Film > Thor
Ricorda la storia  |       
Autore: shilyss    26/07/2019    54 recensioni
Fable! AU La Sirenetta
Chiedere aiuto a Loki di Asgard è una follia. Lo sanno tutti, anche Sigyn. Ma l’amore, troppo spesso, fa fare cose folli, ci spinge a sacrificare ogni cosa…
Sbatté le palpebre, si alzò, riscuotendosi come da un sogno. “Mi sono persa. Perdonatemi.”
“Nessuno si smarrisce per caso e arriva fin qui, mia signora.” Un ghigno, gelido come i suoi occhi, gli si dipinse sul viso virile e bello. “L’ho stabilito io stesso.”
“Lo so. Dicono che non ci sia persona più abile di voi, col seiðr.”
“Ho un certo talento per i giochi di magia, sì,” rise l’Ase – risata secca, asciutta, priva di gioia. “Sai solo questo?” inquisì, sporgendosi verso di lei. “Narrano tante altre cose, su di me, mia sconosciuta ospite. A te quali hanno raccontato?”

[ ♦ Storia Vincitrice del contest “Villains against Heroes II Edizione”, indetto da missredlights sul forum di Efp, e e Vincitrice del Premio "Miglior Villain" ♦ ]
Questa storia partecipa alla Fables Challenge indetta da Il Giardino di Efp
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Odino, Sigyn
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Prima che il sole tramonti

 

[…]

Noi abbiamo una stessa

voce, una stessa pena

e viviamo affrontati

sotto povero cielo.

(Cesare Pavese, 19-20 novembre ‘45)

 

“So perché sei qui!” disse la strega del mare, “ma è insensato, da parte tua!

Tuttavia mi piegherò al tuo desiderio poiché ciò ti porterà sventura, o mia principessa stupenda.”

(La Sirenetta, da “Fiabe”, Hans Christian Andersen, ed. Einaudi)

 

 

 

Capitolo 1

C’era una volta un drakkar

 

 

 

Questa è la storia di come il dio dell’inganno riuscì a raggirare gli dèi di Asgard grazie a uno dei suoi molti, crudeli, intrighi. Sa di salsedine e vento, il racconto. Odora di mare e di spiagge baciate da un sole che non tramonta né svanisce per giorni, settimane, stagioni intere. Si dice che chi voglia narrare quanto avvenne, debba prima raggiungere una spiaggia e lasciarsi bagnare dalla spuma del mare. In fondo, lei è una delle protagoniste di questa vicenda antica.

C’era una volta e c’è ancora, una penisola che s’insinua come un artiglio nel Mar Baltico: la sua punta più estrema, lo Skagen, guarda verso la Scandinavia, terra di Giganti e di dèi, dove il sole svanisce sei mesi all’anno e l’inverno è così rigido che la neve ricopre ogni cosa per mesi. Tra i suoi fiordi settentrionali più estremi e incantevoli, un tempo si diceva che sorgesse anche la magnifica Asgard, la dimora di Odino e degli Æsir, in tutto il suo splendore. Ma di questo, i vichinghi, che un giorno si sarebbero chiamati danesi, non erano davvero certi. Raramente si erano spinti tanto a nord, sebbene fossero profondamente devoti ai loro dèi guerrieri, fieri e orgogliosi. Dalla spiaggia più estrema dello Skagen partì, un’estate, un drakkar dalla punta snella, agile e veloce. Il suo scopo era raggiungere le terre fertili oltre il mare e trovare abbastanza mercanzie e schiavi da poter commerciare a oriente e a meridione, ma una forte tempesta causata dal dio del tuono, certamente impegnato a combattere i giganti e i troll, fece sì che la nave si smarrisse, perdendo la rotta.

Su quell’imbarcazione svelta, viaggiava un uomo. Alcuni sostengono che costui non volesse solo mercanteggiare e razziare le più fertili coste della vicina Gran Bretagna, allora retta da tanti piccoli re che si facevano la guerra tra loro; armato di coraggio, di un particolare spirito d’intraprendenza e del consiglio di un navigante assai esperto, desiderava scoprire le coste a settentrione, inoltrandosi tra i fiordi d’inimmaginabile bellezza, spesso avvolti da nebbie invalicabili, forse frutto d’incantesimi potenti. Cercava la ricca Asgard e voleva osservarla con i propri occhi di uomo mortale per riportare, nella terra da cui proveniva, quelle che si dicevano fossero le abilità particolari dei suoi abitanti. I signori di Asgard, che dimoravano nelle zone più estreme della selvaggia penisola, conoscevano taluni segreti utili per affrontare le tempeste e orientarsi in mare anche nelle notti più buie, potevano pescare a volontà, cacciare anche le prede più difficili e possedevano armi potenti – reliquie d’inimmaginabile valore – capaci di non spezzarsi nemmeno se usate per combattere i Troll e gli Jotnar[1].

Così, scelse di violare ogni vincolo precedentemente stabilito tra gli uomini e gli Æsir e di viaggiare alla scoperta dell’ignoto. Oltre all’esperto di rotte, prese con sé altri otto uomini e partì con un drakkar robusto e veloce. Odino e la sua gente, però, non erano inclini a perdonare coloro che osavano venire meno ai patti stabiliti fin dalla notte dei tempi: erano orgogliosi e fieri e non desideravano in alcun modo mescolarsi alla schiatta dei midgardiani[2]. Ogni tanto, alcuni di loro vagavano per le terre abitate dagli uomini. Camuffandosi sotto mentite spoglie attraversavano villaggi e foreste, oppure s’imbarcavano sui loro drakkar da guerra, spacciandosi per vagabondi o poeti, spinti dalla curiosità e dalla noia, forse. Circolavano molte leggende su questi incontri, tanto che quando Erik, dopo il naufragio occorso, si risvegliò stanco e stracciato nel folto di una foresta non ricordando assolutamente nulla di come fosse finito lì, boccheggiante e inaspettatamente vivo, credette davvero di essere stato salvato da una fata dei boschi o da un’Æsinna e di aver visitato, in qualche modo, la ricca e bella Asgard, la dimora degli dèi. C’era infatti chi raccontava che il perimetro della terra degli Æsir fosse stato stregato dal dio degli inganni in persona e che se anche un abitante di Midgard ne avesse, in qualche modo, osato varcare i confini, al momento di rientrare nella sua terra avrebbe smarrito ogni ricordo, pensiero e memoria del tempo trascorso all’ombra della casa di Odino. E gli incantesimi di Loki, questo tutti lo sapevano nei Nove Regni, erano potenti e terribili quanto quelli di Padre Tutto.

 

 

Dell’ingannatore si raccontavano molte, troppe cose. Alcune storie erano totalmente false; le aveva fatte circolare lui stesso, per confondere i suoi nemici e ampliare le voci circa la sua grandezza. Altre, invece, col tempo erano state mutate, cambiate, arricchite di particolari o private di dettagli, così da divenire qualcosa di nuovo, diverso e irriconoscibile. Forse anche questa storia è una di quelle. Bisognerebbe chiederlo alla spuma del mare, ai fiordi alti e immobili che si stagliano contro il cielo, a Loki stesso, che riderebbe beffardo e prenderebbe a narrare una storia meravigliosa, fantastica, allo stesso tempo vera e finta.

 

Se raccontasse, tuttavia, partirebbe senz’altro da lei. C’era una ragazza, ad Asgard. Il suo nome era Sigyn. Alla sua nascita, le Norne le avevano cucito addosso un destino oscuro, forse infelice, segnato da una profezia funesta, celata a lei stessa. Si erano decise a donarle un nome pesante, affidandole il compito di consolare le figlie degli uomini con la sua sola presenza, ma le visioni di Skuld spesso erano troppo difficili da interpretare o sciogliere[3]. Il suo fato si sarebbe rivelato a tempo debito: così solevano dirle Freya e Odino, forse nel tentativo di proteggerla dall’immagine, carica di presagi, che aveva mostrato loro la fonte di Mimir.

È l’eccesso d’amore a far male, alle volte. Crea una prigione dorata dentro cui si soffre e si langue, arrivando ad anelare cose come la libertà, la conoscenza e anche la possibilità di sbagliare, alle volte. Il diritto di essere se stessi, di alzare la testa ed esporre un parere che non sia, semplicemente, lo specchio di quello di un altro. Sigyn era giovane, forse troppo. Era nata dopo una grande guerra, feroce e fratricida, che aveva visto gli Æsir combattersi aspramente: i figli di Asgard si facevano chiamare dèi, ma sanguinavano, morivano, soffrivano, amavano e odiavano come gli uomini, sebbene fossero maledetti da una vita lunga decine e decine di secoli.

Cosa significa vivere migliaia di anni? Perdere il contatto con la realtà, smarrire lo stupore verso il mondo e la sua bellezza, dimenticare la fede.

Sigyn, però, era giovane, giovanissima. Una ragazzina di schiatta reale. Non le apparteneva la malizia propria di chi ha perso il conto delle primavere già viste ed era ansiosa di conoscere il mondo oltre i confini di Asgard, perché spinta da un’inspiegabile nostalgia per Midgard[4]. Sin da bambina, l’affascinava enormemente quel popolo così simile a lei e, appena poteva, si faceva narrare le storie delle sue genti – fiabe, racconti e leggende, perlopiù, nonché certe saghe che parlavano di guerrieri indomiti e fieri che conquistavano regni interi con la forza del loro braccio e poco altro. Per questo, non appena l’infanzia lasciò spazio alla giovinezza, iniziò a violare sempre più spesso gli ordini imposti, avvicinandosi fin troppo ai confini che dividevano la terra degli uomini da quella degli dèi. Voleva vedere com’erano i loro palazzi, ascoltare le melodie suonate attorno ai fuochi, danzare al suono dei corni e dei flauti canzoni nuove e diverse. Le sue sorelle maggiori la ascoltavano con una certa condiscendenza, mentre erano impegnate a raccogliere erbe medicamentose e radici per conto della regina Frigga. Pensavano che l’interesse verso Midgard si sarebbe rivelato un interesse passeggero, un sogno di bambina che Sigyn avrebbe perso o accantonato una volta adulta. Cosa c’era di tanto bello in un mondo dominato dalla grettezza e dalla miseria? Gli umani non erano che una copia imperfetta e fragile degli Æsir, niente di più. Contrariamente a quanto auspicato dalla famiglia, però, Sigyn continuò a sognare a occhi aperti, a fantasticare sulle fiabe che raccontava tutto il giorno alle sorelle stesse. Erano storie meravigliose, certo. Parlavano di draghi che custodivano tesori e di spade magiche piantate nel tronco di enormi frassini e di guerrieri invincibili, salvo che per un solo punto seminascosto del loro corpo. Alcune avevano per protagonisti gli stessi dèi di Asgard, ma questo Sigyn non poteva saperlo né immaginarlo, perché, col passare del tempo e per oscure ragioni, i nomi erano stati modificati, occultati, consegnati all’oblio[5].

 

Erik, tuttavia, lo incontrò per caso. Un mattino, subito dopo l’alba, la ragazza si ritrovò a camminare sulla spiaggia. La notte prima c’era stata una terribile tempesta, talmente violenta che le onde erano arrivate a mutare parte della battigia, ridefinendone i contorni. Qua e là, spiccavano detriti, alghe e pezzi di legno giunti da chissà dove. Sigyn, stretta in un mantello foderato che la proteggeva dall’aria pungente del primo mattino, era in cerca di certe radici che servivano alla regina degli Æsir e che si trovavano solamente in una radura poco distante dalla riva del mare, ma aveva approfittato di quell’incombenza per respirare l’odore dell’aria salmastra, osservare la distesa d’acqua scintillante sotto i primi raggi del sole estivo. Camminando, si accorse, però, che le onde avevano portato fino a riva qualcosa di differente dal solito. Sentì il cuore accelerare il suo battito. Riconobbe tra la sabbia frammenti di remi e di oggetti senz’altro appartenenti al drakkar. Aumentò il passo, raccogliendo di volta in volta qualche fibbia od oggetto appartenuto all’imbarcazione e all’equipaggio che, presumibilmente, aveva dovuto scontrarsi con la tempesta della notte precedente, finché non trovò un uomo disteso sulla spiaggia. Un uomo di Midgard, dedusse dagli abiti, privo di sensi.

Non avrebbe dovuto avvicinarsi. Era proibito dalle leggi di Odino, farlo. Gli Æsir avevano il compito di difendere Midgard, ma agli incauti che osavano sfidare Padre Tutto e varcare i confini dell’Yggdrasill non andava prestato alcun soccorso. Chi avesse osato violare le leggi stabilite da Odino e, prima di lui, da Bor il Grande in persona, sarebbe stato punito, com’era già capitato nei confronti del figlio ribelle del re, tanto tempo prima. Se il sovrano di Asgard avesse scoperto che gli aveva disobbedito, senz’altro non si sarebbe fatto scrupolo nel punirla con severità nonostante le fosse affezionato come a una figlia. La ragazza era difatti una delle giovani nobilissime cui Frigga, la regina sua moglie, si era circondata al fine di insegnare loro i molti segreti della magia in suo possesso. Si trattava di incantesimi benigni, legati alla natura e alla divinazione, lontani dal seiðr che Padre Tutto stesso usava ed erano, invece, appannaggio di altri. Ma esiste davvero, il caso? O la vita non è fatta, piuttosto, d’incredibili coincidenze legate l’una all’altra dalle mani svelte e implacabili delle Norne, che filano e tessono il destino degli uomini e degli dèi? C’è chi dice che, a volte, le tre sorelle uniscano i destini di due anime con un filo d’oro, tinto di rosso: così facendo, due esistenze sono chiuse in un vincolo indissolubile, resistente come la più terribile delle maledizioni e intenso come la vita stessa. Per un istante, uno solo, Sigyn smise di respirare, pensare, parlare.

Dotata com’era di un animo gentile, non riuscì a far finta di nulla, di fronte all’uomo svenuto davanti a lei. Gli si accostò per controllare che fosse vivo, nient’altro, ma poi, accorgendosi che il marinaio respirava ancora, non poté trattenersi dal chinarsi sulla rena umida e prestargli soccorso. Si trattava di pietà, nient’altro che quello: lo giurò a se stessa. Bagnò le labbra riarse dell’uomo, pulì e medicò le sue ferite lievi. Decise che si sarebbe limitata a quelle poche cure. Prima che lo sventurato naufrago avesse potuto anche solo aprire gli occhi, lei sarebbe andata via, tornando alle sue occupazioni sempre uguali, alle fantasie riguardanti viaggi che non avrebbe mai fatto, libertà che non avrebbe mai avuto. Si lasciò scappare un sospiro e, persa com’era in quel suo ragionare, non s’accorse che le palpebre dell’uomo si erano schiuse e, ora, la guardava. Uno sguardo chiaro, fisso, penetrante e attento, che rivelava un’intelligenza acuta. Si tirò su a sedere lentamente, sorretto da Sigyn – la testa doveva girargli – e vide il braccio fasciato.

“Sei stata tu. Mi hai salvato,” notò.

La giovanissima Æsinna pensò che avesse una voce roca e un modo di sorridere che la turbavano. Era giovane e bello e scrutava il paesaggio attorno con circospetta attenzione, cercando evidentemente un riferimento geografico che gli indicasse con precisione dove fosse naufragato. Si mise in piedi rivelando una vitalità sorprendente e lei lo seguì dappresso, timorosa che la sua andatura ancora lievemente incerta potesse tradirlo. Temeva anche un’altra cosa, a essere onesti: la punizione che Padre Tutto avrebbe inflitto a entrambi quando i suoi corvi, quella sera, gli avrebbero raccontato ciò che era accaduto nei Nove Regni. Con quale compiacimento si sarebbero messi a sussurrare di come quello che sembrava un semplice midgardiano avesse osato sfidare i mari e gli incantesimi quasi invalicabili che connettevano i due mondi!

Sigyn pensò a tutto questo, ma riflettendo, giunse alla conclusione che ormai era troppo tardi per fuggire, né lo desiderava. Aveva violato i precetti di Odino soccorrendo, sia pur brevemente, il forestiero. Giunta a quel punto, tanto valeva salvargli la vita davvero, portandolo fino al limitare del territorio di Asgard, lì dove, all’alba, solo per un momento, un raggio di luce fendeva la roccia, rivelando l’ennesimo passaggio tra un regno e l’altro.

“Dove sono?” domandò lo straniero. “Chi sei tu? Hai dell’acqua, con te?” insistette, osservando avidamente la bisaccia che la ragazza teneva a tracolla. Poi, il suo sguardo chiaro e aguzzo si posò su ciò che rimaneva del drakkar naufragato, forse pensando ai compagni inghiottiti dai flutti del mare, caduti sul fondo ricolmo di relitti e di gioielli.

La giovane Æsinna gli porse lesta la borraccia con cui già prima aveva dato sollievo alle sue labbra riarse, ma esitò nel rivelare la propria identità. Si decise a parlare solo dopo che lui ebbe bevuto avidamente. In fondo, se lo avesse condotto fino alle mura che separavano Ásaheimr da Midgard, il forestiero avrebbe attraversato il confine tra i due mondi, dimenticando ogni cosa del regno di Odino – compresa lei. Questa regola che conosceva fin da quando era bambina e che tutti i figli degli Æsir avevano sempre accettato senza battere ciglio, le sembrò improvvisamente crudele, ingiusta. Qualcosa le punse il cuore, ma sorrise ugualmente. “Sono Sigyn e questa è Asgard.”

“Asgard.” Il naufrago, stupito, lo ripeté quasi come se volesse essere certo di aver udito correttamente. Di fronte al cenno d’assenso della ragazza, schiuse le labbra, guardandosi febbrilmente attorno. Com’è osservare da vicino il mondo degli dèi cantato dai bardi, visto in sogno dai veggenti? Doveva parergli un luogo del tutto simile a quello in cui era nato e cresciuto, ma non volle darlo a vedere alla sua benefattrice.

“Non potete rimanere qui,” disse Sigyn. “Senz’altro, conoscete anche voi ciò che si dice su coloro che visitano questa terra. Tutto questo vi sembrerà un sogno, forse neanche quello. Seguitemi, vi condurrò al sicuro da occhi indiscreti.”

Il naufrago annuì pensieroso, lo sguardo vigile e mobile, inquieto, che si spostava da una parte all’altra del fiordo.

“Il mio nome è Erik,” le rivelò. “Come posso sdebitarmi? Mi hai salvato la vita, rischiando, probabilmente, la tua,” aggiunse senza abbassare lo sguardo – occhiata fiera e principesca, pungente, che apparteneva senz’altro a un uomo abituato a sostenere il peso di ogni parola, osservazione, fatto.

Quella considerazione improvvisa e rapida le scaldò il cuore. Aveva già fatto delle riflessioni simili nei confronti degli eroi dei suoi racconti e le sembrò di essere precipitata proprio in una di quelle storie, lei che non aveva mai vissuto niente di emozionante.

 Erik, intanto, stava recuperando le forze in fretta; la sua andatura si era fatta più sicura, il suo corpo agile e atletico la seguiva senza alcuna esitazione. Sigyn raccolse il coraggio e fece una proposta che si sposava con la sua curiosità riguardo tutto ciò che rappresentava Midgard.

“Parlami del tuo mondo,” gli propose. “Raccontami le tue storie. Il passaggio tra le nostre terre si aprirà solamente all’alba.”

L’uomo si fermò, squadrandola con attenzione. Alla ragazza sembrò che le sue occhiate fossero diventate improvvisamente più chiare e taglienti rispetto a com’erano solo qualche istante prima. “I grandi Æsir non hanno storie che parlino di Midgard? Dov’è finita la loro memoria?”

Sigyn scosse il capo, interdetta dal cambiamento di tono repentino dell’altro – era sarcasmo, quello che aveva appena udito? – ma poi, rispose. “Poche, pochissime. Le abbiamo cancellate dai libri e dimenticate.”

Lui annuì sovrappensiero e, senza indagare oltre, accettò la richiesta e prese a raccontare. Era bravo in questo e provava un sottile compiacimento nel ripercorrere le magnifiche gesta del passato. Sigyn bevve ogni sua parola, incantandosi dietro quel mondo che non poteva visitare e vagheggiava continuamente. A mano a mano che le ore trascorrevano, tuttavia, i miti e le fiabe lasciarono il posto ad altro: definirle confidenze sarebbe esagerato, ma i due ragionarono assieme di molte cose, scambiandosi opinioni su mille e più argomenti. A Sigyn parve che Erik fosse, talvolta, troppo schietto e pragmatico, ma gli riconobbe una saggezza e un’arguzia non indifferenti. Era piacevole conversare con lui. La ascoltava con una sorta di ammirata considerazione, senza liquidare le sue opinioni come le fantasticherie di una ragazzina solo perché non aveva visto la guerra che aveva fatto tremare il trono di Odino. Desiderò che quella giornata non finisse mai e le ore scorressero più lentamente, ma non era una maga né poteva manipolare il tempo e il sole calò ugualmente su di loro, nonostante il calore che già invadeva il suo petto e lei arrossisse di fronte al sorriso e agli sguardi di quel marinaio audace e spavaldo.

Così, trascorsero quella breve manciata d’ore insieme, consci che era l’unica e ultima concessa loro. Appartenevano a due realtà che non si sarebbero mai toccate né sfiorate. Molto tempo prima, certo, i figli e le figlie di Asgard avevano camminato sovente tra i midgardiani, ma dopo che l’ingannatore aveva minato l’equilibrio retto dall’Yggdrasill, le cose erano cambiate. Nessun Ase aveva più avuto voglia di vagare per terre ignote o di parlare con gli abitanti di Midgard, tranne pochissimi. Ma questa, è un’altra storia, una che la giovane Sigyn, ansiosa di vivere, non conosceva se non vagamente, per sommi capi e che Erik non le raccontò. Apparteneva a quell’insieme di nozioni e informazioni soffocate, bruciate, distrutte, smarrite, che ai bardi era stato proibito cantare e i vecchi fingevano di non conoscere.

 

“Sei bella con i capelli così raccolti,” le confessò il marinaio quando il suo tempo presso la dimora di Odino era ormai giunto al termine. Nel dirlo, sfiorò appena una ciocca serica che le cadeva sulle spalle e, dopo di lei, la guancia ugualmente liscia. La sua chioma color dell’oro era illuminata dai raggi del sole nascente ed era stretta in una coda lunga e folta, che le scendeva dolcemente sulla schiena. Di fronte a quel gesto inatteso, Sigyn arrossì e sorrise. Lo stava per perdere. Di nuovo provò nostalgia, ma stavolta non verso qualcosa di lontano che non aveva mai posseduto, bensì per la giornata appena trascorsa e per l’uomo che le era accanto. Al pensiero del divieto che aveva appena infranto fu scossa da un fremito, ma non riuscì a negarsi il piacere, trasformato in impellente bisogno, di allungare le dita per toccare quelle di lui e intrecciarle un momento, uno solo, proprio pochi istanti prima che il sole sorgesse su di loro. Il passaggio che collegava i due mondi era ormai visibile; oltre la roccia, dietro il volto di Erik, Sigyn poté scorgere Midgard, identica eppure diversa rispetto alla terra degli Æsir. Si separarono così, senza una parola – l’uomo le carezzò, con un ultimo gesto, le ciocche bionde della sua coda, quasi volesse saggiarne la morbidezza e trattenere, di lei, quel dettaglio – un’acconciatura semplicissima, tipica delle donne di Asgard, che le lasciava scoperto il viso esaltandone i lineamenti delicati, ma che, pure, non sacrificava la bellezza della chioma ondulata e caotica, folta e lucente.

Così finì il breve tempo che avevano rubato alle loro vite. Con un tocco appena accennato, uno sfioramento che già sapeva di rimpianto. Una lacrima scivolò dalle ciglia scure di Sigyn. L’aveva perso.

Perché il mondo al di là delle mura di Asgard, costruite da un gigante ammansito con l’inganno, interessava così tanto una figlia della casa di Freya? I midgardiani erano creature fragili e crudeli a un tempo, capaci di grandi slanci d’amore e di generosità, ma anche di bassezze e di meschinità. Un popolo debole, cui era stata conferita la maledizione di vivere una manciata insignificante di anni entro cui si concentrava un’esistenza breve, spesso vacua. Eppure, era proprio questo ad attrarre e a incuriosire la giovane Æsinna. Quanto coraggio bruciava nei petti di quei marinai sfrontati che, armati quasi solo esclusivamente del loro coraggio, s’imbarcavano su un drakkar con l’intento di esplorare il mondo, consapevoli dei rischi che avrebbero affrontato solcando, con le loro navi robuste e veloci, i mari del nord, infidi e dal clima variabile? Troppo spesso le flotte, come quella su cui viaggiava e avrebbe continuato a viaggiare Erik, venivano completamente distrutte dalle imprevedibili tempeste annunciate dai tuoni di cui Thor era il signore e da un cielo cupo color ferro, eppure loro non si arrendevano e attraversavano i mari ancora e di nuovo, mossi da un’incrollabile fede nel futuro, nella fortuna che aiuta gli audaci, negli dèi benigni. Ma gli Æsir non erano un popolo pietoso, tutt’altro. I loro petti erano animati da una sete di conoscenza e di potere a volte troppo simile a quella umana: sapevano di essere superiori ai midgardiani e, nei confronti delle loro vicende, non nutrivano che un interesse breve e circoscritto, identico a quello che era possibile manifestare per un gatto selvatico trovato nel proprio giardino.

Sigyn no, non riusciva a provare quel bieco disinteresse verso gli uomini. Credeva di essersi innamorata di Erik. L’aveva perso, ma ora desiderava che fosse di nuovo accanto a lei. Voleva sapere, conoscere e incontrare di nuovo l’audace pirata che si era spinto fino alle rive spumose del fiordo di Asgard e tornare a parlare con lui, discorrendo di tutto. Si era invaghita del suo coraggio, riteneva fosse in possesso di uno spirito indomito e fiero e inseguisse una conoscenza che gli era preclusa, così come era vietata a lei. Sigyn non poteva leggere tutti i libri conservati nella splendida biblioteca di Asgard, né ascoltare l’infinito numero di storie cantate dai bardi al servizio di Padre Tutto. Nonostante adorasse rimanere nella sala di Odino ore e ore a farsi raccontare ogni tipo di storie, alla fine non riuscì più a farsi bastare le avventure vissute dagli altri o le immagini di un mondo visto con occhi non suoi.

Né Huginn né Munin, i corvi di Padre Tutto, avevano attraversato con le loro ali nere il cielo. Forse, il segreto della ragazza era e sarebbe rimasto al sicuro. La severità del signore degli Æsir, in fondo, nasceva da nient’altro che un eccesso di zelo. Asgard e Midgard erano mondi ormai separati, divisi per sempre: le commistioni, di qualunque genere e natura, non avevano portato che infiniti lutti e dolori. E Sigyn dalla lunga coda d’oro, presto, avrebbe scoperto sulla propria pelle il motivo di quella scelta.

 

 

Tornò ad Asgard, ma in molti si accorsero di quanto qualcosa, durante la sua assenza, l’avesse turbata, privando il suo viso delicato del consueto sorriso che lo illuminava. Sigyn era sempre stata riflessiva, pensierosa, ma il tormento che aveva preso a corrugarle la fronte apparve a molti come qualcosa di terribilmente atipico. Smise di parlare con le sue sorelle mentre era nel palazzo di Fensalir, la dimora privata di Frigga, e divenne mesta, ombrosa. Tuttavia, le sue speranze circa il fatto che Padre Tutto non avrebbe scoperto il suo segreto vennero disattese; Odino s’infuriò. Diede ordine che fossero distrutti tutti i suoi libri che parlavano di Midgard, giunse a vietarle espressamente di avvicinarsi al confine oltre cui Erik era sparito, anche se lui certamente aveva smarrito ogni ricordo di lei, di loro. Prostrata e sconvolta, Sigyn pianse a lungo la sua sorte.

Fu solo dopo molte notti che si decise a violare nuovamente gli ordini di Padre Tutto. Pensò di non aver più nulla da perdere, che Asgard non era il luogo per lei ed Erik era lontano. Forse, avrebbe potuto ritrovarlo, in qualche modo. Si coprì il viso con un mantello e, col cuore che le batteva forsennato nel petto e gli occhi segnati dall’insonnia, s’inoltrò verso la punta posta più a nord di tutta Asgard. Nemmeno lei era immune dall’incantesimo che separava i mondi. Se avesse attraversato il portale, non solo Padre Tutto sarebbe riuscito a scoprirla con grande facilità, ma lei stessa avrebbe smarrito la memoria di sé. In tali condizioni, raggiungere la casa di Erik sarebbe stato pressoché impossibile. C’era una sola persona, in tutti i Nove Regni, che avrebbe potuto aiutarla: l’oscuro dio degli inganni, il maestro di magia secondo solo al re.

Loki, nonostante il divieto imposto a tutti da Odino, non aveva mai smesso di camminare tra gli uomini. Non li amava e li giudicava ingrati, perché dei molti doni che aveva concesso loro, non ne veniva ricordato quasi nessuno, ma avrebbe potuto muovere la stessa accusa anche agli Æsir. Tutti temevano la sua natura perfida e cattiva, l’inclinazione ad allestire scherzi crudeli, la spietatezza con cui valutava chiunque gli capitasse sotto tiro. Il dio delle beffe e delle menzogne sapeva discernere il vero dal falso e si crogiolava in questa sua abilità, confondendo e irretendo le sue molte vittime. Ciò che interessava alla giovane e incauta Sigyn dal cuore spezzato, però, era altro: si diceva che Loki visitasse i Nove Regni inoltrandosi lungo sentieri noti a lui solo, privi di qualsiasi incantesimo o barriera, liberi dalla supervisione di Odino. Per rivelarli, però, avrebbe chiesto qualcosa in cambio. Non era un dio benevolo e generoso, tutt’altro.



[1] Gli Jotnar (plurale di Jotunn sono i giganti di ghiaccio.)

[2] Abitanti di Midgard, la terra di mezzo, la Terra.

[3] Skuld è la Norna che fila il futuro.

[4] In questo senso il termine nostalgia è da intendersi come “rimpiangere ciò che è lontano.” (Treccani online). Con la medesima accezione lo intende anche Andersen nell’originale e volevo omaggiarlo anche così.

[5] Alcune di queste storie fanno effettivamente parte del corpus scaldico.

   
 
Leggi le 54 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Thor / Vai alla pagina dell'autore: shilyss