚜⚜⚜

Aurélie sedeva sopra la base di un vecchio tronco tagliato. Sapeva che non doveva mancare molto all’arrivo degli ospiti perché il sole era già sceso oltre il margine dell’orizzonte. 

Negli ultimi venti minuti si era ripetuta di andare; di farsi forza e alzarsi per affrontare qualsiasi cosa sarebbe venuta perché infine non stava recandosi all’altare, non ancora per lo meno.

Eppure ogni cosa aveva concorso a distrarla da quel proposito: il vento che aveva scosso le fronde degli alberi l’aveva lasciata in contemplazione di quella dolcezza struggente; ora la rondine che tornava al suo nido descriveva un arco armonioso, prima di posare le zampe leggere sul ramo, presso i propri piccoli che la chiamavano a gran voce.

Tutto, in natura, rispondeva a una legge armonica di procreazione e lei vedeva bene quanta bellezza fosse racchiusa in ciò: se pensava a questo, ella sapeva di poter creare una famiglia, avere dei figli propri che avrebbe potuto crescere insegnando loro a vedere tutto quell’amore nascosto nel cosmo. A proteggerlo. Ma ciò che la turbava era la profonda sfiducia che aveva nei confronti degli uomini che erano per lei poco sensibili, prevaricatori ed egoisti. Forse ㅡ forse ㅡ non tutti lo erano, a onor del vero, ma come poteva sperare Aurélie di trovare qualcuno di diverso e che capisse la sua natura e la rispettasse al punto da non volerla cambiare?

Non poteva rischiare tutta se stessa: non quando conosceva molto bene cosa significasse vivere con qualcuno che frenava costantemente ogni sincero entusiasmo, che controllasse le attività di chi aveva attorno, persino le parole e i pensieri.

Sapeva che suo padre era stato tanto insistente con questa idea del matrimonio perché la riteneva bisognosa della mano ferma di un uomo ㅡ di un marito ㅡ che le facesse abbandonare le sue infantili velleità. Secondo lui, il matrimonio era il mezzo perfetto per liberare una testa vuota da ogni frivolezza perché ci sarebbero state delle responsabilità a cui far fronte che avrebbero funto da distrazione

Lei poteva non sapere cosa significasse affrontare le responsabilità di un matrimonio, ma era propensa a credere che quando un uomo prendeva per sé il corpo di una donna, diventasse ancora più dispotico.

Il suo pensiero andò a Etienne.

Si morse il labbro, nervosamente. Non poteva accusarlo di essere inflessibile o poco sensibile nei suoi confronti. Tuttavia, fare una lista delle sue buone qualità, anziché farla sentire meglio, la gettava nell’agitazione perché la spingeva a rendersi conto che non aveva nessuna buona obiezione per la quale respingerlo. Se poi ripensava a quel bacio che si erano scambiati… 

Si prese il volto tra le mani e sbuffò sonoramente, passandosi le dita tra i capelli.

Quando sentì un rumore di erba calpestata, si alzò subito cercando chi venisse.

Era suo padre.

Régis Alexandre Lacroix camminava verso sua figlia con un oscuro piglio. Istintivamente, la ragazza si irrigidì come se avesse fatto qualcosa di sbagliato. 

Quando le fu davanti, l’uomo non aprì bocca per un lungo istante, si limitò a fissarla severamente.

«Intendi disonorarmi davanti ai nostri ospiti?», proruppe infine, tagliando con la voce l’aria.

Aurélie sussultò. «Certo che no, padre. Stavo solo riposandomi un poco su questo tronco. Non mi sono accorta che si stava facendo così tardi.»

«Non ammetto capricci questa sera. Ci siamo capiti, Aurélie?»

«Sì. Non ce ne saranno.»

Dandole le spalle con un movimento brusco, tornò sul sentiero senza dubitare che la ragazza lo seguisse docilmente.

Lei obbedì, perché non poteva pensare di fare altrimenti.

⚜⚜⚜

Etienne fissava i signori Lacroix discutere amabilmente con sua madre, al di là del tavolo. L’incontro, apparentemente impeccabile e galante, aveva in sé qualche nota stonata.

In realtà, sua madre si mostrava molto affabile ㅡ evento assai raro per una donna come lei che trovava spesso da ridire su tutto e su tutti; monsieur Lacroix stava seduto piuttosto rigidamente e lasciava che fosse la moglie a portare avanti la maggior parte delle discussioni, probabilmente perché gli argomenti vertevano su cose di poca importanza come il tempo, la moda, e le decorazioni delle portate da tè. 

La più strana di tutti era Aurélie: sedeva composta e mostrava un contegno impeccabile. Non che normalmente non esprimesse una certa grazia in ogni cosa che faceva, ma questa sera era spenta. Sembrava muoversi e parlare ㅡ le poche volte che interagiva ㅡ come se non fosse del tutto presente a se stessa. E la cosa gli metteva non poca inquietudine.

Si rese conto improvvisamente di aver contato sul fatto che il loro bacio avesse cambiato almeno in parte le cose… in meglio, ovviamente. 

Quando era giunto l’invito della sua famiglia, l’aveva interpretato come un segnale a suo favore: poteva significare solo che Aurélie non era più tanto riluttante.

Era partito da casa aspettandosi di trovare non un’aperta complicità ㅡ no, di certo, sapeva che era troppo presto ㅡ, e forse nemmeno una velata predilezione, ma almeno un cenno di sorriso che suggerisse che aveva ripensato a quanto accaduto tra loro.

Invece Aurélie era pallida e chiusa nel suo guscio, e lui non riusciva a comprendere se questo atteggiamento fosse la norma in presenza dei loro genitori, a causa del modo imbarazzante in cui erano finiti fidanzati, oppure se era dovuto a un pentimento per le libertà che gli aveva concesso qualche sera prima.

L’aveva vista e conosciuta solo nel privato del suo ambulatorio, dove si era sempre mostrata serena e incredibilmente sicura di sé; adesso pareva un animale ferito.

“Somiglia a Liberté quando aveva nostalgia del vento e del mare”, si ritrovò a pensare. Poi gli sovvenne del modo toccante in cui lei aveva capito i bisogni del gabbiano e di come avesse trovato un modo per sollevare il suo spirito abbattuto. 

Senza neanche rendersene conto, la cena era volta al suo termine.

«Bene, miei cari signori», esordì madame Duval, quando ebbe finito di mangiare il suo dolce. «Credo sia il caso di parlare, a questo punto, delle prossime nozze!»

Etienne sobbalzò dal suo posto. Senza potersi trattenere, fulminò la madre con un’occhiataccia. Se mai ella se ne accorse, fece mostra di non vedere.

«Credo che potremmo cominciare quantomeno a parlare di stabilire una data. Siamo quasi in estate e non ci sarebbe momento più propizio, a mio avviso.»

Madame Lacroix spese un abbagliante sorriso e si disse d’accordo col suo giudizio. Considerò che due mesi potevano essere sufficienti per preparare adeguatamente ogni cosa e spedire le partecipazioni.

Preso in contropiede, Etienne non seppe cosa replicare e corse con lo sguardo a cercare quello di Aurélie. Però lei teneva la testa abbassata e le spalle contratte. 

Prima che quella incresciosa situazione si portasse troppo avanti, decise dunque di intervenire.

«Mie signore, vi prego, cercate di contenere i vostri entusiasmi di madri. Sono sicuro che entrambe sareste capaci di organizzare un matrimonio degno di un re, ma cose come la data delle mie nozze preferisco deciderle da solo e solamente dopo che la mia fidanzata vi abbia acconsentito. Non un momento prima.»

Madame Duval si accigliò, fissando il figlio come se lo vedesse per la prima volta: non si era aspettata, infatti, da parte sua alcun tipo di obiezione giunti a quel punto.

«È ammirevole che un uomo si interessi di certi dettagli… pensavo che tutti fossero simili al mio Régis: a lui è bastato dire dove e quando presentarsi per le nostre nozze. Di certo gli altri dettagli della cerimonia lo tediavano da morire», commentò Victoire per spezzare l’imbarazzante silenzio che era sceso tra loro.

«Io non avevo bisogno di pensare ad altro, mia cara», disse Lacroix, «perché ero certo che il matrimonio ci sarebbe stato, e quanto prima fosse stato possibile.» Trafisse Etienne con una significativa occhiata che certo esprimeva più di quanto avessero mai potuto fare le parole.

Il giovane sostenne il peso del suo giudizio e rifiutò di piegarsi a quel giocoforza: poteva anche amare la pace e rifuggire le inutili ostilità, tuttavia sapeva prendere una ferma posizione quando la situazione lo esigeva; e al momento era urgente stabilire chi fosse a comandare in quel particolare territorio.

«Io invece sono certo di non desiderare una sposa riluttante, monsieur. Dunque approfitterò di tutto il tempo necessario per portare avanti un corteggiamento che raggiunga lo scopo; e se per ciò occorresse attendere più di quanto la mia premurosa madre o la vostra dolce moglie fossero disposte ad aspettare per appagare i loro desideri, così sia.»

Si alzò dal suo posto, avvicinandosi ad Aurélie per porgerle il braccio. «Col vostro permesso, porto la mia fidanzata a passeggiare nel giardino. Quando decideremo alcunché, state pur certi che sarete i primi che metteremo a parte dei nostri progetti.»

Ciò detto, trascinò via la ragazza che lo seguiva divisa tra l’ammirazione e lo stupore per il coraggio che aveva mostrato davanti alla disapprovazione di suo padre.

«Non posso credere che lo abbiate fatto», mormorò quando furono fuori dalla porta e già a metà strata nel sentiero poco illuminato.

«Fatto cosa?»

«Zittito mio padre, naturalmente. Io… io non ci sarei mai riuscita.»

«Beh… non è mica mio padre. È naturale che mostriate più contegno con lui… gli dovete rispetto, dopotutto.»

«Non sono sicura che a frenarmi sia stato il rispetto. Deve essere bello essere un uomo e non avere mai paura di dire la propria. Mio padre non avrebbe accettato una simile risposta da me o da qualsiasi altra donna; però voi siete un uomo e il suo onore gli impone di rispettare la vostra opinione anche se è in contrasto con la sua. Forse vi avrebbe persino rispetto di meno se vi foste mostrato più malleabile.»

«Dite che solo gli uomini sono liberi di dire la propria, però non vi ho mai vista trattenervi dal dirmi in faccia come la pensavate su qualsiasi argomento.»

«Oh, questo perché il mio intento era di scoraggiare un nostro legame: ho pensato che se mi fossi mostrata come sono realmente, vi sareste presto stufato di me e, alla prima occasione, sareste corso da mio padre per implorarlo di rompere il fidanzamento.»

Etienne ridacchiò. «Era questo che pensavate?» chiese ridendo ancora più apertamente. «Non siete stata abbastanza accorta, allora, perché per irritarmi davvero non avreste dovuto mantenere fede alla parola che mi avevate dato quando mi assicuraste che, venendo nel mio ambulatorio ogni giorno, non mi avreste in alcun modo infastidito. Forse quando aprivate bocca non mi avete risparmiamo un grammo di verità, ma non mi avete mai indispettito.»

Aurélie si finse costernata di quel fallimento.

Quando il momento di ilarità finì, tra loro si fece un silenzio imbarazzante. Come potevano parlare della prospettiva di una loro unione quando era così palese a tutti e due che le pressioni dei genitori non sarebbero cessate, né che Aurélie era più disposta di prima ad accettare il corteggiamento?

Etienne a quel punto non sapeva cosa dire.

«Venite», disse a un certo punto, per spezzare la tensione. «Voglio portarvi in un posto.»

Lei lo seguì senza fare domande.

Etienne la condusse per un sentiero inoltrato nel bosco: per poco la ragazza non inciampò cadendo sulla radice sporgente di un albero a causa del buio, ma lui la sorresse con forza, senza apparente sforzo. 

Procedettero fino a raggiungere le sponde di un piccolo lago, poco più grande di un centinaio di metri: qui dal buio emergevano delle lucette intermittenti che guizzavano sul pelo dell’acqua scura. 

Aurélie trannette il fiato alla vista delle lucciole che illuminavano piccoli dettagli di tenue luce. Tutto era immerso in un religioso silenzio che però silenzio non era perché la natura era al colmo del suo tripudio e, senza sforzo, si potevano udire i tenui gorgheggi dell’acqua agitata qua e là dalla coda di qualche pesce, il frusciare dell’ala di un uccello nel suo nido e il frinire dei grilli nascosti dietro ai ciuffi d’erba. Sopra a tutto, come un maestro in orchestra, il vento carezzava le fronde degli alberi, strappando loro scricchiolii leggeri.

«Che splendore!» esclamò a bassa voce Aurélie, che non voleva rovinare quella perfezione.

«Ero sicuro che vi sarebbe piaciuto.»

Quando si era chiesto come avrebbe potuto fare per lei ciò che lei aveva fatto per Liberté, gli era venuto in mente quel luogo speciale: aveva cominciato a escogitare un modo per trascinarla via dalla cena molto prima che suo padre gli fornisse la scusa perfetta.

Ora era contento di vederla tornare in sé.

Rimasero a contemplare lo spettacolo molto più a lungo di quanto non si sarebbe detto: stavano così bene che non si accorsero del passare del tempo.

Avevano deciso di fare ritorno quando Etienne le disse che quella mattina aveva controllato l’ala del gabbiano e l’aveva trovata in buone condizioni.

«Qualche giorno fa l’ho ritenuto prematuro per la sua sicurezza, anche se la ferita si era già rimarginata. Domani, se volete, possiamo portarlo in spiaggia per farlo volare. Non dovrebbero esserci intoppi, quindi tornerà libero.»

«Oh!» fu tutto quello che riuscì a pronunciare la ragazza.

Si premette il petto, dove il cuore aveva preso a battere velocemente alla prospettiva di dire addio al suo amico.

Etienne si fermò quando la vide esitare e, portandosi vicino, alzò una mano a sfiorarle una guancia.

«Non siate triste, finalmente potrà fare ritorno alla sua casa ed essere felice.»

«Sì», rispose Aurélie con un sospiro. «So che è sciocco avere paura per lui… ma mi sembra come di abbandonarlo a un pericolo.»

«Non è sciocco, è naturale. Infatti è al pericolo della vita che lo lasciate. Ogni creatura prima o poi lo deve affrontare e misurarsi con ciò che gli è ignoto, anche se quel pensiero lo tramortisce.»

Aurélie fu colpita profondamente da quelle parole. 

«Avete ragione», sussurrò chinando il capo. 

Assorbì con ogni fibra del suo essere la leggera pressione del suo palmo caldo, che la faceva sentire così stranamente esposta e allo stesso tempo al sicuro, in un modo che non aveva mai sperimentato. 

Si chiese in cuor suo se anche lei non stesse in realtà rifuggendo dal pericolo insito nella vita.

Nessuno dei due disse altro. Etienne non la baciò: le sue dita scivolarono dalla guancia alla spalla, dalla spalla al suo polso, con una delicatezza ricca di attenzione e sentimento. 

Lei gli porse la mano e insieme ritrovarono il sentiero.

⚜⚜⚜

«Siamo pronti», annunciò Etienne quando aprì la porta a una Aurélie impaziente. Aveva fatto l’ultima visita, dichiarato Liberté perfettamente guarito e pronto a riprendere il volo.

«Portiamolo in spiaggia.»

Il gabbiano sembrava avere intuito cosa stesse per accadere: come se percepisse l’energia nervosa dei due umani e avvertisse in lontananza il richiamo del mare. 

Come la prima volta, man mano che si avvicinavano alla scogliera, aveva preso a garrire, richiamando i suoi simili.

La zona era pianeggiante e non c’era nessuno scoglio sopraelevato da cui potevano spronarlo a volare. Dunque, tutto quello che fecero fu limitarsi a liberarlo della benda che bloccava l’ala, lasciandolo per terra tra le rocce, ma non prima che Aurélie l’avesse accarezzato un’ultima volta, mormorandogli piano che vivesse felice la sua prossima avventura.

Una lacrima le sfuggì per essere assorbita dal candido piumaggio.

Il gabbiano, trovandosi finalmente libero dalla costrizione della stoffa, accennò qualche passo sulle zampe palmate, sbattendo le ali in prova. 

Quando acquistò sicurezza, con movimenti sempre più potenti si sollevò in aria, lanciandosi subito lontano dalla riva e scomparendo quasi in contro al sole. 

Poi planò con un grido di trionfo, ritrovando il familiare azzurro, il sicuro vento, gli antichi compagni… l’amatissima libertà. 

Non si volse indietro a chi lasciava, sulla terra: i rimpianti erano solo per gli uomini, per quelle creature che vivevano senza conoscere se stesse o la natura dalla quale erano stati plasmati e dalla quale erano chiamati a vivere con piena gioia.

Liberté era nel suo elemento, e lì lui era il re.

⚜⚜⚜

Nei giorni successivi Aurélie non tornò al capanno di Etienne: Liberté era andato via e lei non aveva più motivo di recarsi da lui. 

Adesso era tornata a trascorrere il tempo nel suo giardino e tra i boschi, al mare e su, al lago che le aveva mostrato la settimana prima. 

Anche se tutto sembrava tornato alla normalità, in realtà al suo cuore era stata tolta la pace: si svegliava con una strana ansia, che non passava col trascorrere della giornata; se ne stava lì annidata tra le coste, come un peso che le impediva di respirare pienamente.

Era anche inquieta: dalla sera della cena nessuno aveva più sollevato l’argomento del suo fidanzamento, nemmeno suo padre. A rigor di logica, avrebbe dovuto provare sollievo, invece viveva con l’aspettativa di qualcosa che non voleva saperne di compiersi.

Etienne non si era fatto vivo: la mattina che avevano liberato il gabbiano l’aveva tenuta stretta mentre lei piangeva dolore e sollievo sulla sua spalla, le mani aggrappate alla sua camicia, tremanti come quelle di una bambina. 

Le aveva dato dei leggeri baci sul capo, tra i capelli agitati dal vento e l’aveva consolata come il migliore amico che non aveva mai avuto avrebbe fatto. Le aveva asciugato le lacrime raccogliendole tra le dita, e quando l’aveva vista più serena e rassegnata, l’aveva fatta ridere con qualche battuta. Poi l’aveva riportata a casa, lasciandola senza la promessa di rivedersi, né alcun’altra parola che non fosse un generico saluto.

Tornò a casa prima del solito quel giorno: non era dell’umore per nessuna delle attività che solevano impegnarla; non aveva in mente neppure di cenare: avrebbe detto ad Agnés che non aveva fame e che sarebbe andata a letto. 

Quando la donna la vide, uno strano sorriso le stirò le labbra e ㅡ prima che la ragazza aprisse bocca ㅡ le comunicò che le era stato recapitato un regalo per lei che si trovava già nella sua camera.

Aurélie non poté ignorare lo sguardo vivace e complice della nutrice: sapeva cosa significava.

Corse su per le scale col cuore che quasi le scoppiava per l’ansia. Quando entrò, tutto poteva immaginare tranne di trovare la Remington orgogliosamente sistemata sulla sua piccola scrivania.

Con mani tremanti, fece scorrere le dita sul freddo ferro: sembrava che qualcuno l’avesse lucidata, tanto risplendeva di lucente nero.

Il primo foglio era stato battuto e recava una semplice scritta.

Questa appartiene a voi. E.D.

C’era anche un libro sul ripiano, segnato a una particolare pagina.

Quando l’aprì, cominciò a leggere: «Souvent, pour s’amuser, les hommes d’équipage…»3

“Spesso, per divertirsi, i marinai catturano degli albatri, grandi uccelli dei mari, indolenti compagni di viaggio delle navi in lieve corsa sugli abissi amari. L’hanno appena posato sulla tolda e già il re dell’azzurro, maldestro e vergognoso, pietosamente accanto a sé strascina come fossero remi le grandi ali bianche. Com’è fiacco e sinistro il viaggiatore alato! E comico e brutto, lui prima così bello! Chi gli mette una pipa sotto il becco, chi imita, zoppicando, lo storpio che volava! Il Poeta è come lui, principe delle nubi che sta con l’uragano e ride degli arcieri; esule in terra fra gli scherni, impediscono che cammini le sue ali di gigante.4

Aurélie rilesse più e più volte il testo della poesia, senza riuscire a smettere di piangere.

Finalmente si riscosse e, alzandosi dalla sedia, tornò dabbasso. 

Agnés, che si aspettava di vedere mademoiselle raggiante e soddisfatta, strabuzzò gli occhi davanti alla faccia sfatta della ragazza.

«Mon Dieu! Che è accaduto?! Avrei giurato che il pensiero del ragazzo vi avrebbe reso felice… e invece vi trovo in queste condizioni!»

«Nounou, non è niente. Sono solo rimasta colpita.»

«Fulminata, vous voulez dire!»5

Agnés imbevve un fazzoletto in un catino e lo passò sulle guance della padroncina.

«Dove andate, mademoiselle?», esclamò poi, quando la vide precipitarsi alla porta.

«Devo andare da lui. Ho una domanda da fargli», spiegò mentre si allontanava.

Corse per il sentiero fino alla casa di Etienne, e arrivò che quasi non respirava.

Si appoggiò alla bassa staccionata del cancello, piegata sulle ginocchia nel tentativo di recuperare il fiato.

Un’ombra lunga la coprì, oscurandole il sole.

«Avete fatto presto», commentò Etienne con un sorriso.

Aurélie sollevò la testa, raddrizzandosi al contempo per poterlo guardare come meritava. Ma non sembrava propenso a deflettere dal suo atteggiamento spavaldo.

«Suppongo abbiate trovato il mio regalo.»

«Manca una cosa.»

«Ah, sì?»

«Sì… le pagine che ho scritto. Le avevo lasciate con la macchina da scrivere, dentro un fascicolo.»

«Ma certo», disse mostrando l’involto che aveva nascosto fino ad allora dietro la schiena. Tra le mani aveva la cartellina con il testo che aveva battuto.

«Le avete tenute.»

«Sì.»

«E le avete lette?»

«No.»

«Perché non me le avete restituite quando mi avete portato il vostro dono?»

«Dovevo assicurarmi che veniste da me se il regalo non avesse sortito l’effetto sperato.»

Aurélie corrugò la fronte, ma lasciò correre, proseguendo col suo interrogatorio.

«Perché volevate che leggessi proprio quella poesia?»

Lui la fissò intensamente, abbandonando subito il tono scherzoso.

«Volevo che sapeste che io vi capisco, che vi vedo come l’albatro: una delle creature più splendide che abbiano mai solcato i cieli, un principe che corre con l’uragano… e tuttavia un essere fragile. 

«Volevo capiste che non intendo permettere a marinai e uomini rozzi di schernirvi e farvi del male; che io stesso non intendo tradirvi o sbeffeggiarvi.

«Volevo sapeste che, se mi sposaste, non sarebbe come una gabbia, perché io non vorrei mai togliervi la vostra libertà.»

Aurélie gli credette, aveva cominciato a fidarsi già da tempo.

«Avete il permesso di aprire la cartella», disse dopo un lungo momento.

Etienne la guardava senza distogliere gli occhi, in cerca di un segno che fosse rivelatore di ciò che provava.

I suoi occhi erano limpidi sebbene arrossati. Sospettò che avesse pianto, e si trovò a sperare di non averla inavvertitamente ferita.

Continuò a rimanere impalato nella sua posa, al che Aurélie dovette dirgli nuovamente: «Davvero, potete leggerlo».

Allora lentamente Etienne spostò la sua attenzione sul fascicolo che aveva custodito, impedendosi di sbirciare nonostante la curiosità che lo spronava costantemente a infrangere il suo proposito.

Quando aprì la cartella, lesse il titolo in cima alla pagina: «J’écris ton nom, Liberté».

Scrivo il tuo nome, Libertà.

Etienne scorse poche parole, era sinceramente perplesso.

«Cos’è?», le chiese infine.

«È un racconto su Liberté, un gabbiano ferito che, spaventato ed esule sulla terra, è costretto ad accettare l’aiuto di due esseri che gli sono estranei per poter guarire e ritrovare la strada verso casa.»

«Un racconto?» mormorò l’uomo sorridendo. In qualche modo, lo aveva di nuovo sorpreso.

«Sì. Liberté rappresenta i miei sentimenti: per tutta la vita mi sono sempre sentita un'estranea tra le persone. Arrancavo cercando la strada che mi avrebbe resa libera, che mi avrebbe riportato a casa.»

«E l’avete trovata?», domandò Etienne con fervore, socchiudendo gli occhi.

Lei sorrise ammiccante. «Beh… perlomeno voi mi fate credere che il matrimonio non sarebbe poi tanto male.»

«Ah, sì?»

«Sì», confermò. «Ma dovrete mantenere le vostre promesse. Niente gabbie.»

«Nessuna.»

«Potrò scrivere quello che voglio.»

«Va bene», replicò paziente.

«Badate bene, potrebbe venirmi in mente di unirmi a quel gruppo in inghilterra, le suffragette… o potrei fondare un movimento analogo qui in Francia.»

Etienne scosse la testa, fingendosi sorpreso. «Ma io ero convinto che ne faceste già parte!»

Lei scosse la testa ilare, poi tornò seria.

«E se non manterrete la parola… »

«Se non la mantengo?», chiese alzando curioso un sopracciglio.

«Allora me ne andrei via, e voi non potreste impedirmelo.»

Etienne la fissò, leggendo nei suoi occhi una fiera determinazione. Sapeva che diceva sul serio: intendeva ogni parola.

«No», disse lentamente, «non vi tratterrei.»

Poi aggiunse: «Ma se volerete via, Aurélie, allora scriverò il vostro nome per riportarvi da me. Perché se mai mi doveste lasciare portereste via con voi il mio cuore, sarebbe come tenermi in una gabbia: non mi resterebbe che invocare la mia libertà». 

«Se me ne andassi», gli sorrise accarezzandogli lievemente la guancia, «vi basterebbe spiegare le ali e prendere il volo assieme a me.»

«Ah… quella sì che sarebbe libertà.»

Sopra di loro, mentre il cielo imbruniva colorando di toni accesi e struggenti il mondo, uno stormo di gabbiani planò nel vento, fischiando con echi riflessi l’ultimo canto del giorno.

 


~FINE~

 
NOTE:
[1] Nounou, nourrice = balia
[2] Espressione idiomatica francese che può essere tradotta con: “È assurdo”, “È da pazzi”.
[3] Primo verso della poesia L’albatro (o albatros) è il titolo di una poesia di Charles Baudelaire (1821-1867), pubblicata all’interno della raccolta I fiori del male
.
[4] Traduzione di Giovanni Raboni per Mondadori. Ho scelto di trascrivere il testo come se fosse una prosa per amalgamare il significato in chiave di racconto. Non semplice poeticità, ma il racconto della vita di un uccello che rappresenta quegli uomini che vivono da estranei tra i loro simili, e che sono separati da ciò che corona la loro natura, per cui agli occhi di chi non comprende il loro sentire paiono solo strani e impacciati.
[5] “Fulminata, volete dire!”

 
NOTA CONCLUSIVA:
Grazie a tutti coloro che hanno letto questa storia breve, spero sia stata apprezzata.
Ultimamente mi sono accorta di avere scritto molto sul tema della libertà, sebbene sotto diverse forse: questa nuova storia prende in considerazione la libertà di una ragazza che vive in un periodo storico che risente molto di una visione ancora strettamente patriarcale, ma che respira al contempo aria di cambiamenti e sommovimenti interni della società.
Questo racconto, tuttavia, non voleva prendere a esame la lotta per i diritti delle donne — elemento che resta solo sullo sfondo ed è piuttosto marginale — ma semplicemente i sentimenti di una ragazza che ha paura del matrimonio che vede come qualcosa di costrittivo.
Speravo di creare un po' romanticismo senza struggenti dichiarazioni, ma con quel tanto di poesia nel mezzo da coinvolgere una nota nel cuore.
Forse sembra poco il tempo che hanno avuto Etienne e Aurélie per conoscersi e innamorarsi, però penso che a volte quello che basti sia permettersi di guardare davvero una persona e accettare chi lei sia. Etienne è un tipo burbero che ama la tranquillità e credo che la prima cosa che lo incanti, in realtà, sia constatare come riesca a stare bene e a suo agio con quella ragazza che ha invaso il suo spazio, ma che ha avuto rispetto per la privacy della sua mente; ha scorto anche una certa complementarietà nel lavoro condiviso, oltre che nel silenzio.
Lei ovviamente è rimasta colpita dalla pacatezza dei modi di lui, nonostante si presenti un po' sgarbato all'inizio: eppure, ha modo di verificare che dietro le parole non c'è alcuna volontà di sopraffazione.
Ho anche pensato di concludere la storia senza unire i personaggi, il che sarebbe stato molto significativo — specie il riferimento al diritto di autodeterminazione delle donne — tuttavia, volevo far passare un altro messaggio più sottile e, per me, più importante: ovvero che essere liberi non significa per forza fuggire e distruggere ciò che si percepisce come un ostacolo o una costrizione; a volte, bisogna avere anche il coraggio di trovare una forma di libertà che si confaccia alle nostre vere aspirazioni: quindi restare liberi da legami solo se è veramente questo ciò che ci vuole, non perché il negarseli deve diventare simbolo di lotta contro qualcosa. Non so se riesco a spiegarlo bene... ma è ciò che penso, nel bene e nel male. A volte ho l'impressione che le persone lottino per partito preso contro una cosa o l'altra, dimenticando che non è l'elemento in sé da demonizzare (come in questo caso il matrimonio), ma altro.
E basta. Non vi tedio oltre. Grazie sempre  

Ryo13
   
 
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