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Autore: Heihei    26/07/2019    2 recensioni
Della vita che ha lasciato, a Beth non resta nient'altro che un buco in testa e qualche incubo. Quindi cerca di tornare indietro, seguendone le tracce.
Nel frattempo, le certezze di Daryl vacillano e ritorna su ciò che ha lasciato, seguendone la luce.
Questa storia NON mi appartiene; mi sono limitata a tradurla con il consenso dell'autrice, che è Alfsigesey. Potete trovare la storia originale su fanfiction.net
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beth Greene, Daryl Dixon
Note: Traduzione, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Allooora, da dove comincio? Beh, è passato più di un anno dal mio ultimo aggiornamento. Mi meriterei una vagonata di insulti, ma vi chiedo perdono in anticipo. Non è stato un anno semplice e non ho avuto tempo di fare praticamente nulla, quindi ho abbandonato completamente questo sito. Però ora le cose sono un po’ diverse, ho un po’ più di spazio e vorrei approfittarne per concludere le storie che ho lasciato in sospeso, e magari rimettere mano su altre traduzioni che non ho mai pubblicato.
Spero mi perdoniate e che abbiate ancora voglia di leggere queste storie.
Baci,
Heihei

 

Both.

 

Una volta sveglia, Beth si sente come se fosse appena uscita da una caverna buia. Era da un pezzo che non dormiva così. Prima di muoversi e aprire gli occhi, si accorge che la posizione del suo corpo è cambiata: è ancora supina, ma stavolta, rispetto a quando aveva il corpo di Daryl premuto contro la schiena, è completamente distesa. Aveva dato per scontato che si sarebbe svegliata quando lui sarebbe dovuto uscire. Guardando i sedili abbassati dell’auto supercarica di Aaron, sarebbe difficile credere che sia riuscito a scivolare fuori così in silenzio da non svegliarla. Voleva fare il turno di guardia con lui, ma evidentemente l’ha lasciata dormire.
Ad ogni modo, non è da sola in macchina. Gli stivali di Aaron sono distesi sul cruscotto; il sedile anteriore, dal lato del passeggero, è stato retratto al massimo in modo tale che la sua testa fluttui a pochi centimetri dalla propria. Se non fosse per le mani strette saldamente al fucile, la cui canna è sospesa contro un parabrezza sudicio, sembrerebbe quasi sereno, mentre dorme.
Beth cerca di trovare un via d’uscita veloce, facendo scricchiolare involontariamente un’innumerevole quantità di oggetti. Infatti, grazie ai suoi rumori, Aaron s’irrigidisce e spalanca gli occhi.
Non volendolo allarmare con movimenti rapidi, Beth si congela sul posto. I suoi occhi guizzano su di lei, e nel vederla rilascia un respiro profondo. “È l’alba?” Sembra confuso mentre osserva il cielo rosa dal finestrino, sfumato da strane tinte grigiastre.
“Credo di sì.”
Beth controlla che il suo pugnale e la sua pistola siano ancora dove li ha lasciati l’ultima volta, mentre l’ancora flebile luce del sole si fa strada tra i lembi di fumo. Visto che Aaron si è svegliato, è molto meno silenziosa nel raggiungere la porta e arrampicarsi fuori.
Appena si ritrova all’esterno, tossisce compulsivamente. Il fumo non è abbastanza denso da essere pericoloso, ma è molto peggio di com’era ore fa, quando si sono fermati. Cerca un fazzoletto nella tasca del giubbotto per legarselo intorno alla bocca e al naso, sperando che possa servire a qualcosa.
Aaron è proprio dietro di lei. A una certa distanza ci sono anche gli altri, sparpagliati in un punto dove il fumo è più sottile. A passo svelto, ci mettono circa trenta secondi a raggiungerli, ma prima incontrano Tanaka, anche lui con una bandana a coprirgli la bocca.
“Daryl lo sta attraversando in modo per aprirci la strada”, dice.
“Daryl è in mezzo?” Beth sente un buco aprirsi nel suo stomaco mentre osserva l’aria, ormai nera, che si alza su di loro.
“Gli ho dato una bombola d’ossigeno e una maschera”, dice Edwards velocemente, attraverso una mascherina chirurgica bianca. Tiene le mani alzate, come a volerla calmare. “Nel caso gli servissero”, aggiunge poi.
“Se la strada dovesse rivelarsi totalmente inaccessibile cosa faremo?” Shepherd si rivolge ad Aaron, che sembra più pallido di prima.
“Sfortunatamente le altre strade a nord sono messe molto peggio”, risponde incupendosi. “Tra inondazioni, incendi boschivi e mandrie ci restano poche altre opzioni concrete e sono tutte abbastanza… fuori strada.” Il suo sguardo viaggia su ognuno di loro, ma non sembra particolarmente nervoso. Evidentemente non vuole allarmarli. Se lui non si è fatto prendere dal panico, perché dovrebbero farlo loro?
A Beth, per il momento, non le importa granché della possibilità di dover sprecare riserve di carburante. Non riesce a smettere di pensare che hanno mandato Daryl in quel casino, da solo. In ogni caso, anche se sente la rabbia crescere, è certa che sia stato proprio lui a proporsi. Probabilmente è andata così e avrà avuto le sue buone ragioni, ma volta comunque le spalle a tutti loro e si allontana di qualche metro, sopprimendo il desiderio di aggredire qualcuno e affondando le unghie nei fianchi.
Mentre ascolta di sfuggita i loro discorsi si sforza di regolare il respiro; il cuore sta per scoppiarle in petto. Stare di nuovo da sola con loro la sta mandando in panico. Non può neanche fare respiri profondi, a causa del fumo che sta infestando l’aria.
Dobbiamo andare a cercarlo, dobbiamo attraversare l’incendio, pensa.
Deglutisce dondolando sui talloni. Subito dopo aver lasciato la fattoria, ogni volta che ha avuto un’idea non l’ha mai espressa. Non li conosceva ancora bene, non erano la sua famiglia e soprattutto non aveva ancora fiducia in se stessa e nel suo desiderio di sopravvivere. Anche se ora l’ha acquistata, quelle situazioni le ricordano molto quella attuale.
Dopo averli risparmiati un po’ dal fumo, Beth riapre gli occhi e li vede tutti, appoggiati alla Subaru verde e malandata in cui hanno viaggiato il dottor Edwards, la sua paziente, Shepherd e Tanaka. Lily non è ancora uscita dalla macchina per unirsi alla loro discussione. È seduta sui sedili posteriori, ma di lato, con le gambe che penzolano fuori dalla portiera aperta. Beth ha bisogno di battere più volte le palpebre per riconoscerla. L’ultima volta che l’ha vista era così ricoperta di sangue e sporcizia che era impossibile discernere molto del suo reale aspetto. Ora invece può vedere che è una donna minuta, che ha un viso triste ma armonioso, gli occhi verdi e chiari e i capelli castani mezzi ammaccati contro la testa. Tiene entrambi i pugni stretti: in uno stringe qualcosa di scuro, nell’altro qualcosa di chiaro e luccicante. I suoi occhi si fissano su di lei, in uno sguardo che a primo acchito si direbbe predatorio, ma avvicinandosi Beth si rende conto che è l’esatto contrario: Lily indossa la maschera terrorizzata e immobile di un piccolo roditore che spera che il predatore, più grande di lui, non l’abbia visto.
Beth comincia a camminare a passo più lento, abbassa il fazzoletto che ha sul volto e prova a sorriderle, ma non ci riesce. Ora che è vicina, nota che i suoi capelli ormai sono irrecuperabili, e che sta cercando di tagliarli per liberarsi dei nodi più grandi. In una mano stringe le forbici, nell’altra le ciocche che è riuscita a rimuovere.
“Vuoi una mano?”, le chiede, allungandosi verso le forbici.
È riuscita a tagliarsi solo le ciocche anteriori, quelle che le ricadevano sul viso e sulle orecchie. La guarda ancora una volta prima di annuire meccanicamente e passarle le forbici con mani insicure.
I suoi capelli sono appiccicati da fango, sangue, sporcizia, pus e altre sostanze che non riesce a identificare del tutto. Non c’è modo di aggiustarli, ma non sembra particolarmente turbata dal fatto che li sta tagliando direttamente dalla radice. L’hanno ripulita. L’odore di alcol isopropilico è ancora forte sul suo collo, dove ha dei piccoli tagli che Edwards deve aver rintracciato e disinfettato, perché sono lisci di bacitracina.
“Perché mi stavi seguendo?”, le chiede.
Beth impiega molto tempo a risponderle, anche se è perfettamente conscia di quanto sia inquietante continuare a tagliarle i capelli in silenzio quando le ha posto una domanda legittima. Il fatto è che non riesce a trovare una risposta che non sembri allarmante.
Ero sola. All’inizio pensavo che fossi un vagante, ma non è che ci sia molto da fare durante l’apocalisse.
“Non lo so”, dice finalmente. “Per una serie di ragioni. Molto tempo fa ho capito che per andare avanti in questo modo devi trovare qualcosa da fare, anche se non sai perché è importante.”
“In che senso?” Lily quasi gira la testa per guardarla, ma quando sente che sta ancora armeggiando con la sua nuca, s’irrigidisce all’ultimo secondo.
“Nel senso che devi avere uno scopo”, le risponde vagamente. D’altra parte non sembra avere nulla a cui fare riferimento. “Cosa facevi prima?”, le chiede poi.
Lily si prende il suo tempo prima di darle una risposta e, quando lo fa, parla con una certa tensione. “Ero un’infermiera. Mi prendevo cura di mio padre, di mia sorella… di mia figlia. Ero una mamma.”
Era. È tutto sempre al passato.
Segue un’altra lunga pausa da parte di Beth. Forse avere uno scopo non l’avrebbe aiutata allo stesso modo in cui ha aiutato lei.
“Se hai una preparazione medica, allora direi che hai uno scopo irrinunciabile”, le sussurra. “Sarò sincera, Lily. Ho difficoltà a credere che Alexandria sia davvero come la descrivono...”
Probabilmente non sarà come casa mia, o come la prigione. Bei posti in cui c’erano tante brave persone.
“...ma se esiste davvero questa possibilità, dovremmo andarci. Se esiste davvero un modo per riportare alla luce dei frammenti di ciò che abbiamo perso, trovarlo dovrebbe essere il nostro vero scopo.”
È comunque meglio che vagare tra i boschi.
Lily è scettica, ma senza tutta quella massa di capelli sporchi e rovinati sembra più luminosa, un po’ meno a pezzi. È tutto quello che ha potuto fare.
“E tu? Chi eri prima di tutto questo?” Corruga la fronte, sembra combattuta. Deve aver immaginato che Beth è giovane abbastanza da non avere chissà quante esperienze da adulta alle spalle.
“Avevo una famiglia, una casa. Una fattoria.”
“È tutto andato?” Non c’è nessuna cautela in quella domanda. Evidentemente già si aspetta una risposta orribile.
“Ho una...” le si stringe la gola. Non riesce a buttare fuori la parola sorella. “Maggie”, mormora semplicemente.
“È una buona cosa”, dice Lily atona. “Almeno hai ancora qualcuno.”
Beth si limita ad annuire, saltando la parte in cui dovrebbe essere onesta. Rivedere sua sorella potrebbe spezzarle il cuore per varie ragioni. Può già immaginare che la schiaccerà, in tutti i sensi. Quel messaggio sbiadito è ancora vivido nella sua mente:

GLENN VAI A TERMINUS
MAGGIE

“Ha rinunciato a me.”
Non voleva dirlo davvero. Le parole sono quasi venute fuori da sole e ora non riesce più a guardare Lily.
Lasciano entrambe che il silenzio, insieme al fumo, le avvolga. Nessuna delle due muove un muscolo per chiudere la portiera o per aprire la bocca e dire qualunque cosa. Dopo qualche secondo, però, Lily si strofina la testa spelacchiata e le spalle, spazzando via le ciocche di capelli rimaste. “Io non so neanche cosa sia successo a mia sorella. L’ho persa di vista ed ero disarmata, se non fossi fuggita sarei morta. Non l’ho mai più vista.”
Tra le nubi di fumo vedono Aaron avvicinarsi. “Abbiamo deciso di provarci, per non correre il rischio di non riuscire più a proseguire. Credo che a un certo punto incontreremo Daryl e ascolteremo anche il suo resoconto.”
Beth annuisce, svuotando i polmoni con un pesante sospiro di sollievo. Non vuole far altro che seguire la stessa direzione di Daryl.
“Verrai con me?”, le chiede un po’ incerto. Aaron è bravo a capire le persone, ma per qualche strana ragione non sembra aver ancora afferrato che lei non si fida di quella gente.
Scivola via superando Lily e ritorna all’auto di Aaron, abbassando di nuovo i sedili posteriori e sistemandosi dal lato del passeggero.
“Che ne pensi di loro?”, le domanda mentre cominciano ad attraversare la strada in cui il fumo si fa più denso. Stavolta sono loro in testa, il resto della carovana resta vicina. “In genere non invito le persone a venire con me finché non capisco chi sono davvero. Glenn crede che possano essere una speranza. Daryl era contrario, ma non ha davvero protestato. Se ci dovessero essere problemi, possono contare sulla sua parola?”
La bocca di Beth si è ridotta a una linea sottile che stringe tra i denti, mentre sceglie con attenzione le parole da usare. “Glenn non li ha mai incontrati, non sa assolutamente nulla di loro. Daryl li conosce un po’ meglio… o almeno dovrebbe.” Si lascia andare a un lento sospiro, stringendo di nuovo i denti.
“Se non ti fidi lo capisco. Neanch’io mi fido in realtà.” I suoi occhi si spostano leggermente per lanciarle un’occhiata veloce. “Pensavo volessi vederli per schiarirti le idee.”
“Ho già trascorso abbastanza tempo con loro e se quello non era il peggio potremmo anche fermarci e abbandonarli qui.” Si ritrova ad osservare le strade secondarie e i sentieri sterrati abbastanza larghi per la loro auto, strabuzzando gli occhi. Forse dovrebbero andarsene, Daryl potrebbe essere stato costretto a cambiare strada.
“Com’è stato?” Quella domanda gli è sfuggita dalle labbra e non appena se ne rende conto deglutisce e diventa leggermente più pallido. “Scusa… non devi dirmelo se non vuoi.”
Si chiede se debba lasciare in sospeso quella conversazione, mentre continua a fissare il parabrezza in cerca di qualche segno di Daryl nel fumo circostante. Ma tutto ciò che vede attraverso il vetro è il suo stesso riflesso. Ha un brutto aspetto, peggiore di tutti quelli che i suoi genitori o parenti avessero mai assunto. Le cicatrici sono diventate bianche e sottili ma le attraversano ancora il viso, dividendolo.
Un tempo ero carina, pensa, ma anche se è un pensiero triste non riesce a fare a meno di sorridere. Le piace questa nuova faccia, anche se è livida e piena di cicatrici. Quella che vede è un’altra persona, morta e rinata tra i mostri. Ciuffi di capelli biondi vengono mossi dal vento intorno a quel viso immobile. Continua a studiarsi finché non incontra i suoi stessi occhi e si stupisce per la loro freddezza.
“Ci sono alcune cose, in questo mondo… che non sono poi così male.”
Aaron aggrotta la fronte, ma non prova a contraddirla, anche se la sua reazione istintiva è l’incredulità. Aspetta, disposto ad ascoltare quello che ha ancora da dire.
“Voglio dire, è comunque terribile”, Beth scrolla le spalle. “È davvero brutto, ma in qualche modo mi sento… sveglia. Non so, sarà che quando è successo ero ancora una ragazzina… forse adesso mi sarei sentita così a prescindere. È che ci ho pensato. Nonostante le cose vadano male… è come se avessimo di fronte una lavagna da riempire.”
Pensa al momento in cui ha visto Daryl arrivare alla fattoria in sella alla sua motocicletta. È stata la prima volta che l’ha visto, sotto il sole cocente. In realtà, però, si sente come se l’avesse visto per la prima volta, per davvero, solo un giorno fa.
“È un’occasione per ricominciare, per lasciarci alle spalle le cose brutte del vecchio mondo.”
La fronte di Aaron si distende e, dopo un momento di silenzio, annuisce. “Credo di aver capito cosa intendi”, le sorride e non sembra che lo stia facendo solo per cortesia.
“Quando sono stata al Grady… ho avuto l’impressione che avessero gettato via tutto ciò che del vecchio mondo valeva la pena salvare. Hanno pensato di tenere in vita solo le cose peggiori ed è stato un vero peccato”, ghigna, cercando di soffocare una risata divertita. Non è divertente, non lo è neanche un po’, ma qualcosa di vizioso comincia a farsi strada nella sua mente: è il pensiero che non tutto sia dipeso da Dawn, che lei non fosse l’unico problema. “Hanno mantenuto la schiavitù, la paura, l’eccesso, lo stupro. Avevano creato una pseudosocietà in cui contava solo prendere il potere e sottomettere gli altri. È così che è stato.” Beth si guarda le mani, graffiate e livide esattamente come la sua faccia.
“...Questo non è quel che vedo adesso”, dice lui con tranquillità, gli occhi che guizzano sullo specchietto retrovisore per osservare il furgone che li sta seguendo. “Forse sono cambiati.”
“Forse.” Annuisce atona, pur sapendo che è davvero possibile. Qualsiasi cosa i cinici dicano, le persone possono cambiare. Lo fanno sempre e in continuazione, a prescindere dalla loro comprensione e volontà. Il fatto è che non sempre cambiano in meglio. “Sembrano diversi, migliori. L’ultima volta che li ho visti erano molto lontani dall’esserlo. Forse hanno ancora parecchia strada da fare.”
“Forse”, concorda Aaron emulando il suo stesso tono di prima e rivolgendole un sorriso incoraggiante. Rallenta, perché il fumo si sta facendo più denso. Hanno una visuale di circa trenta metri e non c’è ancora nessuna traccia di Daryl. “Ti ringrazio per avermelo detto, inizio a capirci di più.”
“Su di loro o su di me?” Beth si volta ad osservarlo.
“Su entrambi”, risponde lui, senza però ricambiare lo sguardo.
L’auto continua ad attraversare la nube di fumo e anche se rallenta resta in vantaggio rispetto alle altre, che si tengono a debita distanza. Anche se la visuale peggiora non accendono i fanali, forse per risparmiare le batterie.
“Puoi dirmi onestamente come stanno gli altri? Maggie, Glenn, Carol, Rick, Carl, la piccola, Michonne e Sasha?”
“A breve lo vedrai di persona.” Aaron alza leggermente il mento, ma il suo tono resta uniforme, come se quell’argomento non sia più leggero del precedente, come se non sia tranquillo come invece dovrebbe essere. “Sono sani e salvi all’interno delle mura, e spaventano tutti.” Adesso lascia che l’atmosfera si alleggerisca un po’, regalandole un altro sorriso.
“Ho paura...”, comincia a dire lei, ma si morde il labbro. Non è sicura di voler approfondire la questione, non se la sente di parlarne proprio in quel momento.
Voglio essere felice, quando rivedrò Maggie. Non voglio gridarle contro.
“Alla fine, è strano il pensiero di rivederli ancora.”
Si sente come se fossero ancora fuori dalla sua portata, come se potesse ancora succedere qualcosa che le impedirà di vederli. Non dovrebbe essere più semplice.
“Sai, ho già pensato a come potremmo dirglielo. Credo che per loro vederti tornare dalla morte sarà piuttosto… teatrale.” Ha usato il termine più delicato che potesse scegliere, le guance gli si colorano di rosso.
“Potresti dirglielo tu?” Per qualche ragione, il solo pensiero le fa tremare le gambe. Non riesce a immaginare di riuscire a reggersi in piedi di fronte a loro, non senza il corpo di Daryl a cui aggrapparsi.
Aaron annuisce, l’aveva già capito. “Certo”, dice senza esitazioni.
“È probabile che non ti crederanno.”
“Può essere.”
Daryl non ci aveva creduto, neanche quando se l’era ritrovata davanti agli occhi. Ha potuto vederlo nel suo sguardo: non sapeva se stesse guardando un fantasma o un’allucinazione, o se stesse sognando.
“Lui come sta?”, chiede piano, senza realizzare di non aver neanche detto il suo nome. Alla fine non importa, Aaron sa che sta parlando di Daryl. Del resto, chi altro avrebbe potuto essere?
Lui getta un’occhiata sulle sue mani, strette con forza ai lembi di tessuto della maglietta. “Meglio di come l’abbia mai visto”, dice, con un’aria così seria che le si annoda la gola. “Io l’ho incontrato poco tempo dopo che ti hanno sparato e posso dire che è passato dalla notte al giorno. È come uno che ha appena aperto gli occhi e ha scoperto che l’intera apocalisse è stata solo un incubo.”
Non ha esagerato. Anche lei ha avuto la stessa impressione.
“Da quando l’ho conosciuto è sempre stato forte e affidabile, ma anche profondamente spezzato… oltre che emotivamente paralizzato. Adesso è come se potesse camminare di nuovo.”
L’aria ora è meno densa, parte del legno bruciato e la lunga strada che stanno percorrendo riappaiono tra le colonne di fumo che strisciano sinuosamente verso il cielo. Una sagoma scura corre nella loro direzione.
“Eccolo lì”, dice Aaron. Il sollievo che traspare dalla sua voce è in perfetta sintonia con i battiti del suo cuore, che non riescono proprio a rallentare. Sta bene. Si è voltato verso di loro e adesso sta tornando indietro.
L’auto rallenta fino a fermarsi di fronte alla sua moto, che frena a sua volta. Non appena tocca terra con entrambi i piedi, Daryl abbassa il fazzoletto che gli copriva il volto e tira fuori la maschera per l’ossigeno dalla bisaccia, per poi respirare profondamente attraverso di essa.
Non ha un vero motivo per fare una cosa del genere, ma visto che il fumo sembra più sottile di prima Beth salta fuori dalla macchina e corre verso la motocicletta. Aaron, dal canto suo, non fa niente per fermarla.
“Hey!” Daryl lascia andare la maschera per qualche secondo e li chiama col fiato che gli resta. La parte superiore del suo viso, quella che non era protetta dal fazzoletto, è completamente nera di cenere. “Il peggio è passato! Tra circa un altro miglio la strada è libera, dovremmo approfittarne adesso che...”
Beth rallenta la sua corsa quando si trova circa a mezzo metro da lui, fermandosi completamente quando le mani raggiungono le sue spalle. Lui lascia cadere la maschera e le stringe la vita, apparentemente sorpreso di trovarsela all’improvviso così vicina. Accarezza la pelle del gilet con le dita, per poi farle scivolare sulla schiena mentre avvicina il viso al suo. Nonostante sia incredibilmente nervosa, ogni paura sparisce quando lo sente premere i palmi contro la sua schiena, anche se forse è stato solo un gesto impulsivo. Quando preme le labbra contro le sue, sente il suo stesso viso tremare, per poi ritrarsi un secondo dopo.
L’espressione di Daryl è di puro stupore; stupore che non si preoccupa di nascondere mentre arriccia le labbra tra i denti. Beth può ancora sentire il loro calore e il formicolio della barba contro la sua pelle. Vuole baciarlo ancora per non far sparire il suo sapore, ma è evidente dai suoi occhi spalancati e dalla sua espressione indecifrabile che un altro bacio lo farebbe secco.
“Non l’avevo mai fatto prima?”, gli chiede, e sente lo stomaco aprirsi nel momento che realizza che è proprio così. Non era sua intenzione prendersi tutta quella libertà, non se quello è stato il loro primo bacio. La sua mente fa ancora difficoltà a mettere insieme alcuni pezzi, ma da qualche parte nel profondo era certa di averlo già baciato. Lei sa che non stavano insieme, ma in un certo senso sì. O no? Non può essere stata solo fantasia. Non è possibile che la sua mente abbia costruito ricordi di ciò che voleva aver vissuto… o sì?
“No”, le risponde con un mormorio, schiarendosi la gola con qualche colpo di tosse. “No, non l’avevi mai fatto.”
“Oh.”
Ma lei se lo ricorda. Ricorda quel profumo e quel sapore, ricorda le sue mani che esplorano il suo corpo, ricorda le sue labbra e quello che ha sentito. Gli occhi di Daryl, però, sono troppo cauti. Poi, pensando a ciò che ha appena incontestabilmente e realmente sperimentato, anche se è stato assolutamente innocente e casto, Beth realizza che tutte quelle immagini sono state solo un inganno della sua testa malata.
“Beh, allora devo averlo voluto, una volta o due.” Sente le guance andare a fuoco. Sì, l’aveva decisamente voluto.
Daryl sembra incapace di reagire. È come se l’avesse drogato, quando in realtà gli ha solo dato un semplice, dolce bacio sulle labbra. Il resto della carovana è ancora dietro di loro e il fumo sta iniziando a farle lacrimare gli occhi. Sale sulla moto, prendendo posto dietro di lui e tirando la boccata d’aria più profonda che riesce a fare dalla bombola di ossigeno. Dopo un altro miglio percorso in quell’enorme nube di fumo, le file di alberi ricompaiono e la strada verso casa sembra di nuovo libera.

   
 
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