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Autore: Juliaw    24/07/2019    1 recensioni
Questa storia è una ripubblicazione di una delle mie vecchie fan fiction pubblicate nell'ormai lontano 2011. Chiamatela una seconda edizione se vi va lol. Con l'approccio imminente dell'ultima serie di questo meraviglioso show, ho pensato di editarla e ripubblicarla, magari ridandomi così l'ispirazione per un continuo! Basata sulla bellissima e leggendaria Season 5, questa FanFic contiene 19 capitoli, il piano è di pubblicarne uno o due se la storia è di vostro gradimento!
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Vidi l’alba, il chiarore del cielo portò con sé colori del tutto innaturali, come innaturale era quello che stava accadendo, sembrava che tutto si coordinava alla perfezione tranne io.
Genere: Azione, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Lucifero, Nuovo personaggio, Sam Winchester
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Quinta stagione
Capitoli:
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Chapter 1 - Origin
 
     Era un normalissimo giorno nella mia normalissima vita. Camminavo frettolosamente fra le ripide strade di San Francisco, cercando in tutti i modi di non far tardi alle lezioni del giorno. Purtroppo però, alle otto e mezzo del mattino non è proprio facile essere di fretta quando c’è praticamente tutta la città che lo è. Muovermi furtiva tra la folla fu difficile, come sempre, strattonai molti passanti chiedendo scusa, ma puntualmente loro rispondevano in modo brusco.
Di solito, chi è di fretta è inevitabilmente anche di cattivo umore. Io non ero in ritardo, ma odiavo esserlo ed è per questo che cercavo di arrivare sempre in orario. Forse la mia vita era fin troppo normale, ma a me piaceva così. Non avevo di certo una vita piena di sorprese e avventure, ma per me andava bene. Essere una ragazza come tante ma comunque avere la fortuna di condurre una vita semplice e spensierata? Per me era la perfezione. Di tanto in tanto la mia vita veniva scossa da eventi particolari, come ad esempio quel mese c’era il matrimonio della mia cugina preferita. Mi ero offerta di accompagnarla negozio per negozio per trovare un bell’abito da sposa. Lei voleva il suo abito dei sogni, ma dopo ben venti negozi non l’aveva trovato, stavo iniziando a pensare che l’abito dei sogni fosse in realtà inesistente, ma comunque non avevamo ancora gettato la spugna, insomma mancava un mese al matrimonio e non aveva ancora il vestito, era normale…giusto?
Fortunatamente essere all’ultimo anno del college portava molti vantaggi, come quello di saltare le lezioni, nonostante fossero a frequenza obbligatoria. Era quello che avevo fatto quel giorno, mi sentivo quasi male quando mancavo alle lezioni, ma certe volte è necessario soprattutto quando, secondo mia cugina era una questione di vita o di morte, lei aveva bisogno di trovare il maledetto vestito dei suoi sogni almeno una settimana prima del matrimonio perché si sarebbe dovuta abituare all’idea di indossarlo… Cavolo se era strana mia cugina!
Quando finalmente arrivai con ampio anticipo alle lezioni mattutine, nell’aula buia non c’era nessuno se non l’inserviente che la stava ancora ripulendo. L’università era quasi deserta. Decisi così di andare a far visita alla mia amica che abitava nei dormitori dell’università. Volendo anche io avrei potuto usufruire dei dormitori, così avrei potuto svegliarmi molto più tardi e non avrei rischiato di arrivare in ritardo, ma d’altronde abitavo abbastanza vicino e sinceramente, preferivo conservarli quei soldi.
C’era una bellissima aria fresca di inizio primavera, il sole ancora basso, filtrava attraverso le folte chiome degli alberi verdi e alti che ornavano il viale principale del college, un viale spazioso dove spesse volte, molti studenti lo percorrevano in bicicletta. Ai lati del vialone c’erano gli edifici delle varie facoltà, compresa la libreria e la mensa, in fondo al viale sulla destra invece, c’era un edificio alto dove si trovavano i dormitori. Jessica viveva al secondo piano nella terza stanza sulla destra. Era una ragazza del Minnesota, bionda con degli occhi azzurri spettacolari, alta e slanciata, una tipica ragazza americana, insomma. Anche io sono americana e sarà che mia nonna paterna era francese ma sono ben lontana dallo stereotipo americano, capelli castano scuro, occhi castani chiari non proprio alta, anzi direi quasi bassa e una corporatura nella norma.
Bussai alla porta di Jess. << Arrivo, solo un secondo. >> Udii da dietro la porta.
Aspettai e poi finalmente Jessica venne ad aprire. Stava infilandosi una maglia, era del tutto nuda sotto di essa.
<< Speravo fossi tu. >> Disse in fare frettoloso, e facendomi entrare, si chiuse la porta alle spalle.
<< Già, altrimenti saresti diventata la prima pagina del giornale del college. >> Risi, sedendomi sul letto.
Corse nel piccolo bagno vicino la porta d’ingresso. << Sono un po’ di fretta, ho un appuntamento con il mio coordinatore perché devo cambiare una classe, il professore di Antropologia è letteralmente pazzo >>, l’acqua iniziò a sgorgare dal rubinetto e Jess continuò a parlare, nonostante si stesse lavando i denti. << Non riesco a seguirlo, una volta ha chiesto a me se offrivo prestazioni sessuali in cambio di voti alti, cioè ma ti rendi conto?! >> Il rumore dell’acqua cessò e Jess ritornò di nuovo nella camera.
<< Non l’hai denunciato? >> Chiesi un po' sconvolta da quella notizia.
<< Senza prove? L’ho detto al mio coordinatore, ma crede che stia esagerando. >> Jess si asciugò il viso e ritornò nella stanza e mentre era ancora mezza nuda, cercava dei jeans nell’armadio poco distante dal bagno.
<< Ha accettato di cambiarti classe, giusto? >>
<< Per fortuna. >> Mi guardò leggermente spazientita, sarà stato per l’assurda situazione in cui si trovava.
Jessica aprì il cassetto vicino la scrivania e vi prese un fermacapelli nero e poi si rivolse allo specchio poco distante e legò in una coda di cavallo i suoi lunghi capelli biondi.
<< Mi dispiace Julia, ma devo proprio scappare. >>
<< Figurati, non preoccuparti Jess, capisco. >> Mi alzai e mi diressi verso la porta.
<< Magari possiamo vederci oggi pomeriggio dopo le lezioni? >>
<< Ehm…Mi sa che non posso, devo accompagnare mia cugina a scegliere il vestito da sposa. >>
<< Oh, ancora con questo vestito? Non fa prima a farselo fare su misura? >>
Risi, perché non ci avevo pensato prima? << Dovrò diglielo! >>
Io e Jessica uscimmo dalla sua stanza. Lei si diresse verso gli uffici salutandomi velocemente e io ritornai a vagare senza una meta. Per fortuna mancava solo mezz’ora all’inizio delle lezioni, così a passo lento, mi diressi in classe. C’era un ragazzo che non mi sembrava di conoscere, ma in fondo eravamo in tanti a seguire quel corso, non potevo mica conoscere tutti, soprattutto con il carattere timido e introverso che mi ritrovavo, così decisi di fargli compagnia e sedermi anche io. Le luci finalmente si accesero e il proiettore emanò un fastidiosissimo rumore che, quando l’aula era piena, non si sentiva affatto. Mi posizionai in fondo ai banchi del terzo scalino della forma a scala che l’aula aveva e poggiai la mia borsa sul lato dove nessuno avrebbe potuto sedersi e attesi.
<< L’apocalisse è vicina. >> La voce profonda del ragazzo provenne da dietro di me, a quattro scalini di distanza. Mi guardai in giro. Lo guardai, aveva le mani incrociate e la testa china e questo non mi permise di vedere la sua espressione.
<< Come scusa? >>
<< L’apocalisse è vicina, moriremo tutti. >>
<< Beh se ti riferisci a tutti i terremoti, uragani e disastri vari che si sentono ultimante nelle news, posso darti ragione. >> Iniziai, cercando di sviare quella situazione leggermente inquietante.
<< Lucifero è sulla terra >>
<< Immagino il Diavolo c’entri qualcosa con questi avvenimenti se sei credente, o forse è semplicemente il surriscaldamento globale >> cercai di intraprendere una conversazione in quanto non capivo realmente cosa volesse dire il ragazzo.
Si smosse dalla sua posizione immobile e disse: << Non è uno scherzo! L’apocalisse è qui e quando tutti lo capiranno, sarà troppo tardi per sfuggirle! >> Quasi urlava. Lo guardai e aveva gli occhi infossati, scurissimi e aveva un’aria piuttosto malaticcia.
<< Scherzi, vero? >> Chiesi un po' impaurita.
Non rispose, così mi alzai e corsi fuori da quell’aula. Attesi che si riempisse molto, prima di rientrare di nuovo. Quando notai che gli studenti stavano finalmente entrando in quell’aula, li seguii e mi sedetti al secondo scalino vicino a Kalie, l’unica ragazza con cui parlavo nel mio corso.
Mi guardavo intorno per individuare di nuovo il ragazzo di qualche minuto prima, ma non ci riuscii, sembrava essere svanito nel nulla.
<< Julia, cos’hai? Sembri agitata. >>
<< No, sto bene, credevo solo di aver visto qualcuno e adesso non lo vedo più. >>
Kalie annuì sconcertata. Lei era la tipica stronza, falsa amica e ragazza super popolare fidanzata del quarterback della squadra di football dell’università, la bionda da cui tutti stanno lontani perché hanno paura delle sue tremende frecciatine e quella che senza le sue due seguaci sgualdrine non era nessuno. Non so bene come mai eravamo diventate amiche, certe volte mi chiedevo se non era solamente per convenienza, ma lei aveva tutti voti eccellenti, capo di qualunque progetto ci venisse assegnato e decisamente migliore di me nelle esercitazioni in laboratorio. Chissà, talvolta succede, credo.
Quando finalmente il professore decise di farci l’onore di iniziare la lezione, con venti minuti di ritardo, la corrente elettrica venne a mancare facendo cadere nel buio l’aula e tutta l’università. Prima ci fu un urlo di stupore ed eccitazione da parte di tutti, poi dopo dieci minuti al buio, ci guardammo confusi, una cosa del genere non era mai accaduta prima, l’università funzionava alla perfezione. Il professore ci disse di mantenere la calma e che sarebbe andato a vedere cosa fosse successo, lo vidi parlare con un inserviente che pareva dire che neanche lui sapeva cosa fosse andato storto, poi entrambi sparirono, camminando nella direzione opposta all’aula.
<< E’ l’apocalisse. >> Di nuovo quella voce profonda e paurosa del ragazzo misterioso. Proveniva da dietro, in fondo l’aula, lui era in piedi a differenza di tutti, aveva ancora una volta il viso chino, le braccia che gli cadevano sui fianchi con le mani chiuse in stretti pugni. Le sue parole destarono confusione e sconcerto. Tutti lo guardarono in silenzio per qualche secondo, dopodiché iniziarono a lanciargli palline di carta e qualunque altra cosa potessero trovare, umiliandolo e insultandolo in qualunque modo possibile. Il ragazzo rimase immobile subendo tutte quelle umiliazioni, come se non lo toccassero neanche un po’, quando finalmente si smosse, si avviò con passo lento e sicuro verso l’uscita dell’aula, mentre ancora tutti gli lanciavano palline di carta.
<< Che tipi ci sono in giro. >> Disse Kalie.
<< Già… >> Non sapevo cosa intendesse, ma le parole di quello strano ragazzo risuonavano dentro di me, forse ci stavo dando fin troppo peso, così decisi di ridere e scherzare come tutti gli altri.
Finalmente dopo quasi un’ora passata al buio, la corrente elettrica fu ripristinata e passammo l’ultima mezz’ora della lezione a parlare di cosa era successo e di come avevano risolto il problema. Apparentemente, il generatore era stato bruciato e i tecnici avevano dovuto attivare un vecchio generatore, ancora funzionante per fortuna. Furono molto efficienti e veloci, come tutto alla San Francisco University, dopotutto.
 
    Era l’una. L’appuntamento con Blair, mia cugina, era all’una e un quarto fuori il college e così fu. All’una e un quarto precise, la sua fiammeggiante Mercedes rossa decappottabile accostò destando l’attenzione di tutti. Blair non era esattamente un tipo alla mano, la ragazza della porta accanto, no, tutt’altro. Era colei che amava l’attenzione del mondo, e cercava di attirarla in tutti i modi. Il suo futuro marito era il presidente di un’importante compagnia di città ed era questo che le permetteva di comprarsi la Mercedes decappottabile e tutti i capi delle griffe più svariate, da Louis Vuitton fino a Fendi, oppure Prada, certe volte la invidiavo, ma il più delle volte ero molto contenta per lei perché aveva finalmente la vita che desiderava da sempre e anche un fidanzato apprensivo e che l’amava molto. I suoi lunghi capelli mossi neri erano in disordine, ma era quello che amava della Mercedes, avere i capelli al vento. Mi fece segno di salire in macchina e questo attirò ancora di più l’attenzione dei curiosi, vedendo me, una comune mortale entrare in macchina di una ricca ragazza di San Francisco; non capitava molto spesso.
<< Julia, ma cos’è questa faccia? Sembra letteralmente che tu abbia visto un fantasma! >> Mi sorrideva.
<< No, Blair, in realtà oggi è stata una giornata un po’ strana, ma sto bene. >>
<< Starai ancora meglio quando vedrai cosa ho qui per te. >> si voltò sul sedile posteriore e cercò tra le varie buste dello shopping giornaliero. << Ecco, sono sicura che ti piaceranno. >>
Mi passò una busta di cartone dorata, al suo interno c’era una scatola di scarpe. Ho accennato al fatto che avere una cugina con un futuro marito ricco porta molti vantaggi?
oso paio di decolté azzurre con due catenelle che cadevano nei lati, semplici ma costavano praticamente un occhio della testa, ma hey, era un regalo, non sarebbe stato cortese rifiutare. << Blair, ma non dovevi! >>
<< Hey, sei o non sei la mia cugina preferita? >> disse, ammiccando. << Consideralo come un ringraziamento per tutto quello stai facendo per me ultimamente! >> Blair mise in modo e sfrecciò a tutto gas lontano dall’università e verso Mission Street, li ancora dovevamo vedere.
Blair accese la radio e ovviamente c’era la sua musica pop sdolcinata e lenta di sempre. Amavo Blair, ma di certo non la sua musica. Io ero più per il rock e pop movimentato, non mi piacevano affatto canzoni sdolcinate e romantiche come quelle che ascoltava Blair.
<< È davvero necessaria questa musica? >> Chiesi leggermente disgustata mentre le parole di A Thousand Miles uscivano a tutto volume dallo stereo.
<< Jules, queste sono le regole, chi guida sceglie la musica da ascoltare! >>
Con i capelli al vento e gli occhiali da sole, Blair era diventata praticamente la tipica moglie di un ricco imprenditore. La osservavo mentre cantava e con la mano sinistra teneva il volante mentre la destra era posata sulla gamba, indossava un vestito a fiori azzurro e delle scarpe con la zeppa beige. Cavolo se era bella!
<< Ho capito, ok! >> Ridemmo entrambe.
Per fortuna avevo legato i capelli altrimenti a corsa finita, sarebbero diventati gonfi e inguardabili, non avevo la fortuna di Blair che era bella e sistemata anche dopo una corsa al vento con la Mercedes.
<< Eccoci, questo è il primo Atelier di oggi, che dici, promette bene? >>
<< Chissà, entriamo a vedere, no? >>
Parcheggiò la sua macchina proprio di fronte il negozio, inserì l’allarme, mise le buste dello shopping nel bagagliaio e prese la sua borsa Prada dal sedile posteriore.
Entrammo nell’Atelier. Grande, anzi, immenso salone della sposa con manichini che mostravano vari vestiti e molti altri in esposizione tenuti uno in fila all’altro sugli appendiabiti. La moquette di un caldo colore beige, le pareti bianco sporco decorate da simpatici fiori di un colore più scuro e le poltrone rosse e oro, donavano al posto un’atmosfera accogliente, chissà magari quello sarebbe stato il posto giusto. Blair disse alla commessa che aveva un appuntamento per provare dei vestiti, e la ragazza, sulla trentina, alta, capelli rossi e vestita con un tailleur con gonna nera e bianca, controllò il libro degli appuntamenti e annuì allegramente dando il benvenuto a Blair e a me, dicendoci di accomodarci sulle poltroncine e lei avrebbe portato fuori dei vestiti che avevano preparato per Blair. << Speriamo sia il posto giusto. >> Disse Blair posando gli occhiali da sposa nella sua borsa.
<< Già, e se trovi il giusto abito, lo prenderai senza esitazioni? >>
<< Certo! Ne ho visti così tanti che mi sta per venire la nausea, poi se ci ripenso posso sempre comprarne un altro. >>
<< Già, giusto! >>
Sorrisi, ma senza farmi vedere da lei. Era così ricca che poteva permettersi due, o forse più, vestiti da sposa!
La commessa ritornò, spingendo un appendiabiti a rotelle con su una decina di vestiti perfettamente confezionati, tutti i quali seguivano la descrizione data da Blair su cosa le piaceva e cosa volesse che l’abito perfetto avesse.
<< Allora, abbiamo questo di Valentino. Bianco sporco come ha detto lei e con il corpetto che si allaccia dietro la schiena, per il resto è molto semplice se non per questi piccoli fiori ricamati alla fine dell’abito, vuole provarlo? >>
<< Ehm…Non saprei, non mi convince molto, l’altro? >>
La commessa posò l’abito di Valentino su una poltrona poco distante. << Questo è di Alexander McQueen, corpetto stretto e ampio alla fine, questo ha più ricami, è molto elegante. >>
<< Questo vorrei provarlo, che dici Jules, ti piace? >>
<< Si è molto bello, provalo. >>
Blair andò nel camerino e io mi accomodai su una poltrona di fronte. Dopo qualche minuto uscì e io le dovetti allacciare il corpetto che le stava perfettamente. Secondo me era perfetta, ma ovviamente a lei non andava bene, diceva che era fin troppo stretto, allora ne provò uno di un qualche stilista spagnolo, ma nulla, poi ancora un altro di uno stilista italiano e su questo sembrava essersi convinta, ma poi cedette, rivelando che non le piaceva e che era stanca di quel negozio, solo dopo appena quattro vestiti… La strada era ancora lunga.
Tre Atelier e un centinaio di chilometri dopo, la fame iniziava a sentirsi e la più totale depressione da parte di Blair era nell’aria. Guidò in silenzio fino ad un ristorantino raffinato sulla Main Street, parcheggiò l’auto in una stradina poco distante e ci dirigemmo verso il ristorante, dove prendemmo posto al tavolo vicino lo specchio. Cercai di tirar su di morale Blair per tutto il tempo, ma lei sembrava molto scoraggiata, così mi venne in mente l’idea della stilista personale. Mi disse che era un’idea brillante, fantastica e che anche lei non capiva come mai non c’avesse pensato prima, avendo una stilista personale avrebbe potuto davvero creare l’abito dei suoi sogni. Prese il suo iPhone nuovo di zecca e iniziò a cercare stilisti personali in San Francisco. Io tutta quella tecnologia non la capivo, me la cavavo con il computer, ma avere internet sul cellulare per me era fuori dal mondo, il mio Nokia Slide era più che sufficiente!
Ordinammo entrambe un’insalata con una limonata e per tutto il tempo Blair non fece altro che dirmi che mi avrebbe comprato tutto quello che volevo, cavolo, non volevo approfittarne, però la proposta era allettante, molto allettante. Lei disse che non le importava quanto avrebbe speso, l’importante era che mi doveva ripagare in qualche modo quindi accettai, ci accordammo che dopo pranzo saremo andate al centro commerciale a fare dello shopping sfrenato, quale ragazza avrebbe rifiutato?
 
    Quando uscimmo dal ristorante, c’era una strana calma, non c’erano auto che sfrecciavano su quella strada principale, neanche un passante, non c’era niente e nessuno, nel ristorante c’era ancora gente, ma nessuno di loro si era accorto della strana calma che c’era fuori. Io e Blair ci guardammo confuse.
<< È l’ora di punta, per questo non c’è nessuno per strada…? >> Chiesi sconcertata.
<< Non ho mai visto Main Street tanto deserta, non è possibile. >>
 
<< Forse non sei mai passata a quest’ora, Blair sono le tre e mezzo, la gente forse riposa, chi è rinchiusa negli uffici o chi è in casa per il troppo caldo, forza andiamo. >> L’incoraggiai e prendendola per un braccio ci avviammo verso la macchina.
Certo quella situazione sembrava un po’ strana anche a me, non avevo mai visto una strada principale tanto deserta, ma chissà, era Maggio e faceva un caldo tremendo, la California stava attraversando un periodo di caldo intenso, era strano che a Maggio si sfiorassero i 40 gradi centigradi, ma secondo gli esperti sarebbe durata ancora per qualche mese quest’ondata di caldo.
Quando il motore rombò nel silenzio, udimmo uno rumore proveniente dal retro dell’auto così ci voltammo entrambe. Non c’era nessuno.
<< Dai Blair, parti. >> La incitai quasi impaziente.
Ancora una volta un rumore e poi l’incredibile accadde.
Due uomini si avvicinarono alla macchina, uno molto in carne e con una barba incolta nera e l’altro magro, trasandato e calvo, sembravano due senzatetto, grossi cerchi neri intorno agli occhi scuri e totalmente spaventosi. Il grassone aprì la portiera del guidatore e Blair urlò e io le feci eco, il magro la prese per un braccio e Blair cercò di divincolarsi riuscendoci, però questo lasciò sorpreso il grassone, urlai cercando aiuto rimanendo pietrificata dalla paura davanti ad una scena così, sembrava che nessuno udisse le nostre urla. Non potevo crederci che questo stava accadendo in pieno giorno a San Francisco in una delle strade più popolate! Quei due tipi erano strani, non parlavano, avevano un’aria confusa ma allo stesso tempo molto minacciosa, che fossero due maniaci scappati chissà da dove? Il grasso e barbuto prese Blair violentemente per il braccio trascinandola fuori con la forza, Blair urlante fece resistenza, ma essendo molto minuta rispetto l’omone, non poté fare niente, così uscii dalla macchina, mi guardai intorno e la mia prima reazione fu di correre, ma dovevo salvare Blair. Diedi un calcio alle ginocchia del magro facendolo cadere a terra, dopodiché tutto successe molto velocemente, l’omone prese Blair urlante in spalla e si allontanò correndo nella direzione opposta, io urlai il nome di Blair e lei urlò il mio, ma non ci fu niente da fare, l’omone scomparve dietro l’angolo. Il magro mi guardò mentre le lacrime scendevano come un fiume in piena e mi appannavano la vista. Ringhiò, borbottò qualcosa di incomprensibile e si portò il polso alla bocca mordendolo, dopodiché sfoderò un piccolo pugnale dalla tasca del suo pantalone stracciato e violentemente mi ferì il braccio sinistro e si fiondò su di me. Urlai, urlai più forte che potevo, implorai aiuto, quello strano individuo mi era sopra e non riuscivo neanche a muovermi di un centimetro, ero immobilizzata e non solo da colui che mi bloccava con il suo peso, ma anche dalla paura. Non capivo perché stava succedendo quello che stava succedendo, perché a noi? Chi erano questi? Che cosa volevano da noi, da Blair?
Il magro face per portare il suo polso sanguinante alla ferita sul mio braccio, ma d’un tratto il rumore risonante di uno sparo, scostò e ferì il secco facendolo spostare da me e rivoltarsi su se stesso morente. Jeans e giacca scura, l’uomo che aveva ancora la pistola puntata e il viso contorto in una smorfia, si avvicinò a me.
<< Hai toccato il suo sangue? >> Chiese con voce profonda e minacciosa.
<< Che…? >> Risposi, non capendo bene dove volesse arrivare. Alzò la pistola verso di me e me la puntò contro. Sobbalzai e di riflesso alzai le mani. Non avevo mai visto una pistola, né tantomeno ne avevo avuta una puntata contro. << Hey! No, no… Non l’ho toccato! >> Quasi implorai. Non pensavo di averlo toccato. Ma cosa c’entrava?
Non feci neanche in tempo ad alzarmi, che tutto intorno a me divenne nero, e poi il vuoto, il nulla mi avvolse.
 
        La prima cosa che vidi fu il rivestimento in pelle nera di un sedile posteriore di un’auto. Vi ero stesa sopra, a pancia sotto e con i capelli che mi cadevano sulla faccia. Non sapevo dov’ero, né con chi e né come diavolo vi fossi arrivata li.
Sentivo delle voci e il rumore del motore dell’auto rombante e chiassoso, cercai di mettermi a sedere spostandomi la lunga massa di capelli castani dal viso e ponendola sulla schiena, tagliare i capelli era diventata la mia seconda priorità dopo quella di aver capito cosa diavolo stava succedendo. Era buio pesto e l’auto in cui sedevo sfrecciava velocemente su una strada dritta per nulla illuminata.
Urlai.
Mi avevano rapita.
Ecco, era finita. Sarei morta così.
<< Hey, hey, va tutto bene! Sei al sicuro. >> Un uomo con i capelli leggermente lunghi un po' scompigliati mi guardava con aria curiosa.
<< Bene, pensavamo di averti persa. >> Era l’uomo che mi aveva salvato, la sua voce profonda era come impressa nella mia memoria come se fosse marchiata a fuoco. Era al posto della guida e guardava fisso davanti a sé.
<< C-cosa succede? Chi diavolo siete voi?! >> Ero ancora esitante, non sapevo chi erano i due estranei davanti a me. << Chi diavolo siete?! >> Chiesi ancora molto spazientita e spaventata.
<< Dean >> si portò la mano al petto come per presentarsi, << e Sam Winchester, e siamo la migliore cosa che ti potesse capitare oggi, piccola. >> Dallo specchietto retrovisore vidi che aveva un sorriso malizioso che lo rendeva totalmente affascinante, per quanto affascinante possa essere il tuo rapinatore. Aveva i capelli biondo scuro con degli occhi, che da quella prospettiva, sembravano verde scuro, ma sicuramente da vicino erano molto più chiari. L’altro uomo, quello con i capelli più lunghi, gli sedeva accanto e se ne stava appollaiato sul sedile del passeggero in silenzio, non riuscii a vederlo bene in faccia perché aveva il viso rivolto al finestrino.
<< Lasciatemi andare! Ferma la macchina! >>
<< Visto, Sammy? Te l’avevo detto che avremmo dovuta lasciarla li. >> Fece Dean scuotendo la testa in tono spazientito.
L’altro lo guardo e poi si voltò verso di me. << Calmati. Va tutto bene, pensavamo ti avessero infettata, ma ti hanno solo ferita, ti abbiamo salvata. >>
Mi calmai, forse sarà stata la sua voce così pacata, quasi rilassante. Feci un respiro e chiesi: << Cosa è successo? >>
<< Croatoan, tesoro, se non fosse stato per noi adesso saresti stata anche tu una…cosa, come quel tipo che ti ha aggredito. >>
<< Croato che? Ma di cosa parli? Cosa succede?! >> Alzai un po’ la voce, odiavo non capire quello che mi succedeva intorno, mi rendeva nervosa e anche molto acida e antipatica.
<< Sdraiati ancora un poco, è ancora lontana la nostra destinazione. >> Disse l’altro seduto accanto a Dean.
<< Sdraiarmi? Non fin quando uno di vuoi due non mi dà una spiegazione o almeno mi dice dove diavolo stiamo andando. >>
<< Croatoan. >> Ancora quella parola.
<< Siamo diretti nel Nevada. >> Disse Sam voltandosi dietro per guardarmi. Lui era bello. Tratti dolci e aggraziati per nulla femminili, anzi molto mascolini, naso aquilino e quando la luce di un faro gli colpì gli occhi, vidi che erano di un verde quasi inspiegabile, i suoi capelli incorniciavano il viso angelico e i suoi occhi alla perfezione, cavolo se era bello!
<< Nevada?! Per quale stramaledettissimo motivo stiamo andando in un altro stato?! >> Questa volta urlai. << Mi avete rapita? Volete un riscatto? La mia famiglia non è esattamente ricca, cosa volete da me? >>
Fui completamente ignorata.
<< Come ti chiami? >> Chiese Sam.
<< Il mio nome non è importante fin quando non mi spiegherete cosa diavolo sta succedendo.>>
<< Ok, va bene, ma non ci crederai. >>
<< Prova. >>
<< Croatoan è un virus che si trasmette tramite il sangue, il tizio che ti ha aggredito, ti ha ferita il braccio per infettare il tuo sangue con il suo e farti diventare una di loro, uno zombie insomma.>> Fece una pausa e poi subito aggiunse << A proposito, come va il braccio? >>.
Guardai il mio braccio dove c’era la ferita, era coperta con una pezzuola bianca, saldamente annodata.
<< Bene. L’hai fatto tu? >>
Con sguardo timido Sam annuì.
<< Grazie… >>
<< Hey piccioncini, non abbiamo tempo per le smancerie. >> Disse Dean alzando la mano destra dal volante in segno di ammonizione.
Sam e io ci scambiammo un’occhiata confusa.
<< Stavamo dicendo, a proposito…del virus? >> Chiesi confusa e del tutto disorientata. Non sapevo neanche io di cosa parlavo.
<< Giusto, Croatoan, è un virus demoniaco, la maggior parte delle volte viene portato dai demoni, ma- >>
Cosa? << Aspetta, aspetta, aspetta…Demoniaco, demoni? >>
Sam mi guardò con compatimento, annuendo.
Due secondi di silenzio e poi sbottai: << Voi due siete pazzi! Fatemi scendere, ferma la macchina. >>
Dean sfoderò un sorriso malizioso e poi iniziò a ridere.
<< Ho detto ferma la dannata macchina! >>
Finalmente la macchina era ferma, vi smontai, caddi in ginocchio e vomitai.
Mi girava la testa, ancora non capivo dov’ero, chi erano Sam e Dean Winchester e soprattutto virus demoniaci?
<< Stai b- >> Iniziò Sam venendo verso di me. Lo bloccai con una mano facendogli segno di stare alla larga mentre io ero ancora in ginocchio cercando di riprendermi.
Feci un respiro profondo. Un altro. E poi ancora un altro. Mi alzai. Girai su me stessa cercando di trovare un senso a tutto quello che stava succedendo. Nel caos del momento mi voltai verso la macchina e notai la scritta Chevrolet su un fianco di essa. Non me ne intendevo di macchine, ma si vedeva che era una gran bella macchina.
<< Hey, stai bene? >> Chiese di nuovo Sam.
Non risposi. Gli feci segno di stare lontano e iniziai a camminare in direzione opposta.
<< Fermati! >> Urlo Sam.
<< Lasciala andare. >> Disse Dean pacatamente.
Dove stavo andando? Non lo sapevo, sapevo solo che volevo essere il più lontano da quei due. Demoni? Impossibile. Erano sicuramente pazzi. La strada davanti a me era completamente buia, ma non mi interessava, presto mi sarei imbattuta in qualche stazione di rifornimento e avrei chiamato i miei o mia sorella.
Non avevo neanche camminato per dieci minuti quando all’improvviso qualcuno mi prese per un braccio.
Urlai, mi voltai e vidi Sam.
<< Dove vai?! Sei pazza a camminare da sola per queste strade? >>
<< Voi siete i pazzi! >>
<< Ascolta, non puoi tornare a San Francisco, non per ora. Ti riporteremo a casa, questo te lo prometto, ma per ora devi fidarti di noi. Non vogliamo farti del male. >>
Mi teneva ancora per il braccio e mi guardava dall’alto della sua torreggiante altezza. Lo guardai.
<< Cosa volete? >>
<< Nulla. Ti abbiamo solo salvata. >>
<< Bene, quindi cosa ha indotto due fratelli che guidano una Chevrolet a salvare una comune mortale come me? E cosa diavolo è questo Croatonian? E perché Nevada? >>
<< Croatoan. >> Corresse Sam. << Vieni, torniamo in macchina. >>
Riluttante, ripercorsi la stessa strada che feci poco fa scappando da Sam e Dean.
Fino a qualche ora prima ero alla ricerca di un abito da sposa per mia cugina, e adesso? Adesso ero finita in qualcosa di decisamente incredibile. Povera Blair, chissà che fine aveva fatto, ero preoccupata per lei, speravo seriamente che se l’avesse cavata meglio di me.
Ritornammo dove Dean aveva fermato la macchina.
<< Allora? Quanto tempo dobbiamo ancora aspettare? >> Chiese spazientito.
La strada era buia, era solo illuminata dai fari della Chevrolet che facevano luce a non più di una decina di metri. Poggiai le mani sulla portiera della macchina per cercare di pensare, ma la mia mente era offuscata dal pensiero di mia cugina e della mia famiglia, avevo spasmodica voglia di sapere se loro stavano bene e se fosse successo a loro quello che era successo ai due tizi che avevano aggredito me e Blair quella mattina.
<< Ti avevo detto che ci avresti preso per pazzi, ma mi dispiace, è la verità. Devi crederci. >> Iniziò Sam. Non sapevo cosa dire.
<< È per caso uno scherzo? È stata Blair ad ingaggiarvi? >> Dissi alle fine sparando la prima cosa che mi venne in mente.
<< Chi è Blair? >>
<< È uno scherzo allora! Ci sono cascata, ok! Sono la ragazza più idiota d’America, avete vinto! >> Mi spostai dal cofano e di nuovo mi voltai su me stessa. << Dove sono le telecamere? >> Risi nervosamente.
<< Hey, non è uno scherzo, niente telecamere. >> Sam aveva sul suo viso uno sguardo vacuo ma serio e mi guardava con aria di chi guarda qualcuno che sembra disperato. << Mi dispiace, qualunque sia il tuo nome, ma è la realtà, non è uno scherzo. >>
<< Julia, mi chiamo Julia. >> Alzai la mano destra in segno di saluto.
<< Julia, bene, mi dispiace che ti abbiamo coinvolta in tutto questo, ma è stato l’unico modo per salvarti, hanno infettato la maggior parte della città e dello stato, dovevamo portarti fuori di li. >>
<< La maggior parte della città? Questo vuol dire che mia cugina, la mia famiglia… >>
<< Non lo so. >>
Calai il capo. << Quando dici hanno infettato, intendi… >>
<< I demoni. >>
<< Demoni, giusto, perché non ci ho pensato prima?! >> Chiesi a me stessa scetticamente.
<< Ascolta, so che è difficile da accettare, ma le creature della notte, quelle che ti facevano paura da bambina, beh…la maggior parte di loro sono reali, vampiri, lupi mannari, fantasmi e chissà, forse anche l’uomo nero. >> Sam mi fronteggiò.
La mia testa iniziò a girare vorticosamente, probabilmente sbandai, perché ricordo che Sam mi sorresse, era come se fossi trasportata in un’altra dimensione dove io ero quella anomala che doveva imparare tutto da capo, come un bambino appena venuto al mondo, vedevo tutto quello che mi circondava, distante, strano, come non lo avevo mai visto prima. La domanda era, mi piaceva questa nuova dimensione? No, no, decisamente no.
<< Demoni, mostri? Ne parli per esperienza? >>
<< Si, io e mio fratello siamo cacciatori, andiamo in giro per il paese alla ricerca di queste creature per annientarle e rimandarle da dove sono venute. >> iniziò Sam sedendosi sul bagagliaio dell’auto e dall’interno di essa Dean gli urlò di fare attenzione e aggiunse qualcosa di indecifrabile, evidentemente aveva molto a cuore quella macchina. D’un tratto mi accorsi che avevo l’esatta replica di quella macchina nello studio di mio padre, era una Chevrolet Impala del 67.
<< Ascolta, non ti sto costringendo a far parte di tutto questo, dimmi solo dove possiamo portarti, magari da qualche familiare, qualcuno che abita al di fuori della California? >>
<< Non ho nessuno a parte la mia famiglia a San Francisco, non voglio venire con voi, ma per ora siete la mia migliore scelta, se è vero che proprio non posso tornare a casa. >>
Sam sorrise. Il suo sorriso era luminoso e contagioso tanto da far sorridere anche me. << Mio fratello aveva detto che siamo la migliore cosa che ti fosse capitata oggi. >>
<< L’aveva detto, non è vero? >>
Non che credevo ai demoni o ai fantasmi, non mi fidavo di Sam e Dean, ma per ora dovevo per forza, non avevo molta scelta. Se erano pazzi o meno questo ancora dovevo constatarlo davvero.
<< Come faccio a sapere se la mia famiglia sta bene? Se sono riusciti a scappare? >>
<< Prova a chiamarli, nella fretta di salvarti abbiamo salvato anche la tua borsa, forse sai come contattarli li dentro? >>
<< La mia borsa? Dici sul serio? >>
La mia borsa era più o meno il mio kit di sopravvivenza, vi avevo tutto al suo interno, dal cellulare all’ Ipod, portafogli, trucco e perfino lo spazzolino da denti.
<< Sì, vado a prendertela. >> Sam si diresse verso la porta del sedile posteriore dell’auto e lì Dean gli chiese se avessimo finito e lui rispose di sì e che presto saremo ritornati in marcia. << Ecco. >> Mi porse la mia borsa marrone e beige.
<< Grazie mille, non so davvero come ringraziarti, è la mia vita. >>
<< Oh, ok…sembri affezionata molto alla tua borsa. >> Sam sembrava divertito.
Scavai al suo interno e trovai il mio cellulare. C’era linea ed era anche carico per fortuna, la mia premura di non uscire mai di casa con una sola tacchetta della batteria, ritornava utile. Digitai il numero di casa, ma squillò a vuoto. Riprovai e riprovai ma fu vano.
<< Nessuna risposta. >> Dissi riponendo il cellulare nella borsa con tono sconsolato.
<< Mi dispiace, ma vedrai che stanno bene. >>
<< Sicuro… >> Certo lo speravo, ma dopo che avevo visto quello di cui erano capaci coloro che “erano infatti dal virus Croatoan”, non ci credevo.
<< Rientriamo in macchina. >> Suggerì Sam.
E così facemmo, rimasi seduta sul sedile posteriore muta e immersa nei miei pensieri per molto tempo, tutta la notte. Non dormii, e come vuoi dormire quando sei con due sconosciuti all’interno di una Chevrolet diretti in uno stato del tutto sconosciuto a te stessa? Per tutta la notte, o quasi, Dean e Sam non fecero altro che parlare di Croats, coloro che avevano contratto il virus, di come si stava spargendo in fretta, come sconfinarlo e come fermarlo. Io non li ascoltavo.
Vidi l’alba, il chiarore del cielo portò con sé colori del tutto innaturali, come innaturale era quello che stava accadendo, sembrava che tutto si coordinava alla perfezione tranne io.
Il cartellone stradale che lessi a malapena mentre correvamo a tutta velocità sulla strada di campagna, diceva “Nevada 100 miglia”. Eravamo praticamente arrivati, eh? << Dean, non sei stanco? >> In fondo aveva guidato tutta la notte.
<< Puoi scommetterci che lo sono, al primo motel che vedo mi ci fiondo. >>
<< Motel? >> Chiesi in tono disgustato.
<< Perché, non ti piacciono i motel? Sono così puliti e soprattutto i letti, sono comodissimi, dovresti provare! >> Dean stava facendo ovviamente del sarcasmo.
<< Già... >> Risposi a mia volta sarcasticamente ma con una vena acida. Sam rise e guardò Dean che ancora una volta mostrò il suo sorriso malizioso.
<< Cosa ridete? >>
<< Niente, sono solo contento che hai scelto noi come tua fonte di sopravvivenza, ma ti avviso, starci intorno non è esattamente piacevole. >> Disse Dean serio.
<< Certo, ok. >> Risposi ritornando seria a mia volta.
Viaggiammo per ancora tre o quattro ore durante le quali non facevo altro che guardare il mio cellulare nella speranza di vedere un messaggio o una chiamata da parte di mia sorella, Blair o i miei genitori, ma nulla. Sulla destra della strada l’insegna che ci annunciava che eravamo arrivati a Bishop, una cittadina minuscola di periferia. Tutt’intorno a noi c’erano montagne alte e innevate ancora a Maggio, desiderai di essere li su quelle montagne piuttosto che a soffrire il caldo in quella macchina con due sconosciuti. Non c’erano auto che circolavano tra le strade della cittadina che era stranamente molto tranquilla e noi, col rumore rombante dell’Impala di certo non passavamo inosservati. Dean rallentò. C’erano pedoni sui marciapiedi ai lati della strada larga, sembravano persone normali, ma quando si voltarono verso di noi rimanendo immobili a fissarci mentre marciavamo lentamente, mi rimangiai tutto. Erano Croats, ovvero coloro che erano stati infettati dal virus demoniaco Croatoan. Hey, imparo in fretta!
<< Croats? >> Chiese Sam.
<< Sì. >> Rispose Dean.
<< E ora? >> Chiesi impaziente e spaventata.
<< Fuggiamo prima che ci attacchino. >> Suggerì Sam. << Vai, Dean, a poche miglia di qui c’è Mammoth Lake, è una città di montagna e con un po’ di fortuna possiamo riposarci senza nessun problema… >>
<< Forse hai ragione. >> Dean cambiò la marcia dell’auto e partì a tutta velocità sfrecciando tra le strade di quella cittadina fantasma. Mi dava i brividi vedere che tutti i pedoni erano fissi a guardare noi mentre fuggivamo, ci osservavano ma non ci attaccavano e questa era la cosa più inquietante di tutte. C’era un senso di inquietudine che credo, sia tipico delle città fantasma. La città tranquilla al nostro passaggio, era una cosa che non si vedeva tutti i giorni, cavolo se ero spaventata!
<< Perché non ci attaccano come hanno fatto con me e Blair? >> Chiesi sedendomi in mezzo sui sedili posteriori.
<< Non lo so, non sono certo inoffensivi però, forse ci osservano per riportare al loro superiore quello che hanno visto e soprattutto chi hanno visto. >> Rispose Sam voltandosi verso di me. Rimasi un attimo impietrita quando pronunciò quel chi in quel tono così deciso e conciso. Chi erano davvero Sam e Dean? Se non erano dei pazzi fuggiti da un manicomio allora chi o cosa erano? Cacciatori sicuro, ma gli unici cacciatori che io conoscevo erano coloro che cacciavano, appunto, la selvaggina, forse in questa nuova realtà era diverso. Non lo sapevo e decisi che non mi importava, almeno per ora, solo una cosa si era aggiunta alla lista delle mie priorità, ed era quella di scoprire se la mia famiglia, Blair, mia sorella, mia madre e mio padre fossero ancora vivi, così mi ammutolii. Mi accoccolai sul sedile posteriore e alzai le gambe al petto mentre uscivamo dalla città. Era incredibile quello che stava succedendo, tutti gli abitanti di quella città trasformati in un qualche specie di zombie, mi chiesi dove ancora era successa una cosa del genere e soprattutto perché stava succedendo, non potevo crederci che la mia vita era stata stravolta dalla sua normalità in meno di un giorno. Fino a qualche ora prima non avrei mai creduto agli zombies, alle possessioni o a qualunque stramaledettissima altra cosa stava succedendo, no. Forse ero stata davvero fortunata ad incontrare Sam e Dean, forse senza di loro sarei già morta o ancora peggio diventata una di quella che loro chiamavano Croats.
   
 
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